Julius Evola Religione e Sesso |
In ogni grande religione si possono distinguere due parti. La prima, che si può
chiamare mistica o eterna, è rivolta verso l’alto, mira a stabilire un certo
rapporto fra l’uomo e il modo spirituale, trascendente. La seconda parte la si
può chiamare “sociale” o morale, e consiste in un complesso di norme per la
condotta di vita. Mentre la prima parte è quella essenziale e forma il nucleo
imperituro di ogni religione, la seconda è, in un certo modo accidentale e
mutevole, perché risente sia delle diversità dei popoli e delle società, sia
delle contingenze storiche.
Fare questa distinzione è importante, per orientamento generale, e altresì
nell’interesse della stessa tradizione religiosa. Infatti essa impedisce che nei
momenti di crisi, quando la critica mostra la relatività e la mutevolezza di
certe norme e di certi precetti a cui era stata già attribuita l’assolutezza di
una legge divina, tale critica vada a colpire anche la parte superiore,
veramente rivolta verso l’alto, di una religione.
Questa premessa è necessaria per il problema al quale qui vogliamo dedicare
qualche breve considerazione, cioè a quello della concezione del sesso propria
alla religione venuta a predominare in Occidente. Tale concezione risente di una
confusione di domini, che nel cristianesimo è caratteristica e che gli sforzi
dei teologi sono riusciti ad ovviare solo in parte. Si tratta di una confusione
fra le norme che hanno una finalità ascetica, e che come tali si rivolgono ad
una piccola minoranza di vocati, e le norme che debbono invece valere pel mondo
e per la gran massa. Se noi consideriamo altre religioni – fra le quali si può
considerare l’Ebraismo, l’antica religione persiana, l’Islam, il Brahamanesimo –
nei riguardi del secondo dominio sono state lungi dal predicare e a condannare
tutto ciò che riguarda l’ordine naturale. Poiché qui la natura veniva concepita
come opera divina, la legge data a coloro che vivono nel mondo mirava alla
sacralizzazione di ogni attività, di ogni impulso e di og ni istituzione, cioè
ad un riferimento verso l’alto che, in un certo modo, trasfigurasse e desse uno
sfondo spirituale a tutto ciò che si fa. Quel che l’apologetica cristiana dice
sul “paganesimo” delle religioni non-cristiane o pre-cristiane, attribuendo loro
una soggiacenza a tutto quanto è “natura”, è semplice fantasia, essendo noto ad
ogni studioso di scienza delle religioni che, in quei culti, riti e norme sacre
accompagnavano ogni manifestazione della vita, sia individuale che collettiva. E
ciò vale anche per tutto quanto ha attinenza col sesso e con la donna.
Nel cristianesimo, specie a quest’ultimo riguardo le cose sono andate
diversamente. In esso è ben visibile che si è cercato di introdurre nella vita
nel mondo norme, che hanno una validità e un senso unicamente sul piano
ascetico. A voler indicare degli esempi, non vi sarebbe che l’imbarazzo della
scelta. Così il precetto di amare il proprio nemico, di porgere l’altra guancia
a chi vi ha schiaffeggiati, di non curarsi del domani e di imitare i fiori nei
campi e gli uccelli del cielo, e via dicendo, fino a quegli spunti in cui certi
cattolici di oggi in vena di “aperture a sinistra” hanno voluto vedere una
giustificazione cristiana del pacifismo, del socialismo, se non dello stesso
comunismo. Tutte queste norme possono valere in sede di disciplina per che abbia
vocazioni ascetiche e per la “santità”, non certo per chi vive nel mondo. Con
esse non si ordina una società, ma, semplicemente, si rende impossibile ogni
società. E, in effetti, se sono esistiti Stati cristi ani, ancora non è esisti
to nessuno Stato cristiano, cioè informato praticamente e rigorosamente ai
principi sovramondani della morale evangelica. Ebben, la stessa cosa vale nei
riguardi del sesso. Si può condannare il sesso, e porre come ideale la
continenza, dal punto di vista ascetico. Fare di ciò una norma per la vita nel
mondo, è invece un assurdo. Di nuovo, vi è confusione fra due domini distinti.
In vari modi i teologi si sono sforzati di attenuare quel dualismo fra mondo
naturale e mondo sovrannaturale che fu caratteristico nel cristianesimo delle
origini. Ma nei riguardi del sesso si è rimasti in una posizione ibrida e
paralizzante: il pregiudizio moralistico nei riguardi della sessualità, anzi una
specie di “odio teologico” per essa (Pareto), la stretta relazione fra
sessualità e peccato è una caratteristica mai perduta nella religione venuta a
predominare in Occidente, la quale la mette in contrasto con le altre religioni
creazionistiche dianzi ricordate. In effetti, come accennammo, queste si int
esero a sacralizzare la sessualità, non a reprimerla e a bollarla a fuoco.
Spesso la funzione procreatrice fu da esse glorificata come un riflesso
nell’uomo del potere creatore divino. Cosa che per ogni cristiano apparirebbe
blasfema, l’Islam contempla invocazioni divine durante l’atto sessuale, l’antico
Iran giunse a promettere grazie divine a che desse il massimo ardore
nell’amplesso, note formule indù nell’unione dei sessi fanno intervenire simboli
cosmici e sacri, e via dicendo. E ciò, a tacere di correnti, come il dionisismo,
che all’estasi del sesso riconobbero possibilità mistiche. Si sa che lo stesso
Platone mise il trasporto eros vicino
a specie varie di entusiasmo divino, profetico e iniziatico.
Se dicessimo che di tutto ciò nel cristianesimo non si trova traccia, udremmo
solo ribattere che esso conosce il matrimonio come sacramento. Ma proprio qui si
vede l’ibridismo cui abbiamo accennato poco fa. Anzitutto il matrimonio come
sacramento è cosa tardiva, nella tradizione cattolica. Prese questa forma solo
verso il XIII secolo e fu obbligatorio come tale solo col Concilio di Trento.
Ma, in più, il matrimonio è concepito dal cristianesimo come un
pis aller, come un ripiego dovuto
alla fragilità umana, perché come dice San Paolo, “è
meglio prender moglie che ardere”. Se no, è la castità, l’astinenza, che è
l’ideale: non il “Sacro connubio” ma il “casto connubio”. Che non si sa più che
connubio sarebbe.
Ciò si conferma nell’idea, che l’unico fine del matrimonio sarebbe la
procreazione, ossia quel di più naturalistico e di biologico presenta la
sessualità: indulgere a questa per altro scopo, perfino fra coniugi, sarebbe
peccato. Si vede perciò che il carattere di sacramento conferito al matrimonio
non porta a nessun mutamento di piano, non dà – come nel già accennato
orientamento delle antiche sacralizzazioni – dimensioni diverse, spirituali,
all’esperienza sessuale presa in se stessa, la lascia tale e quale come una mera
necessità della natura e ha alla fine, una portata sociale: sancisce il regime
di una società trovatasi ad essere monogamica (anche qui si vede la relatività
della parte puramente sociale e morale della religione, perché notoriamente
l’Antico Testamento sanzionava la poligamia), cercando di rafforzarlo attraverso
il principio della indissolubilità del matrimonio.
La consegna di tutto ciò è stato, nel mondo cristiano, un inselvatichimento per
repressione di tutto quanto è proprio al sesso, con molta ipocrisia, finchè lo
sbarramento è saltato. Così oggi si assiste ad una specie di scatenamento di
tutto ciò che si lega a sesso e a donna, nel senso più primitivistico, pandemico
e pericoloso. Per questo, delle revisioni dei rapporti fra spiritualità e sesso
si impongono.
Da Il Popolo Italiano, 8 settembre
1957.