DIO DEI CIECHI

 

Omjoi

 

 

“Apri i suoi occhi; vide una materia grande senza fine; divenne

arrogante, e disse: Io sono Dio, e non ve n’é altri all’infuori di me -

Quando disse questo, peccò contro il tutto. Ma dall’alto, dall’autorità

assoluta, venne una voce, che disse: Tu sbagli Samael ( dio dei ciechi)”

 

Il brano proposto e’ tratto dalla Natura degli Arconti, uno dei testi  ritrovati a Nag Hammadi.

In poche frasi l’autore del testo delinea una completa cosmogonia, in  cui viene svelata la vera condizione  del macrocosmo e per conseguenza  del microcosmo: quella dell’errore.

Nel brano si delinea un movimento che puo’ essere rappresentato dai  seguenti passi: risveglio dal sonno, percezione parziale, inorgoglimento e peccato contro il tutto, segnalazione della condizione di errore.

 

Dal contesto risulta evidente che il soggetto e’ il cosiddetto Demiurgo, il primo Arconte, il dio imperfetto creatore di un  mondo imperfetto, secondo il simbolismo gnostico.

Analizziamo i singoli passi tenendo presente l’inversione simbolica tipica del mondo di pensare degli gnostici.

 

[Il demiurgo] “apri’ gli occhi”. Aprire gli occhi, cioe’ vedere e’ prerogativa di un essere divino come e’ dell’essere divino la possibilita’ di percepire l’infinito. Viene detto che da una condizione

di cecita’ totale si passa ad una condizione di visione, da uno stato

di sonno si passa ad uno stato di veglia.

”Vide una materia grande senza fine”. Aperti gli occhi si ha la percezione dell’infinito, ma qui si parla esplicitamente di materia. Il

primo Arconte ha dominio visivo sull’universo infinito, sulla materia ma solo su questa. L’imperfezione gli impedisce di andare oltre la materia, di percepire la vera origine di quella materia grande e senza fine.

Aprire gli occhi, svegliarsi dal sonno e condizione necessaria per

percepire la realta’, ma non sufficiente: la visione puo’ essere

parziale, distorta.

”Divenne arrogante”. La parziale cecita’ porta a conclusioni parziali e quindi errate. Il non percepire una Causa Prima porta il Demiurgo alla

conclusione che egli stesso e’ la causa prima. L’arroganza e’ il sentimento di chi non vede l’origine della qualita’, di chi non sa chi ringraziare per cio’ che percepisce o che crea, di colui che pensa di essere autore della creazione. Ogni uomo ha sperimentato la sensazione

di non sapere da dove ha origine la propria opera, che sia artistica o

tecnica e conclude quindi di esserne il solo e unico autore.

”disse: Io sono Dio e non ve n’e’ altri all’infuori di me”. Queste sono

le parole bibliche, gia’ viste in Isaia (45,5) e (46,9) e di cui si trova traccia anche nella legge mosaica e nel corano.

L’arroganza del Demiurgo e la sua mancata percezione gli fanno pronunciare quelle parole, ma ci si trova di fronte al paradosso: che

bisogno ha il demiurgo di pronunciare quelle parole? Perche’ ribadire un concetto che e’ o dovrebbe essere evidente? E soprattutto, a beneficio di chi sono quelle parole se proprio il loro senso rimandano alla unicita’, alla mancanza di un interlocutore?

Queste parole, che sottolineano ancora di piu’ l’imperfezione del primo Eone sono pero’ la chiave della salvezza, perche’ sono la prova della reminiscenza, del ricordo che non tutto cio’ che viene visto e’ il Tutto.

”pecco’ contro il tutto”. Il dichiarare l’unicita’ di se’ stessi, del molteplice e’ il peccato contro il tutto. Il dichiarare che la materia grande (e il suo creatore) e’ tutto cio’ che esiste significa dichiarare che solo il molteplice ha valore di realta’, significa negare una

realta’ piu’ grande e totalmente omnicomprensiva. Lo stato di peccato dell’Arconte si riversa sull’umanita’, sui suoi figli, intrappolati nel molteplice, in grado di percepire solo la materia (e neppure infinita).

”Ma dall’alto, dall’autorita’ assoluta, venne una voce”. Le parole del Demiurgo, la sua bestemmia, sono giunte in alto e hannomosso la giustizia. Alla voce del Demiurgo viene contrapposta la voce dell’Autorita’.  La voce viene dall’alto, cioe’ dall’altro che non sia la materia e gia’ solo il fatto che venga dall’alto contraddice le parole del dio cieco, nega la sua affermazione di unicita’.

”Tu sbagli Samael (dio dei ciechi)”. Se non fosse sufficiente il suono della voce per negare l’unicita’ del demiurgo intervengono le parole che lo pongono di fronte alla sua condizione di errore. L’autorita’ conosce il nome del Demiurgo e quindi lo sovrasta, lo ha in suo potere, giacche’ e’ nel nome che risiede la potenza. Il nome viene pronunciato e il testo lo riporta come “dio dei ciechi”.

Vi sono diverse interpretazioni riguardo l’etimologia del nome “Samael”.

Nel testo l’autore ci indica chiaramente che l’etimologia va ricercata

nella parola aramaica “same” (cieco) e “el” (dio). In questo senso viene

ribadito che il demiurgo e’ il cieco supremo e regna su sudditi ciechi, preda della materia, cioe’ gli ilici. Ci troviamo di fronte ad una

accusa grave mossa dall’autore gnostico: non sfugge che le parole

pronunciate dal demiurgo sono quelle dell’antico testamento, per

conseguenza chi si rivolge al Dio dell’antico testamento, dio della

materia, della carnalita’ fa parte del popolo dei ciechi, di coloro che

riconoscono solo un dio cieco.

 

Conclusioni.

Il testo gnostico ci mette sull’avviso, ci mette di fronte alla nostra

natura di figli dell’Arconte cieco e quindi della nostra condizione sia

di cecita’ che di errore.

Nella nostra umana condizione abbiamo una sola speranza, quella che la riminiscenza si faccia strada in noi come si e’ fatta strada nel

Demiurgo. Cosi’ come il sospetto che vi sia altro oltre a cio’ che si percepisce ha fatto bestemmiare il demiurgo e muovere l’Autorita’, cosi’

anche il sospetto che la nostra materialita’ sia solo un’aspetto della

realta’ ci possa condurre al rivelamento dell’errore. Solo con l’affrontare la nostra (terribile) condizione di cecita’ e quindi di peccato possiamo ambire alla salvezza, alla percezione che sopra al molteplice vi e’ l’Uno, l’Assoluto.

 

Prima pubblicazione sulla rivista Abraxas numero 1, ( ABRAXAS numero 1 )

 

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