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Dioniso e il Pasto Sacro Filippo Goti |
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A Zeus la cadmeia Semele generò un figlio illustre, unitasi a lui in amore, Dioniso ricco di gioia, lei mortale un figlio immortale, e ora ambedue sono dèi.
(Esiodo Teogonia, 940-42)Finalità del presente lavoro non è quella di tracciare un parallelismo fra il Mito di Dioniso e la figura del Cristo, opera in cui altri si sono cimentati con scarsi risultati, bensì quella di individuare nella tragedia dello strazio subito dal corpo del Dio Fanciullo figlio di Zeus, quel fulcro operativo "occulto" chiamato Pasto Sacro, espressione con cui vogliamo intendere quel particolare sacrificio sacerdotale, attraverso cui il Divino discende e diviene cosa unica con l'operatore del sacrificio, e i convitati a tale opera.
E', il pastro sacro, un cardine della tradizione misterica ed iniziatica presente in ogni tradizione religiosa ed esoterica; ne possiamo trovare traccia anche nelle culture sciamaniche e tribali, a suggerire (indicare) di un patrimonio diffuso nella memoria magica dell'umanità.
L'evidenza che anche nella Tradizione Cristiana (gnostica, come cattolica, come protestante) , tale apparato rituale sia presente e centrale nella liturgia (che in esso trova significato e finalizzazione) ne testimonia l'indispensabilità ai fini del Sacro Operare, e ne suggerisce l'enorme impatto magico.
Io so intonare il bel canto di Dioniso Signore,il ditirambo, quando nell'animo sono folgorato dal vino.
(frammento di Archiloco 120 W.)Si potrebbe osservare come i baccanali dionisiaci siano ben distanti dalla liturgia cristiana; ma tale constatazione indica come il pasto sacro è cuore e nodo di un incrocio, che lega il Mito, il Divino, l'Uomo, e il sentiero scelto (umido e secco)a testimonianza del fatto che non vi è differenza nell'operatività, pur sempre strumentale, ma nella volontà dell'Operatore, e delle forze che intervengono al suo richiamo.
Molti Greci rappresentano Dioniso in forma di toro, e in Elide in particolare le donne invocano il dio pregandolo di venire a loro ‘con piede taurino’. Gli Argivi poi danno a Dioniso l’epiteto di ‘figlio di toro’ e lo chiamano con le trombe perché risorga dalle acque.
(Plutarco Iside e Osiride, 35)
Introduzione al valore del simbolo del sacrificio e al Mito di Dioniso
Molte antiche tradizioni custodiscono nel proprio patrimonio ancestrale il simbolo della divinità sacrificata in modo cruento in favore di un'umanità pronta a raccogliere i benefici di tale divina morte. Questo sacrificio conscio, ma spesso inconscio o subito, si esprime in un atto d'amore verso gli uomini, oppure segna il momento della nascita dell'umanità stessa. Forte è il rimando a tutta una serie di rituali di feritilità, dove il sangue del Re, o di un uomo che incarnava lo spirito divino veniva offerto alle forze della natura (del quaternario), onde ristabilire il ciclo vitale.
Da una prima lettura del mito del sacrificio del Dio si potrebbe evincere un rapporto compassionevole del divino verso l'uomo, un legame affettivo che si spinge fino a tragiche ed estreme conseguenze: la vita in cambio della vita, o di una nuova vita. Questi miti altro non rappresenterebbero, in tale ottica, che il simbolo del cuore sofferente del divino, sempre e comunque proteso verso le sue creature predilette. Se tale interpretazione può avere un qualche senso all'interno di un paradigma cristiano-cattolico, è sicuramente assente all'interno di altre teogonie dove la morte del Dio è aspetto suo proprio, individuale, avulso da altre considerazioni.
Il mito di Dioniso, e l'insieme rituale iniziatico che dallo stesso emerge, trova collocazione nell'Orfismo , e cioè nella complessa teogonia e cerimonialità misterica, che vanta altrettanto mitico fondatore in Orfeo. Il quale, indubbiamente, rappresenta l'iniziato e l'adepto per antonomasia: Colui che giunge in Egitto per essere edotto ai suoi antichi misteri, che scende all'inferno alla ricerca dell'amata (la Sophia), che da vita ai culti e ai misteri, il devoto ad Apollo che viene ucciso e smembrato dalle baccanti (le donne della Tracia) fedeli a Dioniso. Una fine violenta che sembra essere speculare a quella di Dioniso, quasi ad evidenziare un processo ineluttabile che attende ogni vero iniziato che percorre la via del Divino.
Succintamente la mitologia greca narra che dall'amore di Zeus e di Semele, nacque un fanciullo bellissimo di nome
Dioniso, che suscitò le invidie e l'ira di Era, la moglie di Zeus, la quale sobillò i Titani, suoi servitori, a compiere atroce
scempio di questa vivente manifestazione del tradimento del suo celeste compagno. I Titani, i figli della terra che non aveva
conosciuto gli Dei, con dei regali traggono in inganno Dioniso, lo imprigionano, e ognuno di loro ne mangia le carni. Solo il cuore
si salva, grazie alla dea Atena, che lo porta a Zeus. Il Padre degli dei inghiotte il cuore del figlio defunto, e genera da Semele
un nuovo Dioniso, poi la sua vendetta colpisce i Titani: li fulmina, incenerendoli. Dalle polveri dei Titani, in virtù dell'essenza
nobilitatrice di Dioniso, nasce il genere umano.
E' sempre bene ricordare come i riti legati alla figura di Dioniso, e all'Orfismo in genere, afferivano ad un complesso cerimoniale, iniziatico e magico paralello e secante la religione pubblica, certamente non alla portata di tutti. Solo nella fase di decadenza dell'Impero Romano, le inziazioni divennero virtuali e aperte; e tale profanizzazione, ieri così come oggi, ne ha portato all'essicamento.
Possiamo vedere nella carne e nel sangue di questo dio-fanciullo, un elemento trasmutativo della forza bruta rappresentata dai Titani, esseri che appartengono ad un mondo precedente al Cosmo degli Dei Olimpici. I secondi rappresentano gli ideali e i tipi di uomo archetipali, che si incarnano costantemente nell'umanità; mentre i primi afferiscano ad un mondo non governato dalla ragione, dal bello, e dall'ispirazione celeste, bensì dagli agiti, dagli atavisimi, dalle pulsioni irrazionali e viscerali.
E' per mezzo di queste chiavi di lettura simbolica, che è necessario leggere la morte di Dioniso; una morte trasmutativa, e nobilitante, in quanto è la causa prima con cui si pone in moto il processo che porterà alla nascita di un'umanità di ispirazione celeste.
Trattasi in realtà di un'operazione di alchimia interiore, dove l'uomo bruto, l'uomo-inferiore, fa proprio il corpo e il sangue della divinità (comunione eucaristica). Ciò non avviene attraverso il semplice possesso, ma bensì legandosi ad essa in modo indissolubile, tramite un pasto sacro. Viene così dato inizio ad un processo irreversibile, elettrico (psichico) ed igneo (elemento di trasmutazione del quaternario). L'alimentazione porta a confondere, a rendere cosa unica colui che è alimentato, con ciò di cui si alimenta. La saggezza popolare ricorda che siamo ciò che mangiamo, in quanto ogni impressione e ogni alimento sono dissolti in un flusso biochimico e biomeccanico, e vanno a comporre il nostro corpo fisico, psicologico ed emotivo. Nel caso specifico siamo in presenza di un pasto sacro, in quanto ciò che è alimento è la carne e il sangue di un Dio (o meglio, fuori da una visione religiosa, di un elemento divino: qui Dioniso, così come il Cristo all'interno dell'eucaristia cattolica...)
Cosa mai sono i Titani se non degli uomini offuscati dalla brutalità, dagli agiti, dagli atavismi (preda dei suggerimenti passionali ed iracondi di Hera? Degli uomini allo stato basilare, primordiale, completamente soggiogati dalle forze della natura, completa espressione della bassa polarità, automi e agenti degli atavismi primordiali, le potenti forze occulte del quaternario ?
Essi sono liberati dall'ingestione della carne di Dioniso e dal fulmine di Zeus; certamente non sono ancora Dei (solo all'uomo poeta o campione è dato di sedersi a fianco delle divinità, come immortale; ma pur sempre uomo esso deve essere), ma sicuramente è data loro la scelta di guardare verso le stelle (rispettare gli dei), oppure tradire gli dei (per precipitare nuovamente in uno stato di barbarie).
Questa umanità in potenza, è in completa balia degli elementali non rettificati del quaternario, della loro forza e della loro volontà tesa a possedere, ad assimilare, ad irrompere in ogni spazio esistente:è proprio questa la forza del piano vitale, la sua meccanica intelligenza, la sua ferrea volontà espansiva. In ambito magico è bene sempre ricordare che ogni istanza magica portata sul quaternario, avviene sempre e comunque tramite l'ausilio e l'intercessione di un elemento divino, o superiore. Qui l'elemento divino è duplice in quanto si compone della sostanza di Dioniso, e della folgore di Zeus; il loro connubio pone fine, tramite liberazione, all'asservimento elementale. Tale evento ricorda molto, a suggerire l'esistenza di una tradizione ignea comune, il detto buddista di "bruciare le radici dell'ego", oppure la prima fase dell'Opera al Nero, dove l'adepto agisce proprio tramite quelle forze che poi saranno rettificate, e ricondotte ad un processo superiore.
Altro elemento di riflessione attorno al mito di Dioniso è rappresentato dallo strumento di giustizia divina. I
Titani non sono colpiti da una lancia, o da una spada, e neppure da una freccia, bensì da un fulmine. Colpire attraverso un' arma è
un'azione meccanica, che da fuori penetra negli organi vitali, rompendo l'involucro. Il fulmine invece irrompe senza ledere
l'involucro. Dall'azione elettrica del fulmine, si determina l'azione IGNEA (INRI) che porta alla trasmutazione, alla riduzione in
polvere dei Titani, da cui nasce la semenza umana.
Anche nella tradizione cabalistica la creazione è frutto di un fulmine, di luce e pneuma che attraversano, incessantemente, tutto
l'albero sephirotico:trattasi di quel dinamismo spirituale, di quella forza elettrodebole che tutto trattiene; senza la quale niente
è.
Alcune volte il mito di Dioniso è rapportato a quello di Prometeo; a mio
modesto avviso vi sono molte più dissonanze che assonanze in questi due eventi mitologici.
Prometeo come sappiamo ruba il fuoco (simbolo di conoscenza), e viene per questo incatenato fra le rocce di un picco montano. Per
punizione le sue viscere vengono divorate dai rapaci; per aumentare il dolore della pena esse si riformano in continuazione.
Ovviamente anche qui abbiamo una ricca simbologia (la punizione del quaternario, il fuoco e la conoscenza, le catene dell'elemento
materiale, le forze cieche della natura, ecc...), come nel mito di Dioniso, ma ritengo che gli elementi comuni abbiano qui a
terminare, lasciando il campo alla diversa impostazione e finalità di questi lasciti mitologici.
La differenza del mito di Prometeo con quello di Dioniso risiede nella funzione trasmutativa. Dioniso viene assimilato dai Titani, e in virtù di tale evento si genera un processo di mutamento interiore degli stessi. Così non è per Prometeo che si "limita" a portare una conoscenza comunque esterna e sè stesso, e agli uomini stessi.
Possedere non è essere, il fenomeno non è la causa, e la foglia non è la radice della pianta. Così come il mito
di Prometeo può solamente seguire e non precedere quello di Dioniso. In quanto è solamente dopo la scintilla divina, il pneuma
gnostico, il seme solare, che l'umanità ha la possibilità di godere della conoscenza del fuoco stesso. Ecco adesso un altro detto
Alchemico: solamente possedendo l'oro, è possibile produrre l'oro.
Indubbiamente un elemento di similitudine è rappresentato dalla meccanicità di Zeus (sia ne confronti di Dioniso che di Prometeo),
che apparentemente opposta è invece eguale a se stessa nella linearità che le da forza. Zeus rappresenta un ente superiore, che
interviene e governa a prescindere dalle altrui volontà, irrompendo violentemente nel mondo degli uomini e degli dei a lui
sottoposti.
In chiave operativa il carico simbolico portato dal mito di Dioniso, e quello portato dal mito di Prometeo,
possono e debbono trovare giusta simbiosi e collocazione. Una circolarizzazione operativa, che vede sia la via dell'Essere, sia la
via delle Attribuzioni dell'Essere. La prima risiede nel cuore di Dioniso, la seconda nelle viscere di Prometeo.
Dioniso, Comunione e Cristianesimo
L'eucarestia cristana-cattolica risiede nella riproposizione sacerdotale, rivolta a tutta la comunità dei fedeli, di quanto narratoci dal Vangelo di Luca:
Luca 22:15
e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione,Luca 22:16
poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».Luca 22:17
E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi,Luca 22:18
poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio».Luca 22:19
Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».Luca 22:20
Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».
Non voglio troppo soffermarmi sull'ovvia considerazione di come il Vino (e quindi la vita), e il Pane (e quindi il grano), non sono solamente simboli cristici e solari (in quanto la vita e il grano traggono la vita proprio dall'azione solare), ma anche simboli Dionisiaci. Del resto siamo sinceri, quanto compiuto dai Titani (il nutrirsi delle carni e del sangue del fanciullo divino), è speculare a quanto compiuto dai fedeli che si nutrono della carne e del sangue del Figlio di Dio. Il parallelismo è talmente forte, da divenire coincidente, e non pochi imbarazzi ha suscitato e suscita fra i guardiani della Grande Chiesa.
Possiamo quindi parlare della morte di Dioniso come una comunione ante litteram, rispetto alla comunione
cristiana ? Sicuramente si, ma questo a mio avviso non deve generare la la falsa idea che il cristianesimo sia una sorta di plagio
di antichi culti pagani.
Piuttosto suggerisco l'esistenza di una tradizione "occulta" o "carsica", una gnosi trasversale, che attraversa varie espressioni
religiose: un fulcro simbolico e rituale invariato ed invariante, ponendo quindi il cristianesimo come elemento di continuità, e non
discontinuità con il mondo misterico antico.
Del resto è un assurdo parlare di plagio di antiche religioni, visto che i culti misterici non ne facevano parte, ma rappresentavano
un viatico iniziatico che si avvaleva nominalmente di elementi presenti nelle religioni e nella cultura contingente. Sempre sul filo
del parallelismo dobbiamo considerare come l'apparato religioso cattolico, sia ben lontano dalla semplice imposizione delle mani
apostolica. Suggerendo l'esistenza di una "gnosi" riservata alla casta sacerdotale, separata dai fedeli, frutto dell'introduzione
(dopo averla combattuta) di elementi gnostici all'interno della stessa Chiesa. Oppure della salvezza della Gnosi, attraverso un
camaleontico occultamento all'interno della stessa Grande Chiesa.
La comunione (termine con cui impropiamente si intende anche l'eucarestia), deriva da una parola greca che significa "unione".
Possiamo vedere questa unione sia in chiave di fratellanza degli astanti al rito o alla cerimonia, sia (nel caso dell'eucarestia)
nella chiave di "unione" fra il partecipante al rito e il simbolo del rito (il corpo e il sangue).
In questo i Titani bruti non sono dissimili dai Cristiani in attesa di ricevere la Grazia dello Spirito Santo. Se i primi divorano
avidamente le membra del fanciullo divino, i secondi accolgono nella propria bocca l'Ostia simbolo della Carne e del Sangue di ciò
che considerano figlio di Dio. L'evidenza ha sempre un prezzo: i Cristiani divorano il simbolo del corpo e del sangue del Dio
disceso nel quaternario, e così come Dioniso è stato imprigionato e divorato, così Gesù-Giovanni è stato tradito, imprigionato,
seviziato, ed infine sacrificato. Il prezzo di questa evidenza è la comprensione che durante l'eucarestia viene compiuto un atto di
teofagia, all'interno di un rituale di catarsi simbolica, che porta all'unione (comunione) fra la divinità e i fedeli.
Ciò che differenzia il simbolismo dell'ultima cena, da quello dionisiaco, non è tanto il cuore operativo, il pasto sacro; ma come e
il perchè ad esso si giunge. Altrove ho utilizzato l'espressione di centro nodale, di incrocio; ed indubbiamente ad un incrocio
possiamo giungere da strade assai diverse. L'incrocio non è giammai punto di arrivo, ma di successiva partenza; in un caso lungo una
dimensione tesa ad operare sul quaternario, e nell'altro a tradurre l'operatore verso il ternario: ma pur sempre all'incrocio
dobbiamo giungere, e il suo nome è Pasto Sacro.
In conclusione di questo paragrafo vorrei porre l'attenzione, del paziente lettore, sull'evangelica frase di "FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME". Tale imperativo ha come oggetto il pasto sacro, ed è rivolto agli apostoli e alla loro discendenza spirituale. Rappresentando il Cristo il simbolo a cui ispirarsi e conformarsi, onde giungere al Regno dei Cieli che non è di questo mondo (che non è sottoposto alle leggi, alle manifestazioni, e alle espressioni del quaternario). E' proprio la memoria che gioca un ruolo fondamentale nel processo iniziatico; è infatti il barlume, il barbaglio, della memoria che pone in atto il meccanismo del fare. Un meccanismo che ad esempio in Jaldabaoth (il Demiurgo gnostico) porta a ricreare una caricatura del mondo divino, distorto dalla sua follia e cecità, e nell'adepto a un processo di spogliazione interna, di reintegrazione di ogni parte mobile nel divino cuore della sua essenza ed essenzialità.
Conclusioni e paralleli.
E' bene precisare che questo nostro lavoro non ha voluto certamente tracciare un parallelismo fra Dioniso e il Cristo, che forse trova ancor maggiore affinità con la figura di Osiride. Bensì nella tradizione del pasto sacro, come fulcro magico ed iniziatico presente in molteplici culture. Seguendo il filo sottile del parallelismo (metodo), scopriamo che molte tradizioni ci hanno tramandato l'anelito del mondo delle tenebre, delle oscure terre dell'inconscio, degli atavismi, e delle pulsioni più brutali legati al binomio possedere-fare del mondo quaternario, verso la luce e il bello.
Un movimento quasi automatico, un desiderare cieco ed ottuso, ma comunque una spinta all'emersione, che è dettata dal distruggere, dall'inglobare; ma che trova così disponendo la propria fine. Nello Zoroastrismo abbiamo il movimento del mondo dele Tenebre, verso il mondo della Luce che porta i figli del capo demone a nutrirsi dell'uomo di luce, ma così facendo essi si rendono vettori dell'illumunizazione conoscenziale e coscienziale del loro regno,lasciando intravedere un futuro solare.Ancora, nello gnosticismo barbelotiano il pneuma si irradia nell'uomo creato dagli Arconti, ma si trasmette anche la particella di Sophia contenuta in Jaldabaoth e per discendenza in tutti i suoi tenebrosi figli, e nel mondo da lui creato. Nello stesso cattolicesimo abbiamo il sacrificio del figlio di Dio, attraverso la riproposizione eucaristica. I fedeli cibandosi delle carni e del sangue di Gesù-Cristo, precedentemente transunstanziate dal Sacerdote in un vero e proprio atto magico dove la Grazia divina agisce su elementi inerti quaternari sostantivizzandoli, rinnovano il loro essere figli e fratelli inseriti in una catena spirituale, in una corrente sottile. Che ciò poi avvenga consapevolmente o inconsapevolmente, che ciò sia reale o virtuale, lo lascio a successivi approfondimenti; visto che in questo ambito siamo orientati allo studio del simbolo e non ai requisiti sostanziali, oltrechè formali, necessari ad un'autentica e piena operazione trasmutatoria. I fedeli riconoscono la propria necessità di mutare, di rendersi conformi ad un Ideale Mistico e Pischico superiore oggi come ieri. E' il riconoscimento di uno stato difettevole, incongruo, bisognoso, che porta all'istanza di un cambiamento.
Nel mito di Dioniso, se la sua carne è l'elemento dinamico, attivatore di un cambiamento per i Titani, è Hera con la sua invidia, il riconoscimento della propria condizione di "elemento tradito" e "incapace" di aver generato il fanciullo Dioniso, a scatenare i Titani, che possiamo vedere come semplici automi, in preda ad una forza tellurica e cieca.
Vi è molto di simile fra Dioniso e il Cristo gnostico. Il mito di Dioniso ci narra che la carne di UNO viene data a molti. Uno disceso dal cielo, di un altro mondo, così come il Cristo che nella comunione viene dato a molti. Esiste un involucro il corpo di Dioniso, ed esiste il pneuma che esso contiene, che necessita di un'attivazione elettrica, ignea, per completare il processo.
Come vi è molto di simile nella Memoria Gnostica (di cui trasuda l'Inno della Perla, e la metafisica valentiniana), e le parole imputate al Cristo durante l'ultima cena.
Il Pasto sacro che ingenera una molteplicità di mutamenti, di risvegli, non solo sul piano fisico, ma anche sul piano psicologico ed animico. E' la forza della consapevolezza dell'atto, chi si oppone alla forza dell'atto inconsapevole; si deve essere fedeli al motto E' SACRO CIO' CHE E' SACRO.
Nel pasto sacro, in questa cannibalizzazione del divino (e ricordiamo come nelle antiche culture, il cannibalismo rituale era espressione di una sorta di percorso attributivo con cui il praticante/officiante attraverso l'ingestione assumeva le qualità della vittima), del resto è il Cristo che si paragona all'agnello sacrificale, viene assunto l'elemento pneumatico liberato da ogni involucro di fisicità. Una fisicità necessaria su questo piano così formale, affinchè ogni essenza trovi giusta manifestazione e abitazione.
Esiste su questo piano un binomio irripetibile, la cui dinamicità è stata studiata, ma la cui origine è completamente sconosciuta all'uomo di scienza. Questo binomio è ciò che è vita, e ciò che da la vita. Attraverso il pasto sacro colui che cerca, va oltre l'involucro quaternario in cui ciò è raccolto, per affondare se stesso nell'elemento sottile. Ed ecco quindi il Pasto Sacro, come necessario elemento ed alimento di un'operatività magica volta a ricondurre la sfera inferiore, verso una luce spirituale superiore; ma anche un monito sulla necessarietà di tale sfera tellurica: quale ineluttabile e potente propellente, una volta che è stato disgregato dall'azione elettrica del fulmine divino.
In chiave esoterica tale simbolo archetipale, questa liturgia, esprime un percorso di spogliazione sofferta e sofferente a livello individuale. Riservata e destinata a quei pochi che realmente si interrogano sugli agiti, le pulsioni, e gli atavismi che ispirano e determinano il loro cammino, e il loro essere ciò che sono. Insomma trattasi di suggerimento, di indicazione di una strada INTERIORE da seguire e perseguire con determinazione. In quanto è da ricordarsi che la funzione del simbolo e del mito, è quella di fornire delle chiavi interiori, e non di essere oggetto di astratta venerazione.
Tale prospettiva è custodita per i pochi che sanno dare seguito alle parole, nei due acronimi alchemici VITRIOL ed INRI. Nella lora duplice espressione di successione di fasi operative, e parole di potere.
Per quanto possa apparire disdicevole ai benpensanti, è bene porre in relazione questi antichi miti con la tradizione cristiana legata al'eucarestia, che sarà evidenziata oltre. Gli elementi emergenti, tratteggiano sicuramente la presenza (seppur sommersa:da qui carsica) di una tradizione occulta, che taglia trasversalmente culture, e tradizione religiose di quello che possiamo definire il Pasto Sacro.
E' il fuoco spirituale, che discendendo rinnova i quattro elementali. Un fuoco che arde qui, senza esistere qui. Che possiamo cogliere in un attimo, come perdere per una vita, ma del resto chi può dire quanto dura un attimo, e quanto dura una vita.
Figlio di Zeus, dio dall'aspetto di toro: alcuni dicono che a Dracano Semele ti concepì e ti partorì a Zeus ignore del fulmine, altri a Icaro battuta dai venti, altri a Nasso, altri lungo il fiume Alfeo dai gorghi profondi; altri affermano che tu sei nato a Tebe, signore. Mentono tutti: il padre degli uomini e degli dèi ti generò lontano dalla gente, nascondendoti a Era dalle bianche braccia. C'è un altissimo monte chiamato Nisa, fiorente di boschi, al di là della Fenicia, vicino alle correnti dell'Egitto ...
***
"... a lei offriranno molte statue nei templi. E poiché ti tagliarono in tre parti, ogni tre anni gli uomini ti sacrificheranno perfette ecatombi, per sempre". Così dicendo, il Cronide accennò con le sopracciglia scure: i capelli divini ondeggiarono sul capo immortale del sovrano, che fece tremare il vasto Olimpo. Così parlò il saggio Zeus, e diede un ordine con il capo. Siimi propizio, dio dall'aspetto di toro, che dai la follia alle donne: noi aedi ti cantiamo all'inizio e alla fine, e chi ti dimentica non può intonare una sacra canzone. Così ti saluto, Dioniso dall'aspetto di toro, e saluto tua madre Semele, che è chiamata Thyone