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Suso e Taulero D'Alonzo Antonio |
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I due diretti
continuatori di Meister Eckhart sono Suso e Taulero, entrambi
domenicani.
Suso (morto, all’incirca nel 1366), in un primo tempo aveva seguito la
via della mortificazione del corpo e della macerazione, ma in seguito
all’apparizione di Meister Eckhart in sogno, abbandonò le mortificanti
pratiche acetiche per seguire, finalmente, la via del distacco. Le sue
opere principali sono: Il libretto della Verità e l’Horologium
Sapientiae. Nel complesso le opere di Heinrich Seuse tracciano un
cammino meno radicale ed estremo di quello di Eckhart, conservandone
tuttavia, gli insegnamenti essenziali. Suso difende incessantemente il
maestro dall’accusa di connivenza con i Fratelli del Libero Spirito:
così egli sostiene che l’uomo veramente libero e distaccato è al di
sopra delle antinomie e del principio di non contraddizione. Suso
riprende da Eckhart, l’idea- che nel distacco- il massimo è il minimo,
la fine è il principio: gli ossimori non sono tali nella vita dello
Spirito. Nel distacco, tutte le contraddizioni svaniscono nella
sintesi del Principio: Principio, però, che egli intende come Nulla,
al quale si unisce l’intelletto dell’uomo distaccato. Si tratta della
ripresa dell’idea eckhartiana (mutuata dallo Pseudo-Dionigi) del
Gotheit come “Nulla”, che però è superiore a tutti gli esseri perché è
privo di ogni determinazione e al contempo le contiene tutte (ogni
determinazione è negazione). Suso si differenzia da Eckhart perché
mantiene l’idea dell’umanità di Cristo, dei santi e della Vergine;
mentre Eckhart sostiene che l’umanità di Cristo deve essere
oltrepassata- anzi bisogna superare l’idea stessa di Dio- per
sprofondare nell’abisso del Nulla-Gotheit.
Taulero (Johannes Tauler, 1300-1361), si avvicina forse di più al
radicalismo mistico eckhartiano. Egli sostiene che l’uomo è composto
di tre nature. La prima è sensibile, la seconda è razionale, la terza
è spirituale o interiore. Il percorso di perfezionamento passa
attraverso l’evoluzione spirituale dalla natura sensibile a quella
interiore. Fulcro di questa dialettica è l’idea del “Gemüte” che solo
impropriamente deve essere tradotto in italiano con “spirito”. Il
Gemüte è il punto in cui avviene l’unione dell’anima con Dio, ma non è
equiparabile alla “sinderesi” o all’egemonikòn stoico utilizzato dalla
mistica medievale: il Gemüte si riflette sul concetto di Dio come
grunt, “Abisso”. Il Gemüte è il fondo stesso dell’anima.
Importanza capitale ha in Taulero il concetto di “Notte dell’anima”.
Riprendendo il sermone 63 sulla pesca miracolosa (Lc5-38), egli
scrive:
“questi uomini si mantengono nella più vera, assoluta, povertà e nel
totale annientamento di se stessi. Essi non vogliono, né hanno, né
desiderano altro che Dio e nulla di proprio, e accade che spesso essi
lavorino nella notte, cioè nell’abbandono, nella povertà, in tenebre
dense e fitte e nella desolazione, tanto da non trovare alcun appoggio
e da non sperimentare né luce, Né Ardore. E se in tali tenebre gli
uomini si mantenessero in reale e vero abbandono, anche se Dio volesse
da loro eternamente quella povertà, quella privazione e quella
aridità, essi sarebbero disposti a starci volentieri per l’eternità
secondo la sua volontà, senza pensare di guadagnarci qualcosa”.
È evidente che il passo suddetto teorizza l’idea eckhartiana del Nulla
divino, cui deve corrispondere, nel bene e nel male, nella gioia come
nella sventura, il distacco dell’anima. L’anima completamente
distaccata dal Mondo e dal vissuto, abbandonata in Dio, nel terrore
della notte, finisce per trovare se stessa e Dio. Meglio ancora:
finisce per riconoscere che è ella stessa Dio, al di fuori di ogni
dualismo creazionista. È un percorso però molto doloroso ed
angosciante, ed è anche questo il senso della “Notte” che colpisce
l’anima come se Dio (si legga il “falso” Dio, il vissuto, il Mondo…),
avesse abbandonato l’anima nelle tenebre.
Il tema delle “Notti” fu ripreso soprattutto da Giovanni della Croce,
ma è presente anche in Maria Maddalena dei Pazzi e nel Quietismo.
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