Ario e La Gnosi Massimo Cogliandro
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In
genere gli studiosi tendono a dividere nettamente le “eresie” cristiane che
si sono sviluppate dal I° al III° secolo dal carattere marcatamente gnostico,
dalle eresie del IV°- V° secolo, che vengono comunemente definite
“trinitarie” perché hanno al centro il problema dei rapporti tra le tre
persone che costituiscono la trinità.
Questo
atteggiamento è dovuto al fatto che certi teologi ariani nel pieno della
polemica sul problema se la natura di Cristo sia della stessa sostanza (homoousios)
di quella del Padre hanno attaccato i teologi cattolici accusandoli di avere
mutuato il proprio linguaggio teologico dalla teologia gnostica valentiniana. Il
termine “homoousios” (= consostanziale), in effetti,
è un termine di origine valentiniana - per i valentiniani gli pneumatici
erano della stessa sostanza del Padre - e lo stesso concetto di trinità
è una elaborazione teologica valentiniana.
Le
analogie tra cattolicesimo e gnosticismo valentiniano finiscono quando si
comincia a trattare della natura di Dio e dei rapporti tra le persone della
trinità. E’ proprio qui, al contrario, che cominciano le analogie tra la
Gnosi e la grande eresia trinitaria di Ario.
In
primo luogo, per gli gnostici e per Ario Dio “è illimitato, poiché non ci fu
alcuno prima di lui che gli possa porre limiti” (Apocrifo di Giovanni). Questa
posizione si scontrava con la
concezione materialistica dei cattolici sulla “generazione del Figlio”,
intesa “come se il substrato divino si potesse dividere in due parti” (Mario
Maritano, Dispense di Storia Ecclesiastica Antica).
In
secondo luogo, per i miti gnostici e per Ario, lo Spirito Santo e Cristo sono
degli Eoni, cioè delle emanazioni di Dio, che non coesistono dall’eternità
col Padre e che sono “create” o “emanate” - Ario usa indifferentemente i
due termini nel suo tentativo di fondere temi gnostici e cattolici - in un
momento ben preciso della Storia Universale.
In
terzo luogo, per i miti gnostici e per Ario, l’Eone Cristo “è per natura
soggetto al mutamento, fisicamente e moralmente” (Mario Maritano), perché in
quanto Eone emanato da Dio in un momento ben preciso, esso si colloca nel tempo
e, quindi, la sua natura è in qualche modo contaminata dalla mutevolezza
del molteplice. Cristo, in quanto Eone, continua a partecipare della
natura divina, ma non allo stesso modo del Padre: l’Eone Cristo è
ontologicamente inferiore al Padre! A questo punto va precisato che per definire
la natura di Cristo Ario usava il termine “Verbo” al posto del desueto ed
odiato termine gnostico “Eone”, ma lo usava nello stesso senso. In Germano
di Costantinopoli troviamo illustrato in maniera sintetica e chiara questo
aspetto del Pensiero di Ario:
Quest’ultimo
(Ario), invero, diceva ciò: il Figlio di Dio è una creatura; vi fu un tempo in
cui il Figlio non esisteva; essendo nato dal Padre, più antichi di lui sono il
tempo e la volontà di questo. E aggiungeva ancora: la creatura di Dio Padre
ne assunse la divinità, altrimenti non sarebbe stata in grado di crearci;
in ultimo, dopo la sua, il Figlio di Dio procedette a un’altra creazione,
quella del genere umano e delle restanti creature; in tal modo il creato
prodotto poteva entrare in contatto con Dio, senza arrecare svilimento
all’altissima potestà di questo, come nel caso in cui esso fosse stato
condotto all’essere dallo stesso Padre” (Germano di Costantinopoli,
Concili ed eresie, 10)
Dalla
lettura di questo passo si evince che per Ario:
1.
il Verbo, creato da Dio Padre, ha
assunto la natura divina nel momento stesso in cui è stato creato, proprio come
nel caso degli Eoni della teologia gnostica;
2.
gli uomini, creati dal Figlio di Dio,
cioè dal Verbo, hanno assunto la natura divina non direttamente dal Padre, cioè
dall’essere Assoluto e Increato, ma dall’Eone-Verbo, cioè da un Essere
Divino già contaminato dal contatto con il mondo del molteplice e del
sensibile;
3.
il Verbo rivestiva sostanzialmente lo
stesso ruolo che aveva il Demiurgo nella teologia gnostica, anche se era visto
in un’accezione fondamentalmente positiva;
4.
contrariamente a quanto affermava la
teologia gnostica, l’uomo “pneumatico”, che cioè ha raggiunto una piena
coscienza del carattere divino della propria natura spirituale, in quanto essere
contaminato dal contatto con il mondo del molteplice, non può comunque giungere
in maniera immediata alla piena Conoscenza di Dio (Gnosis) “come nel caso
in cui esso fosse stato condotto all’essere dallo stesso Padre” – si noti
come questa precisazione riveli i termini della polemica ariana nei confronti
delle scuole gnostiche contemporanee -,
ma può giungere alla Salvezza solo tramite il Verbo, cioè il Grande Eone sorto
dal primo contatto dell’Assoluto con il mondo del molteplice;
La
differenza fondamentale tra la teologia politica gnostica e quella ariana
consiste nel fatto che per gli Gnostici l’uomo pneumatico può essere condotto
all’Essere dallo stesso Padre, mentre per gli ariani l’uomo può giungere
alla Salvezza solo tramite il Figlio di Dio e la burocrazia clericale della
Istituzione-Chiesa, che in una prospettiva ortodossa aveva ricevuto direttamente
da Gesù, per via apostolica, il compito di condurre l’umanità alla salvezza.
Atanasio,
Vescovo di Alessandria nel IV° secolo, nella sua opera intitolata “Il Credo
di Nicea” ci indica quali sono state le fonti gnostiche a cui ha attinto Ario:
“Poiché
le altre creature non erano in grado di sopportare l’azione della potente mano
del Non-divenuto (agenétou), solo il Figlio fu fatto da Dio solo, mentre
le altre cose furono fatte tramite il Figlio quale aiutante subalterno”: ecco
che cosa ha scritto Asterio il sacrificatore. Ario poi ha trascritto ciò per
darlo ai suoi seguaci, i quali si servono di questa frasuccia, come di una canna
rotta, ignorando, gli stolti, il difetto che c’è in essa (Atanasio, Il Credo
di Nicea, 8, 1).
Quando Atanasio bolla Asterio con il termine inconsueto di “sacrificatore”,
non possono non tornarci alla mente le violente invettive che Tertulliano lancia
contro gli gnostici valentiniani nello Scorpiace, colpevoli, a suo
giudizio, di essere contrari al martirio e di ritenere più giusto sacrificare
agli idoli in modo da poter continuare la propria missione, piuttosto che
perdere inutilmente la vita.
In
definitiva, si può dire con certezza che Ario ha mutuato la sua concezione di
Dio e del Verbo dal Maestro Gnostico Asterio e più in generale dall’ambiente
culturale gnostico alessandrino in cui ha trascorso buona parte della sua
giovinezza e che tutta la sua teologia ha rappresentato un tentativo di
conciliare una concezione di Dio e dell’Uomo di derivazione gnostica con una
teologia politica di tipo ortodosso, che riservasse comunque un ruolo centrale
alla burocrazia clericale.