L'Asino

di Alessandro Orlandi

 

 

   

                                                                                                                                                                                                                                                                         

Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone” (Isaia I,3)

Nell’antico testamento l’asino non ha necessariamente una funzione negativa. Ad esempio il profeta Baalam cavalca un’asina che ha il potere di parlare e vedere le cose invisibili, che lo avverte delle presenze angeliche che gli ostacolano il cammino. Nella tradizione cristiana Gesù nasce in una grotta riscaldato dall’alito di un asino e di un bue. Anche se la tradizione non è attestata prima del 350 dopo Cristo, è difficile non accostare questa immagine a un “passaggio di testimone” con il preesistente culto isiaco. Il bue- toro era infatti un animale sacro ad Api e Osiride, dei della luce e della resurrezione, mentre l’asino (per la precisione l’asino rosso) era l’animale sacro a Seth, fratello e avversario del dio Osiride, dio delle tenebre, ctonio e malvagio. Se questa fosse veramente l’origine del mito della nascita di Cristo, allora la discesa nel mondo del fondatore del cristianesimo sarebbe l’allegoria di una armoniosa fusione tra luce ed ombra, tra la forza chiara e quella oscura: un fanciullo divino riscaldato dal soffio, dall’ “anemos”, dei due animali emblematici dei due opposti princìpi. Ritroviamo un asino alla fine della vita di Gesù, quando egli entra a Gerusalemme cavalcando un somaro. L’asino, nel momento culminante della vicenda del Cristo, è quindi “cristoforo”, “portatore del cristo”, fatto che veniva interpretato dagli alchimisti secondo i princìpi della cabala fonetica : l’asino è “colui che porta l’oro”, ruolo tradizionalmente svolto da Mercurio-Hermes. Perché immaginare che, tra tutti gli animali del mondo, il portatore di oro debba essere proprio l’asino? La cosa ci apparirà forse meno strana ricordando che, nella mitologia greca, il personaggio più strettamente collegato all’asino e all’oro è Mida. Il mitico re viene spesso raffigurato con due grandi orecchie d’asino: avendo assistito alla gara musicale tra Apollo e Marsia, l’incauto Mida decretò infatti la supremazia di quest’ultimo. Apollo non doveva essere un tipo troppo sportivo, infatti, dopo aver vinto la gara con l’inganno[1], condannò Marsia ad essere scarnificato e gratificò Mida di un bel paio di orecchie d’asino per punirlo del suo verdetto sfavorevole. L’altro episodio che collega Mida a un asino è riferito all’aiuto che egli fornì a Sileno, che era caduto dalla sua cavalcatura, un asino appunto, perché ubriaco. Il re aiutò Sileno a rimettersi in sella e a recarsi da Dioniso.  Fu ricompensato da Dioniso col dono di trasformare in oro tutto ciò che avrebbe toccato. Ben presto Mida si rese conto che si trattava di un dono fatale: trasformando tutto in oro non poteva più né nutrirsi né avere rapporti con i suoi simili. Infine Dioniso  liberò Mida da quell’infausto potere facendogli immergere le mani nelle acque del fiume Pattolo. Potremmo vedere questi due miti sotto una luce diversa ricordando che per i popoli indoeuropei, in particolare per gli hyksos e gli ittiti, le lunghe orecchie asinine erano un simbolo regale e sapienziale[2], che indicava un udito più sottile del normale, in grado di percepire ciò che era precluso all’uomo comune. La gara di Apollo, dio dell’equilibrio, della spiritualità e dell’armonia, contro Marsia, uno del corteo di Dioniso[3], collegato alla liberazione sfrenata degli istinti, al rigenerarsi della natura, agli impulsi sessuali ed animali, allo scorrere della linfa primaverile negli alberi, è la gara della lira contro l’aulos, i due strumenti musicali che caratterizzavano il dio e il satiro. L’idea infantile che Apollo debba vendicarsi di Marsia e punire Mida potrebbe invece rovesciarsi nel suo contrario, se ammettiamo con gli alchimisti  che Apollo, semplicemente, abbia dato sia a Marsia che a Mida ciò che loro spettava: la scarnificazione e la morte di Marsia sono il tormento della Materia Prima che racchiude l’oro alchemico, le orecchie d’asino di Mida sono il segno visibile che, dichiarando Marsia vincitore, Mida non si era lasciato ingannare dalle apparenze, dal suono ingannatore della lira di Apollo, ma aveva individuato nel suono dell’aulos la sorgente della vera immortalità , celata dietro l’aspetto caduco e mortale del rinnovarsi ciclico della natura, in quella musica che aveva il potere di risvegliare e scatenare gli istinti. Non dimentichiamo che la lira di Apollo era stata costruita da Mercurio, re degli ingannatori, con un guscio di tartaruga e delle budella di bue e poi scambiata con la verga di Apollo, che aveva il potere di condurre le anime avanti e indietro dal regno dell’Oltretomba. Per l’alchimista Dom Pernety, che in “Le favole egizie e greche”, interpreta alchemicamente il mito di Mida che conduce Sileno da Dioniso, Sileno è la materia prima su cui lavorano gli alchimisti, Dioniso (secondo Pernety il suo nome significa “il dio che è al termine del cammino”) rappresenta il potere trasmutatorio dello spirito racchiuso nella materia. E l’asino è la cavalcatura in grado di condurre il ricercatore e la materia prima fino a quell’ambito traguardo. Ma lo spirito non ha né può avere una natura solo individuale,  né il singolo individuo può abusare durevolmente delle sue prerogative e nutrirsi dei suoi frutti. Dom Pernety fa derivare il nome del fiume in cui Mida immerge le mani, il Pattolo, dal greco paktos e da paktoo, riunire, legare, congiungere l’uno all’altro.  Conclude dicendo: “ Infine Mida si disfa dell’incomodo potere di mutare tutto in oro comunicandolo al fiume Pattolo, lavandosi in quello le mani. E questo precisamente accade alla Pietra dei Filosofi quando si tratta di moltiplicarla. In tal caso si è obbligati a metterla nell’acqua mercuriale nella quale, dice il Trevisano, il re del paese deve bagnarsi. Là egli si toglie l’abito di drappo di fino oro. E questa fontana, in seguito, concede ai fratelli del Re quest’abito e la sua carne sanguigna e vermiglia, perché diventino simili al Re. Quest’acqua mercuriale è veramente un’acqua “pattola”, perché deve in parte coagularsi e diventare oro filosofico.” Gli alchimisti raffigurarono a volte i loro tre principi fondamentali, mercurio, zolfo e sale, con un demone con tre teste d’asino.

Torniamo ora ai Misteri di Iside. Nelle “Metamorfosi o l’Asino d’oro” Apuleio racconta le peripezie di un neofita che deve trasformarsi in asino e subire varie umiliazioni prima di poter incontrare la dea ed essere iniziato. Qui l’asino rappresenta con ogni evidenza l’aspetto più arcaico ed animale della personalità: tra le varie vicissitudini Lucio, il protagonista dell’ “Asino d’oro”, mentre ha ancora sembianze asinine, viene sedotto da una matrona, per nulla spaventata dall’enorme membro dell’asino. In seguito Lucio fuggirà, avendo saputo che la matrona è stata condannata a morte e a ripetere l’atto in pubblico con lui. Solo l’aspetto fallico del nostro essere, quello legato alla terra e alle forze cieche dell’istinto, sembra dirci Apuleio, è in grado di sopportare il peso delle prove che possono renderlo degno di essere iniziato, solo quell’aspetto del nostro essere, il più umile, racchiude la luce dello spirito[4]. Solo dopo averlo sperimentato e incarnato possiamo sperare di trascenderlo. Dopo la fuga l’asino – Lucio si sottopone a un rito di purificazione e, dopo essersi cibato di rose, può finalmente riacquistare la forma umana ed essere iniziato.

In relazione a quanto detto a proposito del romanzo di Apuleio, è impossibile non pensare ad almeno due favole universalmente note, nelle quali la pelle di asino è il rivestimento che cade di dosso al protagonista al momento del suo riscatto e della sua trasformazione: Pelle d’asino[5] e Pinocchio. A proposito dell’asino e del potere di Mida di trasformare tutto in oro è invece utile citare la favola contenuta nella raccolta dei fratelli Grimm, che narra di un padre che lascia ai suoi tre figli altrettanti doni, uno dei quali è un asino i cui escrementi sono monete d’oro.

I greci ritenevano che l’asino fosse un animale in stretto rapporto con Saturno e con Tifone, con l’aldilà e col mondo ctonio, il che non deve stupire se si pensa che i tamburi sciamanici, il cui suono spalanca allo sciamano le porte del mondo ultraterreno, sono spesso rivestiti proprio con la pelle di questo animale. Forse dobbiamo l’immaginario cristiano del diavolo proprio a una reminiscenza del modo in cui veniva rappresentato Tifone dai greci, un dio mostruoso e spaventevole, con la testa di asino e le ali di pipistrello.

I Romani festeggiavano il dio Saturno in prossimità del solstizio invernale, durante le feste appunto denominate Saturnalia. Era il periodo del volgere dell’anno, concepito come argine tra un ordine antico, in disfacimento, e un nuovo ordine, non ancora instaurato. Era ammesso che durante quelle feste ogni inversione di ruolo fosse possibile: i servi potevano improvvisarsi padroni e trattare i loro veri padroni come servi, ci si poteva mascherare ed erano ammessi scherzi e lazzi di ogni genere.  Veniva persino eletto per burla il “re per un giorno”, di solito il membro più sfortunato e dileggiato della comunità. Nel medioevo questa tradizione proseguì con le cosiddette “Feste dei folli”[6], la più nota delle quali è la festa dell’Asino. Un asino veniva trascinato in chiesa, i preti indossavano un cappello sormontato da finte orecchie d’asino e una coda posticcia e venivano recitate preghiere ridicole e grottesche, mentre i più umili prelati impersonavano importanti vescovi o addirittura il papa. Evidentemente un rituale di rovesciamento, un sovvertimento dell’ordine costituito, una “liberazione temporanea”, controllata, da quell’ordine[7]. Allo stesso ordine di idee appartengono tutte le rappresentazioni del “Mondo alla rovescia” (l’asino che suona la lira, simbologia approfondita anche dal musicologo Marius Schneider, l’asino in piedi con gli occhiali che insegna agli studenti) studiate da Giuseppe Cocchiara.[8]

Giordano Bruno dedicò all’asino (e al cavallo) un intero libello, intriso di quella sublime vis polemica che lo caratterizzava: la “Cabala del cavallo pegaseo”. In questa invettiva satirica l’asino rappresenta, come avviene nel senso comune, l’ignoranza e l’ignavia.    Nel sonetto “In lode dell’Asino” Bruno scrive:

O sant'asinità, sant'ignoranza,
 
Santa stolticia e pia divozione,
 
Qual sola puoi far l'anime sì buone,
 
Ch'uman ingegno e studio non l'avanza;
 
Non gionge faticosa vigilanza
 
D'arte qualunque sia, o 'nvenzione,
Né de sofossi contemplazione
 
Al ciel dove t'edifichi la stanza.
 
Che vi val, curiosi, il studiare,
 
Voler saper quel che fa la natura,
 
Se gli astri son pur terra, fuoco e mare?
 
La santa asinità di ciò non cura;

 
Ma con man gionte e 'n ginocchion vuol stare,
 
Aspettando da Dio la sua ventura.

Nessuna cosa dura,
 
Eccetto il frutto de l'eterna requie,
 
La qual ne done Dio dopo l'essequie.”

E’ evidente che il nolano vuole qui contrapporre alla ricerca della sapienza e delle cause remote che determinano il nostro destino, la ottusa devozione che non si cura di comprendere né il mondo, né l’universo, ma solo di seguire i precetti comandati dalla chiesa e dalla comunità di cui si fa parte. Quest’ultimo atteggiamento incarna l’asinità, così gradita alla chiesa, agli occhi di Bruno.

Al contrario gli alchimisti videro nell’asino un princìpio sapienziale: un involucro dentro in quale è necessario entrare perché la trasformazione possa avvenire, proprio come nella fiaba di “Pinocchio” e in quella di “Pelle d’asino”.



[1]  Sfidò Marsia a suonare il suo strumento rovesciandolo, cosa evidentemente possibile con la lira, ma non con l’aulos. E’ interessante ricordare che l’aulos, il flauto di Pan,  fu inventato dalla dea Athena.

[2]  Scrive Franco Cardini sul suo blog che: “Presso i popoli indoeuropei le orecchie lunghe dell’asino erano un simbolo regale e sapienziale, collegato alla sacralità stessa dell’orecchio…che anche secondo il buddhismo è sede del brahman e l’organo attraverso cui si accede alla conoscenza del mondo invisibile

[3] A volte nel mito, invece di Marsia, figura il dio Pan

[4] Nelle “Rane” di Aristofane la servitrice di Dioniso si rivolge al dio, che le ha deposto un fardello sulla schiena, dicendo: “Io sono l’asino che porta i Misteri”, il che fa supporre che durante la celebrazione dei Misteri il compito di trasportare gli oggetti del culto fosse affidato a un asino.

[5] Scrive l’alchimista Canseliet: “La focaccia di Pelle d’asino è simbolo della stessa sostanza in seno alla quale si aviluppa lentamente e pazientemente l’embrione minerale

[6] Cfr. ad esempio J. Herres, “Le feste dei folli”, ed. Guida, Napoli 1990 oppure M. Taddei: “Rituali di rovesciamento: l’esempio delle feste dell’asino nel medioevo” http://www.ctonia.com/pagine/Scritti/patiboli/rituali_di_rovesciamento.htm. Delle feste dei folli e della festa dell’Asino parlano anche Fulcanelli nel Mistero delle cattedrali (ed. Mediterranee, Roma 2005) e R. Guenon nei “Simboli della scienza sacra (Adelphi, Milano, 1975)

[7] Il riferimento all’onagro contenuto nel “Fisiologo”, un testo gnostico del III secolo d.C., allude invece all’asino/onagro come animale in rapporto col demonio, che annuncia con i suoi ragli che le ore di buio stanno per superare quelle di luce: “Ha detto il Fisiologo che l’Onagro si trova nelle regge e che nel venticinquesimo giorno del mese di Famenòth si può riconoscere dall’Onagro che è l’equinozio. Infatti quand’esso ulula dodici volte il re e la corte riconoscono che è l’equinozio. L’Onagro è il demonio, quando la notte, cioè il popolo dei Gentili, è divenuta eguale al giorno, cioè ai fedeli profeti: allora ha ululato l’Onagro, cioè il demonio.”

[8] Cfr. G. Cocchiara, “Il mondo alla rovescia”, Boringhieri, Torino 1981

   


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