L’EDIFICAZIONE DEL
TEMPIO
(tratto da: Alessandro Orlandi, Alberto Camici, La Fonte e il cuore,
Edizioni Appunti di Viaggio)
Alessandro Orlandi (1)
Il termine «tempio» deriva dalla
radice indoeuropea tem, che significa «dividere», «delimitare». Ciò che
viene delimitato dal perimetro del tempio è uno spazio sacro,
all’interno del quale i fedeli si raccolgono in preghiera. È nel tempio
cristiano che il sacerdote celebra la Messa e si rivolge alla comunità
per annunciare il verbo di Cristo. Nello spazio del tempio vengono
rinnovati il sacrificio del Redentore e il Mistero della
transustanziazione del pane e del vino in carne e sangue di Gesù. Nel
tempio possono essere inoltre ricevuti tutti i sacramenti: Battesimo,
Cresima, Eucaristia, Confessione, Unzione degli infermi, Matrimonio e
Ordinazione sacerdotale. Il tempio si configura quindi come centro
spirituale per coloro che vi si recano, è un luogo carismatico nel quale
si avverte con forza particolare la presenza del Signore, ed è quindi
particolarmente propizio per ricercare un contatto più profondo con Lui.
Il Cristianesimo, che pure viene da una tradizione polemica con gli
edifici sacri (cfr. Gv. 4, 24), non ha potuto rinunciare al linguaggio
spaziale per operare una mediazione tra umano e Divino. L’esperienza del
Templum è anzi passata nel linguaggio attraverso i vocaboli
«contemplare» e «contemplazione», per significare quell’attività del
pensiero che nasce quando l’uomo, prescindendo dai sensi esteriori e
dalla ragione concreta, si immerge nel pensiero vivente. In molte
religioni (1) il nome che viene dato al tempio è quello di «Legame tra
Cielo e Terra». Così, Dur-an-ki («legame tra cielo e terra», appunto)
era il nome dei santuari delle antiche città babilonesi di Nippur, Larsa
e Sippar. Ritroviamo tale denominazione nella tradizione ebraica,
riferita al tempio di Gerusalemme (che la Mishna chiama, appunto,
«legame tra cielo e terra»). Negli scritti di numerosi mistici si
immagina che il tempio si trovi alla base di un asse verticale (axis
mundi) che unisce la terra al cielo, tramite il quale la volontà celeste
si manifesta nel mondo inferiore. In quanto luogo che consente all’anima
di elevarsi verso una dimensione verticale, verso il rapporto con Dio,
ogni tempio è considerato un’immagine di ciò che è eterno, un «centro
del mondo»(2) attraverso il quale si rivela quel Principio Immutabile che
è l’alfa e l’omega e viene indicato l’inizio e la fine di tutte le cose.
Per i motivi su esposti, fin dalla più remota antichità veniva data
grande importanza alle modalità di costruzione del tempio. Il luogo
scelto per la sua edificazione era infatti destinato a diventare una
«porta» tra la realtà terrena e quella celeste. Le stesse regole
adottate dai costruttori dovevano inoltre rispecchiare, attraverso i
rapporti tra le misure dei vari elementi architettonici, le leggi divine
che regolano sia il mondo visibile che quello invisibile.
Per ciò che riguarda l’orientamento degli edifici sacri, i cristiani fin
dai primi secoli disposero le chiese con la facciata rivolta a Occidente
e l’abside rivolto verso Oriente, luogo della luce e della rinascita e
quindi simbolo di Cristo, sole che sorge dall’alto (cfr. Lc. 1, 77). Per
questo stesso motivo l’Oriente fu scelto come direzione per orientare
l’altare. È da rilevare che il medesimo orientamento veniva prescelto
per tombe e cimiteri. L’importanza data al luogo del sorgere del sole si
evince anche dal fatto che fino al quinto secolo, durante le preghiere
mattutine, ci si rivolgeva verso Oriente (3). Precise regole edilizie
venivano adottate sia per scegliere il luogo ove edificare una chiesa,
sia per determinare le misure, i rapporti e le forme geometriche dei
vari elementi architettonici. Eliade cita alcuni notevoli esempi di riti
in uso nell’est europeo (4). Per comprendere l’importanza data alle misure
e ai rapporti numerici nella costruzione del tempio, basti pensare alla
minuziosa descrizione che in (1 Re 6, 2) viene fatta a proposito del
tempio di Salomone e alla fortuna che tale passo biblico ha avuto sia
nella tradizione cristiana che in quella ebraica e nella letteratura
mistica di tutti i tempi.
A proposito del simbolismo costruttivo, la Davy (5)
scrive che la forma
rettangolare del tempio si richiamava all’idea della terra e
all’immagine dell’uomo che tende a imitare Cristo, quadrato perfetto,
mentre la forma a croce latina si ispirava alla croce e al martirio di Gesù. La forma rotonda e quella ottagonale richiamavano invece l’idea
della dimensione celeste e trascendente, del tempio come «casa di Dio» e
come immagine dell’Universo. Per lo stesso motivo, battezzare un neonato
all’interno di un battistero di forma ottagonale significava orientare
la sua anima verso il cielo (6). Le cupole
(7) devono a loro volta la forma
rotonda al fatto di rappresentare il Cielo. Le cripte, destinate spesso
a custodire reliquie e tombe di santi, erano luoghi consacrati al
raccoglimento e alla preghiera, quel raccoglimento iniziatico che
prelude alla morte e alla resurrezione. La porta e i portali, collegando
l’interno e l’esterno della chiesa, esprimono il più delle volte la
natura dell’intero edificio e sintetizzano il cammino che conduce il
fedele dalle tenebre alla luce, dalla cecità e dall’ignoranza
all’epifania divina. Per questo, specie nell’arte romanica e gotica, le
sculture poste in prossimità dei portali rivestono grande importanza e
recano sovente i simboli del tempo ciclico, i segni dello Zodiaco e la
rappresentazione delle attività svolte nelle varie fasi dell’anno
solare.
Infine si comprende meglio la funzione dell’altare, luogo del sacrificio
e dell’offerta, se ricordiamo che il nome dato nell’antichità alla
pietra sacrificale era «ara». La radice ar, da cui anche Ares (dio della
guerra e dell’azione) e Caronte (traghettatore delle anime negli
inferi), significa «forza maschile fecondatrice» (8). Esiste quindi una
sotterranea corrispondenza tra la Pietra sacrificale e le energie
primarie dell’uomo, che debbono essere elevate verso Dio. La Pietra
Angolare (citata nelle Scritture in Sal. 118, 22; Mt. 21, 42; Mc. 12,
10; Lc. 20, 17), è la «pietra scartata dai costruttori» sulla quale
Pietro è chiamato a edificare la Chiesa di Cristo9. Da un punto di vista
architettonico – così osserva Guénon – si può identificare con la
«testata d’angolo» o «chiave di volta», l’ultima pietra che completa
l’arco. Ciò stabilisce una analogia tra la prima e l’ultima pietra, tra
la pietra di fondazione che si trova in basso e la testata d’angolo che
è in alto, tra il principio e la fine della costruzione. Da tale punto
di vista, scrive Guénon, «la prima pietra o pietra fondamentale può
essere considerata un riflesso dell’ultima pietra, che è la vera pietra
angolare» (10). Dietro questo apparente enigma sembra nascondersi una
verità profonda: la Pietra caduta dal cielo, il lapsit exillis di
Wolfram Von Eschenbach, la pietra da cui fu tratto il calice del Graal,
va riconosciuta ed elevata perché il tempio del Signore possa essere
innalzato, dentro e fuori di noi.
C’è un punto essenziale che ritroviamo in tutta la tradizione cristiana,
dai Vangeli ai Padri della Chiesa, ai mistici del medioevo: costruire il
tempio significa allo stesso tempo edificare nel cuore il luogo ove
l’esperienza viene trasfigurata. Infatti ciò che l’uomo sperimenta come
sublime ed elevato al suo esterno, può cercarlo dentro di sé e
viceversa. Edificare il tempio significa pertanto interiorizzarne il
simbolismo e aprire quei canali sottili che consentono all’uomo di
ascoltare lo Spirito che gli parla attraverso ciò che accade.
L’evangelista Giovanni scrive: «E il Verbo si fece carne e venne ad
abitare in mezzo a noi» (Gv. 1, 14) e più oltre riferisce le parole di
Gesù ai Giudei: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato
costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? Ma
egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv. 2, 19-22); e san Paolo a sua
volta così scrive ai Corinzi: «Non sapete che siete tempio di Dio e che
lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor. 3, 16). Nella letteratura
patristica questi passi vengono meditati e approfonditi
(11): Cristo è il
vero tempio ed edificare il tempio in noi significa far vivere Cristo
nel cuore, incarnarlo nelle nostre vite e quindi rinnovare in noi la sua
passione, morte e resurrezione (12).
Il parallelo tracciato tra costruzione del tempio in terra e risveglio
dei princìpi spirituali nel corpo è anche patrimonio delle altre
religioni, secondo le quali la traccia che il Creatore ha impresso nel
Macrocosmo, nell’Universo, ha il suo corrispettivo nel microcosmo umano.
Scrive a questo proposito A. Coomaraswamy: «Bisogna rendersi conto che
in India, come altrove, non soltanto i templi fatti dall’uomo sono
l’Universo, secondo una modalità simbolica, ma anche l’uomo stesso è un
microcosmo e un ‘tempio santo’, ovvero la Città di Dio (brahamapura). Il
corpo, il tempio e l’universo sono quindi analoghi, cosicché ogni atto
di culto eseguito esteriormente in modo visibile può essere celebrato
anche interiormente, in modo invisibile» (13). Questo continuo mutamento di
prospettiva tra macrocosmo e microcosmo, tra universo e uomo, tra tempio
esterno e tempio interiore, si rivela anche nella credenza che ogni
organo, parte e funzione del corpo abbia un suo corrispettivo sottile
nella persona umana e rispecchi un princìpio fondamentale della
costituzione stessa del cosmo (14). Valga per tutti il seguente passo delle Upanishad: «Questo spazio che si trova all’interno del cuore è
altrettanto vasto quanto lo spazio che abbraccia il nostro sguardo.
L’uno e l’altro, il cielo e la terra, vi sono riuniti, il fuoco e
l’aria, il sole e la luna, la folgore e le costellazioni... tutto ciò
che esiste è riunito in questa città del Brahman, tutti gli esseri reali
e tutti i desideri» (Chandogya Upanishad, VIII, 1, 1-5). Tornando ora
alla tradizione cristiana, è impossibile non accostare il seguente passo
di Origene al brano delle Upanishad sopra citato: «Non meravigliarti se
diciamo che queste cose sono dentro di te, comprendi che tu sei un altro
mondo in piccolo, e che in te ci sono il sole, la luna, anche le
stelle... Vedendo dunque che tu hai tutto quello che ha il mondo, non
devi dubitare di avere dentro di te anche gli animali che si offrono
come vittime, e che da questi devi spiritualmente offrire vittime»
(15).
Spesso i mistici cristiani parlano dell’uomo come di un microcosmo e dei
cinque sensi come delle porte di tale microcosmo. Ad esempio Simone da
Cascina, un mistico del quattordicesimo secolo, descrive un «monastero
spirituale» in ogni suo particolare: chiostro, colonne, parlatorio,
orto, ecc. (16). Si tratta di un monastero interiore, fatto di virtù e
conquiste dello spirito, che viene immaginato morfologicamente identico
a un monastero «fatto di pietre».
Per approfondire ulteriormente la concezione cristiana del tempio
occorre ora prendere in considerazione l’antitesi tra Gerusalemme
terrena e Gerusalemme celeste. Osserva padre Gentili che «già gli
antichi rabbini coglievano nel nome stesso Jerusalayim (che è al duale)
i due volti della città: terrestre e celeste, presente e futura,
circoscritta alla nazione israelitica di cui è capitale e aperta
universalmente a tutti i popoli» (17). Nella letteratura vetero e
neotestamentaria, accanto alla Gerusalemme terrena soggetta a cadute e
schiavitù (Gal. 4, 25), abbandonata e derelitta (Is. 60, 15; Sal. 81,
12-13), adultera (Ez. 16, 32), sterile (Is. 54, 1), indotta alla
prostituzione (Ger. 3, 68; Ez. 16, 15; Is. 1, 21) e vedova del suo
Signore (Is. 47, 8-9; Ger. 51, 5; Is. 54, 4), c’è una Gerusalemme
celeste, nostra vera madre (Gal. 4, 26), luogo di luce, splendore e
perfezione (Ap. 12 e 22). Un giorno da lei scaturiranno acque vive (Zc.
14, 8) e il Signore tornerà a purificare la Gerusalemme terrena (Zc. 8,
3 e 2, 14-16; Is. 4, 4; Is. 54, 6-9) (18). Il cammino della Chiesa e della
comunità cristiana è guidato dalla Gerusalemme celeste come da una
stella polare. Essa è la speranza nel futuro e la guida di chi crede.
Nel mezzo della Gerusalemme celeste scorre infatti un fiume d’acqua viva
che alimenta l’albero della vita (Ap. 22, 12). Alla fine dei tempi la
Gerusalemme celeste scenderà sulla terra e non vi sarà più differenza
tra Gerusalemme terrena e Gerusalemme celeste, che verranno riunificate
(Tb. 13, 13-18; Is. 54, 11-15) e tutti i popoli della terra ne
riconosceranno lo splendore. Questa profezia si riferisce sia all’intera
comunità cristiana, lungo il millenario cammino della sua storia, sia a
ogni singola anima. Nel corso della propria vita ogni uomo conosce la
tensione tra la Gerusalemme presente e terrena, corrotta e perfettibile,
e quella celeste, incorruttibile e perfetta. Ogni uomo lotta per
incarnare la Gerusalemme celeste nella propria esistenza, per costruire
cioè il proprio tempio interiore. La consapevolezza del rapporto tra la
costruzione materiale del tempio e l’acquisizione da parte dell’uomo di
qualità spirituali è particolarmente presente nell’arte romanica e
gotica. Scrive a tale proposito Burckardt: «Nell’architettura romanica
la navata si allunga progressivamente: è il pellegrinaggio verso
l’altare, la terra santa, il Paradiso» [....] «Le cattedrali gotiche
realizzano un altro aspetto del corpo mistico della chiesa o del corpo
dell’uomo santificato: la sua trasfigurazione operata dalla luce della
grazia». Nelle Origini del gotico, Émile Male narra come nel medioevo le
confraternite di costruttori di cattedrali si tramandassero come un
«segreto del mestiere» la dottrina simbolica che Vincenzo di Beauvais
tentò successivamente di sistematizzare nel suo Speculum majus (1624).
Oltre che libro di pietra, creato per rendere testimonianza alle
Scritture, la cattedrale gotica doveva essere anche specchio della
Natura, specchio della Scienza, specchio della Morale e specchio della
Storia (19). Questa suddivisione, come osserva Male, è mirabilmente
riprodotta nella concezione dei portici di Chartres.
I criteri estetici che prevalgono al giorno d’oggi sembrano invece
destinare le opere d’arte a una fruizione meramente sentimentale ed
edonistica, relegandole a un ambito indipendente sia dalla vita attiva
che da quella contemplativa. Tali criteri sono lontanissimi dall’idea
dell’arte e del bello che ispirò allo spirito umano quei monumenti che
furono le cattedrali romaniche e gotiche. La funzione spirituale
dell’opera d’arte e il potere simbolico ed evocativo dell’architettura
sacra medioevale erano elementi essenziali nel rapporto tra il tempio e
i fedeli che vi si raccoglievano. Al giorno d’oggi utilità, funzionalità
e profitto sembrano i criteri ispiratori di architetti e ingegneri e
anche l’arte sacra sembra venir meno al suo compito, che è quello di
parlare allo spirito e risvegliare le coscienze attraverso la
contemplazione del bello. A questo proposito, lo storico dell’arte
Ananda Coomaraswamy lamenta «quella secolarizzazione dei simboli sacri e
del linguaggio ieratico, quello svuotamento di significato che noi ben
conosciamo nella storia dell’arte, quand’essa dalla formalità s’abbassa
alla figuratività, così come il linguaggio dall’originaria precisione
s’evolve fino a non avere infine che valenze confuse ed emotive... così
la nostra estetica non è che una falsa retorica, è un’adulazione della
debolezza umana con la quale possiamo spiegare solo le arti che non
hanno altro scopo se non quello di piacere».(20)
Del massimo interesse per il discorso che andiamo facendo sono alcuni
passi della Città di Dio di sant’Agostino. Agostino traccia una
divisione tra la città di coloro i quali «vivono in conformità con
l’uomo» e la città di quelli che «vivono in conformità con Dio».
Chiunque aspiri a entrare nella città di Dio, vive quaggiù come un
pellegrino, dice il santo, perché «prima viene lo stato spregevole da
cui dobbiamo necessariamente iniziare e in cui non dobbiamo
necessariamente rimanere... e se non tutti i cattivi diverranno buoni,
nessuno sarà buono che prima non fosse cattivo». «La Scrittura dice di
Caino che fondò una città, mentre Abele non ne fondò nessuna in quanto
pellegrino. In alto sta infatti la città dei santi, sebbene produca
quaggiù i suoi cittadini e nelle loro persone sia pellegrina sulla
terra, finché giunga il tempo del suo regno».(21) Coloro i quali vivono in
conformità con l’uomo sono invece gli stessi che edificarono una torre
fino al cielo, la quale, «simbolo di esaltazione empia, si rivelò la
città, ossia la società, degli empi».(22) L’effetto di quell’atto di
orgoglio fu quello di «estraniare il genere umano dal culto del vero Dio
e la confusione delle lingue»( 23), derivata dall’aver scambiato il tempio
terreno con quello celeste. Da queste parole di Agostino si ricava la
convinzione che il vero tempio che l’uomo può costruire sulla terra è un
tempio itinerante, le cui colonne sono i cristiani nel loro continuo
tendere verso lo spirito.
L’usanza diffusa in tutta la cristianità di compiere pellegrinaggi verso
cattedrali e luoghi di culto particolarmente carismatici va dunque
intesa anche come un atto simbolico: ogni pellegrino è la traccia
visibile e lucente di un percorso invisibile, diretto verso l’alto e
verso Dio, un segno del cammino che l’intera chiesa compie nel corso
della sua storia. Così l’oggetto del pellegrinaggio, il tempio, dev’essere
venerato come simbolo visibile di una realtà trascendente.
NOTE
Note:
(1) "L'autore ha svliluppato alcune delle idee esposte in questo articolo nel suo saggio "Dioniso nei frammenti dello specchio", Irradiazioni, Roma 2003
Cfr. M. Eliade, Immagini e Simboli, Jaca Book, Milano 1981, pp. 41 e
sgg.
2 Sul simbolismo del centro nelle religioni, cfr. il saggio di R. Guénon,
L’idea del centro nelle tradizioni antiche, in Simboli della scienza
sacra, Adelphi, Milano 1975, pp. 63-71; e M. Eliade, Trattato di storia
delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pp. 377-398.
3 È probabile che lo stesso termine «orientare» tragga origine proprio
dall’uso di allineare i luoghi verso Oriente.
4 In I riti del costruire, Jaca Book, Milano 1990, pp.55 e sgg. Di
Eliade cfr. anche Il simbolismo del centro e costruzione di un centro,
in Immagini e Simboli, op. cit., pp. 41 e sgg.; cfr. anche M.M. Davy, Il
simbolismo medioevale, Ed. Mediterranee, Roma 1988 e T. Burckhardt,
L’arte sacra in Oriente ed Occidente, Rusconi, Milano, 1990. Per
l’orientazione dei templi nell’antichità pagana, cfr. J. Richer,
Géographie sacrée du mond grec, Guy Trédaniel, Paris, 1983 e, dello
stesso autore e presso lo stesso editore, Géographie sacrée dans le mond
romain, Paris, 1985. Sul simbolismo costruttivo del tempio
nell’antichità, affrontato dal punto di vista delle religioni comparate,
cfr. R.A. Schwaller de Lubicz, Le temple de l’homme, Caractères, Paris
1957.
5 Op. cit., pp. 195 e sgg.
6 Il numero otto è ricco di valenze simboliche. Rappresenta anzitutto,
attraverso le direzioni cardinali della Rosa dei Venti, la possibilità
data all’uomo di orientarsi nell’universo che lo circonda, apprendendo a
guardare lontano per scorgere, al di là delle apparenze, le cause remote
e trascendenti di ciò che si manifesta nel mondo (cfr. il Salmo CIV, 4,
nel quale Dio fa dei venti i suoi messaggeri). Così, nella cultura
cinese, sono otto i trigrammi del libro dell’I-Ching, archetipi
fondamentali da cui trae origine tutto ciò che esiste ed ogni mutamento,
associati ognuno ad una direzione della Rosa dei Venti. Otto sono le
braccia di Vishnu, il dio indù il cui Sogno è il Mondo, e rappresentano
gli otto Guardiani dello spazio. Il mito inca sulle origini remote di
tale popolo narra di otto antenati primordiali, quattro fratelli e
quattro sorelle. Nelle raffigurazioni tradizionali (ad es. nell’arte
gotica), sono otto i raggi della Ruota Cosmica, le Vie che possono
condurci verso il Centro, e tale considerazione vale anche per la Ruota
Celtica e per la Ruota della Legge buddhista. L’ottagono viene spesso
inteso come figura intermedia tra quadrato e cerchio e, quindi, può
raffigurare sia il ruolo di mediazione tra Terra e Cielo proprio degli
edifici sacri, sia il mondo intermedio degli Angeli, i «messaggeri».
Così, nello Scivias di santa Ildegarda, il trono divino che circonda i
mondi è sostenuto da otto angeli e una identica rappresentazione si
riscontra nella tradizione islamica. Per questo motivo, l’otto ha a che
fare in generale con la ricerca dell’equilibrio; per l’uomo, in
particolare, tra la parte animale e quella divina. Tale significato
assumono sia l’Ogdoade pitagorica che quella gnostica. In quanto numero
legato al Tempo, l’otto è simbolo di resurrezione e di trasfigurazione:
nella Tradizione giudaico cristiana tale è il significato dell’ottavo
giorno che segue i sei giorni della Creazione e il sabbath e il medesimo
significato ha in Astrologia l’ottavo segno, lo Scorpione. Per questo
motivo molti battisteri e fonti battesimali, in quanto luoghi della
transizione tra il Vecchio e il Nuovo Uomo, hanno una forma ottagonale
e, mentre il numero sette viene soprattutto associato al Vecchio
Testamento, il numero otto corrisponde al Nuovo. Infine, nel simbolismo
matematico, un otto rovesciato rappresenta l’infinito.
7 Sul simbolismo della cupola cfr. Guénon, Il simbolismo della cupola,
in Simboli della scienza sacra, Op. cit., pp. 221-229 e A. Coomaraswamy,
Il simbolismo della cupola, in Il grande brivido, saggi su simbolica e
arte, Adelphi, Milano 1987, pp. 366-415.
8 Per questa etimologia, cfr. J.J. Bachofen, Il Matriarcato, Einaudi,
Torino, 1988, pag. 125.
9 In senso anagogico la pietra è il fondamento, la base; per questo
Cristo dice a Pietro: «Io ti dico che tu sei Pietro e che su questa
Pietra edificherai la mia chiesa.» La Pietra è l’occultum lapidem, è
l’elemento divino che dimora nell’uomo, il più profondo sé da ricercare.
Ricordiamo il V.I.T.R.I.O.L. ermetico: Visita Interiora Terrae
Rectificando Invenies Occultum Lapidem.
10 Cfr. R. Guénon, La pietra angolare, in Simboli della scienza sacra,
op. cit., pp. 238-254.
11Una stimolante riflessione su questo tema si può trovare in Vannucci,
Il nuovo Tempio, in Il risveglio della coscienza, Cens, Milano, 1984.
12 Così ad esempio in Cromazio (Commento al Vangelo di Matteo, Collana
di Testi Patristici, Città Nuova, Roma, 1976, XLVI, pp. 209-10), in
Cirillo d’Alessandria (Perché Cristo è uno, C.T.P,XXXVII, p. 78), in
Barnaba (Lettera di Barnaba, C.T.P, V, pp. 209-10), in Damasceno (Omelie
Cristologiche e Mariane, C.T.P, XXV, p. 66), che paragona il corpo al
tabernacolo terreno, e in Origene (Omelia sull’Esodo, C.T.P, XXVII, p.169),
in un passo dedicato al significato simbolico del tabernacolo. Il
tabernacolo, in quanto luogo nel quale viene custodito il corpo di
Cristo, è una replica del Tempio in piccolo, un «tempio nel tempio».
13 A. Coomaraswamy, Un tempio indiano: Il Kandarya, in Il grande
brivido, op. cit., p. 4.
14 Cfr. a questo proposito il § 8 del capitolo 1° di questo libro. Per
ciò che riguarda la tradizione cristiana, cfr. il saggio di A. Gentili,
Le ragioni del corpo, Ancora, Milano, 1996. Per la tradizione ebraica
cfr. il mito dell’Adam Kadmon e dell’«uomo cosmico», il Sepher Yetsirah,
trad. it. a cura di S.Savini, Carabba, Lanciano, 1938 e lo Zohar, trad.
franc. Verdier, Alençon 1981. Cfr. anche M. Eliade, Simbolismo
architettonico e fisiologia sottile, in Spezzare il tetto della casa,
Jaca Book, Milano, 1988, pp. 149-157 e R.R. Schwaller de Lubicz, Le
Temple de l’homme, op. cit.
15 Origene, Omelie sul Levitico, C.T.P,V, p. 23 e 34.
16 Cfr. Simone da Cascina, Colloquio spirituale, in Mistici del duecento
e del trecento, Rizzoli, Milano-Roma, 1935, pp. 949- 975.
17 A. Gentili, Se non diventerete come donne, op. cit., pp. 69-70.
18 Questa corrispondenza tra il Tempio celeste e gli aspetti più
luminosi della figura materna si rivela anche attraverso il numero di
cattedrali dedicate alla Vergine Maria, a Nôtre Dame. Cfr. a questo
proposito, il § 2 del capitolo III di questo libro.
19 Cfr. E. Male, Le origini del gotico, l’iconografia medioevale e le
sue fonti, Jaca Book, Milano, 1986, pp. 47 e sgg.
20 A. Coomaraswamy, Figura di parola o figura di pensiero?, in Il grande
brivido, op. cit., pp. 13 e sgg.
21 Agostino, La città di Dio, 15. 1.
22 Ibid. 16. 10.
23 Ibid. 16. 10.