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INFLUENZA DELLE
DOTTRINE DELL’ANTICO EGITTO Aldeberan
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Per affrontare con qualche successo un argomento del genere disponendo del tempo e dello
spazio riservati ad un breve saggio, è necessario soffermarsi su tre elementi principali della storia (e dei miti) dell’antico Egitto, dagli egittologi ricostruita sulle basi delle iscrizioni su steli e piramidi e dal ritrovamento di antichi papiri:
• Una brevissima panoramica del periodo eneolitico;
• Un riassunto delle teogonie con particolare riguardo a quelle di Helioplolis e di Memphis;
• Un cenno sulla religione funeraria.
Entrando subito in argomento, dai Testi delle Piramidi, scritti non come comunemente si crede nelle grandi piramidi di Giseh, bensì in quelle più modeste e trascurate dalla cultura spicciola, dei Re della Va e della VIa dinastia (ad esempio Unas e Pepi I e II, intorno al 2500-2280 circa a.C.) sappiamo che l’Alto Egitto costituiva il regno di Seth mentre il delta del Nilo era diviso in due gruppamenti di staterelli chiamati NOMI che sarebbero stati unificati da un Re di nome Osiride.
Suo figlio Horo avrebbe poi conquistato l’Alto Egitto sconfiggendo Seth.
Secondo l’egittologo tedesco Kurt Sethe ciò si sarebbe verificato intorno al 4100 a.C., epoca
in cui si sarebbe adottato il calendario solare. La capitale si sarebbe trovata a Heliopolis nei pressi
del territorio dove oggi sorge il Cairo.
Da questi testi – che narrano fatti accaduti nell’epoca eneolitica e quindi preistorica, prima
cioè che fosse stata creata la scrittura – si ha quindi un primo punto di riferimento sull’antichità e
probabile realtà storica della leggenda religiosa di Osiride, Dio, o meglio sovrano del Nome di
Abydos.
Tuttavia, sappiamo come prima che i due Re, padre e figlio (Osiride e Horo) si
confondessero con i due Dei che portarono i loro nomi (è ciò è detto negli stessi testi delle Piramidi)
che nel tempo della prima dinastia – dal 4000 al 3000 circa a.C. – si adorava Râ (Ré), il Sole, e pare
che tale culto provenisse proprio da Helioplolis, forse la più antica città fra i Nomi dell’Egitto. Non
si deve peraltro dimenticare che il primo Dio dell’Egitto, considerato il Creatore, padre-madre degli
Dei, è Atum.
La parola Atum che esprime l’idea della totalità, ma anche quella del nulla (si potrebbe
quindi dire dell’infinito) nella realtà si riduce ad un’astrazione. E i teologi heliopolitani – secondo
Jacques Vandier – l’avrebbero affibbiata quale nome al Dio locale per stabilire un tratto di unione
fra la religione del luogo e quella cosmica. Sebbene le opinioni in merito a Atum siano divergenti
(Hermann Kees traduce Atum come "Colui che ancora non esiste", mentre Sethe, in tale contesto,
preferisce dare alla radice TON che esprime, come detto, sia la totalità che il nulla, il significato
della totalità) è mia opinione, considerato il ruolo affidato ad Atum quale Dio cosmico, e visto
ch’egli anche è sempre rappresentato sotto la forma umana, che le due interpretazioni sono
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complementari e si amalgamano. Intendendo le interpretazioni di Kees (colui che ancora non esiste)
come "NON ESSERE", con ciò indicando, similmente ai Rg-Veda, quello che esisteva prima del
"principio", ovvero l’inconoscibile e l’interpretabile, si accoglie anche l’ipotesi di Sethe sul Tutto.
Infatti, citato dai Rg-Veda, l’Inconoscibile, il Non Essere dice: "Con tre parti di me stesso feci tutto
questo universo". La quarta parte è la radice, inconoscibile, dell’albero Aswartta, che sta nell’alto
mentre i suoi rami e cioè il mondo visibile, sensibile e fenomenico, pendono verso il basso.
È anche certo che i Re delle prime dinastie erano deificati post-mortem, se non già adorati
quali Dei in vita. I Testi delle Piramidi ce ne danno una prova dove, nei geroglifici dipinti nella
piramide di Unas (ultimo Re della Va dinastia, vissuto, o morto, intorno al 2400 a.C.) dicono
(riporto soltanto qualche brano): "…tremano le ossa del Dio della Terra alla vista di Re Unas
splendente e potente come Dio che vive nei suoi padri e si ciba delle sue madri…lo splendore di Re
Unas è nel cielo; la sua potenza nel regno della luce, come quella di suo padre Atum. Questo lo ha
creato, ma Unas è più potente di Lui; egli è il Toro del Cielo…Re Unas è comparso in cielo
incoronato con il serto dell’Alto Egitto, quale signore del regno della Luce. Unas ha ingoiato
l’essenza di ogni Dio". In sostanza, Unas si identifica col Sole.
È da osservare che i Testi delle Piramidi, la più antica scrittura sacra dell’Antico Impero,
quando la religione era ancora quella di Atum e di Râ, sono una letteratura mortuaria riservata ai
Re, e rispecchiano la caratteristica sacrale della sovranità di quel tempo, che cominciò a decadere
alla fine della VIa dinastia, con Pepi II (2280 a.C. circa) quando questi testi mortuari compaiono in
piramidi dedicate a regine, e poi non più dopo quelli dipinti a lapislazzuli nella piramide del Re
dell’VIIIa dinastia, quando già aveva preso piede la deificazione di Osiride e la sua religione
cominciava ad aprire a tutti i mortali la possibilità di identificarsi in lui. Da ciò appare evidente che,
mentre i Testi delle Piramidi, rispecchiando la vita religiosa dell’antico Impero e le cerimonie
funebri riservate al monarca sacro, erano quindi testi rituali, i successivi Testi dei Sarcofaghi e, poi,
il più noto e sempre citato Libro dei Morti, che aprivano la porta alle aspirazioni all’immortalità di
tutti mediante particolari formule che dovevano trarre in inganno i giudici dei morti, erano soltanto
testi magici. Ciò nonostante, il famoso imbroglio usato dal trapassato davanti al tribunale di Osiride
non sempre aveva effetto. L’iscrizione di 330 dei Testi dei Sarcofaghi si riallaccia a dati mistici del
tempo sacrale, e dice: "Io vivo, io muoio, io sono Osiride. Sono uscito da te, sono entrato in te, sono
cresciuto in te, caduto in te: sono caduto sul mio fianco. Gli dei vivono di me. "Vivo, muoio, ma
non perisco". È importante l’accenno alla caduta sul fianco, che si richiama esplicitamente – almeno
a mio avviso – all’iscrizione 1878 dei Testi delle Piramidi dove si esorta il defunto sovrano a
"scuotere la sabbia" dalla sua faccia (si presupponeva dunque una sepoltura in una tomba di sabbia)
e poi si diceva: "Sollevati sul fianco sinistro e appoggiati al fianco destro", movimenti e posizioni
rituali in mancanza dei quali a nulla poteva servire la formula magica.
Sempre sulla sacralità dell’Antico Impero va sottolineato come la religione di allora era
chiaramente solare e maschia (come dirò più avanti parlando della dottrina della generazione),
indice di tradizioni iraniche che in qualche modo possono far pensare a dinastie giunte dal di fuori e
impostesi alle tranquille popolazioni autoctone. Che si trattasse di religione solare è chiaramente
espresso nei Testi delle Piramidi, laddove Re Unas si vede vivere nei suoi padri e cibarsi delle sue
madri. La degenerescenza comincia quando il rito è usato per la regina e si concreta col mito di
Osiride e la parte prevalente in tale mito riservata, poi, alla sua sorella e sposa Iside.
Passando ad osservare, quanto mai sommariamente le teogonie egizie, da Atum, Dio di
Heliopolis, che si identifica ad un certo momento con Râ, sarebbe stata generata la coppia Shu-
Tefnut rispettivamente dio dell’aria e dea dell’umidità (a mio avviso dell’acqua).
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Shu-Tefnut avrebbero a loro volta generato Geb-Nut che, poi, dettero vita a quattro tra
fratelli e sorelle, cioè Osiride-Iside e Seth-Nepthis.
Questa serie di Dei forma, usando un termine greco, l’Enneade heliopolitana alla quale si
contrappone, in seguito, l’Ogdoade di Hermopoli quando questo Nome prende temporaneamente il
sopravvento. Nella Ogdoade non si parte da Atum ma da una prima coppia Nun-Nonet che
rappresentano l’oceano primordiale, da essa nasce la seconda Huh e Hohet che sono l’acqua; la
terza Kuk e Koket sono l’oscurità; l’ultima, infine, che conclude questa teogonia gioca il ruolo più
importante e sarebbe, secondo Sethe, quello del "soffio che plana sulle acque" ripreso poi dalla
Bibbia.
Le teorie sul come si generavano o sorgono gli Dei e poi avvenga la creazione del mondo
sono varie e spesso in contrasto fra loro. Sethe e Kees, i due maggiori studiosi di egittologia, sono
sempre ai poli opposti: d’altronde il Pantheon egiziano è così vasto, e le influenze del Nome più
importante di un periodo storico sugli altri Nomi e, conseguentemente sugli dei e sulla religione
loro, modificano le funzioni, specie quelle creative così come, ad esempio, è il caso di Ammone,
ultimo Dio dell’Ogdoade hermopolitana, che ad un certo momento diventa – per ragioni politiche –
il Dio più importante d’Egitto e il padre degli Dei. Per ritornare, poi, durante il basso impero al suo
ruolo iniziale e cedendo la sua importanza a Horo.
Per le considerazioni che seguiranno è opportuno prendere in esame due delle dottrine più
antiche, ritenute fondamentali per l’analogia che presentano con altre religioni: quella detta
heliopolitana e quella memfitica nelle quali gli dei creatori sono rispettivamente Atum e Ptah. Di
Atum ho già detto delle sue sembianze umane e delle sue qualità. Per Ptah il discorso è diverso. Un
frammento dell’inno a Ptah (Papiro di Berlino 3048, VIII, 2) dice che questo Dio è "Colui che ha
formato tutti gli Dei, gli uomini e le bestie; che ha creato (irj) tutti i paesi e le rive dell’oceano nel
suo nome di formatore della terra" (meglio, a mio avviso, che dà forma alla terra in quanto egli,
Ptah, è rappresentato sotto veste di fonditore). In una tavoletta della XIXa dinastia, pure conservata
a Berlino, si dice: "esser Ptah che ha fatto (Irj) ciò che è, che ha creato (Km) ciò che esiste". Da
notare come il verbo irj è tradotto da una parte come creare, dall’altra come fare ciò che è, in
sostanza, può aver scarsa importanza in senso generale, ma dimostra come gli stessi egittologi non
siano proprio d’accordo sul significato da attribuire allo stesso verbo. Volendo sottilizzare si
potrebbe affermare che "fare" non è "creare" in quanto si può fare anche su ordinazione, ma non
creare. Ciò potrebbe nel contesto che presenta Ptah come fonditore (e di conseguenza un facitore
dar ragione a coloro che sostengono essere Ptah soltanto l’esecutore della volontà di qualcuno che
gli sta sopra. Si vedrà poi come ciò sia sbagliato.
Secondo la teoria heliopolitana Atum, Dio primordiale, genera prima di tutto l’aria e
l’umidità (Shu e Tefnut) che a loro volta generano la terra e il cielo (Geb e Nut dai quali nascono,
come già detto, Osiride e Iside, Seth e Nephtys i quali ultimi – secondo Kees (Götter glaube)
rappresentano le forze politiche del mondo ormai creato e identificato con l’Egitto.
Ma come fa Atum da solo a generare la coppia Aria-Umidità? Va qui affermato che è stato
proprio il sistema teogonico heliopolitano a creare la dottrina classica della creazione per
generazione. Secondo i Testi delle Piramidi (1248 c.) riprodotti da Kees nell’opera citata, Atum
"prese in mano il suo phallus e ciò provocò la nascita della prima coppia: Shu e Tefnut". Ne
consegue che il Dio primordiale creatore ha generato per masturbazione: i testi non dicono di più
ma è da supporre che Tefnut sia, più che l’umidità, l’acqua sulla quale plana Shu, l’aria, o meglio il
Soffio. La masturbazione di Atum ha provocato il lancio del seme (l’umidità, ovvero l’acqua) a
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mezzo della spinta di un soffio (aria – o meglio – a mio avviso pneuma, come si ritrova in certa
tradizione greca in cui si parla di una certa aria ovvero di un pneuma che esiste nel seme maschile).
Successivamente, sempre secondo I Testi delle Piramidi (1652 c.) e quanto scrive il Morenz
in Melanges Jahn a pagina 24, Shu e Tefnut risulterebbero nati non dal Phallus di Atum, bensì dalla
sua bocca. Si tratta di alcune considerazioni fatte sulle radicali dei loro nomi e cioè sull’ipotesi che
Shu deriverebbe da iss (espettorare, cacciar fuori dal petto, ciò che dà l’idea del soffio) e Tefnut da
tf (sputo). Pertanto i due Dei maschio e femmina sarebbero l’aria prodotta dalla espettorazione e
l’umidità, liquido o acqua rappresentata dallo sputo del Dio primordiale o originario.
È mio preciso avviso che questa tarda interpretazione, probabilmente derivata – come si
vedrà tra poco – dalla dottrina memfitica, non cambia per nulla il senso della prima ipotesi. Infatti
simbolicamente il mezzo che effettua l’espulsione del seme dal phallus di Atum è perfettamente
rappresentato dal soffio dell’espettorazione, e il seme stesso dello sputo.
Bisogna giungere alla supremazia di Memphis, nel tempo compreso fra la IIIa e la Va
dinastia, cioè pressappoco dal 2800 al 2560 a.C., perché la più nobile teoria della creazione dalla
bocca del Dio primordiale, col mezzo della parola, prenda piede grazie a Ptah.
L’iscrizione di Shabaka, esistente al British Museum, tradotta da Sethe, dice: "L’Enneade è
nata dai denti e dalle labbra di questa bocca che ha dato il loro nome a tutte le cose; dalla quale Shu
e Tefnut sono usciti, quella bocca ha creato l’Enneade". E, poi, le parole creatrici "sono concepite
dal cuore e ordinate dalla bocca" ciò che significa che la divinità le crea nel centro della sua vita e
del suo pensiero pubblicandole poi sotto forma di sentenza, come sostiene giustamente il Morenz
nel suo La religion Egyptienne (pagina 218) allacciandosi sia pure con qualche divergenza, alla
splendida ipotesi di H. Junker (Das Götterlchere von Memphis) autentico piccolo trattato di
psicologia degli uomini dell’Antico Impero che vi cito riprendendolo da Jacques Vandier (Pag. 66
del suo La religion égyptienne): "La lingua e il cuore esercitano la loro potenza su tutte le membra.
Partendo da questa considerazione e cioè che il cuore si trova in tutti i corpi e che la lingua è in tutte
le bocche di ogni Dio, di tutti gli uomini, di tutto il bestiame, di qualsiasi essere che strisci e si
arrampichi, e che il cuore concepisce tutto ciò che vuole, mentre la vista, l’udito e la respirazione
portano al cuore delle informazioni, è chiaro esser lui, il cuore il maestro di ogni conoscenza, e la
lingua la ripetitrice di ciò che il cuore ha pensato. È così che sono eseguite tutte le opere e tutti i
lavori degli artigiani, le attività delle mani, la marcia dei piedi, i movimenti di tutte le altre membra,
secondo quell’ordine concepito dal cuore e che è stato pronunciato dalla bocca e che costituisce la
natura di tutte le cose". Questa "ipotesi" è stata ricavata da Junker mettendo insieme una specie di
piccoli episodi narrati senza legame nell’iscrizione della stele di Shabaka e non è un mistero che
essa è riportata, seppure in altra forma ma con la medesima sostanza, nel rituale del 94o grado del
rito di Memphis e Misraim (Principe Patriarca di Memphis). In merito va anche detto che nella
dottrina teogonica di Memphis si trova l’antica concezione dell’identità fra le parole e le cose (da
me e dai miei maestri sempre sostenuta) perché, come dice l’iscrizione di Shabaka "è la bocca che
dà il loro nome a tutte le cose" e di conseguenza per il fatto stesso che le nomina, le crea; e così si
può affermare, viceversa, che le cose non esistono quando non sono nominate e ciò è logico perché
quando si parla di uno stato primitivo si dice: "Quando questa cosa non aveva nome ancora".
Un’idea questa che conferma la sacralità dell’epoca memphitica quando si pensi che per il suddito
di un Re-Dio (Re-Sacerdote) un ordine era inevitabilmente seguito dal suo effetto. Era come se,
attraverso la parola del sovrano si passasse, come in effetti dovrebbe essere, dalla potenza all’atto.
Dirò ancora una cosa prima di passare alla religione funeraria: Una concezione heliopolitana fa
derivare da Atum anche due Dei-idee, "Sentenze" (Hw) e "Conoscenze" (Sj) nomi che dimostrano
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come questi due dei siano simboli della lingua e del cuore come, più tardi ai tempi della supremazia
di Ammone, essi appariranno come tali nel papiro di Leyda I, ‘ço, V, 16: "La Conoscenza" (Sj) è il
cuore di Ammon-Râ, la Sentenza è le sue labbra".
"Quando" è avvenuta la creazione? Prima o dopo il Principio? La creazione ha avuto luogo
prima – dicono gli Annali d’Oudi mou.
Sulla religione funeraria, appare chiaro, da quanto si è detto in merito alle iscrizioni
all’interno delle Piramidi, che durante l’Antico Impero vigeva una religione solare, gli stessi Re
erano figli del Sole o addirittura si immedesimavano con lui, la loro posizione era quella del Re
Sacerdote e la loro morte li poneva di diritto nel Pantheon degli Dei. L’esempio più clamoroso di
tale realtà è il mito di Osiride assurto prima a far parte, sia pure per ragioni politiche, dell’Enneade
heliopolitana, e poi a rappresentare il Dio, se non più importante, almeno il più invocato del
Pantheon egiziano. Va anche detto, per l’epoca antica, che nell’apparire della teoria "stellare"
secondo la quale i morti raggiungevano il cielo inferiore (o notturno) delle stelle, i Testi delle
Piramidi sono piuttosto scarsi di notizie sia per l’innata antipatia provata dagli egiziani per la notte,
sia perché una tal teoria poneva in pericolo tutta la sacralità sulla quale basava la vita d’allora. In
sostanza la vittoria della teoria "stellare" su quella "solare" si può addebitare al fatto che fino a
quando soltanto i Re avevano il diritto di essere ammessi nel cielo dei morti, su chi avrebbero
potuto regnare nell’aldilà? Ecco l’opportunità se non la necessità di farsi accompagnare non solo nel
viaggio verso il cielo notturno, ma anche nell’eternità. Ecco che le stelle, dimora delle anime dei
morti, diverrebbero la corte del Re morto: le stelle erano riservate, come corte del Re, ai suoi
compagni. Ecco estendersi prima alla famiglia del Re, poi ai suoi parenti, quindi ai funzionari più
potenti e via via, nel tempo, a tutti, la possibilità di fare il viaggio verso il cielo notturno e diventare
una stella. Poi di identificarsi addirittura con Osiride.
La religione funeraria con trionfo di Osiride ha inizio con la fine della Va dinastia, nel
periodo dei Testi dei Sarcofaghi, ma la sua vittoria definitiva sulla vecchia credenza si verificò agli
inizi dell’XIa dinastia quando nella sua lotta contro Aerakleapolis, il Re Antef I di Tebe si
impadronì di Abydos, culla del culto osiridiano. La ragione politica convinse il Re Antef, in
contrapposizione al suo avversario Kheti II che si riteneva l’erede dei Re di Memphi e quindi
sostenitore della religione solare, a far propagare il mito di Osiride. I successori di Antef I, Antef II
e Antef III, continuando la lotta con i sovrani della Xa dinastia Kheti II, Merikaré e Kheti III,
continuarono la politica del loro predecessore fino a quando Tebe ebbe il sopravvento su
Erakleapolis e la religione di Osiride trionfò definitivamente. Cessa così il periodo dell’Antico
Impero ed ha inizio, intorno al 2065 a.C. il Medio Impero nel quale non si può più parlare di vera
religione solare. La degenerazione ha portato, se non alla democratizzazione politica, alla
democratizzazione religiosa e cioè al diritto di tutti all’immortalità: ci si è incamminati su quella
strada che porterà, nel campo religioso, alla supremazia naturistica e quindi di carattere femminile.
Mi sembra superfluo ricordare la leggenda di Osiride e l’avvento della triade Osiride-Iside-
Horo: quanto ha riportato Plutarco è noto dovunque tant’è che si ritiene, anche da parte di gente
istruita, che il vero Dio d’Egitto sia Osiride, con ciò facendo confusione senza pari, dato che il ruolo
d’Osiride, importantissimo come Re dei Morti, non è quello di Dio creatore ma di Dio della Natura
(Nuovo Impero) in funzione della sua caratteristica – fra altre – di Dio della vegetazione, di Dio del
Nilo e addirittura di Dio lunare, dato che egli fu identificato con la luna. Resta comunque certo che
Osiride, su tutti i bassorilievi come pure sulle scritture geroglifiche appare sempre come un Re, e
questo aspetto è inseparabile dal suo mito e dal suo culto. Come dice giustamente James Frazer
Osiride in tutte le sue storie è considerato come un Re morto, dato che il ruolo di Re vivente è
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invariabilmente tenuto da suo figlio ed erede Horo; questa religione di Osiride e di Horo è alla base,
non solo del culto funerario dei Faraoni ma anche del rituale del templi: Noret afferma che Osiride è
un Dio dell’agricoltura così come in vita fu il re che difese e propagò le coltivazioni; non ci si deve
poi dimenticare delle piene del Nilo e dell’influenza della Luna su di esse: ed Osiride viaggiando
lungo il Nilo morto nella sua bara, lo avrebbe fecondato, a parte il fatto che essendo egli stesso la
Luna, ne assumerebbe le influenze che essa ha sulle acque.
Non è possibile concludere questa sommaria disamina della materia essenziale per la
trattazione del tema senza soffermarsi sulla personalità e sui poteri di Iside, sorella e sposa di
Osiride. Mi limiterò a riassumere quanto dicono Sethe (Urgeschitche) e i Testi delle Piramidi (1154
c.). Si tratta di una delle figure più popolari e maggiormente toccanti del Pantheon egiziano. Pare
che nulla, al principio, le riservasse il ruolo di sposa fedele da lei poi assunto nella mitologia
dell’antico Egitto. La sua unione con Osiride, per il suo carattere che si può considerare mistico
testimonia la sua origine teologica. Ma, evidentemente, (secondo Kees in Götter glaube) Isis deve
essere considerata una Dea-madre e ciò sarebbe confermato dal suo nome che significa "il seggio",
ovvero il "trono".
L’affermazione di Kees è poi confermata dal mito osiridiano secondo la versione del Nuovo
Impero come risulta da famoso papiro di Berlino noto come Le lamentazioni di Iside e di Nephtys.
"La storia toccante di Osiride e di Iside – scrive il Vandier nella sua opera citata (pag. 53) –
aveva sedotto il popolo egiziano, senza dubbio perché ella rappresentava il trionfo della vita
familiare, della fedeltà coniugale, dell’amore materno e della pietà filiale".
E, a quanto ha dimostrato il tempo, ha sedotto greci e romani, ed ha trovato rispondenza in
quasi tutte le religioni mediterranee.
Alla luce di quanto esaminato non possono sfuggire numerose analogie con l’Antico ed il
Nuovo Testamento, con le teorie gnostiche dei primi cristiani e con la massoneria.
Altre analogie appaiono evidenti con le teorie cabalistiche mentre è addirittura massiccia
l’influenza della religione e dell’esoterismo egiziani sul tardo ellenismo, principalmente dopo la
conquista macedone del delta del Nilo, la fondazione di Alessandria e l’avvento della dinastia
tolemaide sul trono dei Faraoni.
Se, poi, si volesse prendere in considerazione il parere dell’enciclopedista ateo Charles
Dupuis, che nel 1794 pubblicò quel suo mastodontico libro sull’origine di tutti i culti, nel quale
affermava che tutte le religioni derivavano dal firmamento e le teogonie erano basate sullo studio
dei sette pianeti e dei dodici segni zodiacali nonché su regole astrologiche, l’analogia sarebbe
completa, non solo per la religione egizia, ebraismo e cristianesimo, ma addirittura per tutte le
religioni, rivelate o meno.
Ma la sua teoria, che poteva anche andare bene in Francia nel 1794 quand’egli identificava
la religione egizia nel mito di Osiride narrato da Plutarco, e tanto per fare un altro esempio, quella
hindù, sul culto di Visnù, non va più bene oggi nonostante tutti i suoi sforzi – da buon assertore
degli "immortali principi", per dimostrare la verità delle sue asserzioni e il trionfo della "Dea
Ragione".
Io mi auguro che le particolari influenze e le analogie di cui al tema di questo saggio siano
trattate particolarmente da numerosi fra i presenti.
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Per mio conto, senza entrare nel particolare, mi accontenterò di indicarne alcune, forse tra le
meno note e meno appariscenti:
A) 1) "Non aggiungere, né togliere alcuna frase o parola e non sostituirne una con l’altra".
Questa frase della sapienza di Ptah avrebbe provocato la formulazione dell’essenziale e
fondamentale esigenza per tutte le religioni aventi scritture sacre, di garantire il testo
delle scritture stesse contro tutte le soppressioni, aggiunte o modifiche.
2) I cinque titoli dei re d’Egitto si trovano con qualche variante, nel regno di Giuda.
3) Imitazioni delle cronache reali egiziane si ritrovano nella letteratura storica ebraica nei
testi concernenti David e Salomone.
4) Evidenti legami talvolta addirittura tali da potersi considerare plagi come, ad esempio
tra le "Ammonizioni di Amenemope" e il "Libro dei proverbi", fra le scritture sapienziali
egiziane e quelle israelite.
B) Per il Cristianesimo e il Nuovo Testamento:
1) Le Triadi egiziane e la Trinità cristiana, a cominciare dall’unione di Ptah, Sokaris e
Osiride nelle preghiere dei riti mortuari: "Possa lui darti il dono ecc.", in cui il "Possa
lui" si riferisce esplicitamente alla Triade suddetta, per raggiungere fino alla ormai
sfruttatissima Triade Osiride-Iside-Horo nella quale, indubbiamente con esagerazione, si
vorrebbe vedere la radice della Trinità Cristiana Padre, Spirito Santo, Figlio oppure, e
forse con maggiore obiettività ma pur sempre con esagerazione, la Sacra Famiglia del
Nuovo Testamento: Giuseppe, Maria, Gesù.
2) "Ammon è uno", come Ammone è spesso citrato in varie iscrizioni egizie, e "Dio è
uno" delle prime comunità cristiane.
3) La lotta continua fra Osiride e Seth, fra Luce e Tenebre, e quella fra il bene e il male.
4) Il simbolismo del sacrificio di Osiride con quello del Cristo.
C) Per la Massoneria:
1) Le prove dell’Apprendista con il viaggio del morto egizio attraverso la Terra e il
Fuoco (Geb e Nut) e l’Acqua e l’Aria (Tefnut e Shu) risalendo verso il Creatore Atum-
Râ, personificatosi in Osiride.
2) La morte e la resurrezione dell’iniziato nel rituale di Maestro, ricavato,
indubbiamente, dal mito di Osiride e non da quello di Hiram. In proposito è da precisare
che la leggenda di Hiram (cfr. anche A. Reghini: "I numeri sacri nella tradizione
Pitagorica massonica", pag. 12) è un elemento ebraico o pseudo tale, come quello della
costruzione del Tempio al quale si aggancia, che non fa assolutamente parte del
patrimonio tradizionale della massoneria, almeno di quella operativa. È da ritenere che
chi compilò il rituale di Maestro (come è noto la massoneria operativa non conosceva
tale grado) fosse un protestante o un ugonotto (notoriamente seguaci più del Vecchio
che del Nuovo Testamento) che per ragioni bibliche aveva in uggia l’Egitto faraonico ed
inventò il personaggio di Hiram costruttore del Tempio di Gerusalemme adattandogli il
mito di Osiride. Basti dire che, nella Bibbia, Hiram è un fabbro e non un muratore, è di
Tiro figlio di una vedova della tribù di Nephtali. Salomone lo chiama a Gerusalemme
per affidargli lavori di metallurgia e non la costruzione del Tempio.
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3) Iside quale "vedova" e "trono" rappresenta la Massoneria e la sua continuità garantita
appunto dal trono. Basta che qualcuno occupi quel trono perché la "vedova" riprenda
forza e vigore così come basta che la "vedova" si stenda sul corpo del marito morto, lo
avvolga, perché egli si risvegli, la fecondi e nasca quindi il Figlio della Vedova, Horo, il
nuovo Re che vendica il padre. È per questo che il Maestro che sorge dalla bara non è
Osiride ma Horo e che la trasmissione iniziatica, in massoneria, non è prerogativa del
Maestro ma dell’associazione, cioè del "trono" che, solo, in quanto rappresenta la
continuità, ha i poteri per la trasmissione. Si erra quindi, affermando che l’Iniziazione
massonica è una iniziazione di carattere maschio: si può dire che è maschile in quanto
ad essa possono e debbono essere iniziati soltanto coloro che possono essere risvegliati
fecondando il "trono" o la "vedova" e quindi persone di sesso maschile. Ma la
iniziazione non è affatto osiriaca: è iliaca in quanto trasmessa da una forza di natura
femminile.
4) Il Grande Architetto dell’Universo dei massoni è Our Kherépou hemont il più grande
Architetto degli antichi egizi Ha-Kha-Ptah che è poi l’Egitto stesso: dalla parola Ha-
Kha-Ptah i greci ricavarono il più armonioso nome Aegyptus che rimase a indicare la
terra del Nilo e dei Faraoni.
Ritengo mio preciso dovere segnalare che, a parte quanto mi era già noto dai miei viaggi
nella Valle dei Re, ho ricavato gran parte dei dati qui riassunti nelle seguenti opere:
K. Sethe : Urgeschichte und al teste religion der Ägypten, Leipzig, 1930.
Dramatische Texte zu altägyptichen Mysterienspielen; Leipzig, 1928.
Ubersetzung und Kommentar zu den altägyptichen Pyramidentesten Gluck stadt
unde Hamburg, Leipzig, 1908 segg.
H. Kees : Der Götterglauber in alten Ägypten: Leipzig, 1941.
Totenglauben und Jenseisvortestellungen der alten Ägypten, Leipzig, 1926.
H. Junker : Die Götterlehere von Memphis, Berlin, 1940.
S. Morenz : La religion égyptienne, Payot, Paris (tradotto dal Tedesco).
G. Le Bon : Le prime civiltà, Sonzogno, Milano, 1890.
La voie des Vérités, Flammarion, Paris, 1914.
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