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La muraglia dei Ketagalan
a cura di Francesco Garufi
Molto spesso le leggende hanno unfondo di verità. Sempre più ci si accorge che i miti, le antiche tradizioni popolari, finanche le chiacchiere di anziani marinai, hanno solide basi su cui poggiare il loro contorno a volte fiabesco, a volte fantastico, con cui affascinano da sempre chi presta loro attenzione. Ed è a una di queste leggende che il professor Wen Miin Tian del Dipartimento di Sviluppo e Ingegneria Marina, della National Sun Yat-sen University di Kaohsiung City, Taiwan, ha dato ascolto. In questi ultimi tre anni si è dedicato interamente a ricostruire, nel limite del possibile, quello che i pescatori del posto si tramandano da generazioni nei loro racconti durante le battute di pesca. In questi porticcioli dell’arcipelago di Pen-hu (pronuncia “Pengu”), proprio di fronte a Taiwan, la “Rocca”, i pescatori raccontano di strutture sommerse simili a templi, di un grande castello con vaste mura di colore rosso. Parlano tra loro di come una rete impigliata e il successivo immergersi per liberarla abbia mostrato loro resti di colonne e di strutture somiglianti a templi. Il professor Wen Miin Tian ha voluto approfondire tali “voci di popolo”, accorgendosi ben presto che il mormorio era sostenuto anche dalla mitologia locale. Si parla di antiche vestigia sommerse in acque relativamente profonde. Ma esistevano davvero? E se sì, da quanto tempo erano sepolte dal mare? Chi le aveva erette? Molti gli interrogativi che attanagliavano la mente di Wen. Monumenti dell’era glaciale È da qualche anno che, in varie parti del globo, semplici appassionati o esperti subacquei si imbattono, vuoi per pura sorte, vuoi, come è il caso del professor Tian, dopo accurate indagini, in enigmatiche costruzioni sottomarine. Ciò che accomuna tutti questi ritrovamenti è che si situano a centinaia di metri dalla costa e a profondità più o meno rilevanti. Credo, per rimanere in ambito estremo-orientale, sia sufficiente citare l’esempio delle ormai famose strutture sommerse, scoperte proprio di fronte a Taiwan, nelle acque dell’isola di Yonaguni (Giappone) ad opera del professor Maasaki Kimura, sismologo marino dell’Università di Ryu-Kyu. Che dire poi della serie di circoli di pietra ritrovati alla profondità di 30 metri al largo dell’isola di Aka, nel gruppo delle Kerama, ancora in Giappone? Oppure nell’isola di Aguni, dove è avvenuto il ritrovamento di alcuni “pozzi” di cui il più grande ha una larghezza di 3 metri e una profondità di 10? Scoperte che, insieme a molte altre in diverse parti del mondo, sono state più volte trattate da questa rivista e ben documentate nell’ottimo libro di Graham Hancock, Civiltà Sommerse (Corbaccio). In questa nostra carrellata di scoperte abbiamo omesso un particolare che è bene ricordare: le strutture sommerse, alla luce dei primi studi effettuati, sembrerebbero essere tutte opera dell’uomo. In quale epoca e, soprattutto, da chi furono costruite? Sono i due interrogativi principali cui si sta tentando di fornire soluzione e le cui risposte stanno dividendo il mondo archeologico e antropologico accademico e alternativo. Gli studi geologici su questi siti evidenziano in modo incontrovertibile che il luogo su cui le strutture poggiano da 15-20.000 anni, durante l’ultima glaciazione, chiamata Wurmiana, era al di sopra del livello del mare. Un mare che deve essersi innalzato fino a ricoprire, con le sue acque queste costruzioni. È ormai risaputo che il livello del mare non è sempre stato il medesimo. Oggi viviamo un periodo in cui il livello marino è ai suoi massimi e la quantità di ghiacci al suo minimo, in ciò che viene definito “periodo interglaciale”. Ma durante l’Era Glaciale, il livello del mare si trovava a circa 100-120 metri più in basso, dato documentato dalla presenza di sedimenti che contengono molluschi di acqua salmastra, ooliti e torbe, tutte caratteristiche di ambienti litoranei presenti a circa 100 metri al di sotto del livello attuale dei mari. Se escludiamo fenomeni di subsidenza del suolo, cioè il lento movimento di abbassamento della crosta terrestre che si verifica in determinate zone, attribuito al peso dei sedimenti che si accumulano, e se teniamo conto soltanto dell’innalzamento del livello del mare, la datazione proposta dagli oceanografi sembra essere molto plausibile: strutture sommerse a quella distanza dalla costa e a quelle profondità possono essere state alla luce del Sole in un periodo compreso tra 9.000 e 13.000 anni prima di Cristo. Se questo dato può sembrare eclatante, considerate pure che i monumenti più antichi costruiti dall’uomo, le ziqqurat, risalgono al 5.000 a.C. Certo, bisogna prendere il tutto con la dovuta cautela, sono in gioco molti fattori geologici. Eppure, accettando questi dati, ci ritroviamo tra le mani un incredibile enigma: strutture che di naturale hanno ben poco, sommerse dal mare a una profondità e a una distanza dalla costa che ne richiede la retrodatazione a un’epoca in cui l’uomo, sempre secondo le stime ufficiali, era ben lungi dal costruire un qualsiasi manufatto più complesso di una capanna. Come premessa a quest’articolo, anticipavamo in che modo le leggende e i miti contengano dei fondamenti di verità. La leggenda che unisce e accomuna quasi tutti i popoli della Terra è l’avvento di un enorme diluvio, conoscendosi circa 600 resoconti mitologici diversi di tale evento. A uno di questi ha dato credito il professor Wen Miin Tian. Mudalu e i Ketagalan La leggenda riferisce di una città perduta nei flutti del mare, proprio di fronte all’arcipelago di Pen-hu, nello Stretto di Taiwan. Il professor Wen ha dedicato questi ultimi tre anni al confronto possibile tra leggenda ed eventuali verità storiche, archeologiche e geologiche. Insieme a Steve Shieh, esperto subacqueo non nuovo a ritrovamenti simili e di cui parleremo più avanti, con la collaborazione di un team di archeologi e antropologi, ha dato vita alla ricerca che ha portato alla scoperta di un’ambigua struttura sommersa. Nel luglio del 2002, la ricerca della leggendaria città sommersa tardava a dare dei risultati. Durante un’immersione in prossimità dell’isola di Hsichi, che fa parte del arcipelago di Pen-hu, i ricercatori sono incappati, alla profondità di 28 metri, in una costruzione che misura 100 metri di lunghezza, possiede una larghezza di circa mezzo metro e un’altezza di circa 1 metro. L’orientamento di questa struttura rettilinea, molto simile a un muro, è posto su un asse est-ovest, il che le conferisce un allineamento di tipo solare, non ancora confermato, in grado di calcolare i solstizi. La datazione proposta per questo sito, in considerazione dei dati sopra esposti, riferiti all’innalzamento del mare, si attesta intorno al 10-11.000 a.C. Chiaramente, l’annuncio di questa scoperta ha destato clamore nel mondo scientifico, se non altro per la sua proposta datazione. Il dottor Shieh, come dicevamo, non è nuovo a questo genere di scoperte. Già nel 1996, sempre nello stesso arcipelago di Pen-hu, realizzò il ritrovamento di una struttura molto simile, posta in relazione a costruzioni megalitiche che sembrano essere opera dall’uomo. In queste zone, dal 1982, erano state già trovate da sommozzatori non professionisti altre tre strutture identiche a quella individuata del professor Wen. Il team, costituito ad hoc per questa ricerca, ha avuto il benestare del Ministero dell’Educazione di Taiwan. Del gruppo di esplorazione, fanno parte scienziati e studiosi di chiara fama, nonché subacquei molto esperti e ciò avvalora in modo esponenziale il valore del ritrovamento. Questa scoperta apre certamente la strada a successive esplorazioni dei fondali di Taiwan. Parlando con Steve Shieh, esperto subacqueo, la sensazione che riceviamo è di assoluta onestà. È proprio lui che ci conferma che il ritrovamento è accidentale, sebbene rientri nel corpus della leggenda locale che ha come oggetto l’esistenza di una mitologica città sommersa, Mudalu. Il mito di Mudalu si estende a tutte le popolazioni che occupano i territori dal Sud della Cina fino alle Hawaii, comprendendo numerose isole del Pacifico. Mudalu era, come narra il mito, la terra dei primi popoli asiatici, i Ketagalan, che si dice vissero tra i 7.000 e i 15.000 anni fa. I Ketagalan, secondo la leggenda, erano in grado di costruire ottimi utensili, possedevano una forma di scrittura complessa, erano padroni di una tecnologia altamente qualificata che permise loro di costruire megaliti e piramidi. Il tutto prima di ogni altra civiltà conosciuta. Non è però tutto così semplice. I ritrovamenti di cui stiamo trattando, compreso quest’ultimo relativo al muro di Pen-hu, non rappresentano evidenze incontrovertibili. In alcuni è possibile riscontrare tracce di opere umane in maniera più eclatante, ma altri siti hanno bisogno di maggiori e più precisi controlli. Come scrivevamo, la possibilità che il sito dove poggiano le strutture sia sotto l’influsso della subsidenza del suolo è rilevante. Nel caso di Pen-hu, entrano in gioco dei fattori legati a fenomeni vulcanici. Il gruppo delle isole Pen-hu si è, infatti, formato circa 10 milioni di anni fa, attraverso grandi eruzioni vulcaniche. Sconvolgimenti che hanno successivamente reso famoso l’arcipelago di Pen-hu per le sue splendide rocce basaltiche. In aggiunta, commenta il professor Tsao Nu-chung, direttore del Taiwan’s Central Geological Survey, l’eruzione vulcanica può aver creato delle formazioni lineari molto simili a muri e composizioni rocciose talmente “perfette” da essere scambiate per opere umane. Molte di queste formazioni lineari sono state individuate nel cosiddetto “anello di fuoco” che si trova nell’Oceano Pacifico. Oltre a quanto detto, l’ulteriore opposizione che si pronuncia a carico di questi ritrovamenti è relativa alla mancanza di oggetti artificiali nei pressi delle strutture. L’intervista al prof. Wen Il professor Wen e il dottor Shieh, restano però della loro opinione. A loro parere non ci sono dubbi: trattasi di strutture artificiali, costruite dall’uomo in epoca preistorica e “pre-diluviana”. La notizia della scoperta di queste mura era stata da noi presentata nel numero scorso (HERA n° 37 pag. 49). Il loro ipotetico collegamento con le altre strutture sommerse tra Taiwan e Giappone andava approfondito attraverso un colloquio diretto con gli autori della scoperta. Non è stato facile riuscire a mettersi in contatto con il professor Wen Tian e Steve Shieh. Quella che segue, è l’intervista realizzata con l’aiuto del sig. Hou Chu-wang, autore dell’efficace traduzione delle nostre conversazioni dal cinese, a cui va tutto il nostro ringraziamento. Francesco Garufi: Ci racconti dove e come è avvenuta questa scoperta… Wen Miin-Tian: “Il sito si trova in posizione 23° 16’ Nord, 119° 37’ Est, ed è situato tra due piccole isole, Dong-Jyu e Shi-Hyi-Yu, nell’arcipelago di Pen-hu. Questa ricerca subacquea è iniziata diversi anni fa, ma solo durante la fine del mese di agosto del 2002 siamo incappati in questo formidabile ritrovamento. Ciò è stato reso possibile grazie alle nostre apparecchiature tecnologiche che comprendono anche un sonar a scansione laterale. È stato proprio questo strumento che ci ha fornito l’immagine di una strana struttura sottomarina a una profondità di 28 metri. È stata una grande sorpresa che ha creato in noi una smisurata eccitazione. Chiaramente ci siamo immersi subito; dovevamo verificare immediatamente il tipo di struttura segnalata dal sonar”. F.G.: Può spiegarci come mai il sito si trova nelle profondità
marine? F.G.: È naturale, a questo punto, chiederLe come è possibile
datare con certezza la struttura, anche in considerazione degli
altri fattori che ha esposto? F.G.: Di quale materiale è composto quello che definite un muro? F.G.: Quindi, un’ulteriore dimostrazione della veridicità della
Sua teoria… F.G.: Secondo Lei, dott. Wen, a quale scopo venne eretto questo
muro? Era un muro di difesa o parte di un centro urbano? F.G.: Contro il vento? Può spiegarci meglio cosa intende? F.G.: I comunicati stampa parlano di leggende legate a un
castello sommerso. Dalle immagini si può parlare di recinto. Lei,
dottor Wen Miin Tian, crede che il castello sia da qualche altra
parte o si tratta solamente di una leggenda? F.G.: Quindi, esistono leggende legate a questi luoghi. E come
tutti i miti, sono stati presi in scarsa considerazione. Lei, dottor
Wen, crede alle leggende? F.G.: Vi sono altre rovine sommerse che possono essere messe in
relazione con il muro da voi scoperto? F.G.: Ci sono nella zona costiera tracce collegabili al muro,
relative a strutture preistoriche o megalitiche? F.G.: A quale cultura possono essere messe in relazione? Qual è
la cultura più antica di Taiwan? F.G.: Sono stati trovati oggetti di uso comune o iscrizioni in
zona? F.G.: Tutta la zona compresa tra Giappone, Cina e Taiwan, secondo
i geologi giapponesi, è ricca di vestigia megalitiche antichissime.
Esiste a suo parere una correlazione tra la fortezza sommersa di
Yonaguni (Giappone), le strutture di Kerama (Giappone) e il muro di
Taiwan? F.G.: Quali sono i progetti futuri per studiare queste rovine? Ha
avuto appoggi dalle autorità archeologiche locali? F.G.: Grazie dottor Wen.... Dalle parole del dottor Wen si evince che c’è ancora molto da studiare, e ciò offre un’ampia possibilità di aggiungere nuove scoperte agli aspetti più enigmatici del nostro passato remoto. In questo senso la tecnologia moderna, con le sue ultrasensibili apparecchiature di rilevazione sta dando una mano ai tanti studiosi che si avventurano in un mondo, quello sommerso, capace di regalarci, forse, un sogno: la prova di una civiltà avanzata che ha preceduto la nostra. La prova che, in fondo, non siamo solo dei sognatori. |
Per gentile concessione di:
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