Maria e la Gnosi

di Massimo Cogliandro


1.

Maria e la Gnosi

Maria, la madre di Gesù, ha un’importanza centrale nel pensiero gnostico e manicheo.

Nei due principali Vangeli Manichei dell’Infanzia, il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dello Pseudo-Matteo, Maria viene vista essenzialmente come l’ultima grande profetessa della Pre-Gnosi ebraica.

Nel Protovangelo di Giacomo e nel Vangelo dello Pseudo-Matteo troviamo la profezia di Maria che annuncia il grande dramma cosmico legato alla Natività del Salvatore:

Quando furono a tre miglia di distanza, Giuseppe si voltò e vedendola triste disse tra sé: “Probabilmente quello che è in lei la fa star male”.

E un'altra volta si voltò Giuseppe e vide che essa rideva. Allora le disse: - Maria, che cos’hai, che vedo il tuo viso ora ridente ora accigliato? - E disse Maria a Giuseppe: - E’ perché vedo con i miei occhi due popoli: uno che piange e si batte il petto, l’altro che è lieto ed esulta (Protovangelo di Giacomo, XVII, 2).

Questo passo del Protovangelo ha un’impostazione chiaramente e tipicamente gnostica: il popolo che ride rappresenta gli pneumatici, cioè gli Gnostici, che costituiscono la Chiesa della Luce di cui parlano gli Atti di Tomaso.

Il riso del popolo di Dio, cioè degli Gnostici, trova un chiaro parallelo in alcuni passi del Vangelo di Filippo, dove Gesù, lo Gnostico per eccellenza, esce dall’acqua (battesimale) della … ridendo, indicando così che gli uomini che possiedono la Gnosi lasciano la vita corporea ridendo, perché intuiscono la caducità di quanto è legato all’esistenza sensibile degli enti:

Bene disse il Signore: “Alcuni entrarono nel Regno dei cieli ridendo, e uscirono”. Essi non vi rimasero perché l’uno non era un cristiano, l’altro perché in seguito rimpianse (la sua decisione). Non appena il Cristo discese nell’acqua, ne uscì ridendo di tutto, non perché fosse per lui un gioco, ma per l’assoluto disprezzo che ne aveva. Colui che vuole entrare nel Regno dei cieli, vi giungerà. Se disprezza il tutto (di questo mondo) e lo considera un gioco, ne uscirà ridendo (Vangelo di Filippo, 74, 20)

E’ evidente il disprezzo gnostico per l’attaccamento psichico al mondo sensibile.

Se confrontiamo la profezia di Maria riportata nel Protovangelo di Giacomo con quella riportata nel Vangelo dello Pseudo-Matteo, notiamo immediatamente la esistenza di alcune differenze, che testimoniano il rimaneggiamento subito in ambiente cattolico dal Vangelo dell’Infanzia dello Pseudo-Matteo, composto dal manicheo Leucio nel III° secolo d.C. - interpolazioni:

Andando dunque Giuseppe e Maria per la strada che conduce a Betlemme, Maria disse a Giuseppe: - Vedo due popoli davanti a me: uno che piange e l’altro che ride -. E Giuseppe le rispose: sta’ seduta e tienti bene sul tuo giumento, e non dire parole vane.

Allora apparve davanti a loro un bellissimo fanciullo, che indossava una veste splendente, e disse a Giuseppe: - Perché hai detto che sono parole vane quelle riguardo hai due popolini cui ha parlato Maria? Essa ha visto il popolo dei Giudei piangente perché si è allontanato dal suo Dio e il popolo dei Gentili ridente perché si è rivolto e avvicinato al Signore, come Egli aveva promesso ai nostri patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. Infatti è venuto il tempo che per mezzodella discendenza di Abramo sia concessa a tutte le genti la benedizione divina (Vangelo dello Pseudo-Matteo, XIII, 1)

E’ evidente che, come si può sospettare dalla stessa lettura della lettera di Gerolamo ai vescovi Cromazio ed Eliodoro, il Vangelo dello Pseudo-Matteo, giunto in mano cattolica, ha subito tutta una serie di modifiche rispetto all’originale redatto dal manicheo Leucio, che a sua volta aveva tra le proprie fonti il Protovangelo gnostico di Giacomo.

Tra le modifiche apportate vi è indubbiamente questa interpolazione, che ha permesso alla Chiesa “Cattolica”, cioè “Universale”, di trasformare una profezia di matrice gnostica in una giustificazione teologico-politica dell’atteggiamento anti-giudaico tenuto dalla burocrazia clericale del tempo e del carattere “universale”, cioè rivolto a tutte le genti, del proprio messaggio.

2.

L'Ave Maria, Salomè e la fine della Pre-Gnosi ebraica

Il Proto-Vangelo di Giacomo deve essere considerato l’ultimo scritto dell’Antico Testamento, perché il contrasto tra l’Ave Maria e la parole rivolte da Gesù ad una donna, probabilmente Salomè, nel loghion n° 79 del Vangelo di Tommaso marcano il cambiamento di prospettiva tra il messaggio della Pre-Gnosi ebraica e della Qabbalah da un lato e il messaggio gnostico che ci è stato trasmesso dal Salvatore.

La pre-Gnosi, pur vedendo la luce divina che irradia nel creato e la necessità della rinascita umana alla divina sapienza, non vede ancora pienamente i limiti che l’esistere nel molteplice in un contesto sincronico e diacronico pone allo pneuma divino dell’essere umano.

Per comprendere pienamente il rapporto tra l’Ave Maria e le parole rivolte da Gesù a Salomè, bisogna tenere presente la notizia di Celso secondo cui il mistero della nascita del Salvatore di cui parlano i Vangeli dell’Infanzia è stato narrato direttamente da Gesù (<<T’inventasti la nascita da una vergine>>, <<Tuttavia, tu dici che alla tua nascita si levò la stella>>, ecc…).

Nel Vangelo di Tomaso, il Salvatore spiega dunque il senso delle parole rivolte dall’angelo a sua madre Maria:

Una donna gli disse di tra la folla: <<Beato il ventre che ti ha portato e i seni che ti hanno nutrito!>>. Egli rispose: <<Beati coloro che udirono il Logos del Padre e lo custodirono veramente! Giorni verranno nei quali direte: “Beato il ventre che non ha concepito e i seni che non hanno allattato!”>> (Vangelo di Tomaso, loghion n° 79)

Il Ventre di Maria rappresenta simbolicamente il cuore degli uomini pneumatici, che custodisce l’insegnamento divino del Salvatore.

Gesù bambino che si nutre ai seni di Maria rappresenta l’uomo psichico che nutrendosi del Logos del Padre (simbolicamente, il latte di Maria) si assimila a Dio.

La creazione viene vista qui nel suo limite di immagine imperfetta di Dio, che diventa di fatto un luogo di prigionia per lo spirito umano, non più in grado di vedere la luce del Padre.

3.

La mariologia manichea

La mariologia nasce in ambito manicheo verso la fine del III° secolo d.C., grazie soprattutto al lavoro di raccolta di tutte le antiche tradizioni gnostiche sulla madre di Gesù operato dal Maestro Manicheo Leucio, che ha realizzato una sintesi ed una riunificazione di tali tradizioni in un opera organica, che va sotto il titolo di “Morte di Nostra Signora Sempre Vergine Maria”.

Il ruolo avuto da Leucio nella composizione di questa importante opera mariologica manichea è stata descritta in maniera esemplare dal Vescovo di Sardi Melitone:

Spesso ricordo di avere scritto a proposito di un certo Leucio che visse con noi assieme agli apostoli, ma poi con un sentimento estraneo ed animo temerario si allontanò dalla via della giustizia e […] con linguaggio empio corruppe la stessa narrazione del transito della beata sempre vergine Maria madre di Dio tanto che non solo non è permesso leggerla in Chiesa, ma non è lecito neppure ascoltarla” (Melitone, vescovo di Sardi, Transito della Beata Vergine Maria, Recensione latina B, 1, I).

Subito dopo, Melitone ci indica, sia pure indirettamente, i contenuti che l’opera mariologica di Leucio ha mutuato direttamente dalla teologia e dalla antropologia manichee:

A voi dunque che ce lo domandate, alla fraternità vostra, scriveremo così semplicemente quanto abbiamo udito dall’apostolo Giovanni, non credendo ai dogmi strani che pullulano tra gli eretici, ma al Padre nel Figlio al Figlio nel Padre nella trinità delle persone pur restando indivisa la natura divina, né credendo alla creazione di due nature umane, una buona e l’altra cattiva, ma ad un’unica natura buona creata dal Dio buono, viziata dalla colpa per inganno del serpente e restaurata per la grazia di Cristo.” (Melitone, vescovo di Sardi, Transito della Beata Vergine Maria, Recensione latina B, 1, I).

La controversia teologica sorta in seguito alla apparizione della libro intitolato “Morte di Nostra Signora Sempre Vergine Maria” del manicheo Leucio riguardava dunque la teologia trinitaria e l’antropologia dualistica tipica della Gnosi Manichea.

Da quanto abbiamo appena letto, risulta evidente che il vescovo Melitone si è rifiutato di trascrivere l’opera di Leucio e che il suo Transito della Beata Vergine Maria non ha nulla a che fare con la Morte di Nostra Signora Sempre Vergine Maria scritta da Leucio.

L’opera mariana di Leucio si è salvata solo grazie a Giovanni, arcivescovo di Tessalonica, che, per andare incontro alle esigenze della devozione popolare verso Maria, alimentata per lo più proprio da questo importante Testo Sacro Manicheo, ha deciso di diffonderne una versione “riveduta e corretta”.

L’opera di Leucio, per come ci è stata trasmessa dall’arcivescovo Giovanni di Tessalonica, mantiene inalterate le caratteristiche della propria dottrina trinitaria e soprattutto l’antropologia dualistica di tipo manicheo, che aveva sollevato le ire del vescovo Melitone:

Con la morte, entrano nell’uomo due angeli, uno della giustizia, l’altro della cattiveria. Quando la morte scuote l’anima, si accostano questi due angeli e si discutono il suo corpo.

Se si constata che quell’uomo ha compiuto le opere della giustizia, l’angelo della giustizia ne gode perché in lui il maligno non ha nulla di suo.

Presso quest’anima si radunano molti angeli e cantano inni fino a quando non sia giunto al luogo di tutti i giusti; nel mentre l’angelo della cattiveria piange perché in lui non ha nulla di suo. Se invece si constata che ha compiuto le opere cattive, ne gode anche lui e chiama altri angeli maligni, che prendono quell’anima e la tormentano; e l’angelo della giustizia si duole grandemente” (Giovanni di Tessalonica, Morte di Nostra Signora Sempre Vergine Teotoco Maria, 5, 3).

Seguendo la più genuina tradizione gnostico-manichea, nel testo che ci è stato tramandato da Giovanni di Tessalonica viene messo in rilievo il carattere segreto, cioè riservato agli Eletti, del messaggio salvifico del Salvatore:

<<E mentre tu vedevi e udivi, egli mi rispose “C’è Giovanni che s’interesserà di te”. Ora, figlio mio, non dimenticare quanto, a mio proposito, ti è stato ordinato, ricordando che egli ti ha amato più di tutti gli altri apostoli. Ricordati che, a preferenza degli altri, hai posato il capo sul suo petto. Ricordati che, mentre posavi il capo sul suo petto, è solo a te che disse il mistero noto soltanto a me e a te, poiché tu sei vergine ed eletto. […] Gli avevo detto, infatti: “Dimmi quanto hai manifestato a Giovanni”. Ed egli lo disse a te, e tu mi hai comunicato il segreto. Ora, figlio mio, Giovanni non abbandonarmi>> (Giovanni di Tessalonica, Morte di Nostra Signora Sempre Vergine Teotoco Maria, 6, 1)

Il gesto di Giovanni di posare la testa sul petto del Salvatore, sul Sacro Cuore di Gesù, dove risiede simbolicamente la luce della Gnosi divina, richiama la nostra attenzione sul fatto che l’insegnamento salvifico del Logos è legato ad una comunicazione immediata, ad una illuminazione, cui l’uomo pneumatico giunge grazie alla sua immediata intuizione del messaggio salvifico del Verbo. Né va sottaciuto il fatto che Leucio si richiami direttamente alla tradizione gnostica giovannea.

Il carattere marcatamente gnostico di questi passi dimostra che l’arcivescovo Giovanni di Tessalonica, pur avendo scritto di avere eliminato “la semente nociva” presente nel libro sulla Morte di Nostra Signora di Leucio, in realtà non ha avuto il coraggio di rimaneggiare ed alterare in maniera sostanziale l’impianto del principale Testo Sacro Mariano, partendo dal presupposto che “gli odiosi inganni” dei manichei “non ci devono far disprezzare documenti che sono veritieri” (Giovanni di Tessalonica, Morte di Nostra Signora Sempre Vergine Teotoco Maria, 1, 4).

In conclusione, la mariologia della Chiesa Psichica, come del resto tutti gli altri rami del sapere teologico cattolico, è nata dalla fallace interpretazione psichica di un insegnamento segreto di tipo gnostico, che tutti possono leggere o ascoltare, ma che solo gli Eletti, rappresentati da Giovanni nel testo mariano di Leucio, sono in grado di capire.

 

Roma, 25/12/02

 

P.S.: L’ispirazione divina che mi ha permesso di scrivere questo saggio è sorta come una minuscola stella nel profondo del mio cuore la notte di Natale del 25/12/02

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