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Teresa d’Ávila D'Alonzo Antonio |
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Teresa de Cepeda y
Ahumada (1515-1582) nasce ad Avila. Già nella prima infanzia,
manifesta un certo tormento spirituale. Sogna di andare a combattere i
Mori e, contemporaneamente, è attratta dalle vite dei santi,
instancabile lettrice d’agiografie. A venti anni, fugge da casa, per
entrare in un convento carmelitano. Subito insoddisfatta dalle
“mollezze” dell’Ordine, decide di dare inizio alla riforma
carmelitana, fondando i primi conventi di carmelitane “scalze”, in cui
è restaurata l’originaria durezza dell’ascesi e della clausura. Come
sovente accade, le autorità ecclesiastiche contrastano le sue
iniziative, finché arriva il benestare papale.
Teresa estese la sua riforma anche ai frati, con l’aiuto del giovane
Giovanni della Croce, incontrato a Medina. Nel 1568 sono inaugurati i
primi conventi dei carmelitani “scalzi”, in cui si radicalizza la
regola monastica e cenobitica, incentrata sulla meditazione e sulla
preghiera.
La spiritualità di Teresa d’Ávila risente dell’instabilità psichica,
che la caratterizza fin dall’infanzia. Nel 1538, una gravissima
malattia la rende quasi invalida. Durante la convalescenza si avvicina
alla meditazione interiore del francescano Francisco de Osuna. Inizia
così a gettare le fondamenta del suo castello interiore. Sempre
malata, sempre tormentata, Teresa attribuisce molta importanza alla
malattia fisica ed al dolore psichico come fondamento del cammino
spirituale verso Cristo. Si tratta di quella concezione del dolore
come gestazione introspettiva, gravidanza spirituale, che troviamo
anche in Nietzsche, ma non solo. Quasi tutte le civiltà c.d.
“primitive” presentano dei riti di passaggio che comportano gravi
sofferenze psicofisiche, prove atroci, correlate da scarificazioni,
ferite rituali, incisioni, mutilazioni (molte delle quali sugli organi
sessuali). In queste culture è presente l’idea che il dolore sottrae
l’iniziando alla Natura, favorendone l’ingresso comunitario. In altre
parole, si diventa individui- uomini e donne- attraverso il dolore.
Qualcosa di simile deve essere stato all’origine anche della
spiritualità teresiana.
Infatti, il secondo collante del sistema teresiano è la meditazione
cristologia, focalizzata, ovviamente, sulla Passione. Concentrandosi
sul Calvario del Redentore, la santa ottiene così lo scopo di
sublimare il dolore, la sofferenza, il negativo. Attraverso la formula
“Quanto devi aver sofferto per il nostro amore, mio buon Gesù…”, la
passionaria carmelitana riesce a rimuovere la solitudine, la malattia,
il travaglio psicofisico assunto a conditio sine qua non della
“mistica” delle Scalze. Vengono in mente le pagine nietzscheane sul
prete-asceta della Genealogia della Morale: se il rovello ed il
tormento sono le chiavi per ottenere la beatitudine, si finisce per
invocare più dolore, più sofferenza- in altre parole- più “santità”…
Il terzo fattore fondamentale della mistica teresiana è lo
psicologismo. Se il dolore e la sofferenza sono le premesse della
“santità”- il tema della Passione, l’oggetto su cui dirigere le
proprie pulsioni dissimulate- il primato dello psicologico è il
corollario finale. L’enorme importanza che con Teresa assume la
“lettura” dell’anima comporta necessariamente una regressione
dell’elemento spirituale, intellettuale (dove per “intelletto” si deve
intendere l’intelletto attivo aristotelico, il noús plotiniano, l’Atman
upanishadico). Prioritario diventa l’elemento passionale,
sentimentale, le mercedes che consentono all’anima innamorata
d’incontrare Dio. Ovviamente, con la sola dialettica dell’amore non vi
può essere vera fusione, autentica unione con l’Uno (si decida di
chiamarlo “Dio” o, più metafisicamente, “Spirito dell’Universo”).
Il capolavoro di Teresa d’Ávila, il Castello Interiore, elabora
metodicamente questo cammino personale fatto di estasi, rapimenti,
ebbrezze pseudo-spirituali. Il “Castello” è il simbolo dell’anima
(introdotto specialmente nella mistica tedesca) che deve attraversare
sette morodas, o stanze, disposte concentricamente. Le prime tre
dimore riguardano il dominio ascetico. La quarta concerne l’”orazione
di quiete”, la preghiera interiore. Seguono, quindi, la quinta
(l’”unione”), la sesta (“il fidanzamento”), la settima (“il matrimonio
spirituale” con Dio). L’ascesa è prevalentemente psichica o
sentimentale, più che spirituale, correlata a numerosi stati d’animo,
a sensazioni di beatitudine e a “grazie” soprannaturali che
accompagnano il cammino.