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Baalbek, eredità megalitica di un popolo senza
nome
a cura di Massimo Bonasorte
Il
complesso megalitico di Baalbek, in Libano, fu realizzato con
l’ausilio di strumentazioni tecnologiche? Furono davvero i romani a
porre in opera il Trilithion o, invece, continuarono a costruire su
una struttura preesistente realizzata da una sconosciuta civiltà?
Tra ipotesi, prove archeologiche e leggende facciamo il punto degli
studi.
La prima cosa che stupisce, visitando questo colossale complesso architettonico è la sua estensione e la sua monumentalità, infatti, i tre megaliti che compongono il cosiddetto Trilithion ovvero le “tre pietre”, sono alti come una costruzione di cinque piani. Le pietre furono tagliate e trasportate da una cava non molto distante, dove in un momento successivo, fu ritrovato un quarto monolite, la cosiddetta Hajar el Gouble, Pietra del Sud, oppure Hajar el Hibla, o pietra della partoriente, ancora imprigionata nella cava e pronta per essere separata. Le sue dimensioni sono enormi: 21 metri di lunghezza, 10 di altezza e uno spessore di 5 m, il peso stimato è di circa 1.200 tonnellate e si ritiene che venne lasciata in situ in seguito a un errato calcolo delle dimensioni.
Nel complesso religioso di epoca romana esistono altri due templi dedicati ciascuno a una divinità, in modo da realizzare la triade divina, Giove, Venere e Mercurio. Dei tre è il tempio di Giove il più enigmatico. Tutta la sua imponente struttura, infatti, è costituita da blocchi di pietra tra i più pesanti che si possono incontrare al mondo. Nel muro di sudest esiste una fila di nove blocchi di granito dove ciascuno ha un peso di 300 tonnellate, con una dimensione di 10 metri di larghezza per 4 di altezza e 3 di profondità. Nel lato opposto esiste un fila di 6 blocchi aventi le medesime caratteristiche, che fanno da base ai tre giganteschi blocchi del Trilithion. Le tradizioni locali che risalgono fino al Medioevo, specificano che il complesso fu costruito durante il regno di re Salomone, sulla base del confronto tra i blocchi megalitici e quelli che presumibilmente furono impiegati per la costruzione del Tempio di Salomone. Le fonti arabe, infatti, come Al Idrisi, viaggiatore e geografo arabo vissuto tra il 1099 e il 1166, affermano proprio che “il Grande, (tempio) dalla strabiliante apparenza fu costruito al tempo di re Salomone”. Della stessa convinzione era anche Beniamino di Tudela, (ca. 1160) viaggiatore ebreo, che nel Sefer massa’ot, visitando Baalbek scrisse: “Questa è la città che è menzionata nelle scritture come Baalath, nei pressi del Libano, che Salomone costruì per la figlia del Faraone. Il complesso fu costruito con pietre dalle dimensioni enormi”. Una versione che si ritrova anche nel testo biblico di Re, IX, 17 e 2 Cron. 8,6, in cui è menzionato il nome del re Salomone in connessione con un sito che potrebbe essere identificato con l’antica Baalbek, leggiamo, infatti: “Salomone riedificò Ghezer, Bet Horon inferiore, Baalath, Tamàr, nel deserto del paese […]”. Esiste, dunque, una relazione tra Baalbek e Baalath? Alcuni ricercatori sono molto diffidenti in questa identificazione ed esitano a considerare valida l’equazione Baalath-Baalbek, negando ogni relazione tra Salomone e le rovine, soprattutto perché se veramente il re avesse costruito una simile opera così imponente stupisce che non venga assolutamente menzionata nell’Antico Testamento. Questa attribuzione a Salomone si è perpetrata anche nell’800 con Robert Wood, autore di The ruins of Palmira and Baalbek, un’importante monografia dedicata a queste misteriose rovine, il quale affermò: “Gli abitanti del luogo, musulmani, ebrei e cristiani sono tutti convinti che Salomone costruì sia Palmira sia Baalbek”.
Nei testi dei musulmani, dei cristiani
maroniti e dei cristiani ortodossi, quindi, non viene mai menzionata
l’attribuzione ai romani della costruzione del sito, ma raccontano
che il primo insediamento di Baalbek fu costruito prima del diluvio
universale dallo stesso Caino, figlio di Adamo, che Yahwe bandì
dalla “terra di Nod”, per aver ucciso il fratello Abele. Una
versione confermata anche dal patriarca maronita Estfan Doweini, il
quale riferisce che “La tradizione ci dice che la fortezza di
Baalbek è la costruzione più antica del mondo. Caino la costruì
nell’anno 133 della creazione, durante una crisi di demenza feroce.
Le diede il nome di suo figlio Enoch e la popolò con i giganti che
erano stati puniti dal diluvio per la loro iniquità”. Secondo le
sacre scritture la cittadella cadde in rovina al tempo del diluvio e
fu successivamente ricostruita dai giganti sotto il comando di
Nimrod, il grande cacciatore, e re del paese di Sennar (Genesi 10,
32). Altre leggende narrano che Nimrod ribellandosi al suo dio
costruì la torre di Babele.
Le fonti classiche Dopo il periodo di regno di Salomone, i fenici si stanziarono nella zona, divenendo i signori incontrastati della Siria, e scelsero Baalbek per stabilire il tempio di Baal, dio del Sole. Poco si conosce di questi anni. Nell’XI sec. a.C. le armate assire di Tiglatpileser I giunsero sulla costa del Mediterraneo, ma leggendo gli annali assiri, il sito di Baalbek non è mai menzionato tra le città fenicie, dunque, possiamo dedurne che almeno in quel periodo, il sito non godeva di molta importanza politica o commerciale, forse era solamente un piccolo centro religioso. Probabilmente, il tempio era dedicato alla triade Baal, Astarte e Mercurio. Durante il periodo tolemaico, tra il 323 e il 198 a.C., il sito di Baalbek fu identificato dai greci con il nome di Heliopoli, la città del Sole, assumendo lo stesso toponimo della più celebre città del Basso Egitto. A partire dal 27 a.C. la zona passò sotto il dominio romano, e l’imperatore Augusto decise di costruire il tempio Giove, il dio del Cielo, la più importante delle divinità per i romani, come per i greci era Zeus. E’ probabile che tale scelta rispondesse alla volontà di rimpiazzare l’antica divinità preesistente, il semitico Baal, che possedeva caratteristiche in comune con Zeus-Giove. Il toponimo di Baalbek, come molti studiosi affermano, ha il significato di Signore della Beqa’a, oppure Signore della Città, a seconda dell’interpretazione. Nei testi arabi spesso è identificata con Baal bikra, o Baal del bue o dell’agnello, seguendo l’etimologia popolare che associa il valore semantico al culto che veniva seguito nel tempio. In epoca romana, l’oracolo di Baalbek era molto venerato tanto che l’imperatore Traiano, alla vigilia della guerra con i parti, nel 115 scrisse ai sacerdoti di Baalbek per ottenere un vaticinio. Anche durante il IV sec. Macrobio nei suoi Saturnali dichiarò che “il tempio di Baalbek è il più famoso degli oracoli”. Il tempio romano, come abbiamo già detto, fu costruito sopra un podio preesistente costituito da enormi blocchi. Gli archeologi suggeriscono che proprio tale piattaforma di pietra faccia parte di una struttura non finita, appartenente a un tempio a cielo aperto, costruito dai sacerdoti seleucidi al di sopra di un tell, una collina artificiale, dell’Età del Bronzo. Alla metà del secondo secolo circa, fu aggiunto il cosiddetto tempio di Bacco, o Mercurio. In direzione sud al di fuori della grande corte, sorge il tempio più picciolo dedicato a Venere. In accordo con le teorie più accreditate dalla comunità archeologica, la storia di Baalbek risale approssimativamente a 5.000 anni fa. Gli scavi archeologici sembrano confermare tale ipotesi, infatti, durante i lavori di scavo effettuati nelle vicinanze della grande corte del tempio di Giove, sono venute alla luce tracce di insediamenti databili all’Età del Bronzo Medio (1900-1600 a.C.), costruito su un livello di frequentazione più antico che risale al 2900-2300 a.C.
Tecnologie impossibili
Il mistero di Baalbek risiede soprattutto nei
suoi megaliti, non si conoscono, infatti, i metodi impiegati per
mettere in opera i blocchi, posizionati a una considerevole altezza
da terra, 6 metri, e abilmente inseriti nella struttura del tempio.
Prima che Roma conquistasse il sito e costruisse l’imponente tempio
di Giove, e molto prima che i fenici vi stabilissero la sede del
tempio dedicato al dio Baal, a Baalbek, esisteva già una vasta
costruzione formata da blocchi megalitici, forse il lascito di una
civiltà megalitica di cui se ne sono perse ormai le tracce. Il
Tempio di Giove era davvero imponente, le sue colonne erano alte
fino a 32 metri, con una larghezza pari a circa 4 metri. Purtroppo,
solamente 6 di queste splendide colonne hanno resistito ai secoli.
Incredibile è l’imponenza dei blocchi su cui poggia il tempio, che
stando alle stime dei ricercatori, attualmente nessun macchinario
sarebbe in grado di mettere in opera. Su tale argomento è stato
chiesto a Bob MacGrain, direttore tecnico della Baldwins Industrial
Services, una delle più importanti industrie inglesi, di provare a
spostare con i propri macchinari la Pietra del Sole. Ebbene, si
pensò di utilizzare una gru, la Gottwald ak912, in grado di lavorare
con pesi fino 1.200 tonnellate. Il macchinario, però, risultò
inutile al momento del trasporto, in quanto tali gru non possono
muoversi durante il carico di un tale peso, dunque, sarebbe stata
necessaria una macchina dotata di cingoli.
Note: (1) Alan Alford, Il mistero della Genesi delle Antiche Civiltà, Newton & Compton, 2000. Per gentile concessione di:
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