Introduzione al Misticismo (3)
Erica Tiozzo
Dall'Ottocento al Novecento
L'eredità del misticismo medievale si rintraccia, per certi versi, nell' idealismo tedesco, in Schopenhauer e altri pensatori novecenteschi, a conferma della permanenza diuna serie di idee di matrice neoplatonica nella coscienza occidentale cristiana.
Gli idealisti tedeschi - Schelling, Fichte, Hegel - mostrano curiose e mai taciute analogie col pensiero eckartiano, tauleriano, silesiano.
Più avanti, Schopenhauer, Nietzche e Simone Weil non retrocederanno di fronte ai tentativi di comprendere il mistero del Divino secondo una chiave di lettura più affine al pensiero greco e paleocristiano che a quello teologico del loro tempo.
La mistica dell'essenza, dunque, si rinnova incarnandosi principalmente in una certa componente del pensiero filosofico, quella più libera, lontana dai condizionamenti dell'epoca positivista, romantica o totalitaria che fosse.
Non si trovano, invece, tanti mistici dell'essenza tra le schiere cattoliche, ortodosse o protestanti: il panorama è improntato al sentimentalismo di derivazione controriformistica, rinforzato dalle tensioni ideali del Romanticismo.
I modelli di mistica e santità offerti dalla Chiesa nell'Ottocento e nel Novecento sono di totale asservimento alla chiesa-struttura, ai sacramenti e ai dogmi e vertono su meditazioni passioniste: la Chiesa, accerchiata dalle pretese del mondo moderno, gioca in difesa arrocandosi su posizioni estremamente dogmatiche.
Si sottraggono, con difficoltà, solo alcuni grandi personaggi a questo revival sentimental-romantico: Santa Teresa di Lisieux, forse, per il suo deciso antidualismo e l'identificazione dell'anima con lo Spirito.
L' IDEALISMO TEDESCO
Nelle università germaniche, ai primordi dell'Ottocento, nasce l'idealismo tedesco.
In contrapposizione con il pensiero kantiano, critico verso la Rivoluzione francese, polemico nei confronti dell'Illuminismo, l'idealismo non considera più i testi sacri come rivelazione, ma attribuisce loro scopi educativi, formativi: l'idealismo porta con sé una forte carica antidogmatica, ma non è affatto antireligioso.
La rivoluzione "ideale", dicono gli idealisti, non è quella violenta, utilitaristica e individualistica della rivoluzione del 1789, ma quella che seguirà alti valori morali ed etici, e coinvolgerà tutti i popoli e tutte le persone.
Fichte(1762-1814), considerato il fondatore del movimento, è infatti contrario alla creazione biblica, contesta duramente il dogmatismo e l'alterità oggetto-soggetto. E' particolarmente appassionato del Vangelo giovanneo.
Schelling (1775-1814), diretto discepolo di Fichte, calca posizioni più romantiche e spinge a coronamento del suo ragionamento sull' Io l'Assoluto.
Hegel,(1770-1831) il più idealista dei tre filosofi, noto per la sua "Fenomenologia dello spirito", si spinge oltre: arriva infatti a consigliare la perdita della soggettività, della volontà personale. Oggettività e soggettività non hanno infatti più importanza, l'Essere non è opposto al Non-Essere, perchè tutto è in divenire. Il principio trascendente infatti è anche immanente ed è l'uomo il vero mistero del Cosmo.
Già il solo pensare, il solo postulare l'idea dell'esistenza del Male, significa, nel sistema hegeliano, cadere nel dualismo e dunque nell'alienazione dal Divino.
La percezione è ingannevole, l'immediatezza è legame, dipendenza dalle cose di questo mondo che non può che implicare l'allontamento da una dimensione realmente spirituale.
Il cristianesimo, per Hegel, è la metastoria dell'anima che si fa spirito.
Non si possono non rilevare, specie in Hegel, un'alta aspirazione allo svelamento e alla conoscenza del Divino e le intuizioni di Hegel sono davvero mistiche: non vi sono contrapposizioni, ma una logica della realtà onnicomprensiva, totalizzante, infinita, sostanziale ed universale.
SCHOPENHAUER
Dichiaratosi avversario dell'idealismo germanico, poichè rifiuta i concetti ottimistici, personalistici e causalistici della religione, Schopenhauer (1788-1860) arriva a ripudiare anche l'apparato mitico del cristianesimo, pur attingendo a piene mani dai Vangeli.
Si definisce un ateo mistico, che possa spaziare senza agganciarsi ad alcun sistema di credenze.
In Schopenhauer il mondo è una nostra rappresentazione mentale dove i fenomeni non possono essere altro che lo specchio della nostra volontà personale, sempre di natura egoistica.
E' la volizione a rendere sofferto lo status di esseri umani in ogni istante; è dunque dalla volontà che è necessario liberarsi.
In tal senso, l'arte è purgativa perchè per un momento sospende il tempo, il dolore, sublima le pulsioni; l'ascesi raccomandata dal filosofo è esperibile tramite l'esercizio della carità.
La carità è la virtù regina, cardine della morale, perchè è la sola che può infrangere il sentimento individualistico, origine di tutti i mali. La pietà e la compassione sono le qualità da implementare con costanza: solo dalla compassione vengono giustizia e carità, che sono il vero amore.
Tuttavia, prosegue Schopenhauer nella sua speculazione, non si può pensare che arte ed etica conducano direttamente alla salvezza: è indispensabile negare la volontà alla radice.
Non è difficile cogliere, in questa accorata prova di rinuncia al personalismo, echi degli insegnamenti di Eckart o Taulero.
Il passaggio dalla necessità alla libertà avviene grazie alla conoscenza, che il filosofo identifica con il distacco da sè e dal mondo. La volontà, annientata dalla conoscenza, incontra finalmente la Grazia e la rigenerazione nella natura.
Per Schopenhauer (che pure rifiutava il mito) il Vangelo, come nell'antichità, è un Piccolo Mistero; gli scritti dei mistici, che esperiscono gli insegnamenti evangelici sulla loro carne, sono i Grandi Misteri.
E' oramai assodato che Schopenhauer conoscesse Taulero, Madame Guyon, Fenelon, Silesius.
NIETZCHE
La filosofia nietzheana, molto complessa, incompresa nell'Ottocento, molto attuale e oserei dire "di moda" oggi, è in bilico tra la negazione totale della cultura e del pensiero occidentale tramite la critica al razionalismo greco, al cristianesimo, all'Illuminismo e al Positivismo, e la creazione di un nuovo sistema di valori, incentrati sulla figura dell'Oltreuomo, sull'eterno ritorno e sulla volontà di potenza. Antiidealista, il filosofo identifica nella volontà di potenza un vitalismo necessario alla coscienza occidentale decadente e vinta.
Allievo di Schopenhauer, Nietzche (1844-1900), pur rifiutandola apparentemente, riconobbe nell'ascesi il massimo della volontà di potenza umana. La volontà di potenza e la nascita dell'Oltre-uomo sono i mezzi per evolvere: e per fare questo è necessario andare oltre la religione, la morale, vincere le passioni, l'attaccamento, la paura della morte persino.
E' l'amor proprio, l'Io, l'egoismo, la forza essenziale dell'animo umano. Il filosofo tedesco dunque propone il distacco dal'Io e dalla sostanza; è la paura del divenire, l'ansia del permanere a costruire lo stesso Io.
In ultima battuta, egli accetta l'idea di una forza
irrazionale che guida il mondo, ma non la considera crudele e cieca, come Schopenhauer: la volontà di potenza che pensava era una forza che solo l'Oltreuomo poteva incarnare, con titanici sforzi degni delle tragedie greche.Non si tratta, nel caso di Nietzche, di un percorso "purgativo" ammesso a chiare lettere; ma, di fatto, questa rinuncia al proprio Io così accorata è l'anticamera per mettersi sulle orme del proprio sé.