Straordinari oggetti sono
stati ritrovati nella giungla dell’Ecuador, in una località chiamata
La Mana. Una collezione del tutto inspiegabile, ricca di simbologie
esoteriche, che richiama a un passato dimenticato e alla scomparsa
terra di Mu.
Storici e scienziati fanno
il possibile per esplorare il nostro passato nel modo più esauriente
possibile. Eppure gli studiosi hanno a che fare sempre più spesso
con ambiti di ricerca che, come prima, sono avvolti dall’oscurità e
non ci danno pace. È il caso della collezione più straordinaria del
mondo: i misteriosi oggetti di pietra provenienti da La Mana, antica
città dell’oro situata in mezzo alla giungla dell’Ecuador.
Il caso ha voluto che questi pezzi richiamassero la mia attenzione
nel gennaio del 2000, nel corso dei febbrili preparativi per la
grande mostra Unsolved Mysteries. Tutto cominciò con la telefonata
di un amico, l’ex ballerino solista della Wiener Staatsoper e oggi
noto regista Herbert Nietsch. Egli mi chiese se era possibile
incontrarci. Si trattava del suo fratellastro, il dottor Valentin
Hampejs.
Quando ci vedemmo, mi chiese di sostenere un suo ambizioso progetto:
la realizzazione di un documentario televisivo sul dottor Hampejs.
Questi è un triplice dottore (in medicina, neurologo e psichiatra),
che vive in Ecuador da oltre 20 anni. Non solo ha studiato
approfonditamente lo sciamanismo ecuadoriano, ma nel frattempo ne è
diventato il maggiore esperto, ed egli stesso esercita con successo
l’attività di sciamano e di medico naturalista. Osservando
attentamente alcune foto ne notai una che riproduceva strani oggetti
di pietra. Domandai di cosa si trattasse. Herbert Nietsch mi
raccontò che suo fratello aveva un conoscente in Ecuador, il quale,
cercando l’oro, aveva riportato alla luce misteriosi oggetti di
questo tipo. Udito ciò mi dissi: “devo vedere questa collezione con
i miei occhi! E al più presto!”. Volevo procurarmi quei pezzi per
esporli nella mia mostra e renderli noti ad un vasto pubblico.
È stato il primo di diversi viaggi di ricerca in Sudamerica. Partii
nel febbraio del 2000. Mi accompagnarono l’amico Reinhard Habeck
(collaboratore nelle ricerche e catalogatore della mostra Unsolved
Mysteries), il dottor Willibald Katzinger (direttore del Museo
Nordico di Linz e coordinatore scientifico della nostra mostra) e il
saggista e ingegnere civile Hans Joachim Zillmer.
La piramide e l’occhio
A Quito, capitale dell’Ecuador, fummo subito ricevuti dal dottor
Hampejs, insieme al quale raggiungemmo un piccolo luogo fuori città.
Nessuno, in quei dintorni, sospetterebbe l’esistenza di inusuali
tesori provenienti da epoche nascoste. Qui incontrammo per la prima
volta German Villamar, imprenditore agricolo e coordinatore di
seminari, probabilmente il possessore dei pezzi più insoliti del
mondo.
Quando questi ci condusse nel suo soggiorno, manifestammo uno
stupore incontenibile. Su un tavolo erano stati disposti circa 50
oggetti in pietra e in terracotta: pietre di diversa lunghezza,
dalle fattezze bizzarre e con singolari deformazioni, teste di
serpente in pietra, piatti con strane incisioni e spirali, sculture
di argilla dalle anomale caratteristiche e molto altro ancora.
Un oggetto in particolare ci aveva affascinato e colpito più di
tutti: una piramide in pietra sulla quale è stato incastonato un
occhio e dove sono stati incisi 13 gradini. Ad uno sguardo più
attento si è capito che l’occhio è stato lavorato con la pietra e
incastonato nell’oggetto piramidale. Il suo colore è grigio, come la
piramide stessa. Riconoscemmo subito quest’antichissima simbologia.
La troviamo descritta in diverse tradizioni, ad esempio nella
Bibbia, nonché connessa alla Corporazione del Serpente, una società
segreta esistente in oriente da tempi remoti. Più tardi questa
simbologia si ritrova nelle logge massoniche, nel simbolismo
alchemico e nelle società segrete degli Illuminati. Come ulteriore
conferma, German Villamar tirò fuori una banconota da un dollaro,
sulla quale si trova raffigurato quello stesso simbolo. Di questa
simbologia della piramide si è già parlato da secoli. Sono state
esposte diverse teorie, discusse in modo controverso.
La cosa diventava sempre più avvincente: dopo aver visionato tutti
gli oggetti che si trovavano sul tavolo, German Villamar ci condusse
in una buia stanza attigua. Pose la piramide su un tavolo e accese
una lampada a raggi infrarossi. In quel momento ammutolimmo tutti.
L’occhio della piramide emanava luce come un vero occhio divino, e i
gradini apparivano come incisioni azzurrognole. L’immagine offriva
una visione quasi spettrale! Questa piramide di pietra era realmente
qualcosa di particolare.
Dopo questa presentazione appassionante, esaminammo l’oggetto molto
attentamente e notammo qualcosa di sorprendente: ai piedi della
piramide si potevano riconoscere dei piccoli intarsi dorati,
raffiguranti la costellazione di Orione. Sopra vi erano state
apposte incisioni, inizialmente caratteri indecifrabili. Solo mesi
più tardi venimmo a conoscenza del contenuto di questi segni.
Secondo una traduzione fatta dal professor Kurt Schildmann,
presidente della Società Linguistica Tedesca, quel testo criptico
significherebbe: “Il figlio del creatore è in viaggio”.
Dalla visione della maggior parte degli artefatti si è potuto notare
che essi non hanno alcuna relazione con l’esistente cultura
precolombiana. Sono falsificazioni moderne? Ma chi sarebbe stato
capace di produrre un simile oggetto? E per quale motivo? Come sono
giunti in Ecuador questi strani pezzi? Chi li ha realizzati, quando
e a quale scopo?
La mappa di pietra
La chiave di tutto potrebbe trovarsi nel luogo di ritrovamento, La
Mana. Un luogo situato nelle colline ecuadoriane, in mezzo a una
giungla sperduta, dove negli anni ‘80 sono stati compiuti
sfruttamenti auriferi con mezzi meccanici. L’ingegner Sotomayor, che
allora ha condotto la ricerca, ha scoperto una piccola grotta
situata a 10 metri di profondità, dove si trovavano diversi
contenitori di ceramica. In essi erano stati riposti e conservati
gli artefatti. Da quale periodo provengano e chi sia stato a
depositarli lì dentro, proteggendoli da accessi abusivi, non è
ancora noto.
In ogni caso quel luogo
possiede caratteristiche misteriose già da tempi remoti. Sul luogo
di ritrovamento vi è una sorgente che presenta una particolarità: la
presenza nell’acqua di oro organico e potabile! Gli idrologi
considerano l’acqua di questa fonte come la più ricca di energia in
assoluto. D’altra parte, ciò ricorda i testi tradotti dalle tavole
di argilla sumere, dove ricorre più volte l’espressione secondo la
quale gli dei un tempo cercavano l’acqua ricca di oro. Il mistero
permane. Questo vale anche per un altro ritrovamento eccezionale
effettuato a La Mana: la cosiddetta carta geografica in pietra.
Su questa lastra di pietra, alta 60 cm, larga 40 cm e profonda 30
cm, è stata incisa la mappa del mondo, dal tropico del sud fino a
quello del nord. Oltre ai noti continenti del Nord e Sudamerica,
l’Europa, parte dell’Africa e dell’Asia, si trovano anche i profili
di tre continenti oggi sconosciuti: la leggendaria Atlantide
nell’Oceano Atlantico, Mu e presumibilmente Lemuria nell’Oceano
Pacifico.
Questa sorprendente lastra potrebbe riaccendere il dibattito su
Atlantide e Mu. A tal proposito, le recenti ricerche e scoperte del
geologo professor Masaaki Kimura, offrono spunti sufficienti. Lo
scienziato ha esaminato tavole di pietra ritrovate nelle isole
Ryukyu contenenti antiche iscrizioni, e studiato i monumentali
edifici in pietra che si trovano nelle acque dell’isola di Yonaguni,
a 25 metri di profondità. Secondo gli studi condotti da Kimura, dal
nord del Giappone fino a sud di Taiwan dev’esserci stato un
continente, sprofondato in seguito a catastrofi climatiche e al
conseguente innalzamento del livello del mare. Su questa ipotesi
forniscono indizi le iscrizioni e i simboli millenari trovati sulle
lastre di pietra di Ryukyu. In essi si parla di un regno costituito
oggi da isole sommerse: indubbiamente la leggendaria terra di Mu.
Il professor Kimura ha realizzato un’altra scoperta interessante: i
caratteri sulle tavole di pietra ritrovate nelle isole Ryukyu,
somigliano a quelli descritti dall’eccentrico colonnello britannico
James Churchward nel suo libro The lost continent of Mu, pubblicato
nel 1926. Anche in questi si riconoscono affinità con i caratteri
incisi su ogni pietra a forma piramidale di La Mana. Un puro caso?
Su ciascuna piramide si trova raffigurato un occhio e sotto si
trovano incisi molti simboli e spirali. Potrebbe esserci una
profonda connessione tra tutti questi riferimenti. Senza dubbio
sarebbe sensazionale, ma per me non impossibile, se dovesse
risultare una relazione tra queste pietre, il continente sommerso di
Mu e gli oggetti trovati nelle isole Ryukyu.
Torniamo alla “carta geografica di pietra” di La Mana. I profili del
continente sommerso di MU si riconoscono chiaramente. Le ricerche
compiute finora fanno pensare ad una datazione molto remota di
questa pietra. La domanda è: chi è stato a realizzare, molte
migliaia di anni fa, questa “mappa geografica di pietra”, e
soprattutto chi, a quell’epoca, poteva conoscere la struttura della
terra così bene da poter incidere una mappa che sembra essere stata
frutto di osservazioni dall’alto? Può, questa lastra, essere
considerata una prova del fatto che i regni di Atlantide, Mu e
Lemuria siano effettivamente esistiti? Per ottenere maggiore
chiarezza saranno necessarie ulteriori ricerche.
Un ulteriore dettaglio potrebbe essere importante: sulla pietra sono
stati effettuati due intarsi simili a un occhio: uno nella regione
della ex Babilonia, l’altro nel luogo di ritrovamento in Ecuador.
Tra i due punti vi è una linea di congiunzione bianca. Per gli
artefici della “carta geografica di pietra”, ciò sembra aver
rivestito una particolare importanza.
Ma quali conclusioni si possono definire? Esiste un antico legame
culturale tra i sumeri e l’attuale luogo di ritrovamento in Ecuador?
Molti pezzi museali, conservati nel Sud e nel Nordamerica e da me
stesso attentamente esaminati, testimoniano che già da lungo tempo
vi sono stati contatti globali tra le popolazioni primitive del
Vecchio e del Nuovo mondo.
Reperti astronomici
Tra i pezzi della collezione di Villamar vi sono altri tre oggetti,
i quali racchiudono una mistica nascosta. Il primo è una pietra nera
sulla quale viene mostrato come si regge la piramide con l’occhio
incastonato, probabilmente in una sorta di rituale. L’altro è una
pietra sulla quale sono osservabili incisioni inusuali: un uomo
siede su un piedistallo e regge la piramide nelle sue mani. Sulla
testa porta una sorta di elmo con una specie di antenna o di foro,
da interpretare come linea di congiunzione con una “barca
scintillante”. Al di sopra si libra un oggetto raggiato oppure un
occhio senza iride né pupilla. Dagli occhi della persona
rappresentata si diramano linee verso due uomini inginocchiati. È
interessante notare che tra gli oggetti ritrovati vi sia anche un
elmo rotondo realizzato con una lega d’oro, sulla cui parte
superiore un pezzo è mancante. Una fessura intenzionale, che
corrisponde esattamente alla scena raffigurata sulla pietra. Ci fu
poi mostrata una serie di oggetti che ha relazioni evidenti con
concetti mistici occidentali. Si trattava di una grande coppa in
giadeite con alcuni punti sulla sua superficie. Tali inserti, come
altri pezzi La Mana risultano fosforescenti e agli ultravioletti
formano delle costellazioni brillanti sullo sfondo blu del
bicchiere. Sono riconoscibili Orione, con Betelgeuse in evidenza, e
le Pleiadi, oltre ad altri asterismi che un esperto del Buenos Aires
Astronomical Institute ha definito ben rappresentati il cielo visto
dal Sudamerica. Tale coppa è accompagnata da altre dodici coppette
più piccole, tutte di dimensioni differenti. Si è calcolato che
unendo ipoteticamente tutte le coppe più piccole in un unico oggetto
si otterrebbe una coppa della dimensione di quella principale. Sui
bicchieri sono presenti anche dei segni simili ai numerali maya. E’
evidente che le dodici coppette con la tredicesima siano un richiamo
alle leggende del Graal, dei dodici apostoli e del Cristo. La
domanda è: cosa ci fa in Ecuador, assieme a una piramide massonica,
un altro simbolo immortale legato all’esoterismo cristiano? Le
domande aumentano se si pensa che della collezione fanno parte altri
oggetti similari, a connotazione astronomica, come due “osservatori”
posti su una base di giadeite, anch’essa dotata di costellazioni.
Oppure una splendida testa di cobra.
Molti sanno del legame tra il cobra e la divinità per gli antichi
egizi, per gli induisti, ma questa testa è caratterizzata nella
parte inferiore da una decorazione fosforescente a 7 punti per lato
e 33 strisce. Tali numeri fanno diretto riferimento all’energia
Kundalini e al sistema dei sette chakra posti lungo le 33 vertebre
della spina dorsale umana; energia rappresentata proprio da un cobra
con cappuccio aperto. Soprattutto ci ha colpito la presenza di una
roccia, sulla cui parte anteriore sembrava essere “incastonato” un
viso di uomo barbuto dai capelli lunghi mentre sulla parte
posteriore una sorta di spirale racchiudeva un triangolo al cui
centro vi era un’inserzione verde, proprio in corrispondenza del
“terzo occhio” dell’individuo raffigurato.
Un permesso inaspettato
Dopo aver esaminato tutti quegli oggetti singolari, con entusiasmo
scegliemmo gli oggetti più interessanti da prendere in
considerazione per la mostra, e discutemmo le condizioni di prestito
con German Villamar. Alla fine del colloquio seguì qualcosa di
inaspettato. Egli ci spiegò che dovevamo era necessario chiedere il
permesso alle guide indios del luogo (i successori autoctoni degli
incas), essendoci pietre considerate magiche tra i reperti. La sera
seguente ci incontrammo così nuovamente a casa di German. Era
presente anche Luis Viracocha, un uomo molto carismatico che tra gli
indios è una personalità di rilievo. La sua è una famiglia di
artisti che esegue da molte generazioni sculture tradizionali in
pietra con motivi inca. La sua prima reazione alla nostra richiesta
di prestito fu un categorico “no!”. Ci spiegò energicamente che era
fuori discussione che quegli oggetti lasciassero quel luogo. Dopo
un’ora di conversazione, Luis prese in mano un piccolo piatto di
pietra, di giadeite verde-scura, dove erano stati intarsiati un
cerchio blu, e una spirale arancione. Con un piccolo magnete che
pendeva a un filo, fu poi fatto un esperimento. Luis diede al dottor
Hampejs il filo con il magnete e gli disse: “Mantieni il pendolo col
magnete sul centro della spirale”. Detto fatto. Dopo alcuni secondi
il magnete cominciò a girare descrivendo un cerchio dall’interno
verso l’esterno. Una volta toccato il bordo del piatto, ruotò per un
po’ di tempo senza fermarsi, a velocità costante. Il test fu
ripetuto con successo anche da Reinhard Habeck e dal dottor Joachim
Zillmer. Infine venne il mio turno. Restai sorpreso e un po’ deluso:
il magnete non si era mosso di un millimetro. Ritentai più volte, ma
non accadde nulla. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, mi misi a
ridere e rinunciai. Lanciai a Luis uno sguardo interrogativo: volevo
sapere perché con me non aveva funzionato. Assunse un’espressione
molto seria e invitò il dottor Hampejs, Reinhard Habeck e il dottor
Zimmer a compiere nuovamente la stessa procedura.Di nuovo la cosa
funzionò con tutti e tre. Infine, ritentai io. Ma come prima, il
magnete restava del tutto immobile. Provai addirittura a stimolare
intenzionalmente il pendolo, ma senza successo. Dopo alcuni minuti
mi arresi, e mi chiesi stupito cosa fosse successo.Luis andò da
German e gli comunicò con un’espressione seria: “German, a quest’uomo
puoi mettere a disposizione la pietra per la sua mostra!”. In
seguito al rifiuto iniziale di Luis, eravamo molto abbattuti, ora la
nostra gioia fu davvero grande. Domandai a Luis: “Che conclusioni
devo trarre dal fatto che il pendolo nelle mie mani non si muoveva?
Questa cosa ha un significato particolare?”.Luis, infine, mi sorrise
e disse: “Vedila come un segno! Un buon segno!”. Fino ad oggi, non
so ancora quale significato abbia avuto questo esperimento. La buona
fede di questa gente semplice è, comunque, confermata dal fatto che
non hanno mai fatto nulla per rendere noti questi oggetti,
custodendoli gelosamente come testimonianze sacre dei loro antenati.
Si tratta di persone molto legate alla loro tradizione sciamanica.
Sono stato fortunato. Il giorno dopo la nostra squadra di quattro
persone prese l’aereo e partì fiduciosa alla volta di Cuenca. Anche
lì ci fu data la possibilità di accedere a collezioni straordinarie
date per disperse. Ma questa è un’altra storia. •
(traduzione dal tedesco di
Marco Di serio)
Per gentile concessione di:
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