Julius Evola

Sulla Risoluzione ario-romana, dell'Italia Fascista

 

Il mese di luglio 1938 costituisce, per lo sviluppo rivoluzionario del pensiero fascista, una svolta di particolare importanza. L’Italia fascista ha preso, ufficialmente, posizione sul problema della razza e sulla questione ebraica, posizione in cui essa si trova schierata sul medesimo fronte della Germania. Se pure la svolta fascista, sul pensiero razziale, non deve, in alcun modo, essere considerata come una passiva imitazione, ma, al contrario, come uno sviluppo logico del nostro movimento, ciò nondimeno, per mezzo di essa ha avuto inizio una fase di particolare significato rivoluzionario per molteplici aspetti della cultura e della mentalità italiana. La parola d’ordine di Mussolini: “Ognuno deve sapere che noi ,anche nella questione della razza, marceremo dritto”. La decisione presa dalla nuova Italia è così inequivocabile come pure grave ed impegnativa. Noi abbiamo affermato ciò che, fino ad ieri, nessuno, tra noi, ha osato affermare e ciò che a molti ambienti non solo di intellettuali ma anche di nazionalisti, di sicura fede, era apparso sorprendente: vale a dire il significato fondamentale della razza per la costruzione della cultura italiana, che, deve favorire il carattere ariano, ma anche quello ario-romano e nordico-ario dell’Idea che deve costituire il fondamento per la formazione del nostro pensiero razziale e della nostra Tradizione.

 

La concezione della dottrina della razza, in Italia, dev’essere definita in senso nordico-ariano

 

Queste sono le precise parole del manifesto stabilito, in accordo con le massime autorità fasciste e che ha costituito le basi per la svolta fascista sulla razza nel luglio 1938. Noi dunque possiamo parlare, senz’altro, di una risoluzione nordico-aria dell’Italia fascista che è determinata a dare un nuovo orientamento a quelle forze che, pur mutando, sono attive nella nostra cultura e nel nostro carattere nazionale che gli effetti di un tale influsso non siano ancora particolarmente visibili, non può stupire dato che molteplici sono ancora gli ostacoli esistenti e le coesistenze da superare. Ma noi facciamo fronte. E la circostanza che oggi abbiamo al nostro fianco il popolo tedesco il quale si è riconosciuto nella medesima decisione, sarà per noi di grande vantaggio se lo scambio culturale italo – tedesco non si esaurisce ufficiosi e convenzionali convegni – come purtroppo spesso accade – ma al contrario stimolarsi moralmente forze vive e creatrici. Noi verremmo soltanto dare un’idea di ciò che significa, per noi, il pensiero nordico – ariano – romano come pure dalle sue principali conseguenze nel campo popolare, eroico o storico. Fino a ieri il mito latino e mediterraneo ha avuto presso di noi, un grande ruolo. Si affermava: “Noi siamo latini e mediterranei, il nostro popolo o la nostra cultura sono latini e mediterranei”. Esistono un sangue ed una comunità culturale latini. E questo mito della fratellanza dei popoli latini è stato un’ arma utile nelle mani di coloro che ieri, ad ogni prezzo volevano creare un contrasto tra l’Italia e la Germania e di coloro che oggi vorrebbero convincerci che tra le due Nazioni non vi può essere in alcun modo, intesa oltre lo sforzo di un interesse puramente politico. Adesso abbiamo chiarito innanzi tutto l’equivoco esistente in questo campo. Cosa si intende con il termine “latino”? Ed a quale proposito si vuole rapportare l’uso di tale espressione? I circoli e gli ambienti ai quali il mito della latinità sta particolarmente a cuore sono costituiti in maniera sintomatica, per la maggior parte da intellettuali e letterati. Ed i effetti le espressioni “latino” e “esultare latino” hanno un significato se si collocano sul piano estetizzante umoristico e letterario. Qui la latinità ha più o meno equivalenza con l’elemento romano si trattò di effetti della attività culturale dell’antica Roma su alcuni popoli che inseriti a quel tempo negli spazi dell’Impero Romano fecero proprio la lingua di Roma ovverosia la lingua latina. Ma questo latinità è qualcosa di esteriorità. E’ in un certo qual modo una vernice che cerca di coprire invano le profonde differenze di sangue o di spirito differenze che possono portare – come la storia fino ai nostri giorni mostra in modo inequivocabile – alle più dure ed insanabili divisioni. La unitarietà si presenta inoltre sul terreno filologico ma anche a prescindere dal fatto che dalla unità della lingua non si può fare scaturire quella della razza esso ò comunque screditato dalla costituzione che la lingua latino appartiene al ceppo generale degli arii e degli indo – germani. Così la latinità non riguarda nessuno della realmente originarie e fertili energie dei popoli che essi dovrebbero avere in comune. Quale grande svolta della storia mondiale è spiegabile sulla base dell’unità latina? E non soltanto questo si deve esaminare pure il significato di quel mondo classico greco – romano dal quale la latinità è derivata come cultura e del quale gli umanisti praticano un culto ai limiti della superstizione. Questo mito “classico” tradisce un punto di vista estetizzante e razionalista. Per quanto concerne Roma come la Grecia per taluni brilla come classica una cultura che per molti di noi – nonostante il suo splendore esteriore – è decadente. Questa civilizzazione ebbe origine allorché il ciclo della prima erotica, sacrale virile cultura ario delle origini elleniche come di quelle romane era in corso di estinzione. E’ invece importante far notare che l’espressione “latina” assume un altro significato, totalmente diverso se noi ritorniamo a questo mondo delle origini un significato che richiama alla mente pienamente il già menzionato mito latino. “Lateinisch” deriva da “latinischi, sicchè la lingua italiana conosce, per entrambi, l’unica espressione “latino”. L’espressione “latino contrassegnava le originarie stirpi italiche la cui parentela razziale e spirituale con i popoli nordico-arii è incontestabile. I latini erano un’onda avanzante verso l’Italia centrale della cosiddetta razza “ardente” – la razza che bruciano i suoi morti – che più tardi si dovevano confrontare con la cultura degli Osco – Saballi popoli seppellitori che si dovevano occupare ad abitare molte parti della nostra terra prima della apparizione degli Etruschi o degli Zle Calti. Tra le più remote tracce di questa razza, dalla quale discesero i predecessori dei Romani, i Latini annoveriamo quella recentemente scoperta in Val Canonica. Tali tracce, ora si propongono in stretta relazione con quelle delle razze arie, sin quelle nordico – atlantiche che quelle franco – cantabriche o nordico – scandinave. Non vi rinveniamo gli stessi simboli di una spiritualità solare lo stesso stile del disegnatore la medesima assenza di quella religiosità demetrico – tellurica che, al contrario, ritornano sempre nelle culture non ario, o arie degenerata del Mediterraneo – Pelasgi. Cretn, Etruschi etc. Rune navi solari, renne, abbondano in queste tracce preistoriche. Esse testimoniano di razza di guerrieri e di cacciatori che già allora, utilizzavano il cavallo mentre altrove, fino a tempi relativamente inoltrati, furono notati soltanto i carrocci. Rappresentazione in cui lo spirito militare e la sacralità si collegano nei simboli indicati di questa cultura Zle italica della Val Canonica. Ma non solo questo: una alteriore affinità è da constatare tra le tracce della Val Canonica e la cultura dei Doci, delle stirpi, dunque, che, più tardi, dovevano spingersi dal Nord verso la Grecia, fondare Sparta ed alle quali era proprio il culto solare dell’Apollo iperboreo. In effetti secondo Falthein e Teautnann, la migrazione dei popoli, dai quali discesero i latini ed i loro affini e la cui apparizione ebbe come conseguenza in Italia, il sorgere di Roma, può essere visto come l’equivalente della emigrazione storica in cui apparizione ebbe, come conseguenza il sorgere in Grecia, di Sparta: Roma e Sparta, due corrispondenti creazioni di razze affini nel sangue e nello spirito, che, da  parte loro, sono poi, da porre in relazione con quelle nordico – arie. L’antica Roma e Sparta richiamano però, l’immagine di forze pure, di un athos severo, di un atteggiamento virile ed imperioso, di un mondo che non si preserva nella successiva cultura cosiddetta “classica” dalla quale si vorrebbero far derivare la “latinità e l’unità dei popoli latini”. Ritorniamo invece nell’uso della parola “latino”, alle origini italiane, per renderci conto di un totale rivolgimento della tedi latino. La latinità originaria corrisponde a tutto ciò che la grande Roma poteva avere di ario: esso ci riconduce a forme di vita e di cultura che non si pongono in contrasto con quelle -  anzi, apparentemente affini – che successivamente, anche le razze nordico – germaniche dovevano mostrare di fronte ad un mondo più romano o bizantino che latino. Al di là dell’esteriore vernice unitaria, la presunta latinità racchiudeva, piuttosto, forse, tra loro, contrastanti che convergevano sono fino a quando non si trovavano di fronte a qualcosa di serio ad esempio il mondo dell’arte e della letteratura. E’ così che in un istante, dove è sorta un’Italia “romana”, nel senso più stretto e virile del termine, da un lato appunto, chiaramente, il fallimento e l’inganno del mito “latino”, dall’altro emergono le premesse per una comprensione ad un’inteso del nostro e del popolo tedesco non solo sul terreno politico ma anche sul piano delle più profonde inclinazioni e della comune Weltansehauunj. Mussolini già nel 1925 ha detto: “Attraverso i secoli passati, come nel futuro, Roma è sempre il potente cuore della nostra razza: essa è l’imperituro simbolo della nostra vita più profonda”. La nuova coscienza razziale approfondisce il significato di questo simbolo romano che costituisce il momento centrale del nostro movimento e delle nostre aspirazioni. Noi siamo autorizzati a mettere sullo stesso piano l’italianità fascista e la romanità, così potrà di nuovo avere un valore per noi l’elemento nordico – ario come stella polare. Una soluzione deve essere effettuata non solo nell’ambito delle tradizioni italiane, ma anche in quelle comune. Vi è una comunità ario che attraverso i simboli dell’ascia dell’aquila, del lupo ed attraverso altri segnali, risulta contrassegnata da un patrimonio ereditario iperboreo ed esiste una comunità mista in cui hanno avuto un particolare ruolo gli afflussi delle stirpi italiche pre – ario e delle culture arie degenerate vi è infine una comunità universale nel senso peggiore, che non ha in alcun modo radici nella razza e nel sangue e proviene da visioni religiose che noi non possiamo considerare sempre come peculiari. Di fronte a tutto ciò noi consideriamo che la nostra posizione divenga sempre più precisa. Questa rivoluzione ario – romano non riguarda soltanto le nostri tradizioni, ma, anche la razza italiana. Così come sono conosciute le espressioni “razza italiana” o “razza tedesca”, “razza anglosassone” e persino, “razza ebraica”, non sono ne scientifiche ne appropriate. Tutti i popoli che oggi esistono come Nazioni sono miscugli di razze e come fondamento, per la loro unità valgono generalmente altri elementi piuttosto che quelli essenziali. Il punto di vista del primo nazionalismo era “storicistico”; esso accettava Popolo e Nazione come realtà compiute, di quali elementi una Nazione si componga e quali influssi abbiano determinato la sua nascita ed il suo sviluppo è rimasto privo di considerazione. Corrispondenze ad esso, volse come principio politico, un sistema dell’equilibrio: si tentò di equiparare approssimativamente le diverse forze ed i diversi elementi, presenti nella Nazione, e di continuare a tenerli uniti mentre la scappatoia verso il sistema democratico – parlamentare costituiva la soluzione più scomoda. Per di più la Nazione è valsa come mito, come una bella frase per i discorsi retorici. Con il fascismo si è giunti ad una concezione totalmente diversa: come fondamento politico non vale più il sistema del compromesso democratico, ma, la guida dello Stato e della Nazione da parte di una èlite che incarna, di fronte ad ogni altro, l’elemento più pregevole e meritevole e che per questo ha il diritto di dare alla totalità del popolo il suo proprio carattere. Ne segue un’altra posizione non più “storicistica” bensì peculiare rispetto al problema della Nazione. Ed in questo contrasto il pensiero razziale integra e rafforza quello fascista sin sotto l’aspetto popolare che storico. Dal punto di vista del popolo alla base della nostra determinazione nordico – ario ed ario – romano, vi è la convinzione che originariamente nel nostro popolo ebbe ad esistere una razza superiore – appunto quella ario – romano – e che grazie alla legge della inestinguibilità dei fattori ereditari, elementi pregevoli e puri di questa razza possono essere ritrovati in quella variopinta composizione che forma la nostra Nazione. L’idea nordico – ario è dunque un filo conduttore anche per la definizione di uomo superiore peculiare per l’Italia e per la conoscenza di ciò che nel nostro carattere popolare è da sottolineare, pacificare, e conquistare per il predominio. A tale proposito vogliamo parlare di un altro mito menzionato all’inizio vale a dire del mito mediterraneo. Anche per questo mito è ormai tempo di preparare la fine. Che in tesi di quella antropologia italiana, ebenicizzata e positiva del secolo scorso, secondo a quale una autonoma razza mediterranea, proveniente dal Nord Africa alla quale sarebbero appartenuti la maggior parte degli italici, come pure i fenici ed altri popoli cripto – semitici che non avevano nulla a che vedere con gli arii, stando a quel che si dice provenienti dall’Asia, che una tale tesi per la quale noi possiamo specificare il nome di Sergi oggi sia superato scientificamente non c’è bisogno di sottolinearlo. Non si tratta, però, soltanto di interpretazioni antropologiche. E’ un fatto che anche all’estero si è diffuso troppo a lungo un’immagine distorta di ciò che sarebbe dovuto essere, specificatamente italiano: per italiano è stato ritenuto un elemento che talvolta si ritrovano anche nel nostro popolo, ma, che di certo non ne rappresentava la miglior sostanza. Questo è per l’appunto, il tipo mediterraneo descritto da Clauss, come un uomo da spettacolo: si tratta, in genere, di un tipo tra il pre – asiatico e l’orientaloide, cui è proprio un individualismo caotico, una disposizione alla esteriorità ed ai grandi gesti, una vitalità disordinante. Questo tipo umano “mediterraneo” è altrettanto esuberante e rumoroso quanto di carattere debole, di limitato equilibrio interiore prevalentemente condizionato dai sentimenti e dall’istinto. E’ qui che si ritrovano gli individui gesticolanti, i bei tenori ed i marinai che cantano “O sole mio”, il tipo classico del corvino, amatore meridionale, con parlantina compassionevole e galanteria teatrale come pure il tipo di donna che così artisticamente sottolinea la sua femminilità con complicazioni superficiali e prive di senso. Sebbene di certo simili tipi non sono rinvenibili unicamente in Italia, molti, però, dovranno ammettere nel nostro Paese di considerare tipi siffatti come specifici italiani. Si è propensi a vedere in essi il riscontro di alcuni aspetti pittoreschi della nostra campagna e non si presta alcuna attenzione a molti altri fattori, presenti ugualmente nel nostro popolo, i quali presuppongono, senz’altro, un altro mezzo ad un altro stile: forse perché essi sono simili ai popoli mitteleuropei e perché si preferisce l’esotico. Ora l’Italia dell’avvenire darà sempre maggiori delusioni a chi cercherà, presso di noi, soprattutto, questa caricatura degli italiani. Con un tale elemento mediterraneo noi vogliamo avere a che fare il meno possibile e ci adopereremo con ogni mezzo, affinché questa parte del nostro popolo si trasformi gradualmente, mediante la forza dell’ideale di un uomo superiore. L’Italia fascista esige anche un uomo fascista, romano ed ario – romano, un uomo nuovo ed antico al tempo stesso. Questo tipo di razza superiore era, ed è, ancora presente nel nostro popolo ed è destinato ad emergere sempre di più. Esso non deve essere, necessariamente, biondo e con gli occhi azzurri: invece di essere longilineo, potrà essere anche mesocefalo ed in certi casi di bassa statura: esso mostrerà le stesse armoniche proporzioni delle membra dell’uomo nordico e attraverso i lineamenti della alta fronte, del naso più o meno ricurvo o della mascella accentuata, darà l’identica impressione di ogni tipo attivo, vigile, pronto all’attacco. Mentre nel tipo mediterraneo, poco nobile, si cela un tipo di ario – romano che si manifesta eretto, fermo ed energico. Il gesticolare gli è estraneo: egli ha gesti pieni di espressione, ma non esuberanti ed incontrollati: movimenti che sottolineano un pensiero cosciente. Rispetto al tipo nordico, l’uomo ario – romano ha spesso una capacità di reazione più veloce, è, particolarmente, capace di prendere posizione immediata di fronte ad un avvenimento imprevisto; è, interiormente, versatile e dinamico, di un dinamismo, però, cosciente e controllato, molto diverso da una vivacità disordinata. Ci si deve sempre abituare a riconoscere, in questo tipo di vero italiano, la parte migliore ed essenziale del nostro popolo. E’ la parte originaria che viene alla luce grazie alla forza, evocatrice e trasformatrice, della Italia fascista. Se si vuole poi definire, esattamente, l’etica che si confà alla nostra nuova coscienza razziale e spirituale, è sufficiente ricordare le principali virtù attribuite, da diversi studiosi della razza, al tipo ario di conformazione romana antica: prudente audacia, atteggiamento controllato, parlare conciso e meditato, senso aristocratico del distacco. Inoltre “virtus” e cioè virtù non nel senso moralistico e convenzionale, ma, come virilità e coraggio “fotitulo et constantin”, cioè la forza di animo; “sapientin” o saggia riflessione: “humanitas” e disciplina questo è l’ideale di una severa autodisciplina che, però, consente una ricchezza interiore ed una poliedricità: “gravitas  dignitas”. L’atteggiamento dignitoso e la calma interiore che rafforzano la nobiltà, una solennità misurata, libera da ogni vanità. Come virtù ariia e romana fu ritenuta la “fides”, la fedeltà, laddove si riconosceva la differenza tra i Romani ed I Barbari. Romano ed ario era un agire sicuro di sé, privo di grandi gesti, una realtà che non significava, assolutamente materialismo: l’ideale della limpidezza che solo con la decadenza dei popoli latini doveva degenerare in razionalismo. “Pietas o religio”, presso l’antico uomo ario – romano, avevano poco anche da spartire con la posteriore idea della deviazione: esse rappresentavano un sentimento di venerazione e di unione di fronte alle forze trascendenti che egli avvertiva come presenti e partecipi della sua vita individuale e collettiva. Il tipo ario – romano ha sempre nutrito differenza di fronte ad ogni devozione dell’anima e ad ogni confuso misticismo: il servilismo semitico di fronte alla divinità, gli era ignoto. Egli percepiva che come uomo debole ed umiliato dal sentimento del peccato e della carne peccatrice, non poteva offrire alla divinità un culto dignitoso ma, al contrario, poteva farlo come uomo libero, con animo tranquillo ed orgoglioso, teso ad individuare le direttrici su cui armonizzare il suo agire, cosciente e deciso, con la volontà divina. Il mondo, come lo Stato – res publien – furono concepiti dall’uomo ario – romano come un cosmo, una totalità di essenze diverse che erano unite, non da una mescolanza ma, da una intima legge organica. Così pure l’ideale della gerarchia nella quale i valori, della personalità e della libertà, si conciliavano in una alta unità. Ne liberalismo ne collettivismo: a ciascuno il “suum cuisque”. La donna, né posata troppo in basso, come in talune culture asiatiche, ne troppo in alto come nelle cosiddette culture matriarcali o afroditiche e, nel nostro tempo, come in una certa civiltà anglosassone che noi possiamo considerare, senz’altro degenerata. In ogni caso, rispetto alla donna, come rispetto ad un così, per certi tipi mediterranei, marcato complesso erotico. Decisa affermazione del diritto civile, della autorità del capo di famiglia o del capo clan. Ed infine, un sentimento, quasi feudale, della responsabilità e della fedeltà di questo signore si fronte al suo Stato. Questi sono tutti tratti fondamentali dello stile di vita romana ed ario – romano. Noi vi vediamo il riscontro spirituale di quella forma fisica della superiore umanità ario – romano di cui abbiamo già detto. Essi sono per noi, gli elementi essenziali per l’idolo della nostra “razza superiore”. Possiamo infine considerare gli effetti della risoluzione nordico – aria ed ario – romana a riguardo della nostra storia. Questa storia presenta anche zone di ombra per cui nel, nel considerarla dobbiamo rivedere molti aspetti che, fino a ieri, apparivano dominanti a causa della notevole influenza esercitata dal modo di pensare democratico massonico e storicistico. Come già detto, si deve saper distinguere anche a riguardo della romanità. Noi cominciamo a ridestare un sentimento della lotta sotterranea grazie alla quale l’antico elemento ario – romano giunse al dominio per un lungo periodo, si liberò dalle influenze straniere o impresse ciò che era esotico e straniero con il sigillo della sua cultura superiore e della sua civiltà. Noi cominciamo già a distinguere nel campo del diritto romano in cui separiamo le posteriori forme positivistiche, formalistiche ed universalistiche da quelle originarie nelle quali il sangue, la schiatta e la famiglia ricoprivano un particolare ruolo e premesse delle quali erano le qualità sacrali, eroiche e spirituali. Noi esaminiamo anche il significato di alcune grandi figure romane: per esempio, più del Cesare dai tratti quasi napoleonici che sta a cuore a molti, ci è vicino il Cesare che una volta disse: “In me si fondono la maestà del Re con la santità degli Dei sotto la cui potestà stano pure coloro che sono signori degli uomini”. Noi non percepiamo, come semplice retorica, il fatto che Augusto unisse simbolicamente il suo senso con Apollo, l’iperboreo Dio solare: anche la circostanza che nell’Impero di Augusto si presentiva la rinascita dell’età dell’oro, vale a dire di quell’età primordiale il cui Re fu pensato come occultato e dormiente nella regione artica, la Patria primordiale  della razza aria – anche in questa circostanza fa pensare ad un profondo mistero del destino di Roma. Anche il tramonto dell’Impero dei Cesari deve essere, per noi ricco di insegnamenti. Sarebbe stato logico che a mano a mano che l’Impero romano si estendeva, avrebbero dovuto essere adottate misure di difesa e di rafforzamento del patrimonio originario ario – romano che aveva costituito la sua grandezza. Accadde invece il contrario: più si andava estendendo l’Impero mondiale, andava decadendo la “razza di Roma”: essa si aprì in maniera irresponsabile ad ogni influsso delle minoranze e delle razze straniere: innalzò alla dignità di Romano, ogni elemento misto ed accettò culti ed abitudini che, in molti casi erano in contrasto stridente – come pure Livio ebbe ad assordare – con le origini romane. Spesso, poi i Cesari lavoravano a creare il vuoto intorno a se. Invece di appoggiarsi a quei fedeli rappresentanti dell’antica romanità che erano ancora capaci di tenersi in piedi, nella loro razza e nella loro etica, essi fecero propri i simboli assolutistici e credettero al potere taumaturgico del loro ufficio divino ormai astratto, isolato e privo di radici. E’ impossibile che l’Impero decaduto una volta a tale livello, potesse ancora dominare a lungo sui diversi popoli compresi nel suo territorio. I primi seri  attacchi, dall’esterno, dovevano avere come conseguenza il crollo dello immenso, ma ormai disarticolato, organismo. Nel Medioevo, la Chiesa, tentò di ridare vita al simbolo romano soprannazionale in cui esso univa le idee di una nuova fede o di un nuovo ordinamento imperiale, il Sacrum Imperium. Il popolo italiano partecipò, appena, alla formazione di questo simbolo: un nucleo che si ponesse, razialmente e spiritualmente, sulle vette di questo simbolo e lo purificasse da certi aspetti ambigui. Ebbero, invece, preponderanza le componenti “mediterranee”, vale a dire quelle anarchiche, particolaristiche, individualistiche, forze che creavano liti e discordie e che già avevano condotto alla corvina le città greche. Oltre a ciò un consistente abbassamento del generale livello etico. Di qui le note parole dure con le quali Barbarossa stigmatizzò, in maniera legittima, coloro che ancora si sentivano grazie al nome, di essere romani. Conseguenza fu che la corona imperiale, per quanto essa continuava a definirsi romana, finì nelle mani di altri popoli e non del nostro: principalmente in quelle dei popoli germanici in cui erano preservate, in alta misura, certe caratteristiche razziali. Fu così che l’Italia ebbe un ruolo marginale nella edificazione della civiltà romano – germanica del Medioevo. Noi dunque, vediamo, oggi due esempi eloquenti circa i pericoli ai quali è esposto ogni ordinamento imperiale, se ad esso non fa da supporto un solido fondamento razziale. Per quanto concerne, ora, a scelta delle tradizioni che la coscienza razziale ario, in considerazione della ulteriore storia italiana, esige, dobbiamo modificare molte opinioni correnti. Così, ad esempio, non possiamo affatto riconoscerci nell’Italia dei Comuni che si sollevò contro l’autorità imperiale. In questo caso non si trattò – come molti hanno ritenuto – di un “sollevazione nazionale”, di una lotta del nostro popolo contro lo straniero, ma, di una lotta, tra i rappresentanti di due culture contrapposte. Dalla parte dell’Imperatore – per lui, e contro i comuni, si batterono anche principi italiani come i Savoia ed i Monferrato – si poneva la cultura, aristocratica che conservava ancora molto di ario e di nordico – ario. In quanto ai Comuni, essi rappresentavano, principalmente, l’opposizione alla dottrina dello Stato: essi erano armati di intolleranza contro ogni forma di autorità superiore, la loro lega era, unicamente, antica sicché, subito dopo, essa si infranse in una serie di contrasti e di discordie senza fine. Questo anche a prescindere dal carattere, mercantile e democratico, della nostra cultura molto lontano dallo stile romano, che le città comunali svilupparono. Per tali ragioni noi non vogliamo considerare nostra l’Italia guelfa e comunale, bensì, quella ghibellina e di Dante. E qui sia ricordato che Dante non rappresentò soltanto il pensiero razziale ma, anche, in unione con Roma, l’idea del diritto imperiale di un popolo superiore: “mobilissimo popolo convenit omnibus aliis peneferri”. Ma non fu capito. L’Italia del tempo aveva poco in comune con la tradizione romana. Allo stesso modo non possiamo considerare, solo positivamente, il contributo dell’Italia alla cultura umanistica ed in generale al cosiddetto Rinascimento. Nonostante lo splendore esteriore, questa cultura umanistica, da un punto di vista superiore, significò una caduta di livello, in lacerazione di una seria e profonda tradizione. Essa costituì il riscontro di quel disordinato individualismo che si espresse nello stile delle Signorie e egli interminabili conflitti delle città italiane, e dei loro condottieri; essa racchiudeva i germi che avrebbero manifestato la loro vera natura nell’Illuminismo, nel razionalismo, nel naturalismo e nelle altre moderne forme di decadenza. D’altro canto, alla base della presunta rifioritura dell’antico, attraverso l’umanesimo, vi fu un grave equivoco: vennero ripresi soltanto gli aspetti “classici” da noi già indicati come negativi e, cioè, quelli esteriori e non razziali dell’antica cultura, e non invece, quelli originari, eroici, sacrali, legati alla tradizione. Esattamente dobbiamo alla “tradizione” del Rinascimento la circostanza per cui l’Italia è stata, sino a ieri, considerata come la terra meravigliosa dei musei e dei monumenti, abitata, però, da un popolo che nel campo politico ed etico, non godeva della fama migliore. Cosi pare si deve giungere ad una necessaria revisione dei valori italiani del Risorgimento e della guerra mondiale. Da noi, ormai, è noto l’indiscutibile ruolo che nel Risorgimento – vale a dire nel movimento per l’unità nazionale dell’Italia – a prescindere dalla purezza delle intenzioni e dell’agire di molti patrioti, hanno avuto l’influenza della Massoneria come del Giacobinismo francese ed, in generale di una ideologia che, per il suo carattere liberale e democratico, è fondamentalmente ostile alla razza ed estranea ai valori arii. In effetti, furono i cosiddetti movimenti nazionali che, anche in Italia, cominciarono nel 1848 – anelli di una unica catena ad episodi di un generale e sistematico piano – con l’ausilio del mito della libertà, popolare e della Nazione democratica, a distruggere quanto ancora, in Europa, rimaneva dei regimi dinastici tradizionali. Circa la nostra entrata in guerra, nel 1915, si possono ripetere le stesse cose. L’Italia scese in campo per gli interessi nazionali, ma, principalmente, nel segno della ipocrità ideologica, democratico – massonica, degli alleati e delle forze oscure del sovvertimento mondiale che, in nome di questa guerra “umanitaria”, miravano a distruggere gli Stati che ancora conservavano una struttura gerarchica ed un sentimento della razza e della Tradizione. I massoni che, nel 1917, si diedero appuntamento a Parigi, da tutto il mondo, e che, già allora progettavano gli orientamenti generali del futuro diktat: di pace lo dissero chiaramente: si trattava, con la guerra mondiale di far fare un paradosso passo avanti al movimento iniziato con la Rivoluzione Francese. In guerra ebbe però per l’Italia, il significato di una prova eroica: essa risvegliò quelle profonde energie del popolo che poi, grazie ad una effettiva trasformazione, dovevano portare all’Italia fascista, romana e, razzialmente consapevole, e alla nostra alleanza con la Germania.Si realizza così, oggi un mito che, già undici anni orsono, io avevo difeso in un libro provocatorio il mito della doppia aquila, di quella romana e di quella germanica, l’unità delle forze romane e germaniche per la configurazione di un nuovo Occidente. Con questo riteniamo di aver dato una idea dell’essenza e delle nuove posizioni dell’Italia fascista nei diversi campi della nostra vita popolare e culturale: si tratta di un cambiamento culturale che ha il significato di un nuovo impulso rivoluzionario e dell’inizio di una nuova fase del nostro sviluppo. Noi abbiamo già accennato e, del resto,non abbiamo alcun motivo di nasconderlo, che, in Italia, molte sono ancora le forze che contrastano questo sviluppo, soprattutto, per mezzo di una resistenza passiva e di una resistenza silenziosa che, talvolta contraddistingue una certa burocrazia. Ma,come siamo certi di vincere la guerra che conduciamo al fianco del popolo tedesco, così, pure,siamo sicuri di vincere i questa lotta culturale interna le cui conseguenza non saranno di significato inferiore alle altre. Noi siamo coscienti che più saremo decisi in questa lotta, in questa edificazione dell’Italia, autenticamente ario-romana, più sarà possibile agire in profondità e raggiungere gli obiettivi prefissi.

 

   

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