Gnosticismo ed Agnosticismo
di Filippo Goti |
26 Ottobre 2009, questo mio scritto rettifica, integra, e ammenda ogni mio
scritto precedente.
Esiste un rapporto fra gnosticismo e agnosticismo che ben più radicale,
della comunione che entrambi ritrovano nella parola greca conoscenza ?!
L'agnostico
è colui che innanzi ad un concetto sospende il proprio giudizio giacché non
è in possesso di utili informazioni, o dell'esperienza, o degli strumenti
logici, per trovare ad esso soluzione.
Esso non esclude risposta affermativa o negativa al quesito,
solamente si esula da dare risposta in quanto essa è esterna alle sue
possibilità o capacità immediata. Si comprende che ciò non significa che si
escluda la possibilità di risposta, ma solamente la coincidenza fra questa e
l'insorgere del problema sottoposto.
Seppur la posizione agnostica possa essere il risultato di ogni umana
relazione che vari fra l'etica, la morale, la scienza, e la filosofia, essa
assume particolare rilevanza nel rapporto fra uomo e Dio. Costituendo una
sorta di terzo polo, che si incunea fra credenti e atei. Mentre i primi
accettano per fede o per interpretazione di particolari fenomeni l'esistenza
di un creatore, i secondi la negano radicalmente, sostenendo l'inutilità e
la superstizione legata alla credenza in Dio. Innanzi a tali irriducibili
posizioni, l'agnostico semplicemente sostiene l'inadeguatezza dell'umana
sfera innanzi a simile questione.
Del resto non possiamo non ammettere come tutta la scienza e la filosofia
umana, intese come lettura ed interpretazione del manifesto, sono sempre
soggette alla caducità e all'imperfezione, in quanto l'uomo stesso è
comunque parte di quell'insieme che esso stesso intende studiare, e da cui
vuole trarre delle risposte formative ed informative anche su se stesso.
In altri termini è come se per unità di misura noi utilizzassimo uno
strumento che è al contempo misura e misuratore, e la cui lettura e
determinatezza varia in relazione al fenomeno indagato. Del resto non
possiamo neppure negare come le stesse religioni nel momento in cui
pretendono di ridurre a dialettica Dio e il rapporto fra questi e la
creazione, cadono esse stesse in profonda contraddizione, in quanto fanno di
ciò che è posto oltre l'uomo, una sorta di specchio dell'uomo stesso.
Neppure è accettabile la posizione di coloro che semplicemente negano ogni
espressione sovra o ultra umana, in quanto non è negando la questione
ontologica, che possiamo avere determinazione del rapporto fra l'uomo e le
cose tutte. L'ateismo è la speculare posizione al credente. L'ateo e il
credente nei fatti entrambi aderiscono in modo radicale ad una categoria
concettuale assoluta ed assolutistica.
Lo gnosticismo s’interroga attorno ai rapporti fra creatura e creatore, e
giunge alla conclusione che il mondo fenomenico e il mondo superiore, l'uno
caduco e binario, l'altro permanente e unitario, sono frutto di una frattura
pneumatica, causata da una caduta, da un errore, che si è ripercorsa di
manifestazione in manifestazione. In se questa frattura non è universalmente
risanabile, ma solamente a livello individuale tramite una trasmutazione e
un riassorbimento di ogni singola manifestazione nella propria essenziale
radice. In un percorso che coniuga la scarnificazione e l'eccellenza. La
scarnificazione di ciò che è, e l'eccellenza di ciò che realmente siamo.
Attraverso una complicata cosmogonia, una ricca letteratura mitologica e
poetica, lo gnostico impone che la relazione Creatura e Creatore non sia
costretta sui piani della logica, legata al manifesto, e neppure della
speranza cieca, legata al mondo delle emozioni, bensì condotta sul piano
dell'indagine interiore, della sublimazione dell'uomo, del monito che ogni
umana ricerca gode trova esaltazione e limite, proprio dalla condizione
umana. La quale possiamo riassumerla come parte del problema e parte della
soluzione.
Se la manifestazione è quanto di sensibile posto innanzi alla nostra
indagine, è al contempo velo di ciò che è posto oltre la stessa, e anche
qualora si alzasse tale velo allora immediatamente ciò che fino a quel
momento era da esso celato ricade nella sfera del sensibile. Ecco quindi il
Demiurgo artefice della manifestazione, disgiunto dal piano pneumatico o
spirituale, ma solamente Rex Mundi, che come tale è vertice ed elemento
della manifestazione stessa. Nella scuola valentiniana il mondo pneumatico,
o delle idee superiori o della permanenza, o del perfetto spirito, è posto
oltre l'Abisso e il Silenzio, un duplice e profondo baratro che separa
l'uomo, che pur ha superato le prove iniziatiche, dalla sua condizione alla
sua aspirazione. O in altri termini da ciò che è puramente eonico, da ciò
che non lo è.
Valentino pare suggerirci che l'ultimo passo da compiere, frutto di una
progressiva scarnificazione, è quello di abbandonare proprio la condizione
umana, in quanto tale è l'impedimento per la comprensione del mondo degli
eoni.
Sempre un'apparente contraddizione che la ricchezza simbolica e mitologica
gnostica, i sottili sofismi che pare che la permangano, si concluda con la
spogliazione non solo a ciò che siamo, ma a ciò che non siamo proprio, in
quanto ci impedisce di essere veramente.
Ecco quindi il silenzio e l'abisso, e il monito di come la visione della
radice prima sia negata agli stessi eoni, scuola barbelotiana, in quanto o
siamo o non siamo ciò che siamo, e quindi siamo Altro.
Lo gnostico constata quindi di essere estraneo alla creazione tutta, in
quanto in lui è preesistente una radice spirituale superiore, ma è ancora
dolorosamente altro rispetto alla propria aspirazione.
Questa radice spirituale non è perfettamente definibile, non è
circoscrivibile, in quanto è sentita avvertita come una flebile luce, che
intensificandosi mostra per differenza l'ombra che la circonda e in cui lo
gnostico è avviluppato. Essendo però su di un piano manifestativo, e quindi
sensibile, le forze e gli elementi che compongono l'insieme dell'indagine
sono in continua mutazione reciproca, in una sorta di perenne interferenza,
fino a quando l'una riduce l'altra per manifesta impossibilità di
proseguire. Ma quando si giunge a simile estremità allora immediatamente
hanno fine le domande, e ciò che era un tendere verso un punto, diviene il
punto stesso.
In conclusione possiamo affermare che lo gnostico non si poneva e pretendeva
nessuna risposta attorno alla radice prima, e ai rapporti fra questa e
l'uomo, in quanto ogni speculazione sulla medesima sarebbe coincisa nel
degradarla sul piano manifestativo. Ecco quindi l'utilità filosofica di
relegarla su di un piano di assoluta intangibilità per l'uomo stesso, e
pretendere da quest'ultimo, al fine di comprenderla, di esserla rinunciando
ad essere.
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