René Guénon
La Caverna e il Labirinto

 

 

In un recente libro [W.F. Jackson Knight, “Cumaean Gates, a Reference of the Sixth “Aeneid” to Initiation Pattern”, Basil Blackwell, Oxford], Jackson Knight espone i risultati di inte­ressanti ricerche che hanno come punto di partenza il passo del sesto libro dell'Eneide in cui sono descritte le porte dell'antro della Sibilla cumana: perché il labirinto di Creta e la sua storia sono raffigurati su queste porte? Andando contro a quanto hanno sostenuto taluni che non vanno oltre le concezioni «letterarie” moderne, egli rifiuta giustamente di vedervi una semplice digressione più o meno inutile, ritenendo al contrario che questo passo debba avere un reale valore simbolico, fondato su una stretta relazione fra il labirinto e la caverna, collegati entrambi alla stessa idea di un viaggio sotterraneo. Secondo l'interpreta­zione che Jackson Knight fornisce di fatti concordanti che appar­tengono a epoche e regioni assai diverse, questa idea sarebbe stata legata in origine ai riti funerari, e poi, in virtù di una certa analogia, trasferita nei riti iniziatici; torneremo più in particolare su questo punto fra poco, ma dobbiamo anzitutto fare qualche riserva sul modo stesso in cui egli concepisce l'iniziazione. Sem­bra infatti considerarla unicamente come un prodotto del «pen­siero umano», dotato comunque di una vitalità che gli assicura una sorta di permanenza attraverso le epoche, anche se talora esso sussiste per così dire solo allo stato latente; dopo quanto abbiamo già esposto su questo argomento, non abbiamo assolu­tamente bisogno di mostrare di nuovo tutto quello che c'è di insufficiente in una simile concezione, per il fatto stesso che non vi si tiene conto degli elementi «sopra‑umani” che in realtà ne costituiscono esattamente l'essenziale. Insisteremo soltanto su questo punto: l'idea di una sussistenza allo stato latente porta all'ipotesi di una conservazione in un «subconscio collettivo» de­sunto da certe teorie psicologiche recenti; qualunque cosa si pensi di queste ultime, nell'applicazione che così se ne fa c'è un com­pleto disconoscimento della necessità di una «catena» iniziatica, cioè di una trasmissione effettiva e ininterrotta. È vero che c'è un'altra questione da non confondere assolutamente con la pre­cedente: è successo talvolta che cose di ordine propriamente ini­ziatico abbiano trovato espressione tramite individualità per nul­la coscienti del loro vero significato, e ci siamo precedentemente spiegati su questo punto parlando della leggenda del Graal; ma, da una parte, tutto ciò non c'entra affatto con quel che concerne l'iniziazione stessa nella sua realtà, e, dall'altra, non è questo il caso di Virgilio, in cui vi sono, esattamente come in Dante, indi­cazioni decisamente troppo precise e troppo manifestamente co­scienti perché sia possibile ammettere che egli sia stato estraneo a ogni collegamento iniziatico effettivo. Quello di cui parliamo non ha niente a che vedere con l’“ispirazione poetica” come s'in­tende oggi, e, a tale proposito, Jackson Knight è certo troppo disposto a condividere le posizioni «letterarie”, alle quali comun­que la sua tesi si oppone per altri versi; dobbiamo nondimeno riconoscere quanto sia meritorio, per uno scrittore universitario, avere il coraggio di affrontare un simile argomento, o anche semplicemente parlare di iniziazione.

Detto questo, torniamo al problema dei rapporti fra caverna funeraria e caverna iniziatica: per quanto tali rapporti siano si­curamente reali, l'identificazione dell'una e dell'altra, in quanto al loro simbolismo, rappresenta al massimo la metà della verità. Osserviamo d'altronde che, anche dal solo punto di vista fune­rario, l'idea di far derivare il simbolismo dal rituale, invece di vedere al contrario nel rituale quel simbolismo in azione che esso è veramente, mette già l'autore in grande imbarazzo al­lorché egli constata che il viaggio sotterraneo è quasi sempre se­guito da un viaggio all'aria aperta, che molte tradizioni rappre­sentano come una navigazione; ciò sarebbe infatti inconcepibile se si trattasse soltanto della descrizione immaginosa di un ritua­le di sepoltura, ma si spiega invece perfettamente quando si sa che si tratta in realtà di diverse fasi attraversate dall'essere nel corso di una migrazione veramente “d'oltretomba”, che non concerne per nulla il corpo che egli ha lasciato dietro di sé abbandonando la vita terrestre. D'altra parte, in virtù dell'ana­logia esistente fra la morte intesa nel senso comune della parola e la morte iniziatica di cui abbiamo parlato in altra occasione, una medesima descrizione simbolica può essere applicata a quel che accade all'essere in entrambi i casi; per quanto riguarda la caverna e il viaggio sotterraneo, questa è la ragione dell'assimi­lazione proposta, nella misura in cui essa è giustificata; ma al punto in cui essa deve legittimamente fermarsi, si è ancora sol­tanto ai preliminari dell'iniziazione, e non all'iniziazione stessa.

Infatti, non si può vedere a rigore null'altro che una prepara­zione all'iniziazione nella morte al mondo profano, seguita dalla «discesa agli Inferi” che è, beninteso, la stessa cosa del viaggio nel mondo sotterraneo cui la caverna dà accesso; e, per quanto riguarda l'iniziazione stessa, lungi dall'essere considerata una morte, essa è al contrario considerata una «seconda nascita», co­me pure un passaggio dalle tenebre alla luce. Ora, il luogo di questa nascita è ancora la caverna, almeno nel caso in cui in essa si compia l'iniziazione, di fatto o simbolicamente, poiché è ovvio che non bisogna generalizzare troppo e che, come per il labirinto di cui parleremo in seguito, non si tratta di qualcosa di necessariamente comune a tutte le forme iniziatiche senza eccezioni. Lo stesso appare del resto, anche exotericamente, nel simbolismo cristiano della Natività, altrettanto chiaramente quanto in altre tradizioni; ed è evidente che la caverna come luogo di nascita non può avere esattamente lo stesso significato della caverna come luogo di morte o di sepoltura. Si potrebbe comunque far notare, almeno per collegare fra di loro questi due aspetti diversi e apparentemente opposti, che morte e nascita non sono in fondo che le due facce di uno stesso cambiamento di stato, e che si ritiene che il passaggio da uno stato a un altro si debba sempre effettuare nell'oscurità [Si potrebbe ricordare anche, in questo senso, il simbolismo del chicco di gra­no nei misteri eleusini]; in tal senso, la caverna sarebbe dunque, più esattamente, il luogo stesso del passaggio: ma que­sto, pur essendo rigorosamente vero, si riferisce ancora solo a uno dei lati del suo complesso simbolismo.

Se l'autore non è riuscito a scorgere l'altro lato di tale sim­bolismo, ciò è dovuto probabilmente all'influsso esercitato su di lui dalle teorie di certi «storici delle religioni»: seguendo questi ultimi, egli ammette infatti che la caverna debba essere sempre ricollegata a culti «ctonii», senza dubbio per la ragione, un po’ troppo «semplicistica», che essa è situata all'interno della terra; ma questo è assai lontano dalla verità [Questa interpretazione unilaterale lo porta a un singolare equivoco: tra gli altri esempi egli cita il mito scintoista della danza eseguita dinanzi all'entrata di una caverna per farne uscire la «dea ancestrale» che vi si era nascosta; sfortu­natamente per la sua tesi, non si tratta in questo caso della «terra‑madre», come egli crede e dice anche esplicitamente, bensì della dea solare, il che è affatto diverso]. Eppure egli non può fare a meno di accorgersi che la caverna iniziatica è assunta anzitutto come un'immagine del mondo [Nella massoneria, succede lo stesso per la loggia, la cui designazione è stata da alcuni accostata alla parola sanscrita “loka”, il che è effettivamente esatto sim­bolicamente, se non etimologicamente; ma bisogna aggiungere che la loggia non è assimilabile alla caverna, e che l'equivalente di quest'ultima si trova solo, in que­sto caso, proprio all'inizio delle prove iniziatiche, di modo che non vi si connette altro senso che quello di luogo sotterraneo, in rapporto diretto con le idee di mor­te e di «discesa»]; ma la sua ipotesi gli impedisce di trarne la conseguenza che invece s'impone, e cioè questa: stando così le cose, la caverna deve formare un tutto completo e contenere in se stessa la rappresentazione del cielo come pure quella della terra; se accade che il cielo venga espres­samente menzionato in qualche testo o raffigurato in qualche monumento, in corrispondenza con la volta della caverna, le spiegazioni proposte su questo punto diventano talmente confuse e poco soddisfacenti che non è più possibile seguirle. La verità è che, lungi dall'essere un luogo tenebroso, la caverna iniziatica è illuminata internamente, sicché l'oscurità regna al contrario al di fuori di essa, essendo naturalmente il mondo pro­fano assimilato alle «tenebre esterne», ed essendo la «seconda nascita» al tempo stesso un’“illuminazione». [Anche nel simbolismo massonico, e per le stesse ragioni, le «luci” si trovano obbligatoriamente all'interno della loggia; e la parola “loka”, che abbiamo poc'anzi ricordato, si ricollega direttamente anche a una radice il cui senso primitivo de­signa la luce]. Ora, se ci si chiede perché la caverna sia considerata in questo modo dal punto di vista iniziatico, risponderemo che la soluzione di questo problema si trova, da una parte, nel fatto che il simbolo della caverna è complementare a quello della montagna, e, dall'altra, nel rap­porto che unisce strettamente il simbolismo della caverna a quel­lo del cuore; ci proponiamo di trattare separatamente questi due punti essenziali, ma non è difficile capire, da tutto quanto abbiamo già avuto occasione di esporre altrove, che ciò di cui parliamo è in relazione diretta con la raffigurazione stessa dei centri spirituali.

Sorvoleremo su altre questioni che, per quanto importanti in sé, intervengono qui solo in via accessoria, come per esempio quella del significato del «ramo d'oro»; è assai contestabile la sua identificazione, se non forse sotto un aspetto del tutto secon­dario, con il bastone o la bacchetta che s'incontrano di frequente e sotto varie forme nel simbolismo tradizionale [Sarebbe certo molto più esatto assimilare questo «ramo d'oro» al vischio drui­dico e all'acacia massonica, senza parlare delle «palme» della festa cristiana che porta precisamente questo nome, in quanto simbolo e pegno di resurrezione e di immortalità]. Senza insistere di più su questo argomento, esamineremo ora ciò che concerne il labirinto, il cui significato può apparire ancora più enigmatico, o almeno più segreto, di quello della caverna, e i rapporti esi­stenti fra questa e quello.

 

Il labirinto, come ha ben visto Jackson Knight, ha una duplice ragione d'essere, nel senso che permette o impedisce, secondo il caso, l'accesso a un certo luogo in cui non devono penetrare tutti indistintamente; soltanto coloro che sono «qualificati” po­tranno percorrerlo fino in fondo, mentre gli altri saranno im­possibilitati a penetrarvi o si smarriranno per strada. Si vede immediatamente come vi sia implicita un'idea di «selezione» in evidente rapporto con l'ammissione all'iniziazione; in questo senso, il percorso del labirinto è dunque propriamente una rappresentazione delle prove iniziatiche; ed è facile rendersi conto che, quand'esso serviva effettivamente come accesso a certi santuari, poteva esser disposto in modo tale da far sì che i riti corrispondenti fossero compiuti lungo il percorso stesso. Del re­sto, si trova in tutto ciò anche l'idea del «viaggio», sotto l'aspetto in cui essa è assimilata alle prove stesse, come si può constatare ancor oggi in certe forme iniziatiche, per esempio nella masso­neria, nella quale ogni prova simbolica è designata precisamente come «viaggio». Un altro simbolismo equivalente è quello del «pellegrinaggio»; e ricorderemo a tale proposito i labirinti trac­ciati un tempo sul pavimento di certe chiese, e il cui percorso era considerato «sostitutivo” del pellegrinaggio in Terra Santa; del resto, se il punto d'arrivo di questo percorso rappresenta un luogo riservato agli «eletti», tale luogo è veramente una «Terra Santa” nel senso iniziatico dell'espressione; in altri termini, que­sto punto non è altro che l'immagine di un centro spirituale, come lo è ogni luogo d'iniziazione [Jackson Knight menziona questi labirinti, ma attribuisce loro un significato semplicemente religioso; egli sembra ignorare che il loro tracciato non si rifaceva affatto alla dottrina exoterica, ma apparteneva esclusivamente al simbolismo delle organizzazioni iniziatiche di costruttori].

È ovvio, d'altra parte, che l'uso del labirinto come mezzo di difesa o di protezione sia suscettibile di varie applicazioni, al di fuori dell'ambito iniziatico; l'autore segnala infatti in par­ticolare il suo impiego «tattico», all'entrata di certe città antiche e di altri luoghi fortificati. Soltanto, è errato credere che si tratti in questo caso di un uso puramente profano, che sarebbe stato addirittura il primo in ordine di tempo, e avrebbe in seguito suggerito l'idea dell'uso rituale; questo è un vero e proprio ca­povolgimento dei rapporti normali, conforme del resto alle con­cezioni moderne, ma solo a esse, e che dunque è del tutto ille­gittimo attribuire alle civiltà antiche. Di fatto, in ogni civiltà di carattere strettamente tradizionale, ogni cosa comincia neces­sariamente dal principio, o da ciò che gli è più vicino, per scen­dere di qui ad applicazioni via via più contingenti; e, inoltre, queste ultime non vi sono mai considerate sotto il punto di vi­sta profano, il quale, come abbiamo già spiegato più volte, è solo il risultato di un processo degenerativo che ha fatto perdere la coscienza del loro collegamento con il principio. Nel caso in questione, ci si può accorgere abbastanza facilmente come vi sia ben altro che quello che vi scorgerebbero i «tattici” moderni, con la semplice osservazione che tale modo di difesa «labirintico” non era usato solo contro i nemici umani, ma anche contro le influenze psichiche ostili, il che indica bene come dovesse avere un valore rituale di per sé [Per non allontanarci troppo dal nostro tema, non insisteremo sul movimento «labirintico» di certe processioni e «danze rituali” che, presentando anzitutto il carattere di riti di protezione o «apotropaici», come dice l'autore, si ricollegano pertanto direttamente al medesimo ordine di considerazioni: si tratta essenzial­mente di arrestare e di sviare le influenze malefiche, con una «tecnica» basata sulla conoscenza di certe leggi secondo le quali queste ultime esercitano la loro azione]. Ma c'è di più: la fondazione delle cit­tà, la scelta della loro ubicazione e la pianta secondo cui erano costruite, erano sottomesse a regole dipendenti essenzialmente dalla «scienza sacra», e di conseguenza assai lontane dal rispon­dere unicamente a fini «utilitaristici», almeno nel senso esclusiva­mente materiale che si dà oggi a questa parola; per quanto estra­nee siano tali cose alla mentalità dei nostri contemporanei, biso­gna comunque tenerle nel dovuto conto, altrimenti coloro che studiano le vestigia delle civiltà antiche non potranno mai capire il vero senso e la ragion d'essere di ciò che constatano, anche per quanto corrisponde semplicemente a quella che si è soliti chia­mare oggi la sfera della «vita ordinaria», ma che aveva allo­ra in realtà anche un carattere propriamente rituale e tradi­zionale.

In quanto all'origine del nome labirinto, essa è abbastanza oscura e ha dato luogo a molte discussioni; sembra di fatto che, contrariamente a quello che alcuni hanno pensato, esso non si ri­colleghi direttamente al termine “labrys”, o doppia ascia cretese, ma che entrambi derivino ugualmente da una stessa antichissi­ma parola che designava la pietra (radice “la”, da cui “laos” in greco, “lapis” in latino), di modo che, etimologicamente, il labirinto po­trebbe essere insomma solo una costruzione di pietra, apparte­nente al genere di costruzioni dette «ciclopiche». Tuttavia, que­sto è solo il significato più esteriore della parola, che, in un senso più profondo, si lega a tutto il complesso del simbolismo della pietra, di cui abbiamo parlato a varie riprese, sia a proposito dei betili, sia a proposito delle «pietre del fulmine” (identificate precisamente con l'ascia di pietra o “labrys”), e che presenta molti altri aspetti ancora. Jackson Smith l'ha almeno intravisto, poiché allude agli uomini «nati dalla pietra» (il che, notiamolo di sfuggita, fornisce la spiegazione della parola greca “laos”), dei qua­li la leggenda di Deucalione offre l'esempio più conosciuto: que­sto si riferisce a un certo periodo, uno studio più preciso del qua­le, se fosse possibile, permetterebbe sicuramente di dare alla co­siddetta «età della pietra» un senso ben diverso da quello attri­buitole dagli studiosi di preistoria. Del resto, eccoci così ri­condotti alla caverna, la quale, in quanto scavata nella roccia, naturalmente o artificialmente, si avvicina abbastanza al medesimo simbolismo [Le caverne preistoriche furono, verosimilmente, non delle abitazioni come si crede di solito, ma i santuari degli «uomini della pietra», intesi nel senso da noi appena indicato; quindi proprio nelle forme tradizionali del periodo di cui par­liamo, la caverna avrebbe ricevuto, in rapporto con un certo «occultamento» della conoscenza, il carattere di simbolo dei centri spirituali, e quindi di luogo d'iniziazione]; ma dobbiamo aggiungere che questa non è una ragione per supporre che il labirinto abbia dovuto per forza essere scavato nella roccia; anche se in certi casi è forse stato così, si tratta solo di un elemento accidentale, per così dire, che non potrebbe entrare nella sua definizione, poiché, quali che siano i rapporti fra la caverna e il labirinto, è importante in ogni caso non confonderli, soprattutto quando si tratta della caverna iniziatica, che qui prendiamo in particolare considerazione.

Infatti, è del tutto evidente che, se la caverna è il luogo in cui si compie l'iniziazione stessa, il labirinto, luogo delle prove preliminari, non può esser nulla più che il cammino che vi con­duce, e al tempo stesso l'ostacolo che ne impedisce l'accesso ai profani «non qualificati». Ricorderemo d'altronde che a Cuma il labirinto era rappresentato sulle porte, come se, in certo mo­do, tale raffigurazione sostituisse qui il labirinto stesso [Un caso similare è quello delle figure «labirintiche» tracciate sui muri, nella Grecia antica, per impedire l'accesso nelle case alle influenze malefiche]; e si potrebbe dire che Enea, quando si ferma all'entrata per esami­narla, percorre in effetti il labirinto mentalmente, se non cor­poralmente. D'altra parte, sembra che questo modo d'accesso non sia sempre stato riservato esclusivamente a santuari posti in ca­verne o a esse simbolicamente assimilati, giacché, come abbiamo già spiegato, non è questo un tratto comune a tutte le forme tra­dizionali; e la ragion d'essere del labirinto, così com'è stata defi­nita, può andar altrettanto bene per l'accesso a ogni luogo d'ini­ziazione, a ogni santuario destinato ai «misteri» e non ai riti pubblici. Fatta questa riserva, è comunque fondato credere che, almeno in origine, l'uso del labirinto sia stato più specialmente legato a quello della caverna iniziatica: il fatto è che entrambi sembrano essere appartenuti inizialmente alle stesse forme tra­dizionali, quelle dell'epoca degli «uomini della pietra» cui abbiamo appena alluso; avrebbero così cominciato con l'essere stret­tamente uniti, anche se poi non abbiano continuato a esserlo invariabilmente in tutte le forme ulteriori.

Se consideriamo il caso in cui il labirinto è unito alla caverna, quest'ultima, che esso circonda con i suoi meandri e a cui infine conduce, occupa per ciò stesso, nell'insieme così costituito, il punto più interno e centrale, il che ben corrisponde all'idea di centro spirituale, e concorda pure con il simbolismo equivalente del cuore, sul quale ci proponiamo di tornare. Bisogna osservare ancora che, quando la medesima caverna è al tempo stesso il luogo della morte iniziatica e quello della «seconda nascita», la si deve allora considerare l'accesso non solo ai domini sotterra­nei o «infernali” ma anche ai domini sopra‑terrestri; anche que­sto corrisponde alla nozione di punto centrale, che è, sia nell'or­dine macrocosmico sia in quello microcosmico, il luogo ove si effettua la comunicazione con tutti gli stati superiori e inferiori; e solo così la caverna può essere, come abbiamo detto, l'immagine completa del mondo, in quanto tutti questi stati devono ugual­mente riflettervisi; se fosse diversamente, l'assimilazione della sua volta al cielo rimarrebbe assolutamente incomprensibile. Ma d'al­tra parte, se è nella caverna stessa che, fra la morte iniziatica e la «seconda nascita” si compie la «discesa agli Inferi», si vede come bisognerebbe star bene attenti a non pensare che quest'ultima sia rappresentata dal percorso del labirinto, e allora si può ancora chiedersi a cosa esso in realtà corrisponda: si tratta delle «tene­bre esteriori», alle quali abbiamo già alluso, e alle quali si ap­plica perfettamente lo stato di «erranza», se è consentito usare questo termine, di cui tale percorso è l'esatta espressione. La que­stione delle «tenebre esteriori» potrebbe dar luogo ad altre pre­cisazioni ancora, ma questo ci porterebbe oltre i limiti del pre­sente studio; pensiamo del resto di aver detto abbastanza per mostrare, da una parte, l'interesse che presenterebbero ricerche come quelle esposte nel libro di Jackson Knight, ma anche, dal­l’altra, al fine di metterne a punto i risultati e per coglierne la vera portata, la necessità di una conoscenza propriamente «tec­nica» delle cose in questione, conoscenza senza la quale si giun­gerà solo a ricostruzioni ipotetiche e incomplete, le quali, anche nella misura in cui non saranno falsate da qualche idea precon­cetta, rimarranno altrettanto «morte” quanto le vestigia stesse che ne saranno state il punto di partenza.

 

   

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