|
IL RITORNO AL PLEROMA: Filippo Goti |
«Il salvatore mi ha rivelato ciò che l’anima
deve
dire quando risale al cielo e come deve rispondere
a ciascuno dei poteri supremi: ho conosciuto me stessa
e ho raccolto le mie membra disperse; non ho seminato
una procreazione per l’arconte ma ho strappato le sue radici.
So chi tu sei: perché sono di quelli che vengono dall’alto.»
(Tratto da un antico codice gnostico)
1. Introduzione
Così come nella creazione del mondo inferiore, quello attinente alla
sfera umana, anche in riferimento al destino ultimo dell’uomo,
escatologia, gli arconti occupano un ruolo di assoluto rilievo nella
speculazione gnostica. Non essendo intendimento di questo lavoro
addentrarsi nella genesi degli Arconti e del Demiurgo loro Padre, ci
limiteremo a dare qualche breve cenno, scusandoci in anticipo per la
necessaria approssimazione.
I miti gnostici concordano nel sostenere che questo mondo è il frutto
dell’opera di un Dio Minore, solitamente indicato nel nome di Jaldabaoth
o Samael, e qualificato come cieco o arrogante. Tale potenza intermedia
è il frutto dell’Errore di Sophia, eone che invaghitosi del Padre
Ineffabile, la fonte primigenia, e frustrato in questo suo intendimento
precipita, intorbidito, nel mondo inferiore. Grazie alla potenza
redentrice e salvifica del figlio unigenito del Padre Ineffabile, il
Cristo, Sophia si redime, e spogliatasi del male, del dolore e della
confusione che l’affligeva, ascende nuovamente al trono spirituale che
aveva perduto.
Quanto da lei espulso, durante il travaglio di redenzione, e cioè quel
coacervo di emozioni, inquietudini, desideri, si coagula dando forma e
intendimento al Demiurgo, che abbandonato dalla madre, dà ordine al
mondo inferiore, come speculare di quello superiore da cui proviene
Sophia. Come il mondo oltre la volta celeste è organizzato in regni,
troni e dominazioni, anche il mondo sottostante ad essa lo è, e su ogni
potestà pone un proprio figlio: arconte.
«E l’invidia generò la morte; la morte generò i proprio figli, e
installò ognuno di loro nel suo cielo; tutti i cieli del caos furono
riempiti dalle loro moltitudini.»
(La Gnosi e il Mondo, a cura di L. Moraldi, Tea, Milano, 1988.)
È l’etimologia dei termini arconte e demiurgo che ci offre un utile
punto di partenza per la nostra ricerca, e soddisfazione per quanto
propostoci per questa introduzione: il Demiurgo è l’artefice che ha
ordinato una nuova realtà. L’artigiano divino che ha forgiato ogni cosa,
dando forma, a suo capriccio e volontà, alla materia di cui disponeva.
Da ciò si evince sia che vi è un’ulteriore realtà extramondana, sia che
la materia oggetto del suo lavoro è alla forma finale estranea e
precedente nella genesi, a cui lo gnostico si rivolge. L’Arconte è
titolo che nella Grecia antica veniva riservato ad alti magistrati, cioè
a uomini di alto lignaggio delegati al governo e al giudizio della e
sulla cosa pubblica.
Queste potenze intermedie, frutto di un processo intellettivo
degenerativo ed enucleativo, nella visione cosmogonica gnostica forgiano
e dominano il mondo dei fenomeni, dove lo gnostico si trova come
prigioniero, separato dalla casa del Padre, intuita ma non vissuta, e
dall’inizio dei tempi tessono l’umano destino, in virtù dei pesi e delle
misure che esse stesse rappresentano nel quadro del dispiegamento polare
della manifestazione, impedendo l’agognato ricongiungimento.
La valenza positiva, negativa o neutra, che possiamo dare a queste
figure, e che è stata data sia da gnostici, sia da studiosi di cose
gnostiche, è in realtà il riflesso di come noi percepiamo non solo
questo mondo, e noi stessi, ma le relazioni tutte che fra questi due
poli si pongono in essere. A tale umana legge non sfugge neppure lo
gnostico, e sarà tanto più ostile agli Arconti e al Mondo, quanto più si
lascerà sopraffare dall’anelito del ritorno, e dal dolore che tale
impossibilità comporta.
2. Il disagio gnostico, la natura del mondo e i
sette arconti
Alla domanda del perché del dolore, e del massimo fra i dolori, la
morte, in opposizione all’assoluta libertà della mente e dell’anima, gli
gnostici hanno come risposta la creazione di questo mondo da parte di
potenze malvagie, interessate a mantenere l’anima prigioniera di
involucri gradatamente predisposti al suo contenimento. Fino a quando
l’anima, elemento che proviene dal mondo superiore, è relegata in questo
mondo, gli arconti se ne possono nutrire, e mantenere così la propria
vita e il loro dominio. L’anelito del ritorno alla casa del padre assume
quindi una duplice natura, rappresentata dalla volontà di tornare alla
patria nativa, e non essere più costretti a vagare in terra straniera,
ma anche di sfuggire ad una ciclica sorte di cibo per potenze astute, ed
ingannatrici.
Interessante notare come su questo paradigma siano fondati molti
movimenti esoterici neognostici, che ripropongono in chiave di
psicologia esoterica il dominio di io-demoni sulla mente dell’uomo, che
lo costringono a porre in essere azioni, situazioni, adatte alla loro
manifestazione, quindi al loro nutrimento attraverso assimilazioni di
emozioni, energie e quanto altro prodotto. Indubbiamente qualcosa di
quanto, troppo spesso, viene tacciato di new age, da parte di eruditi di
facciata, andrebbe riletto con occhio diverso, e con maggiore
attenzione.
In molti testi gnostici, vi è coincidenza nella descrizione del mondo
inferiore (natura/manifestazione), dove l’anima è prigioniera. Esso è
creato, come il corpo umano, dalle potenze arcontiche, e un numero
variante fra sette e oltre trecento cieli, presieduto da arconti e
angeli del demiurgo, a rappresentare le potenze di queste signorie, lo
separano dal mondo superiore (Pleroma). Fino a quando l’anima vive nel
corpo, essa è vincolata, e ogni fuga è impossibile. Lo gnostico, che
vince il dolore per la propria condizione, si impegna ad acquisire la
gnosis, in grado di permettere all’anima di intraprendere con successo
il viaggio astrale. In mancanza di essa, la gnosis, l’anima si
troverebbe in balia delle potenze arcontiche, che dominano lo spazio (la
terra e i pianeti ), oltreché il tempo, entrambi loro manifestazione e
illusione.
Il numero maggiormente ricorrente, nei trattati gnostici, in riferimento
alle dominazioni dei cieli del caos degli Arconti è sette:
«Sette apparvero dal caos, come esseri bisessuati. Essi hanno un nome
maschile e un nome femminile. Il nome femminile di Jaldabaoth è Pronoia
Sambathas, cioè Ebdomade. Il figlio chiamato Jao ha come nome femminile
signoria; Sabaoth ha come nome femminile divinità; Adonaios ha come nome
femminile regalità; Eloaios ha come nome femminile invidia; Oraios ha
come nome femminile ricchezza; Astafois, poi, ha come nome femminile
Sofia. Queste sono le sette forze dei sette cieli del caos.»
(La Gnosi e il Mondo.)
Oltre al valore simbolico del numero sette, che sarà tra breve
affrontato, due sono gli spunti di riflessione che emergono dal breve
brano riportato. La natura bisessuale degli Arconti (sigizia) similare a
quella degli eoni superiori, da cui discende la loro capacità del
creare, e i loro nomi che sono riconducibili al Dio dell’Antico
Testamento, identificato da numerose comunità gnostiche come Satana: il
signore di questo mondo. La genesi, e il simbolismo, del numero 7 è da
ricercarsi nella somma del 3 e del 4. La triplice manifestazione del
sacro, e i quattro inerti elementi. Il risultato, sette, è il principio
ordinatore di tutta la manifestazione (le sette note musicali, i sette
colori, le sette direzioni, i sette giorni della settimana), senza
dimenticare la valenza teologica di questo numero (le sette ferite della
Maria addolorata, i sette peccati capitali, i sette doni dello Spirito
Santo, i sette gradini della Scala di Giobbe, le sette Chiese
dell’Apocalisse di Giovanni). Il simbolismo grafico di questo numero è
dato dalla comunione del triangolo con il quadrato, sia inscrivendo il
primo nel secondo, sia sovrapponendolo. Nell’ultimo caso abbiamo un
pentagono o un pentacolo, a simboleggiare l’uomo realizzato, il maestro
che ha trasceso l’umana condizione. Il pentacolo che così si forma è
anche la mistica rosa che nasce al centro della croce.
Da quanto sopra indicato si evince come gli gnostici tendessero a
rappresentare la manifestazione in simboli e numeri, per meglio
evidenziare, in una geometria spirituale, i pesi e le misure che tutto
regolano nell’universo in cui le anime sono precipitate e prigioniere, e
come, attraverso lo studio di questi, inoltrarsi lungo la via del
ritorno alla casa paterna.
3. Il mito gnostico del ritorno alla casa del padre
«Dal centro della terra attraverso la settima porta
mi sono innalzato, e sul trono di Saturno mi sono seduto,
e molti nodi ho sciolto lungo il cammino;
ma non il nodo maestro del destino umano.
C’era una porta per la quale non ho trovato chiave;
c’era un velo attraverso il quale non potevo vedere;
c’eran momenti di vero discorso tra me e te,
e poi non più né te né me "
(Ruba’is, 31-32)
Il mito gnostico dell’ascesa dell’anima, del gran ritorno nella casa del
Padre, trova convergenza sia con gli eroici miti greci, sia con il
viaggio egizio dell’anima; ciò a riprova della comune matrice solare di
queste tre grandi correnti iniziatiche. L’eroe greco è colui che nato
uomo, attraverso innumerevoli prove conquista il proprio posto fra le
divinità dell’Olimpo, in quanto in virtù del superamento delle fatiche
viene riconosciuto dagli dèi loro pari. Il viaggio dell’anima egizia
nell’oltretomba trova massima espressione, nei vari incantesimi per
superare le potenze inferine, presso il tribunale presieduto dalla dea
Maat, e durante la pesatura del cuore. Dove l’iniziato deve dare sia
prova della conoscenza delle arti iniziatiche, sia testimonianza della
sua vita terrena appena conclusa. Il defunto egizio veniva posto nel
sarcofago assieme ad una serie di rotoli, contenenti gli incantesimi
necessari per superare i guardiani dell’Oltretomba. In questo vedremo,
fra breve, una fortissima analogia con le formule per infrangere i
sigilli degli arconti.
Tratte da formulari ofiti:
a) «Io, essendo una parola del puro Nous, opera perfetta per il figlio e
il padre, in possesso di un simbolo impresso col carattere della vita,
apro la porta del mondo che tu hai chiuso col tuo eone, e passo
attraverso il tuo potere di nuovo libero. Possa la grazia essere con me,
sì, Padre, che sia con me.»
b) «Arconte del quinto potere, governatore Sabaoth, avvocato della legge
della tua creazione, ora disfatta da una grazia che è più possente del
tuo quintuplice potere, osserva il simbolo inespugnabile da parte della
tua arte e lasciami passare oltre.»
Tratte dal Libro Egiziano dei Morti:
a) «Io sono il Dio Leone, che proviene dall’Arco che ha saettato. Egli è
l’Occhio di Horo, e l’Occhio di Horo è aperto, al momento in cui giunge
l’Osiride...»
b) «O Ureo! Principio solare! L’Osiride, con una testa di Fuoco, splende
e schiude l’eternità: gli stendardi di Tenpua, gli stendardi dei fiori
in boccio. Allontanati dall’Osiride, poichè egli è la divina Lince.»
La coincidenza escatologica e cosmogonica fra l’universo gnostico e
quello egizio risulta evidente attraverso una lettura comparata dei due
testi suddetti e della Gnosi e il Mondo, ma non essendo questa la sede
per una simile disquisizione rimando a tali indicazioni.
Concludo con una doverosa menzione ad Alessandria, crogiuolo della
cultura ellenistica, dei misteri egizi, e del nascente cristianesimo,
che rappresenta la massima espressione della divulgazione della
Tradizione Solare, racchiusa nello gnosticismo. L’anima gnostica anela a
tornare al Pleroma, il regno attorno al Padre, dove aveva dimora prima
della caduta pneumatica. Ma tale desiderio è frustrato da quelle potenze
che risiedono nello spazio intermedio posto fra i due limiti estremi
della manifestazione, e che la mitologia gnostica ha voluto indicare
come i reggenti dei pianeti. Non possiamo esimerci dal chiederci quanto
di tali immagini ha influito nel dare forma e contenuto a tante branche
dell’occultismo e dell’esoterismo, anche moderno. È grazie alla gnosi
che l’anima (veicolo) ha la possibilità di compiere questo periglioso ed
incerto viaggio, dove gli Arconti dai terribili poteri, e dalle
mostruose e stravolte sembianze, attendono al varco, ognuno nella
propria dominazione, che deve essere espugnata e superata per procedere
oltre.
La vita terrena dello gnostico era finalizzata alla
trasmissione/ricevimento (Tradizione) della gnosi da maestro ad adepto,
che si traduceva nell’apprendimento delle formule magiche e dei simboli
in grado di rompere il sigillo (potere) degli arconti, disposti sul
trono dei sette cieli/pianeti, attorno alla terra. Non dobbiamo però
credere che tali informazioni rivestissero un mero significato
intellettuale o letterale; al contrario, attraverso un lavoro intimo,
dallo strato conscio esse filtravano in quello inconscio, forgiando così
l’anima, in preparazione del confronto con gli arconti. Ecco quindi la
gnosi, a differenza della fede, operare un mutamento non solo negli
aspetti mediati dell’uomo (pensiero - azione - etica), ma anche nelle
sue profonde qualità, rendendolo diverso tra i diversi, straniero tra
gli stranieri.
4. Conclusione
Abbiamo appurato come per lo gnostico esistono due mondi, e come quello
terreno altro non sia che l’immagine contorta e ingannevole di quello
celeste. Allo stesso modo anche la «vita» in realtà non è unica, ma
scindibile in quella del corpo e in quella dell’anima. Fino a quando
l’anima non riuscirà a liberarsi della propria condizione di prigionia,
e di alimento per gli arconti, essa vagherà da corpo a corpo, aumentando
così il proprio fardello di «dolore». L’apice della drammaticità
nell’ascesa dell’anima verso la propria condizione regale precosmica
viene raggiunto nella gnosi valentiniana, dove il ritorno al Pleroma
comporta una tragedia cosmica. In tale speculazione, la manifestazione,
privata del pneuma, lentamente ma inesorabilmente tende a morire per
consunzione, come un fiume che perdendo progressivamente la portata
dell’acqua, si inaridisce fino a scomparire. In alcune manifestazioni di
tardo gnosticismo, come le comunità catare, notiamo invece una
cosmogonia ciclica della caduta/ascesa/caduta dettata da un rigidissimo
dualismo.
Il viaggio dell’anima gnostica fra i cieli è un viaggio nel terrore,
nell’illusione, e solo in virtù dei simboli e delle parole di potere
potrà aprirsi un varco fra le potenze dell’ignoranza. Al fallimento
segue il precipitare nuovamente nel mondo inferiore, aggiungendo
angoscia ad angoscia, per essere così reincarnata in altri corpi fino
alla fine dei tempi. Lontano dall’essere, ieri come oggi, una mera
speculazione dialettica, o arabesco di menti sofisticate, lo gnosticismo
ha rappresentato un esteso scrigno di gemme iniziatiche, dove non erano
estranee operatività a carattere occulto.
Attraverso i simboli, studiati in vita, e vivificati nella carne, nella
mente e nell’anima, lo gnostico cerca di assimilare quel contenuto
conoscenziale che vi è racchiuso, e di divenire con essi cosa unica,
attraverso un riadattamento costante verso l’ideale da essi
rappresentato. Le parole di potere da proferire durante l’incontro con
gli Arconti, in quanto manifestazioni del Logos divino, altro non
rappresentano che vere e proprie operazioni teurgiche. Ed infine la
magia sui morenti, compiuta dai sacerdoti gnostici per agevolare il
distacco dell’anima, e impedirne il ritorno.
Sono quindi i simboli, le parole di potere e la magia, il vero cuore
pulsante dell’iniziazione gnostica, mentre le ardite mitologie, e le
ampie dissertazioni sulla manifestazione, rappresentano la giusta
cornice, il paradigma, in cui muoversi, e la necessaria soglia di
sbarramento per il debole, che confonde il riverbero della luce sulla
neve con il Sole. La vita dello gnostico è spesa nello studio di se
stesso e della manifestazione, dando nuovo significato alla
fenomenologia dello Spirito. Questa creazione, frutto di potenze
mediate, offre motivo di conoscenza dell’arte e della natura dei suoi
creatori, e quindi preziose informazioni per come sconfiggerli, lungo la
via del ritorno. Un ritorno che, a ben comprendere quanto è posto sotto
la superficie della parola enunciata, altro non è che una settuplice
spogliazione dalle impurità di questo mondo, e al contempo una
riacquisizione di «poteri» dimenticati, e apparentemente posti oltre
noi.
La teologia cristiana, attinente alla sfera mesoterica dello
gnosticismo, ci ha indicato nei sette peccati capitali l’ostacolo per il
ricongiungimento con il Padre. Ma così operando ha privato questi
aggregati di «profondità» e volontà loro propria, facendo loro assumere
valore incidentale e contingente. Non è così nello gnosticismo, dove non
solo si manifestano come forze inerziali, da espellere, ma bensì come
entità, dotate di propria identità e volontà, fieramente convinte a
perpetuare se stesse. Ma dove ricercare tutto questo? Dove i sette
cieli? Dove questi Mostri spaventosi? E dove il Pleroma?
Queste domande trovano degno compimento nei seguenti brani del Vangelo
di Tomaso e del Vangelo di Maria:
[3] Gesù disse: «Se coloro che vi guidano vi dicono: Ecco il Regno (di
Dio) è in cielo! Allora gli uccelli del cielo vi precederanno. Se vi
dicono: È nel mare! allora i pesci del mare vi precederanno. Il Regno è
invece dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete, allora
sarete conosciuti e saprete che voi siete i figli del Padre che vive. Ma
se non vi conoscerete, allora dimorerete nella povertà, e sarete la
povertà.» (Vangelo di Tomaso)
«... la materia sarà distrutta, oppure no?» Il Salvatore disse: «Tutte
le nature, tutte le formazioni, tutte le creazioni sussistono l’una
nell’altra e l’una con l’altra, e saranno nuovamente dissolte nelle
proprie radici. Poiché la natura della materia si dissolve soltanto
nelle (radici) della sua natura. Chi ha orecchie da intendere, intenda.»
(Vangelo di Maria.)
Ecco quindi come il viaggio dell’Anima, verso il Pleroma, è in realtà un
viaggio all’interno dei nostri mondi intimi, e solo riassorbendoli nelle
loro radici (la sfera fenomenologica ricollocata in quella ontologica)
sarà possibile porre fine all’eterno ciclo del cosmo e del tempo.