René Guénon Il Bianco e il Nero |
Il simbolo massonico del «pavimento a mosaico» (tessellated pavement) è fra quelli che spesso vengono intesi in modo inadeguato o mal interpretati; tale pavimento è formato da piastrelle alternativamente bianche e nere, disposte esattamente allo stesso modo delle caselle della scacchiera. Aggiungeremo subito che il simbolismo è evidentemente lo stesso nei due casi, poiché, come abbiamo detto in varie occasioni, in origine i giochi sono tutt'altro che semplici divertimenti profani quali sono divenuti oggi, e d'altronde il gioco degli scacchi è certo uno fra quelli in cui le tracce del carattere «sacro” originario sono rimaste più visibili malgrado questo processo di degenerazione.
Nel senso più immediato, la giustapposizione del bianco e del nero rappresenta naturalmente la luce e le tenebre, il giorno e la notte, e quindi tutte le coppie di opposti o di complementari (è quasi inutile ricordare che quel che si trova in opposizione a un certo livello diventa complementare a un altro livello, di modo che gli si può applicare lo stesso simbolismo), si ha quindi, a tale riguardo, un esatto equivalente del simbolo estremo‑orientale dello yin‑yang [Si veda «La Grande Triade», cap. IV. Abbiamo avuto occasione di leggere un articolo in cui l’autore riferiva la parte bianca allo yin e la parte nera allo yang, mentre è vero il contrario, e pretendeva di fondare questa opinione erronea su esperienze «radioestesiche»; cosa si deve concluderne, se non che, in un caso simile, il risultato ottenuto è dovuto semplicemente all'influenza delle idee preconcette dello sperimentatore?]. Si può anche osservare che l'interpenetrazione e l'inseparabilità dei due aspetti yin e yang, che vengono rappresentate dal fatto che le due metà della loro figura sono delimitate da una linea sinuosa, vengono rappresentate anche dalla disposizione a incastro dei due tipi di piastrelle, mentre una diversa disposizione, come ad esempio quella di strisce rettilinee alternativamente bianche e nere, non renderebbe altrettanto chiaramente la stessa idea e potrebbe anche far pensare piuttosto a una giustapposizione pura e semplice [Anche quest'ultima disposizione è stata tuttavia usata in certi casi; è noto che la si trovava tra l'altro nel Beaucéant dei Templari, il cui significato è ancora una volta lo stesso].
Sarebbe inutile ripetere a questo proposito tutte le considerazioni già fatte altrove in merito allo yin‑yang; ricorderemo solo in modo particolare che non si deve vedere in tale simbolismo, come nel riconoscimento delle dualità cosmiche di cui è l'espressione, l'affermazione di alcun «dualismo», poiché se queste dualità esistono realmente nel loro ordine, i loro termini sono nondimeno derivati dall'unità di un medesimo principio (il Tai‑Ki della tradizione estremo‑orientale). È questo infatti uno dei punti più importanti, giacché è soprattutto quello che dà luogo a false interpretazioni; taluni hanno creduto di poter parlare di «dualismo” a proposito dello yin‑yang, probabilmente per incomprensione, ma forse a volte anche con intenzioni di carattere più o meno sospetto; in ogni caso, per quanto riguarda il «pavimento a mosaico», una simile interpretazione è il più delle volte dovuta ad avversari della massoneria, che vorrebbero fondare su di essa un'accusa di «manicheismo» [Secondo quanto abbiamo detto sopra, queste persone, se fossero logiche, dovrebbero accuratamente astenersi dal giocare a scacchi per non rischiare di cadere anch'esse sotto tale accusa; questa semplice osservazione non basta forse a mostrare tutta l'inanità della loro argomentazione?]. È senz'altro possibile che certi «dualisti” abbiano distorto il vero senso di questo simbolismo per interpretarlo conformemente alle proprie dottrine, così come hanno potuto alterare per la stessa ragione i simboli che esprimono un'unità e un'immutabilità per loro inconcepibili; ma queste sono in ogni caso soltanto deviazioni eterodosse che non toccano in nulla il simbolismo nella sua essenza e quando ci si pone dal punto di vista propriamente iniziatico non è certo il caso di esaminare simili deviazioni [Ricorderemo anche, a tale proposito, quel che abbiamo detto altrove sulla questione del «rovesciamento dei simboli», e più in particolare l'osservazione che abbiamo fatto allora sul carattere veramente diabolico che presenta l'attribuzione al simbolismo ortodosso, e specialmente a quello delle organizzazioni iniziatiche, dell'interpretazione a rovescio che appartiene in realtà alla «contro‑iniziazione» (“Le Règne de la quantité et les signes des temps”, cap. XXX)].
Ora, oltre al significato di cui abbiamo parlato fin qui, ce n'è un altro di un ordine più profondo, che risulta immediatamente dal duplice senso del colore nero, da noi spiegato in altre occasioni; abbiamo ora considerato soltanto il suo senso inferiore e cosmologico, ma bisogna anche considerarne il senso superiore e metafisico. Se ne trova un esempio particolarmente chiaro nella tradizione indù, in cui l'iniziato deve sedersi su una pelle dai peli neri e bianchi, che simboleggiano rispettivamente il non‑manifestato e il manifestato [Shatapata Brahmana, III,2,I,5‑7. A un altro livello questi due colori rappresentano anche il Cielo e la Terra, ma bisogna fare attenzione al fatto che, in ragione della corrispondenza di questi con il non‑manifestato e il manifestato, è allora il nero che si riferisce al cielo e il bianco alla terra, di modo che le relazioni esistenti nel caso dello yin‑yang si trovano invertite; del resto è solo un'applicazione del senso inverso dell'analogia. L'iniziato deve toccare il punto di congiunzione dei peli neri e bianchi, unendo così i princìpi complementari da cui sta per nascere in quanto «Figlio del Cielo e della Terra» (cfr. «La Grande Triade», cap. IX)]; il fatto che si tratti di un rito essenzialmente iniziatico giustifica sufficientemente l'accostamento con il caso del «pavimento a mosaico» e l'esplicita attribuzione dello stesso significato a quest'ultimo, anche se, allo stato attuale delle cose, questo significato è stato completamente dimenticato. Vi si ritrova dunque un simbolismo equivalente a quello di Arjuna, il «bianco», e di Krishna, il «nero», che sono, nell'essere stesso, il mortale e l'immortale, l’»io» e il «Sé» [Questo simbolismo è anche quello dei Dioscuri; il rapporto di questi con i due emisferi o le due metà dell’»Uovo del Mondo» ci riconduce d'altronde alla considerazione del cielo e della terra che abbiamo indicato nella nota precedente (cfr. «La Grande Triade», cap. V)]; e poiché essi sono anche i «due uccelli inseparabilmente uniti» ‑ cui si parla nelle Upanishad, ciò evoca un altro simbolo ancora, quello dell'aquila bianca e nera a due teste che figura in certi alti gradi massonici, nuovo esempio che, dopo tanti altri, mostra una volta di più che il linguaggio simbolico ha un carattere veramente universale.