A Proposito di Paracelso

Aspasia

 

Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelso nacque ad Einsiedeln, presso Zurigo, il 17 dicembre 1493 e morì a Salisburgo il 24 settembre del 1541 all’età di quarantotto anni.

Non è facile parlare di questa persona particolare che si riteneva “diverso” e chiedeva al prossimo di non turbarsi per la sua diversità.

Purtroppo coloro che entravano in relazione con lui rimanevano spesso confusi. Paracelso turbò medici e preti, autorità cittadine, re e principi, luterani, umanisti, mercanti, speziali, filosofi e teologi. Egli turbò amici e collaboratori, generazioni di fisici e di chimici vissuti sotto la sua ombra che incombeva su di loro.

Questo dottore in medicina e teologia, precorrendo i tempi, aveva elaborato nel XVI secolo una filosofia dell’universo e dei suoi processi molto eccentrica, che purtroppo pochi tra i suoi contemporanei riuscirono a capire e meno ancora a comprendere.

Le ambiguità, si potrebbe anche dire gli arcani, della sua visione filosofica sembrano rispecchiarsi sulla sua stessa persona. Paracelso era volubile, si mostrava come un insieme di contraddizioni e paradossi: un umile gradasso, un saggio infantile, un indomabile perdente, un vile coraggioso, un pio eretico, un onesto ciarlatano, spinto da un amore profondo e da un odio sprezzante. Pranzava con principi e dormiva nei fossi, impersonando e nel contempo sfidando la follia del mondo al quale apparteneva.

Ferdinando Hoefer nella sua Histoire de la chimie (Storia della chimica, 1843) ne descrive il ritratto con le seguenti parole:

“Immaginate un uomo che in alcuni momenti dà prova di un intuito notevole, e in altri delira nel modo più pietoso; un uomo che un momento, dedito al progresso della scienza, proclama l’assoluta autorità dell’esperienza e scaglia i più violenti anatemi contro le teorie degli antichi, e tuttavia subito dopo come un pazzo sembra conversi con démoni convinto del loro potere assoluto; digiuno al mattino, ubriaco alla sera, presenta esattamente ogni idea nell’ordine in cui gli è venuta in mente. Ecco Paracelso!”.

Queste discordanze si rispecchiano nei racconti sulla sua vita.

Cristoph Martin Wieland (1733-1813), scrittore tedesco del XVIII secolo faceva notare che  “Anche Paracelso andò incontro al destino di tutte le persone straordinarie: essere lodate stupidamente e stupidamente criticate”.

Il XVI secolo viene identificato come un secolo di riforme religiose e politiche, oltre che scientifiche. Per tradizione, i riformatori in campo scientifico sono Niccolò Copernico (1473-1543), che rivoluzionò l’Astronomia, e Andrea Vesalio (1514-1564), che fece altrettanto per l’anatomia: entrambi ridefinirono il mondo esteriore ed interiore del genere umano. Tutt’oggi gli scienziati si attengono a questa versione in quanto collega il Rinascimento con il mondo che conosciamo, nel quale la Terra gira attorno al Sole, e vene ed organi del corpo sono collocati al loro posto.

Tuttavia vi è un’altra interpretazione del Cinquecento, al cui centro si pone l’alchimista Paracelso. E’ una visione diversa poiché, nel suo sistema filosofico, scienza e ragione non sono in conflitto con misticismo e magia, ma si fondono dando origine ad un mondo che appare al tempo stesso meraviglioso e bizzarro.

Fu proprio il pensiero di Paracelso, molto più delle teorie di Copernico e Vesalio, a mettere in discussione le certezze erronee ed opprimenti del tardo Medio Evo, con le loro interpretazioni ristrette e dogmatiche della concezione classica dell’universo. Affermare che Copernico non rappresentasse gli astronomi del Rinascimento o Vesalio fosse un medico di eterodossia rivoluzionaria non toglie nulla al genio di nessuno dei due. Se si vuole comprendere che cosa animava veramente il dibattito filosofico, e intendere il fermento intellettuale all’epoca di Martin Lutero e della Controriforma, è opportuno volgere lo sguardo alla vita di Paracelso, un uomo che veramente rappresenta il prisma del suo tempo, un uomo che individua i paradossi, i terrori, le tensioni esistenti tra filosofia naturale, religione, Umanesimo e politica.

Questa è una delle possibili interpretazioni della vicenda: purtroppo le testimonianze attendibili sulla sua vita sono scarse, visto che i pochi fatti pervenuti fino a noi sono stati deformati dalla leggenda, dalle calunnie e dall’agiografia. Lo stesso Paracelso ha contribuito non poco ad infittire il mistero con le numerose e contradditorie versioni del suo testamento.

Paracelso è vissuto dal 1493 al 1541: un periodo cruciale della storia occidentale, l’alba dell’era moderna. Era un mondo di magia, di démoni nascosti dietro ogni angolo scuro, governato dalla sola volontà di Dio; tuttavia in quegli anni l’umanità iniziava a penetrare i codici della natura e a tracciare una mappa della configurazione del cielo e della terra. Nato in Svizzera viaggiò per tutta l’Europa rinascimentale, sperimentando sulla propria pelle guerre e lotte di potere, orrori e sofferenze inaudite di quel mondo. Il suo era un carattere polemico che gli procurò non poche difficoltà nelle relazioni ovunque si recasse.

Philpp Theophfrastus Bombast von Hohenheim era il suo nome di battesimo; seguivano altri appellativi. Nell’Europa centrale si diffuse una favola che racconta come il dottor Theophrastus si alleò col diavolo, giungendo a carpire il segreto della vita eterna; alla fine il dottore venne ucciso avvelenato dai suoi nemici. Aveva un cavallo bianco, così si raccontava in Transilvania, donatogli da Satana, che poteva coprire lunghissime distanze senza stancarsi. A volte viene chiamato Teofrastus, o Frasticus, o Frastus, e questo conduce a Faustus o Faust, il ciarlatano errante che si diceva avesse barattato l’anima con un sapere proibito, al quale è stato legato il nome di Paracelso.

In altri casi, Paracelso prende il soprannome di Alpenus, ovvero uomo che proviene dalle pendici della Alpi, corrotto successivamente in Arpenus o Arpinas, da cui deriva Orpinas e poi Orfeo, figura molto importante nella grande tradizione della magia naturale, che riuscì a sconfiggere la morte.

La leggenda accompagna costantemente la vita di Paracelso. Il suo spadone custodisce straordinari segreti, nel pomo è nascosto il misterioso laudanum, la sua medicina più potente ed arcana e forse si nasconde anche un demone scaltro. Samuel Butler (1612-1680), nel suo poema satirico Hudibras (parte II, 1664) scrive che: “Bombastus teneva un uccello del diavolo chiuso nel pomo della sua spada, che gli insegnò tutti gli scherzi e le astuzie dei passati e futuri”.

Paracelso non apparteneva alla colta élite dell’Europa cinquecentesca, tuttavia ne frequentò gli ambienti, pur restando fiero delle sue umili origini delle quali era molto orgoglioso.

Uno dei suoi aforismi recita: “Non sia schiavo altrui chi può essere signore di se stesso”. L’essenza di Paracelso può essere individuata in questa miscela di orgoglio, intransigenza, presunzione, indipendenza e dignità ferita. Egli si dimostrò coerente con le sue parole poiché nel corso dei suoi numerosi incarichi, dei lunghi viaggi, delle feroci battaglie e delle accese dispute, fu sempre e soltanto l’unico padrone di se stesso.

Leggendo le tradizionali storie della scienza si rileva che Paracelso viene considerato come colui che ha contribuito a formare il percorso della chimica e della medicina, in un’epoca in cui queste due discipline stavano abbandonando la loro forma antica per assumerne una moderna. Questa affermazione è indubbiamente vera nel senso che Paracelso è stato un antesignano della scienza, tuttavia per comprendere maggiormente la sua personalità è necessario collocarlo nel remoto ed inconsueto panorama del Rinascimento la cui filosofia era impregnata di magia e di cultura ermetica.

Soltanto recentemente la scienza ha iniziato a considerare che anche in tale ambito vi sono radici magiche. Fino a pochi decenni fa, le storie della scienza cominciavano con la teoria eliocentrica di Copernico, oppure si esaltava il razionalismo di Aristotele, per poi saltare completamente il Medio Evo in quanto veniva considerato un periodo durante il quale regnava l’ignoranza e la superstizione. Tutt’alpiù  venivano espressi, con parsimonia, elogi per le opere di Avicenna, Guglielmo di Occam, Alberto Magno e Ruggero Bacone; ma queste sparute gemme dovevano essere depurate da incrostazioni indesiderate.

In realtà la scienza moderna non si è manifestata all’improvviso  nelle menti di Copernico piuttosto che William Harvey (1578-1657) e altri loro omologhi. Dai dati storici era facile intuire che il pensiero di questi uomini fosse di natura differente da quella di quanti li avevano preceduti e che la scienza sorgesse come un albero miracoloso nel deserto medievale. Inserito in questo contesto, Paracelso diventa agli occhi del positivista scientifico un vero e proprio incubo poiché l’intera sua opera inizia e finisce nella magia; tutto è permeato dalle sue credenze religiose, che creano un univedrso ricco di segni e simboli occulti, e a volte indecifrabili. L’Alchimista Paracelso afferma di aver ottenuto la Pietra Filosofale, crede a ninfe giganti e spiriti, racconta che gli uomini possono vivere senza nutrirsi se vengono piantati nella terra, interpreta le comete come portenti, sguazza nella numerologia della Cabala, afferma di essere in grado di guarire ogni e qualsiasi male. Il suo è il mondo dal quale successivamente la scienza ci ha tratto in salvo.

Se vogliamo scoprire le origini della scienza non possiamo partire dalla attuale prospettiva. Anche Newton (1643-1727) credeva all’alchimia e non era di certo uno sciocco. Attualmente sono ancora in molti a considerare in modo superficiale l’astrologia e la magia; ma nel XVI secolo questo era un lusso che non ci si poteva permettere, in quanto tali credenze erano i punti di riferimento dell’epoca: la scienza non è il risultato degli sforzi per liberarsi di queste idee, bensì dei tentativi di dar loro un senso.

Indubbiamente la magia era legata anche alla superstizione medievale, ma era anche un primo passo per la scienza e quella che possedeva il XV secolo era proprio la “scienza della magia”.

L’economista John Maynard Keynes (1883-1946) provò ad affermare tale principio definendo Newton come “l’ultimo dei maghi”. In realtà Newton non fu l’ultimo di una genealogia di maghi e neppure il primo anello di una nuova generazione di scienziati, egli semplicemente condivideva con i suoi contemporanei una visione del mondo che non era una stravagante coesistenza di scienza e magia, bensì un edificio nel quale tutti i mattoni provenivano dallo stesso stampo. Attualmente si considerano alcuni personaggi i fondatori della moderna scienza mentre molti altri vengono lasciati nell’oblio perché vengono considerati inutili relitti di un’epoca ormai passata, non volendo accettare il fatto che senza questi ultimi l’edificio della scienza sarebbe crollato. Il “mago rinascimentale” è invece il diretto progenitore dello scienziato del secolo XVII°.

La scienza non è dunque il frutto della fuga razionale dalla superstizione medievale poiché a ben vedere gli scolastici medievali eccellevano nella pedante razionalità. La scienza moderna ha preso forma in seguito all’abbandono del principio aprioristico fondato sul concetto aristotelico secondo il quale partendo da una argomentazione logica ed astratta, tutto può essere dedotto dai principi primi, senza preoccuparsi se quei principi primi sono arbitrari. Prima che la fertile logica di un razionalismo autenticamente scientifico potesse affermarsi, il solido e sterile terreno del dogma classico doveva cedere il passo ad una forma di empirismo che accettasse la realtà di alcuni fenomeni ignoti ed inesplicabili come frutto di forze occulte. In questa ottica, uomini come Paracelso ed il suo collega, anticonformista e seguace dell’iconoclastia, Cornelio Agrippa (1486-1535) erano degli scettici: erano disposti cioè a mettere in dubbio quanto era stato ritenuto valido fino ad allora, per scoprirne le ragioni da soli, invece di accettare i dogmi altrui.

Paradossalmente Paracelso e Agrippa dovettero pagare il prezzo di una maggiore credulità perché, rinunciando alle vecchie certezze corsero il rischio di credere a qualunque cosa. Non essendosi costruiti una metodologia sistematica che li guidasse verso un sapere più nuovo e più solido traevano insegnamento ovunque fosse possibile, convinti che l’umanità avesse un tempo posseduto grandi conoscenze, ma che questa conoscenza si fosse corrotta nel periodo che separava la mitica antichità dai loro giorni.

La magia di Paracelso era probabilmente molto più eclettica di quella di qualsiasi grande pensatore del Rinascimento. L’eclettismo non sempre è una virtù o un segno di apertura mentale, benchè dimostri una innegabile indipendenza intellettuale e di pensiero. Il fatto che Paracelso inseriva nella sua grandiosa visione tutto quanto attirasse la sua curiosità e attenzione, spesso si trattava di una forzatura e non tutte le argomentazioni combaciavano, presentando molti lati oscuri o incomprensibili.

Paracelso fu innanzitutto un medico, e considerava magici i suoi rimedi. Secondo lui, però, non si trattava affatto di superstizione, perché il dottore concentrava e manipolava con metodo le forze magiche invisibili e le “virtù” della natura. Egli provò ad inserire questa “nuova medicina” all’interno di un più vasto sistema di filosofia naturale, devotamente cristiana. Sotto questo profilo il suo scopo non era diverso da quello della scienza contemporanea: tutto deve corrispondere.

Attualmente si insiste sul fatto che gli atomi che formano geni, virus e cellule sono identici a quelli che costituiscono montagne e oceani, e sono governati dalle stesse forze fisiche; le leggi della fisica valgono allo stesso modo per tutto: per le stelle come per i fiori; botanica e astronomia sono scienze distinte, ma se fra le due si manifestassero delle incongruenze radicali, allora nelle nostre teorie ci sarebbe qualche cosa di infondato. Nel passato classico non si avvertiva la necessità di una visione così onnicomprensiva. Aristotele si accontentò di dedurre analogie tra fenomeni disparati, omettendo di esprimersi su alcuni argomenti, e non sentì un gran bisogno di coerenza e continuità. Per gli enciclopedisti come Plinio il Vecchio (24 – 79 d.C.) erano sovente sufficienti spiegazioni circoscritte dei fenomeni: questi sono giustificati al proprio interno e non è necessario inquadrarli in un più ampio contesto.

Quale era l’origine dei quattro umori, i fluidi corporei che si riteneva governassero la salute? Né Galeno (129-216 d.C.) né Ippocrate (460 a.C. circa – 377 a.C), i due principali medici dell’antichità, sono stati in grado di spiegarlo: presumono che sia così e questo può bastare.

La cosmologia di Paracelso non avrebbe mai potuto essere davvero scientifica, perché comprendeva, e non poteva escludere, la teologia. Il mondo di Aristotele era spesso un circolo vizioso (gli oggetti cadevano verso il suolo perché questo era il luogo sul quale era naturale che si posassero); ma quello di Paracelso era più esplicitamente teologico: il mondo rispondeva ad un disegno marchiato in ogni sua parte dalla firma di un artefice. Tuttavia ciò non significa che a Paracelso mancasse quanto sarebbe stato in seguito considerato lo “spirito scientifico”; al contrario, era fermamente convinto che le cose accadono per una ragione precisa, che la natura è meccanicistica e segue regole ben determinate, che l’uomo può comprendere e dedurre mediante l’osservazione e la sperimentazione. Per queste ragioni non accettò il luteranesimo, che considerava le strade di Dio imperscrutabili in eterno, e di conseguenza blasfemo tentare di decifrarle. Una visione meccanicistica della natura può essere fatta risalire ai grandi filosofi razionalisti del XII e XIII secolo: uomini come Teodorico di Chartes, Guglielmo di Conches e Giovanni di Salisbury, i quali sostenevano che Dio non guidasse il mondo tramite un controllo costante, ma stabilisse delle regole, lasciando poi che funzionassero per conto loro.

Un guaritore mistico come Paracelso credeva che le regole universali potessero essere scoperte solo studiando la natura, grazie alla sperimentazione diretta. Gli adepti alla magia, come lo era Paracelso, si distinguevano dagli accademici delle università perché questi ultimi invece pensavano che le regole universali fossero state dedotte dagli antichi grazie alla forza del pensiero e alla logica. Alcuni storici hanno collocato le origini della scienza nel razionalismo dei Greci e nei loro tentativi di stabilire i “principi primi”. Lo spirito della ricerca empirica, senza il quale la scienza è impossibile, iniziò però a fiorire in seno alla magia naturale del Rinascimento. Il vero mago, secondo Marsilio Ficino, è “un contemplatore della scienza divina e di quella celeste, un attento osservatore ed espositore delle cose divine”.

Il fatto che la magia fosse un’arte occulta mette a disagio molti scienziati sul ruolo da essa svolto nella storia della loro disciplina, in parte se ne vergognano. Oggi il termine “occulto” viene associato a superstizione, irrazionalità, ciarlataneria. Ma in un’ottica rinascimentale, cioè se analizziamo l’oggi con gli occhi dell’uomo rinascimentale, anche gran parte della scienza contemporanea è occulta, in quanto é “nascosta” ai nostri sensi, coerentemente con il significato letterale della parola. Oggi spieghiamo i fenomeni in termini di atomi o molecole, troppo piccoli per essere visibili, o campi elettromagnetici, campi quantici, o fotoni, che, per la maggior parte, sono davvero invisibili, o altri campi e forze, come ad esempio quella della gravità, che ancora ci sforziamo di comprendere pienamente. Secondo i criteri rinascimentali, questi fenomeni non sono meno occulti delle influenze astrologiche esercitate da una stella o dell’intervento attribuito a dèmoni. Proprio come un moderno ingegnere manipola le forze di elettricità, gravità, pressione idraulica e così via, così il guaritore manipolava forze occulte per mezzo della magia naturale.

Lo sviluppo della scienza moderna non tolse il valore al concetto di forze occulte; anzi, accolse e formalizzò quelle che apparivano utili – come magnetismo e gravità – relegandone altre – telepatia, telecinesi e così via – in un cumulo di nozioni fuori moda che, mantenendo l’etichetta di “occulto”, resero via via spregevole il termine. La scienza avrebbe tuttavia incontrato notevoli ostacoli senza questa fede nell’occulto; prima che la magia rinascimentale stimolasse un nuovo interesse nei suoi confronti, le forze della natura venivano liquidate come fenomeni che andavano oltre la capacità di comprensione umana: per Tommaso d’Aquino il magnetismo è una virtù occulta che l’uomo non è in grado di spiegare. Il suo è un punto di vista palesemente antiscientifico, una ammonizione a non sondare con presunzione i meccanismi del creato. Isaac Newton non avrebbe potuto formulare la sua teoria sulla gravità senza credere nelle forze occulte: una convinzione che si basava sul suo profondo interesse per la magia. In effetti, il suo rivale, il matematico Leibniz (1646-1716), lo accusò di ricorrere ad una “qualità scolastica occulta”. A questa accusa il difensore di Newton, Samuel Clarke (1675-1729) così rispondeva: “(Viene) definita occulta una qualità manifesta (…) perché la sua causa efficiente immediata (forse) è occulta?”. La rivoluzione scientifica era fondata sull’abbandono dell’idea aristotelica che per essere comprensibile un meccanismo causale doveva essere “sensibile”. Questi stessi argomenti vennero ripresi alla fine del XIX secolo quando alcuni eminenti scienziati, tra cui Ernst Mach (1838-1916) e Wilhelm Ostwald (1853-1952), respinsero il concetto di atomo basandosi sul fatto che non se ne era mai visto uno e non si poteva produrre una prova diretta della esistenza. Per questa loro presa di posizione si tende a considerare Mach e Ostwald dei pedanti, mentre sarebbe più corretto riconoscere che stavano semplicemente manifestando dei sospetti nei confronti dell’occulto.

In generale, la scienza del Rinascimento e del primo Illuminismo non è un mondo molto distante da non permettere di distinguerne le maggiori personalità. Nessuno nega che Copernico e Galileo Galilei (1564-1642) abbiano mutato l’immagine dell’universo, o che Newton abbia svelato come stesse insieme. Nella nostra comprensione sempre più ampia del mondo interno dell’anatomia e della fisiologia umane, la reputazione di Vesalio e di Harvey è inattaccabile. L’importanza di Robert Boyle (1627-1691) per la chimica non è contestata a causa della sua passione per l’alchimia. Il lavoro del fisico e medico personale di Elisabetta I di Inghilterra, William Gilbert, sul magnetismo è ovviamente molto significativo.

Quando però si considera Paracelso, la situazione cambia, non solo perché è stata messa in dubbio la sua importanza nella storia della scienza, ma soprattutto perché si è tentato di cancellare del tutto la sua figura. Anche ai suoi tempi pochissime persone condividevano le sue idee. In genere, il mondo lo ignorò, alcuni lo irrisero e lo schernirono, altri fustigarono questo uomo basso e brutto denunciandolo come discepolo di Satana. Però è ancora lì.

Nelle denuncie scritte durante il secolo successivo alla sua morte si può scoprire un livore nato da battaglie ancora in corso: nel tardo XVI secolo Erasto (Thomas Lieber – teologo e medico svizzero (1524-1583) lo definì un “porco ateo” e duecento anni dopo il medico svizzero Johan Georg Zimmermann (1728-1795) un “somaro”. E’ tipico dei loro tempi; ma il disprezzo che trapela dalle osservazioni di parecchi commentatori più recenti deve far nascere il sospetto che Paracelso li abbia davvero sconvolti e irritati. Si prenda H.P.Bayon, che parlava alla Royal Society of Medicine sessant’anni fa:

“Non si può dire che le deliranti farneticazioni di Paracelso abbiano contribuito al progresso generale della scienza e della medicina iniziato nel XVI secolo soprattutto come risultato della diffusione delle conoscenze accurate per mezzo di libri a stampa. Infatti egli era un rozzo oscurantista contorto, non un araldo di luce, conoscenza e progresso”.

E, Bayon conclude, “aveva un atteggiamento fortemente distruttivo, e solo di rado le sue critiche erano costruttive; e quand’anche era nel giusto, il suo pensiero non era mai originale”. Ma John Ferguson (1838-1916), professore di chimica a Glasgow, nella quattordicesima edizione dell’Enciclopedia Britannica: “E’ impossibile conciliare l’ignoranza, la superstizione, le osservazioni erronee di Paracelso con il suo alto concetto dei fini della medicina”.

Chi abbia letto le opere di Paracelso può concordare con queste affermazioni, a meno che la sua prospettiva non sia stata offuscata da agiografie romanzate. I suoi scritti abbondano di ridicole vanterie e sono spesso oscuri, se non a volte incoerenti; strampalati e sconclusionati, sembrano appartenere più ad un mondo di favole e superstizioni che alla scienza e alla ragione.

Leggendoli oggi, è inevitabile domandarsi: è l’opera di un ciarlatano o, addirittura di un folle?

Paracelso non è solo verboso, caotico e sgrammaticato: mescola anche le sue eccentricità stilistiche con altre lessicali, inventando neologismi dei quali fornisce, ma non sempre, soltanto vaghissime definizioni. Lo storico della chimica James Partington (1886-1965) probabilmente non è molto lontano dal vero quando insinua che a volte Paracelso coniasse nuovi termini soltanto per apparire più autorevole. Daniel Pickering Walker (1914-1985), uno storico ben disposto verso l’importanza della magia rinascimentale, è ancora più esplicito: “Nutro dei dubbi sull’intelligibilità degli scritti filosofici di Paracelso, ossia sulla presenza in essi di un coerente sistema di pensiero”.

Tuttavia l’incoerenza e l’incontinenza linguistica non sono sufficienti a spiegare del tutto l’avversione che suscita; non è nemmeno chiaro perché le maldicenze dei suoi contemporanei siano state riprese con tanto entusiasmo in periodi successivi, come in questo scritto di Zimmermann:

“Inoltre viveva come un maiale, sembrava un carrettiere e provava piacere in compagnia della plebaglia più abietta e dissoluta (…). Paracelso trascorse la maggior parte della sua turpe vita ubriaco, e in effetti sembra che tutti i suoi scritti siano stati redatti in stato di eberrezza”.

Il fatto che queste accuse odiose siano state rispolverate e riciclate nei secoli rivela l’irritazione e l’imbarazzo suscitato da Paracelso tra gli storici della scienza. Secondo uno di essi, Charles Webster Leadbeater (1847-1934), “Paracelso, unico fra i principali pensatori della rivoluzione scientifica, mantiene il suo status di iconoclasta e outsider mentre altri sono stati assorbiti senza difficoltà nel sistema del sapere moderno”. Tuttavia gli insulti e le calunnie non sono mai riusciti a respingerlo nell’oscurità e nell’ignominia, quindi non è possibile semplicemente liquidarlo come uno sciocco credulone (almeno non sempre). La sua figura è imbarazzante perché si prende gioco della convinzione, una volta profondamente sentita sia dagli scienziati sia dagli storici, che la storia delle idee dovrebbe seguire da uno sviluppo ordinato e unidirezionale. La personalità che traspare dai suoi scritti è aspra e imperiosa, e all’apparenza indifferente ai conflitti e alle contraddizioni che presentano; se ci si trova in contrasto con lui, è perché non si può fare a meno di trovarsi in contrasto con i suoi tempi, quando la gente poneva domande diverse ed era alle prese con dilemmi diversi da quelli attuali. La nascita del mondo moderno, raccontano questi contrasti, non fu né facile né indolore, ma al contrario turbolenta, confusa e burrascosa.

Non è certo una coincidenza che, più gli scienziati disprezzavano Paracelso, più i poeti lo adoravano. Per Goethe (1749-1832) e i romantici era addirittura un nobile eroe, e secondo William Blake (1757-1827) qualsiasi uomo dotato di talenti meccanici, elaborando gli scritti di Paracelso o di Jacob Bohme, il mistico tedesco del XVII secolo, poteva produrre una quantità di volumi di valore pari a quelli si Emanuel Swedenborg (1653-1735). Fu in questo clima che nel 1834 Robert Browning (1812-1889) iniziò il suo poema epico sulla vita di Paracelso, riversandovi il proprio vissuto tanto da farlo divenire, in modo un po’ paradossale, il racconto di un viaggio di un’anima all’interno dell’amore. I paladini romantici di Paracelso dal tardo XIX secolo ai primi del XX si lanciarono nelle affermazioni più ridicole in favore del loro eroe, attribuendogli intuizioni in ogni campo della scienza e della medicina moderne, dai farmaci “miracolosi” alla fisica quantistica.

Per i romantici vittoriani divenne di rigore citarlo in ogni occasione. Nel romanzo “Possessione” di Antonia Byatt, il poeta vittoriano Randolph Henry Ash spera che la sua giovane corrispondente e futura amante Christabel LaMotte abbia abbastanza familiarità con le opere di Paracelso da conoscere la sua descrizione degli spiriti chiamati Melusine, “numerosi nei deserti, nelle foreste, tra le rovine e le tombe, nelle cripte vuote, e sulle rive del mare”. In effetti, risponde la signorina LaMotte, ansiosa di dimostrare ad Ash la propria erudizione, il brano le è noto.

Anche Ivan Turgenev in Padri e figli (1862) fa dire all’anziano medico, mentre vaga nel suo giardino: “Il vecchio Paracelso enunciò una santa verità” (I.S.Turgenev, Padri e figli (1862), trad. Silvio Polledro, Bur, Milano 2003, pag.140).

Il fascino romantico della magia senza dubbio permea il racconto di Jorge Luis Borges (1899-1986), La rosa di Paracelso, una parabola sulla fede. Il giovane Johannes Grisebach si presenta alla porta di Paracelso chiedendo di diventare suo discepolo, ma prima esige che il maestro gli dimostri la sua abilità nelle arti occulte facendo ricomparire una rosa dopo che è stata consumata dal fuoco; Grisebach getta il fiore – un simbolo mistico spesso associato a Paracelso – nel caminetto, ma l’altro risponde che non può fare quanto il giovane gli chiede. Deluso perché dopotutto il suo ospite non è un mago. Griesebach se ne va sconsolato; poi Paracelso, rimasto solo, “disse una parola a bassa voce. La rosa risorse” (J.L.Borges, La rosa di Paracelso, tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, Mondadori, Milano 1988, vol.II, pag.1131).

La leggenda di Paracelso si ritrova anche nella nostra contemporaneità e non in modo molto romantico:

“Io non andrei da quella parte se fossi in te” disse Nick-Quasi-Senza-Testa attraversando una parete appena davanti a Harry che scendeva per il corridoio. “Pix sta tramando uno spassoso scherzo ai danni della prossima persona che passerà davanti al busto di Paracelso a metà del corridoio.”

“Consiste nello scaraventare Paracelso in testa alla persona, per caso?” chiese Harry (J.K.Rowling, Harry Potter e l’ordine della Fenice, trad.Beatrice Masini e altri, Salani, Milano 2003, pp.273-4).

Che cosa ne pensa di lui questa generazione di bambini a caccia della potente carta di Paracelso sul gioco di Harry Potter del Game Boy, dopo aver appreso che è inserito nell’elenco delle streghe e dei maghi famosi assieme a Hengist di Woodcroft, “Alberic Grunnion”, Circe, Merlino e Nicolas Flamel?

Un po’ alla volta, è diventata una creatura favolosa nel vero senso del termine, un simbolo della conoscenza arcana e occulta, per il romanticismo del XX secolo, per l’iconoclastia e per la magia pura e semplice.

Tuttavia, questo interesse letterario per Paracelso ha un passato rivelatore:

“Quando avevo tredici anni, facemmo tutti insieme una gita di piacere ai bagni nei pressi di Thonon; il tempo inclemente ci costrinse a restare un giorno intero nella locanda.

Lì trovai per caso un volume delle opere di Cornelio Agrippa (… Mio padre) diede un’occhiata distratta al titolo del libro e disse: “Ah! Cornelio Agrippa! Mio caro Victor non sprecare tempo: è solo robaccia”. (…)

Ma lo sguardo sprezzante che mio padre gettò sul mio volume mi fece credere che egli non ne conoscesse il contenuto; così continuai a leggere con enorme avidità.

Tornato a casa, mi preoccupai per prima cosa di procurarmi l’opera omnia di questo autore, cui fecero seguito Paracelso e Alberto Magno. Leggevo e studiavo le folli fantasie di questi scrittori con delizia; mi apparivano come tesori noti a pochi altri oltre me”. (Mary Wollstonecraft Godwin, sposata Shelley, dal romanzo “Frankestein”)

Così cominciò la carriera di Victor Frankestein, che tentò l’inenarrabile in nome della scienza e del sapere, e alla fine ricevette la sua punizione faustiana. Per il lettore occasionale del classico di Mary Shelley (1797-1851) si tratta solo di nomi dal suono strano provenienti da un’epoca a malapena ricordata, una promessa sussurrata di frutti proibiti, ma Mary Shelley la sapeva più lunga. Suo padre William Godwin (1756-1836), aveva un punto di vista diverso  rispetto a Frankenstein senior. Nel 1834 pubblicò Live of the Necromancers (Vite dei negromanti), con alcuni capitoli dedicati a Paracelso, Agrippa e Faust, e la sua visione di Paracelso era più sottile, anche se non proprio lusinghiera: “L’unione di un ciarlatano, un impostore presuntuoso e impudente con un considerevole grado di sagacia e astuzia naturali”.

Nel 1812, Percy Bysshe Shelley (1732-1822), marito di Mary  scrisse al suocero William Godwin dicendo che aveva meditato su tutte le fantasie di Alberto Magno e Paracelso. Non è quindi difficile indovinare alcuni dei discorsi cui allude Mary nel suo resoconto delle eccitanti serate in Svizzera, che ispirarono la sua favola ammonitrice. “Tra Lord Byron e Shelley, ci furono molte lunghe conversazioni,” diceva “di cui fui devota ma quasi muta ascoltatrice. Durante una di queste, si discussero alcune dottrine filosofiche (…); la notte trascorse in questa conversazione, e anche l’ora delle streghe era passata quando ci ritirammo a dormire.” Così,  quando Mary Shelley posò la testa sul cuscino e le si presentò spontaneamente una storia “assolutamente spaventosa”, comprese chiaramente perché dovesse aver avuto origine nelle vite di quelle figure misteriose appartenenti a un passato leggendario: Cornelio Agrippa di Nettesheim e il suo compagno vagabondo Theophrastus Paracelsus Bombast von Hohenheim.

 

 
   
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