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La Mistica Renano Fiamminga D'Alonzo Antonio |
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Quando si parla di mistica cristiana, si deve anzitutto fare una prima distinzione di base. Una cosa è la "mistica dell'essenza", la mistica renano-fiamminga (Meister Eckhart, Ruusbroec, Suso, Taulero, "Anonimo Francofortese", ecc.), fondata sull'integrazione profonda del divino nel fondo dell'anima. Altra questione è la cosidetta "mistica del sentimento", in cui il Tu divino è pensato in termini di relazione sponsale con l'anima: relazione destinata, però, a rimanere all'interno della drastica dicotomia tra soggetto/oggetto, amante/amato. Infatti, Meister Eckhart raccomanda sempre il "distacco" essenziale dell'anima da ogni cosa, anche da Dio stesso: "Perciò, prego Dio che mi liberi da Dio, perché il mio essere essenziale è al di sopra di Dio, in quanto noi concepiamo Dio come origine delle creature" Meister Eckhart, Sermoni Tedeschi).
Abbiamo visto come nella mistica siano possibili due differenti percorsi. Il primo concerne la c.d. “mistica dell’essenza”, denominata anche renano-fiamminga. Il secondo, la mistica “dell’amore sponsale” o via amoris, si sviluppa principalmente con Bernardo di Chiaravalle, Tommaso Gallo, Ugo di Balma, Francesco d’Assisi, il monachesimo femminile, culminando nell’opera di Francesco di Sales. In realtà, la mistica renano-fiamminga fino all’inizio del secolo scorso era identificata con la mistica tedesca. Purtroppo, le gravi mistificazioni naziste del pensiero di Meister Eckhart, operate soprattutto da Alfred Rosenberg con la sua opera Il mito del XX secolo, ha reso preferibile- specialmente nei paesi latini- l’utilizzo del termine “mistica renano-fiamminga”. Recentemente, si è tentato di distinguere nuovamente la mistica tedesca da quella fiamminga, trascurando forse il fatto che nel Medioevo non esistevano confini linguistici tra le zone dell’alto e del basso Reno e che l’integrazione di scritti spirituali era una pratica scontata ed incoraggiata dalla volontà di creare una letteratura in lingua volgare.
Capostipite della mistica renano-fiamminga è, ovviamente, Meister Eckhart (1266-1328), domenicano, condannato per eresia ad Avignone nel 1323 (furono messe all’Indice 28 proposizioni dei suoi libri). Altri esponenti sono Suso, Taulero, l’”Anonimo Francofortese”, Ruusbroec, Cusano.
La mistica di Eckhart è denominata anche dell’”essenza”, perché rifiuta ogni concettualizzazione teologica di Dio, ma anche- cosa ben più innovativa- anche ogni dicotomia connessa al dualismo amante/amato (dove l’amante è l’anima e l’oggetto amato è Dio). La mistica eckhartiana ha le sue radici nel neoplatonismo, in particolare in Proco, e nel pensiero di Scoto Eriugena, ma soprattutto nello Pseudo-Dionigi. Per Eckhart, la vera conoscenza di Dio consiste in un “nulla volere, nulla sapere, nulla avere”. L’anima che vuole unirsi a Dio non deve volere nulla, perché la volontà appropriativa ricade nel dualismo Io/Tu, conoscente/conosciuto, amante/amato. In pratica per Eckhart la via amoris conduce ad una falsa unione, soltanto temporanea: simbolicamente quest’affermazione può essere supportata dalla considerazione che nell’amplesso sessuale la fusione estatica fra i due amanti è illusoria, gettata nell’attimo e destinata a dissolversi nella restaurazione della dualità originaria. È quindi, necessario liberarsi della volontà. L’uomo deve anche liberarsi, per Meister Eckhart, del falso sapere su Dio, riconoscendo la finitezza e la vacuità di ogni gnosi positiva. È indispensabile, però, rinunciare anche a determinare, concretamente, un luogo nell’anima in cui avvenga l’Unitas Spiritus con Dio (“non avere”). Completamente povera, priva di sapere e di volere, l’anima può così operare il distacco da ogni cosa, anche da Dio stesso. Dio che è platonicamente pensato, dapprima, come Intelligenza per esprimere la trascendenza rispetto all’essere; poi come essere stesso- ma come un essere del tutto indeterminato, diverso da tutti gli altri enti- talmente indeterminato da poter essere pensato come nulla. Importante è anche la distinzione in Meister Eckhart tra Got (“Dio”) e Gotheit (“Divinità”). Il primo resta, heideggerianamente legato all’ipostasi della presenza e quindi, in fondo, all’antropomorfismo; il secondo è considerato come l’Abisso della nuda divinità, cui può giungere l’anima che si spoglia completamente da sé stessa e che supera anche l’umanità di Cristo. Il distacco conduce l’anima, completamente distaccata e povera, all’unione con la Divinità: unione che avviene in quel fondo dell’anima che contiene la stessa scintilla divina. Lo Spirito divino, infatti, può generarsi nel fondo dell’anima. Fondo dell’anima che, come abbiamo visto, non può essere individuato in un punto preciso della coscienza: il fondo dell’anima coincide con il distacco stesso, ed è il fondo stesso di Dio. Generazione caratterizzata dal primato del momento del Filioque, ossia della conoscenza e del distacco. A questo punto, l’anima è uguale alla stessa Divinità: mentre l’uomo è Dio per grazia, Dio è Dio per natura.
Ovviamente, questa vuole essere soltanto una summa del pensiero eckhartiano, che è complesso e semplice al tempo stesso. Prima di procedere oltre con i discepoli diretti di Eckhart, Suso e Taulero, attendo le Vs. considerazioni. In caso contrario considererò esaurito l’argomento e non continuerò la mia disamina sulla mistica dell’essenza.
La mistica renano-fiamminga respinge qualsiasi concezione antropomorfica del Divino, relegandola a mera superstizione, alienazione. È evidente che il Dio del Libro pensato come un Padrone che decide arbitrariamente chi destinare alla salvezza e chi alla dannazione, che invia diluvi universali o angeli sterminatori, è considerato- in questa prospettiva- come una superstizione, se non addirittura come una bestemmia. Il filosofo cui fai riferimento è Feuerbach che oggettiva in Dio la proiezione della coscienza umana- ai nostri tempi, parleremmo piuttosto di “Immaginario”- ed in questo caso è lecito cogliere il filo rosso che unisce la mistica renano-fiamminga con l’Illuminismo prima e l’Idealismo tedesco poi. Si ricorderà come, kantianamente, l’Illuminismo nasca per riscattare l’uomo dallo stato di minorità in cui si trova, dovuto all’imperfetto uso della Ragione. Senza qui entrare nel merito della distinzione essenziale tra Ratio ed Intellectus, s’intuisce come quel bisogno profondo di verità e limpidezza, alla base della filosofia dei Lumi, conduca al rigetto delle credenze rivelate e della Grande Narrazione veterotestamentaria. Alla base della Ragione illuminista troviamo la ricerca di Dio con i soli attributi umani, nel rifiuto di qualsiasi Rivelazione e nell’intuizione che la religione debba essere sostanzialmente interiore. L’Idealismo tedesco- anche se in parte ha anche una matrice romantica- in fondo si pone in questa prospettiva: si legga per esempio il “Saggio di una critica di ogni Rivelazione” di Fichte o la “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel. Del resto lo stesso Pietismo, pur non uscendo dal cerchio chiuso del sentimentalismo religioso, evidenziava la necessità dell’interiorizzazione della verità rivelate