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Willermoz Quaderno 2 |
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Risposta a due domande del Fratello Lajard di Montpellier del
22 Marzo 1818. Sulla eternità delle pene e sulla contraddizione tra libero arbitrio e potenza e prescienza divina.
1. Sulla eternità delle pene.
Questa parte tratta della nostra ripulsa: "a pensare che il padre, creatore di tutti gli esseri, che li ama con il più tenero amore, che li
ha emanati dal suo seno al fine di renderli tutti eternamente felici, voglia condannare quelli tra i suoi figli che l'orgoglio potrà rendere
ingrati e ribelli, ad essere eternamente separati da lui, ad odiarlo e a maledirlo eternamente senza che la sua misericordia abbia loro
lasciato per sempre alcune mezzo di riparazione per mezzo del loro pentimento."
L'esame di questa difficoltà è preceduta da una curiosa discussione sul valore della parola Eternità: in generale si ammette che non ne
esista che una, "nonostante ve ne sia più di una. Per esempio, si può confondere l'Eternità infinita di Dio, che non ha né inizio né fine e
che Dio solo conosce e può definire, con l'Eternità temporale che è cominciata con la legge del tempo e con la creazione dell'Universo, il
cui primo periodo e fino alla disgregazione dell'Universo era stata accordata ai primi colpevoli come mezzo di ritorno se ne avessero voluto
approfittare, ma che il loro secondo crimine, che è la seduzione e la caduta dell'uomo che essi trascinarono nell'abisso in odio al
Creatore, ha reso completamente inutile per essi .... Non si potrebbe neppure compararla con altre eternità temporali che potrebbero,
secondo i disegni della giustizia e della misericordia, seguire indefinitivamente al tempo presente, fino a che la legge e la durata di
questo sarà compiuta."
Eternità temporali! Ecco una bella trovata! Il loro succedersi, indefinitivamente ripetuto, poggia sul capitolo XXI dell'Apocalisse in cui
l'autore vede nascere nuovi cieli ed una nuova terra, essendo i primi completamente scomparsi. È uguale alla legge dei Kalpas dell'induismo:
"un nuovo ordine di cose, un tempo nuovo, una nuova eternità."
Anche sul Male Willermoz scrive una frase curiosa:
"Il Male non è un essere reale; è l'opposizione al Bene e durerà il tempo che durerà questa opposizione. Il Male è generato dal pensiero
orgoglioso che l'ha concepito, dalla malvagia volontà che l'ha adottato e l'ha posto in atto identificandosi con lui. Il Male è così poco un
essere reale che verrebbe distrutto se il pensiero che l'ha concepito e la volontà che l'ha adottato cambiassero; il principio del Male e
tutti coloro che vi aderiscono e lo professano, se riconciliati con il rifiuto del loro smarrimento e con un pentimento espiatorio,
rientrerebbero nel regno dell'unità."
La storia delle due cadute, quella degli angeli e quella degli uomini, è presentata da Willermoz così come è stata insegnata da Martinez.
Impieghiamo, per la prevaricazione di una parte dei primi spiriti emanati dalla divinità, parole di questo ultimo: "il loro crimine fu ....
di aver portato il loro pensiero spirituale fino a voler essere creatore delle cause terze e quarte." E per l'uomo: il crimine di Adamo fu
che egli si lasciò sedurre dalle insinuazioni degli angeli ribelli e volle creare anche lui degli esseri simili a sé stesso.
L'effetto della prevaricazione degli angeli fu la creazione dell'Universo materiale.
"Subito dopo che la prevaricazione degli spiriti ribelli fu consumata, la giustizia divina dovette espellerli, dovette bandirli dalla sua
presenza .... L'universo fisico e lo spazio universale, con tutto ciò che esso contiene, furono creati all'istante … per essere d’ora in
avanti il luogo del loro esilio, della loro punizione e nel quale sarebbe stata esercitata tutta la malizia della loro azione demoniaca. Il
loro capo divenne il principe del Male."
Veniamo ora all'uomo:
"Allorquando la creazione dell'universo viene effettuata il sesto giorno, l'uomo generale, cioè la classe delle intelligenze umane, viene
emanata da Dio nel cerchio della sua immensità che gli viene destinata. Colui che chiamiamo Adamo, capo di questa classe di nuovi esseri,
viene emancipato nello spazio creato per manifestarvi la potenza divina come agente e rappresentante della divinità, posto al centro delle
quattro regioni celesti chiamate Paradiso terrestre, che i più grandi geografi hanno cercato invano e che non scopriranno mai sulla
superficie della terra, così come i quattro fiumi che lo irrigano; se fosse rimasto fedele al proprio Creatore, Adamo occuperebbe ancora,
con tutti i suoi, questo luogo dal quale, dopo il suo crimine fu espulso ignominiosamente e mandato a strisciare materialmente sulla terra."
"Fu punito per aver mancato alla sua funzione di restringere l'azione demoniaca" e di aiutare il Creatore per portare alla resipiscenza gli
angeli caduti. Fu investito della potenza quaternaria temporale che gli dette potere di agire sulla terra, sull'acqua, sull'aria e su tutti
gli abitanti di queste tre regioni. Il quarto potere di Adamo fu quello che Martinez chiama "l'atto di creazione della posterità sotto forma
spirituale" o, per usare termini più comprensibili, di creare degli esseri a lui simili.
Vediamo ora in quali termini Willermoz ha concepito la "caduta" del primo uomo:
"Adamo, abbagliato dallo splendore di una sì grande potenza che avrebbe dovuto sottomettere interamente a colui dal quale l'aveva ricevuta,
cedette ad un pensiero di orgoglio e, considerando tale potenza come sua, si compiacque con sé stesso."
Il principe dei demoni conobbe immediatamente questo pensiero d'orgoglio e se ne servì abilmente per spingere il protoplasto a "mettere in
opera" il suo quarto potere, non umilmente e secondo la volontà di Dio, ma con una volontà orgogliosa ed ispirata dal Capo degli Spiriti del
Male. Il crimine comportò la punizione di Adamo e di tutti i suoi discendenti; essi furono espulsi dallo stato di gloria (il Paradiso detto
terrestre), perdettero la loro forma non passiva gloriosa e furono precipitati nella materia.
Willermoz si contentò di tracciare la storia della caduta in quanto causa esplicativa della pena applicata all'umanità. Quanto ai dubbi che
possono essere concepiti riguardo alla giustizia divina, cioè relativamente all'eternità delle pene, mi sembra che egli li risolva
indirettamente rilevando con una certa enfasi la relatività della concezione che noi abbiamo dell'eternità.
2. Sul libero arbitrio.
L'esposizione di Willermoz sul libero arbitrio è veramente curiosa. Egli comincia con lo stabilire ciò che anime timorate potrebbero
considerare blasfemo, cioè che gli uomini esagerano il dogma della prescienza divina e ne superano i limiti.
"Dio è l'essere, il solo essere necessario e dotato di ogni perfezione; la Sua essenza è bene e non può volere il male .... Il bene è la Sua
legge che Egli estende sugli esseri da Lui emanati per unirli a Lui per mezzo dell'amore del Bene; ma essi sono tutti liberi di seguire la
Sua legge o di allontanarsene e tale libertà è in essi come debolezza ed imperfezione ....
Dio conosce tutto ciò che è ma, nonostante l'estensione della Sua prescienza, non può conoscere e giudicare ciò che non è più e cioè il
nulla, poiché il nulla è niente. Subito dopo che l'essere pensante ha concepito un pensiero qualunque, questo va a colpire il trono di Dio
che lo vede e lo giudica. Egli l'accoglie se è conforme alla Sua legge e lo respinge se è contrario. L'essere che l'ha concepito si
comporta, nelle azioni quotidiane, secondo la propria volontà. Dio, conoscendo anche le disposizioni interiori e l'inclinazione naturale del
soggetto che l'ha concepito per il bene o per il male, giudica in anticipo, per mezzo della Sua divina prescienza, l'uso che l'essere ne
farà e lo premunisce, per mezzo di sollecitazioni salutari che non limitano in nulla la sua libertà, contro il pericolo da cui è minacciato.
È questo che causa la lotta interiore, questo stato di esitazione dello spirito che tutti gli uomini provano tanto spesso .... "
È chiaro che questa spiegazione non spiega niente. L'inquietante problema rimane: come concepire la "libertà" dell'uomo quando ogni azione è
prestabilita, quando ogni cosa è conosciuta in anticipo e così voluta? Non un passero cadrà a terra senza la volontà del Padre (Matteo, X,
29). Se veramente ogni uomo è ciò che è, già eletto per la salvezza o per la dannazione, predestinato nel tenore della sua vita morale, vi è
bisogno di una curiosa acrobazia logica per far concordare elezione, predestinazione e libero arbitrio.