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MARTINISMO E PITAGORISMO Francesco Brunelli
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Ci porremo subito la domanda se esistono rapporti tra
pitagorismo e martinismo, se esistono cioè dei legami o delle identità tra la
corrente che vede come iniziatore Pitagora ed il Martinismo nella sua più vasta
accezione.
A leggere Papus appaiono come suol dirsi «cose grosse», leggiamolo insieme (Initiation
Agosto 1898): «... La Provvidenza ha voluto opporre una corrente cristiana alla
corrente pagana e di origine pitagorica che ha centralizzato una parte delle
opere di diffusione iniziatica. Dalla sua creazione il Martinismo è stato
l’oggetto di attacchi appassionati da parte dei vari cleri e soprattutto del
clero romano, che si figura essere il solo rappresentante di Dio nell’umanità.
Così si accusarono i Martinisti di essere dei ministri dell’inferno, dei maghi
neri ed altre baie del medesimo genere, che non impedirono affatto i progressi
rapidissimi dell’Ordine. È allora, che in un campo tutto opposto, nacque un
nuovo genere di calunnie. Gli ignari settari del Grande Oriente di Francia... si
accorsero che oltre al Rito scozzese che essi avevano quasi completamente
annichilito, esisteva in Francia un Ordine di illuminati che metteva il nome di
Cristo in testa a tutti i suoi atti ufficiali e che osava trattare i suoi
avversari con educazione... Così ecco il Martinismo accusato di essere
anticristiano dagli ignari del clero e di essere una creazione dei Gesuiti dagli
ignari del Grande Oriente (di Francia)».
È evidente la causa emotiva della polemica che ha guidato queste righe di Papus
e non è il caso di farne, per tale ragione, un processo, anche perché in questo
caso Papus identifica la corrente pagano-pitagorica con il Grande Oriente di
Francia che allora non era né pagano né pitagorico ma solamente anticlericale ed
iconoclasta e che perciò con Pitagora ed il pitagorismo aveva poco a che vedere.
Nella Massoneria è vero si trovano evidenti tracce di pitagorismo, ma non si può
affermare che la Massoneria è tutta pitagorica e fuori di ogni polemica anche
Papus lo sapeva!
Lo spasso fu che allora questo «pezzo» (nel 1923-24) fornì lo spunto per un
attacco di Reghini che stava allora risvegliando la scuola italica e la corrente
pitagorica ed un ramo di Martinisti guidati dal Sacchi, che a dire il vero non
brillavano certo per intelligenza. Essi si fecero mettere fuori dalle Massonerie
di Palazzo Giustiniani e di Palazzo del Gesù, auto-proclamarono la propria
giurisdizione su tutto il mondo e via dicendo, pur partendo da presupposti che
si sarebbero anche potuti condividere. Ed è carina la fine con cui il Reghini,
buon polemista, conclude un suo articolo approfittando della «debolezza» di
Papus, ecco la sua conclusione: «Ma la Provvidenza, come dice il Papus, ha fatto
sorgere il Martinismo per opporre una corrente cristiana alla corrente pagana di
origine pitagorica. E sia, ma la Provvidenza non vorrà mica pretendere che
lasciamo libero il campo alla intolleranza cristiano-martinista, diretta da
molto incogniti e poco superiori capi invisibili?».
Queste polemiche ora sono cessate da un pezzo, l’autorità del Reghini in materia
pitagorica è indiscussa, lo stesso Papus (a parte la storia del Cristo che ha
sempre identificato con Iod Schin Vau He, ed è errato) pone Pitagora e la sua
scuola nel posto che loro compete ed è appena sufficiente leggere le sue opere
per rendersene conto.
Spunti polemici a parte, Robert Ambelain così scrive nella sua opera «All’ombra
delle Cattedrali»: sul frontone della sua scuola, Pitagora aveva fatto incidere
queste parole: «Che nessuno entri se non è geometra». Questa sentenza ci svela
una delle basi del suo insegnamento esoterico, perché noi vediamo che i suoi
adepti consideravano come una profanazione e la punivano conseguenzialmente la
rivelazione delle proprietà del numero d’oro e di un certo numero di altre
chiavi... Martinez de Pasqually nelle sue logge e nel grado di Apprendista
Eletto Cohen ci insegna segretamente la stessa cosa quando fa dire: «Quali sono
gli strumenti per mezzo dei quali il Grande Architetto dell’Universo si è
servito nella costruzione del Grande Tempio universale?».
Al che il recipendiario deve rispondere «di un triangolo, di una perpendicolare
e di una squadra perfetta».
Ed il triangolo ebraico entro il quale si iscrivono in ritmo ed in progressione
denaria le quattro lettere del nome divino Iod He Vau He, non è altro che una
alterazione della Grande Tetractis delle iniziazioni antiche il cui studio
intelligente porta l’adepto sul sentiero magico ed alchemico, vero sesamo
aprente molte porte allo studioso paziente. «Io lo giuro per colui che ha
trasmesso alle nostre anime la divina tetractis nella quale si trova la sorgente
e la radice della eterna natura...». Tale è, come la trasmise Giamblico, la
formula dei giuramenti d’ingresso nella iniziazione dorica.
Il Martinismo è tributario del pitagorismo sotto aspetti particolari, così come
tutte le scuole iniziatiche lo sono.
Sia Martinez de Pasqually, sia Louis Claude de Saint Martin nelle loro opere
hanno introdotto elementi pitagorici.
Le Forestier, il più valido studioso di Martinez, nel suo libro dedicato
all’Ordine degli Eletti Cohen afferma ciò nel corso della sua analisi dell’opera
di Martinez: «L’aritmetica e la geometria segrete contenute nella Reintegrazione
sono lasciti provenienti dal più lontano passato. L’idea di attribuire ai numeri
un valore mistico rimonta ai più antichi tempi di cui la storia delle
civilizzazioni ha conservato un ricordo. Formulata filosoficamente, questa idea,
afferma che l’essere è identico al numero e che il numero, nello stesso tempo, è
l’essere stesso, l’elemento materiale e l’elemento formale, la causa ed il
principio, in modo che, se tutte le cose sono dei numeri, la scienza dei numeri
è la scienza delle cose... Questa dottrina è comunemente chiamata aritmetica
pitagorica perché fu formulata sistematicamente da Pitagora, o quanto meno,
trasmessa dal pitagorico Filolao, tuttavia questa denominazione tradizionale non
tiene conto della questione delle origini perché gli elementi di cui fa uso
questa aritmetica esoterica esistevano certamente prima dei pitagorici».
Le Forestier continua lo studio dello sviluppo della scuola pitagorica con i
neopitagorici che fecero derivare dalla aritmetica mistica una geometria mistica
stabilendo dei rapporti tra numeri e figure e prosegue esaminando l’opera di
Giamblico, Plotino, Proclo, S. Agostino ed ammette una tradizione segreta nel
medioevo che trasmetteva i segreti dell’aritmosofia soprattutto tra i
costruttori che utilizzavano l’architettura come un linguaggio esoterico.
Ricorda nel XV secolo Nicola da Cuma e giunge al XVI secolo in cui «l’aritmosofia
conobbe una nuova voga quando gli umanisti amalgamarono le teorie
neoalessandrine, con gli assiomi attribuiti a Pitagora ed i temi cabalisti,
mettendosi a ricercare nei testi ebrei le idee pitagoriche e nella Kabala la
vera dottrina filosofica della scrittura». Ricorda così Reuchlin, Giorgio da
Venezia, Cornelio Agrippa, Giordano Bruno, il più grande pitagorico del
Rinascimento Van Helmot per giungere alla fine dello stesso secolo in cui
l’aritmetica pitagorica cessa di essere studiata e coltivata apertamente e si
rinserra nei cenacoli esoterici, manifestando la sua vitalità quando fornirà
alla Massoneria simboli e numeri sacri, il delta (la tetractis pitagorica), il
Pentalfa e via dicendo.
Giungiamo così a Martinez.
Pasqually, i cui Maestri sono rimasti sino ad oggi un enigma, donde ha tratto la
sua aritmosofia? Essa non è certo esclusivamente cabbalistica poiché comprende
degli sviluppi che si discostano in molti punti da questa corrente.
Daremo qui qualche cenno dell’aritmosofia Cohen per coloro che hanno un poco
approfondito gli studi condotti lo scorso anno dall’Ordine Martinista. Martinez,
per i numeri UNO, DIECI e QUATTRO segue grosso modo il Pitagorismo. L’unità per
i pitagorici era vista come il Padre di ogni numero e per conseguenza degli
esseri, del Demiurgo del mondo, la radice di ogni esistenza, il principio della
conoscenza e della individuazione.
Dalla Monade, dall’Uno derivano tre tipi di unità: quella Assoluta o Dio che era
separata da ogni altra cosa; l’Unità-elemento che veniva considerata come
inseparabile dalla cosa e l’Unità dell’Essere Reale.
Per Martinez l’Unità era un principio di ogni essere spirituale e temporale e da
buon cabbalista essa è per lui incomprensibile ed inconoscibile, è l’Ain-Soph
che non si può né comprendere, né esplorare con la intelligenza: egli quindi
identificava l’Unità con il Primo tipo di Monade pitagorica, quella cioè
Assoluta.
La DECADE di Martinez ha una importanza pari a quella attribuitale dai
pitagorici, è la Forza Divina ed increata che produce la permanenza eterna delle
cose in questo mondo. «Da questo nuero denario — dice — proviene ogni essere
spirituale maggiore, inferiore, minore, come ogni legge d’azione sia spirituale
sia spiritosa. L’addizione dei quattro numeri compresi nel quaternario, da DIECI
e dalle differenti unioni di questi differenti numeri concepirai in che modo
tutte le cose sono provenute...»; in altre parole DIECI è il numero perfetto ed
universale perché contiene la essenza e la potenza dei numeri, infatti i primi
dieci sono sufficienti ad esprimere la infinita varietà delle cose, i loro
attributi e le loro proprietà. Martinez inscrive nel cerchio la cifra UNO per
simboleggiare l’unione dell’Unità con la decade, del Dio emanante con il Dio
emanato.
Anche il quaternario al quale Martinez fa giuocare un ruolo preminente, è una
replica della Tetrade pitagorica, e così via per tutti gli altri numeri, per il
Due o «diade», per il sei, per il sette. Per il Cinque Martinez si distacca dai
pitagorici per ammettere con i cabbalisti che è un numero demoniaco poiché
corrisponde ai cinque Angeli distruttori. Una particolare menzione merita il
numero Otto che viene interpretato alla maniera egizia. Gli egizi infatti
sdoppiavano i quattro elementi in maschili e femminili ottenendo l’ogdoade
simbolo della forza vivificante che Martinez trasporta sul piano mistico. Per il
TRE segue la tradizione pitagorica e per il NOVE da una sua propria
interpretazione e non è possibile identificare la sorgente.
Anche in Martinez ritroviamo le combinazioni di numeri secondo la prassi
pitagorica, mentre la geometria mistica appare piuttosto rudimentaria se si
compara con quella dei pitagorici e soprattutto con quella dei neo-pitagorici.
Questo in breve l’apporto pitagorico al Martinismo di Martinez che esaminato
profondamente appare rimarchevole perché funge da base, da intelaiatura alla sua
teoria e perché dà delle chiavi interpretative ed analogiche senza le quali la
comprensione del suo trattato appare di indubbia difficoltà. Anche la sua
«Teoria dell’asse fuoco centrale» su cui non ci intratteniamo, ha degli spunti
pitagorici e la ricordo di sfuggita a chi la conosce. I pitagorici infatti
ritengono il fuoco centrale, la Monade prima, l’armonia dei contrari, il nodo
vitale dell’universo, la sorgente del calore, della vita, l’anima del mondo, la
sua quintessenza.
Louis Claude de S. Martin, il discepolo di Martinez, che abbiamo nella nostra
ascendenza, non rifugge dall’aritmosofia ed il suo volume postumo «Des Nombres»
ne fa buona fede. Sappiamo che S. Martin abbandonò le pratiche teurgiche del suo
Maestro e si dedicò essenzialmente alla via cardiaca, tingendosi poi
marcatamente di cristianesimo. Questa è una necessaria premessa per comprendere
l’opera di S. Martin.
Bene, il libro è frutto di sue personali meditazioni e non è neppure stato
ricorretto dall’Autore; ora dobbiamo tener presente che la meditazione sui
simboli è una tecnica raccomandata in tutte le scuole iniziatiche e che la
meditazione sui numeri è importantissima, perché il numero come simbolo è in
grado di dare suggerimenti ed illuminazioni maggiormente «astratti» poiché non
evoca assolutamente alcuna rappresentazione fisica.
Nel volume è evidenziabile una influenza pitagorica anche là ove Saint Martin
tenta, in base alle sue speculazioni, di correggere i pitagorici. E questa
influenza è un fatto estremamente naturale perché il pitagorismo è connaturato
con la scienza tradizionale e nessuna tradizione può esimersi dal considerare il
numero proprio come lo consideravano Pitagora ed i pitagorici.
Nel volume comparso postumo, quindi senza la sua autorizzazione, S. Martin
sviluppa una originale interpretazione dei numeri che in qualche caso si
discosta da quella dei pitagorici ed in tal’altro contrasta, a sostegno di una
interpretazione in chiave cristiana dell’aritmosofia. Il Reghini, sempre attento
e mordace, non si fa certo sfuggire l’occasione per addentare chiunque si
discosti dalle sue interpretazioni e pertanto S. Martin è anche lui regolarmente
servito a proposito del numero sette.
Sentiamolo perché merita.
«Il numero Sette è l’unico numero della decade senza padre e senza madre e per
questa ragione era paragonato e consacrato a Minerva... dea della Sapienza... di
(quella) Sapienza divina che non appartiene al mondo della generazione, essa è
trascendente, olimpica, umanamente inconcepibile».
Il Sette infatti è un numero che, entro la decade, non è generato per
moltiplicazione da nessun altro numero ed a sua volta non genera entro la decade
ed è per questo che si dice che è senza «madre» e «vergine».
«Louis Claude de S. Martin... si sbizzarrisce nei suoi scritti e segnatamente
nell’opera postuma “Des Nombres”, in un suo sistema di mistica cristiana dei
numeri e farneticando devotamente non si perita di affibbiare ai pitagorici dei
supposti errori per poterli loro rinfacciare ad esaltazione della propria
fede... egli afferma per esempio che: “Pitagora ed i suoi discepoli si sono
sbagliati quando hanno detto che il Sette è senza padre e senza madre” e
giustifica tale sentenza con la bella ragione che “il numero Quattro è il padre
e la madre dell’uomo che, in effetti secondo la genesi, fu creato maschio e
femmina per mezzo di questa potenza settenaria contenente tre e quattro”. Ora
Pitagora ed i suoi discepoli non hanno mai detto nulla di simile ed il Filosofo
sconosciuto fa tutta una confusione tra quello che narra il Vangelo a proposito
di Melkisedek che era senza padre e senza madre, ed il fatto che per i
pitagorici il sette era un numero sacro a Minerva perché, come Minerva, non
sacro e non generato!».
A parte quest’unica perla, che se ve ne fossero state altre il Reghini non le
avrebbe certamente risparmiate, il libro postumo di S. Martin è di particolare
interesse perché dimostra (anche con la sua interpretazione cristiana e proprio
per questo, a mio giudizio) l’universalità della intuizione pitagorica
dell’aritmetica.
Questo interesse emerge anche dal fatto che le massime libertà nella
interpretazione del simbolo debbono essere salvaguardate contro ogni
dogmatizzazione, perché se la speculazione ed i risultati della meditazione e
della illuminazione sono validi, la significazione ultima del simbolo resta e
deve restare sempre eguale alla sua essenza, cioè a se stessa.
Così, passo passo, tra storie e richiami, dal nostro fondatore Martinez siamo
giunti, passando per S. Martin e Papus e Ambelain, al Martinismo contemporaneo.
Cosa resta del pitagorismo oggi nel Martinismo?
Vi sono diversi elementi nella tradizione Martinista in nostro possesso di
sicura matrice pitagorica e che per essere compresi richiedono un ricorso al
pitagorismo.
In primo luogo il «modus iniziandi». La trasmissione dei segreti e del
«sacramento dell’ordine» avviene da uomo ad uomo, così come avveniva nel
pitagorismo; anche se vi sono presenti altri membri dell’Ordine, l’iniziazione è
un qualche cosa che avviene tra Iniziatore ed Iniziando. Nel Martinismo non v’è
bisogno di un luogo appositamente riservato per le iniziazioni, esse possono
aver luogo al riparo o in piena aria, sulla cima di un monte o sulla sabbia di
una spiaggia, ed è proprio questo modus, come è noto, che ha permesso alla
corrente pitagorica sia di propagarsi, sia di perpetuarsi attraverso lo spazio
ed il tempo.
In secondo luogo il «Silenzio», il «Segreto». E qui è inutile dilungarci.
In terzo luogo simboli e numeri.
Vediamo di elencarli, ciò è sufficiente dopo un anno di studio sul pitagorismo:
L’Associato è posto davanti all’Unità ed al Ternario.
L’Iniziato è posto davanti al binario ed al Pentacolo dell’Ordine (che contiene
in sé leggi e numeri abbraccianti la decade) ed al Pentalfa. A lui si domanda:
«Quali sono i temi delle vostre meditazioni?» e l’Iniziato risponde: «I simboli,
le lettere, i numeri, le figure geometriche chiamate pentacoli».
Il S.I. viene posto di fronte ad un grosso problema che può risolvere solo
mediante la chiave pitagorica e martinezista e dalla sua risoluzione dipenderà
la sua liberazione ed il passaggio dal piano quaternario ad altro piano. Ma di
ciò è d’uopo tacere!