Vangelo di Verità: Questa è la perfezione che procede dalla Mente del Padre Carlo Caprino |
PREMESSA
Prima di passare al commento del brano proposto, ritengo utile offrire una breve
analisi del “Vangelo di Verità”, al fine di meglio comprendere quanto si dirà in
seguito. Per questo si farà ampio ricorso a quanto riportato in “I Vangeli
Gnostici” di Luigi Moraldi, Adelphi editore, che offre anche ad un lettore
inesperto come me notevoli spunti di lavoro e conoscenza.
Il “Vangelo di Verità” fa parte degli scritti copti scoperti a Nag Hammadi in
Egitto ed il codice in cui era contenuto, insieme ad altre opere, fu l’unico a
giungere in Europa a metà del ‘900 ed il primo ad essere pubblicato
integralmente nel 1956.
Il titolo con cui questo scritto è conosciuto corrisponde, come d‘uso in questi
casi, alle prime parole iniziali, che verosimilmente sono la traduzione di un
originale greco che può rendersi “Vangelo della Verità”, “Vangelo che è la
Verità”, “la verità che è il Vangelo”. Il titolo sembrerebbe offrire al lettore
il “vero Vangelo”, un opera che per contenuto ed esposizione completa – se non
confuta – gli altri vangeli, quelli redatti dagli psichici e quelli canonici del
canone cattolico, giudicati imperfetti e contraffatti.
L’autore dello scritto originale dimostra di conoscere bene le opere del Nuovo
testamento, i vangeli canonici, le lettere di San Paolo e la Apocalisse, il che
fornisce indizi importanti sia per la datazione dell’opera che per la
individuazione del probabile autore, ma piuttosto che intendere il titolo come
una affermazione volta a sminuire le opre omonime, il termine “vangelo” è più
opportuno intenderlo nel significato originario di “buona novella”, poiché lo
scopo è quello di riportare e spiegare il messaggio di gioia, pace e verità
portato da Gesù ad alcuni uomini, a cui svela sé stesso ed il Dio suo padre.
In effetti, nonostante il titolo, il “Vangelo della Verità” non assomiglia agli
altri vangeli (canonici o apocrifi) ne’ per forma ne’ per contenuto, non ha
nulla di narrativo, non contiene aneddoti sulla vita o le opere di Gesù, non ne
riporta le parole e tantomeno i miracoli compiuti; è piuttosto una meditazione
sulla “buona novella”, di cui esalta con entusiasmo la natura, che per l’autore
è Gesù stesso, è la gnosi, è la conoscenza di Dio in se stesso e di se stesso in
Dio. La scoperta del vero essere di Dio rispetto all’uomo è la scoperta di se
stesso per mezzo di sé ed a colui che ha la grazia di partecipare alla “lieta
novella” / “vangelo” la gnosi rivela la propria identità, la propria origine ed
il proprio “io”, rendendolo propriamente se stesso e salvandolo, poiché gli
consente di prendere coscienza della propria natura e della propria origine, gli
spiega il suo destino e gli offre la certezza della salvezza.
Gli studiosi sono praticamente concordi nel ritenere il “Vangelo della Verità”
come opera valentiniana, e più precisamente come frutto dei primi anni della
attività di questo movimento. L’originale potrebbe essere stato scritto a Roma
dallo stesso Valentino tra il 140 e il 180 d.c., poco prima o subito dopo la sua
separazione dalla Chiesa di Roma, dovuta pare alla delusione per non essere
stato eletto Papa in successione a Pio.
Il “Vangelo della Verità” presenta diversi punti di contatto con il “Trattato
Tripartito”: opera gnostica proveniente anche essa da Nag Hammadi e facente
parte dello stesso codice I: è di matrice valentiniana, offre uno gnosticismo
caratterizzato da aspetti particolari e caratteristici ed in più punti presenta
posizioni intermedie tra la dottrina cristiana comune e quella gnostica, non di
rado più vicine alla prima che alla seconda.
Come è facile immaginare, lo scritto presenta diversi problemi interpretativi,
ma volendo ridurre tutto ai minimi termini i può dire che – come prima accennato
– la conoscenza esposta dal “Vangelo di Verità” è conoscenza di sé e della
propria origine divina. Questo momento è paragonato alla condizione di un
ubriaco che, inconsapevole di sé, non si rende conto del suo stato mentre
farnetica in preda a strani sogni, fino a quando si sveglia.
Il “Vangelo di Verità” è quindi gioia e speranza, poiché annuncia che alla fine
del tempo la deficienza del mondo inferiore terrestre sarà eliminata dal Logos
che col Padre risiede nel Pleroma e che del Padre è tramite e messaggero.
BRANO PROPOSTO
31. Questa è la perfezione che procede dalla Mente del Padre e quelle sono le
parole della sua meditazione. Ciascuna delle sue parole è espressione della sua
indeclinabile volontà, nella rivelazione del Logos, uscito fuori per primo, le
rese manifeste, e la Mente parlante (il Logos di per sé è in una grazia
silenziosa) fu detta il pensiero. Era qui, infatti, il luogo dove esse
esistevano prima che fossero manifestate.
32. È accaduto dunque che egli è proceduto per primo nel momento che è piaciuto
alla volontà di chi l'ha voluto. Ora, la volontà è ciò in cui il Padre si riposa
e di cui si compiace. Nulla può succedere senza di Lui e nessuna cosa accade
senza la volontà del Padre. Essa però è inconoscibile.
La volontà è l'orma di Lui, ma nessuno può conoscerla né è possibile alla gente
stare in agguato per afferrarla. Ma ciò che vuole è nel momento che lo vuole,
anche se il suo mostrarsi non è affatto di loro gradimento. La volontà è in Dio.
33. Il Padre conosce così l'inizio di tutti loro, come la loro fine. Quando
questa giungerà, li interrogherà su quello che hanno fatto. Ora la fine consiste
nel prendere conoscenza di chi è nascosto. E questi è il Padre: Colui dal quale
è uscito l'inizio e al quale ritorneranno tutti quelli che sono usciti da Lui,
perché essi sono stati manifestati per la gloria e la gioia del suo nome.
COMMENTO E NOTE
In questo brano viene espresso un concetto esposto anche in altri punti del
testo: gli gnostici sono le “parole” del Padre, come la Parola per eccellenza è
il Logos, che tra Uomo è Dio è tramite indispensabile. Anche se il Logos venne
per primo alla esistenza, tutte le “parole” erano già nella mente del padre ed
erano oggetto della sua meditazione.
Il Logos è quindi il mezzo attraverso cui la volontà del Padre, di per sé
inconoscibile all’Uomo, viene a questo resa comprensibile. Stante il limite
della comprensione dell’Uomo, la Volontà di Dio non può essere acquisita senza
il suo consenso, e può anche essere sgradita all’Uomo, che di questa non può
coglierne scopi e grandezza.
Il Padre conosce di tutti inizio e fine, e per tutti ha un progetto ed a tutti
chiederà conto dell’operato quando attraverso la gnosi conosceranno ciò che è
nascosto e comprenderanno che scopo dell’uomo è manifestare al mondo la gloria
divina.
In sintesi, il compimento finale si avrà quando – attraverso il Logos – tutti
gli uomini conosceranno ciò che è nascosto a loro ma da sempre nel progetto del
Padre, che per questa missione li ha creati e guidati.
RIFLESSIONI PERSONALI
La prima cosa che salta agli occhi è senz’altro la concordanza quasi letterale
con l’inizio del Vangelo di Giovanni e con il rapporto di identità e causalità
tra Dio e Logos.
Altro “contatto” evidente – nonostante ci sia circa un secolo di distanza tra la
redazione dell’uno e dell’altro - è con il “Vangelo di Maria”, in particolare al
loghion 7 e 10, i cui concetti di “ritorno alle origini”, di “prescienza divina”
e di “Gnosi come mezzo di conoscenza e salvezza” possiamo per certi aspetti
troviamo in questo brano.
Da praticante di Arti marziali colgo in questo brano una sorta di parallelo di
quello che è lo spirito che dovrebbe animare chiunque di ponga sinceramente
sulla Via dello studio di queste discipline, ovvero la consapevolezza di
affrontare con il massimo dell’impegno e della dedizione la pratica di un’Arte
che, per la sua stessa natura, non potrà mai dirsi essere compresa
completamente. Questo non per una sorta di “mistero” o “segreto” insvelabile, ma
per la natura dell’Arte stessa, il cui traguardo avanza tanto quanto avanza
l’esperienza del praticante. Se Mozart o Leonardo da Vinci, come Hokusai o
Canova, avessero vissuto il doppio degli anni che hanno vissuto, avrebbero forse
raggiunto la vetta della composizione musicale, della pittura o della scultura?
Certamente no, avrebbero continuato a studiare, ad approfondire, a produrre,
magari affermando, anche loro come un famoso filosofo, che più sapevano e più
sapevano di non sapere. La stessa inflessione è allora richiesta a colui il
quale si dedica alla “ricerca” della Gnosi, una sorta di “abbandono” al progetto
divino, inconoscibile nella sua totalità ma chiaro e inconfondibile nei
particolari che – qui ed ora – ci è dato conoscere. In una sorta di caccia al
tesoro, a ciascuno di noi viene dato l’indizio necessario e sufficiente per
raggiungere il prossimo, se ci si impegna con costanza e sincerità. Quale sia il
traguardo e quante altre tappe siamo destinati a toccare non è dato sapere; e se
ciò spaventa il pavido e scoraggia l’imbelle, è per il risoluto cercatore sprone
e stimolo ad un impegno che non mancherà, a tempo debito, di dare il frutto a
ciascuno destinato.
Ma nessuno, per quanto sia bene intenzionato e preparato, può credere di
apprendere i segreti dell’Arte senza la guida di un Maestro; allo stesso modo
nessuno può credere di giungere ad Divino Padre senza l’intercessione del Logos,
che per certi aspetti è il ponte che mette in comunicazione due sponde
altrimenti separate.
A questo proposito è bene dire che nel rapporto tra Maestro e discepolo, un
punto è particolarmente importante e merita una attenta riflessione: questo
rapporto si deve basare su un mutuo riconoscimento: il Maestro “riconosce”
l’Allievo e l’Allievo “riconosce” il Maestro e si affida a lui. Un rapporto
bi-direzionale in cui ogni attore deve accettare, conoscere e giocare il suo
ruolo e, nel contempo, far si che l’altro faccia la stessa cosa. La stessa cosa
deve realizzarsi tra lo gnostico e il Logos, perché se il primo è da sempre e
per sempre “conosciuto” al Padre e quindi al Logos, perché il frutto della Gnosi
maturi lo gnostico deve cercare, trovare e “affidarsi” al Logos quale
indispensabile “mezzo” per contribuire a manifestare la gloria del Padre.