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Julius Evola Mondo Moderno ed Uomini della Tradizione |
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"Il proposito è di studiare alcuni degli aspetti, per via dei
quali l'epoca attuale si presenta essenzialmente come un'epoca di dissoluzione,
affrontando in pari tempo il problema dei comportamenti e delle forme di
esistenza che in una situazione siffatta si convengono ad un particolare tipo
umano. Questa restrizione deve essere tenuta ben presente. Tutto ciò che diremo
non riguarda un uomo qualsiasi dei nostri giorni. Abbiamo invece in vista, un
uomo che, pur trovandosi impegnato nel mondo d'oggi, perfino là dove la vita
moderna è in massimo grado problematica e parossistica, non appartiene
interiormente a tale mondo nè intende cedere ad esso, e in essenza sente di
essere di una razza diversa di quella della grandissima parte dei nostri
contemporanei. Il posto naturale di quest'uomo, la terra in cui egli non sarebbe
uno straniero, è il mondo della Tradizione.
Tradizione: questa espressione qui è usata in significato specifico, da noi
precisato in altre occasioni (Rivolta contro il mondo moderno), che diverge da
quello comune, mentre si avvicina alle categorie usate da un Reneé Guénon
nell'analisi della crisi del mondo moderno. Secondo questa particolare accezione
del termine, una civiltà o società è "tradizionale" quando è retta da principi
trascendenti ciò che è soltanto umano ed individuale, quando ogni suo dominio è
formato e ordinato dall'alto e verso l'alto. Di là dalla varietà delle forme
storiche, è esistita una essenziale identità o costanza nel mondo della
Tradizione. Di esso altrove abbiamo cercato di precisare i valori e le categorie
essenziali; questi costituiscono le basi per ogni civiltà, società e ordinamento
dell'esistenza, da dirsi normale in un senso superiore, e retto da un vero
significato. Tutto ciò che è venuto a predominare nel mondo moderno rappresenta
l'antitesi precisa di ogni tipo tradizionale di civiltà. E le circostanze stanno
a mostrarci in modo sempre più evidente che partendo dai valori della Tradizione
(ammesso anche che qualcuno sappia ancora riconoscerli e assumerli) è
estremamente improbabile che si possa provocare una qualche modificazione di
rilievo nello stato attuale generale delle cose, attraverso azioni o reazioni
efficaci di un certo raggio. Dopo gli ultimi sconvolgimenti mondiali, a tanto
oggi sembra mancare ogni punto di presa sia nelle nazioni che nella stragrande
maggioranza degli individui, sia nelle istituzioni e nelle condizioni generali
della società che nelle idee, negli interessi e nelle forze predominanti
dell'epoca. Purtuttavia esistono alcuni uomini che sono per così dire in piedi
fra le rovine e fra la dissoluzione, i quali, più o meno consapevolmente, è a
quell'altro mondo che appartengono. Una piccola schiera sembra disposta a
battersi anche su posizioni perdute, e quando essa non fletta, quando non scenda
a compromessi per la seduzione esercitata da tutto ciò che potrebbe condizionare
un qualche loro successo, la sua testimonianza è valida. Per altri, si tratta
invece di isolarsi completamente, cosa che però richiede disposizioni interne a
anche condizioni materiali privilegiate che ogni giorno si fanno sempre più
rare. Comunque, è la seconda delle soluzioni possibili. Aggiungeremo i
pochissimi che nel campo intellettuale possono ancora affermare i valori
"tradizionali" al di fuori di ogni scopo immediato, tanto da svolgere un'"azione
di presenza", azione certamente utile per impedire che la realtà attuale chiuda
non solo materialmente ma anche idealmente ogni orizzonte e non lasci più
scorgere nessuna misura diversa da quelle ad essa proprie. Attraverso costoro,
possono mantenersi delle distanze: altre dimensioni possibili, altri significati
della vita, indicati a chi sia capace di distogliersi, di non guardare soltanto
alle cose presenti e vicine. Ciò non risolve però il problema pratico personale,
quando non si tratta di coloro cui è dato di isolarsi materialmente, ma di
uomini che non possono o non vogliono tagliare i ponti con la vita attuale, che
perciò si trovano dinanzi al problema dell'atteggiamento da prendere
nell'esistenza, già in ordine a quanto si riferisce alle reazioni e alle
relazioni umane più elementari. Ora, questo è appunto il tipo particolare di
uomo che si ha in vista. Per lui vale il detto di un grande antesignano: "Il
deserto cresce. Guai a colui che cela in sè il deserto!". Infatti, all'esterno
egli non trova più alcun appoggio. Gli ordinamenti e le istituzioni che in una
civiltà e società tradizionali gli avrebbero permesso di realizzare se stesso
integralmente, di organizzare in modo chiaro e univoco la propria esistenza, di
difendere e di applicare nel proprio ambiente in modo creativo i valori
principali da lui interiormente riconosciuti, sono inesistenti. Così non è il
caso di continuare a proporre a costui linee di azione che, adeguate e normative
in ogni civiltà normale, tradizionale, non saprebbero più esserlo in una civiltà
anormale, in un ambiente sociale, psichico, intellettuale e materiale del tutto
diverso, in un clima di generale dissolvenza, nel regime di forme di un
disordine malamente raffrenato e, comunque, prive di ogni superiore legittimità.
Da qui, i problemi specifici che intendiamo trattare in questa sede. In via
preliminare, un punto importante da chiarire riguarda l'atteggiamento da
assumere di fronte alle "sopravvivenze". Specie nell'aria occidentale europea
sussistono consuetudini, istituti, forme del costume del mondo di ieri, cioè del
mondo borghese, che dimostrano ancora una certa persistenza. Di fatto, quando
oggi si parla di crisi, i più hanno in vista appunto il mondo borghese: sono le
basi della civiltà e della società borghese a subire questa crisi, ad essere
colpite dalla dissoluzione. Non è il mondo che noi abbiamo chiamato della
Tradizione. Socialmente, politicamente e culturalmente, sta sfasciandosi il
sistema che aveva preso forma a partire dalla rivoluzione del Terzo Stato e
dalla prima rivoluzione industriale, anche se ad esso erano spesso commisti
alcuni resti di un ordine più antico, però ormai svigoriti nel loro contenuto
vitale originario. Che rapporto ha e può avere il tipo umano, che noi qui
intendiamo prendere in considerazione, con tale mondo? Questa questione è
essenziale, da essa dipendono evidentemente anche il senso da attribuirsi ai
fenomeni di crisi e di dissoluzione oggi appariscenti e l'atteggiamento da
assumere sia di fronte ad essi che a quanto da tali fenomeni non è stato ancora
definitivamente minato o distrutto. La risposta a detta questione non può essere
che negativa. Il tipo umano che qui abbiamo in vista non ha nulla a che fare col
mondo borghese. Egli deve considerare tutto ciò che è borghese come qualcosa di
recente e di antitradizionale, di nato esso stesso da processi a carattere
negativo e sovvertitore. In molti casi, nei fenomeni attuali di crisi va
effettivamente vista una specie di nemesi o di azione di rimbalzo: son proprio
le forze che a suo tempo furono messe in opera contro la precedente civiltà
tradizionale europea a ritorcersi contro coloro che le avevano evocate,
scalzandoli a loro volta e potando più oltre, verso una fase ulteriore più
spinta, il processo di sgretolamento. Ad esempio, nel campo economico-sociale
ciò appare in termini chiarissimi, per le evidenti relazioni che intercorrono
fra la rivoluzione borghese del Terzo Stato e i successivi movimenti socialisti
e marxisti, fra democrazia e liberalismo da un lato, socialismo dall'altro. I
primi hanno fatto semplici spianatori di via ai secondi, e questi in un secondo
tempo, dopo aver lasciato che assolvessero tale funzione, mirano solo a
eliminarli. Così stando le cose, una soluzione è senz'altro da scartare: quella
di chi volesse appoggiarsi a quanto sopravvive del mondo borghese, difenderlo e
servirsene come base contro le correnti più spinte della dissoluzione e del
sovvertimento, eventualmente dopo aver cercato di animare o rafforzare questi
resti con alcuni valori più alti, tradizionali. Anzitutto, considerando la
situazione generale quale ogni giorno sempre più sin precisa dopo quegli
avvenimenti cruciali, che sono stati le due ultime guerre mondiali e le loro
ripercussioni, prendere un tale orientamento significherebbe illudersi, quanto
alle possibilità materiali esistenti. Le trasformazioni già avvenute sono troppo
profonde per essere reversibili. le forze passate allo stato libero, o in via di
passare allo stato libero, non sono tali da poter venire ricondotte entro le
strutture del mondo di ieri. Inoltre, proprio per il fatto che solo a coteste
strutture ci si sa riferire nei tentativi di reazione, ma che sono prive di ogni
superiore legittimità, ha dato particolar vigore e mordente alle forze
sovvvertitrici.
D'altra parte, per tal via si andrebbe incontro ad un equivoco tanto
inammissibile idealmente quanto pericoloso tatticamente. Come si è detto, i
valori tradizionali - quelli che noi chiamiamo valori tradizionali - non sono i
valori borghesi, sono all'antitesi dei valori borghesi. Così riconoscere una
validità alle anzidette sopravvivenze, associarle in un qualsiasi modo ai valori
tradizionali, avallarle con questi ultimi ai fini dinanzi accennati,
significherebbe o dimostrare una scarsa comprensione per gli stessi valori
tradizionali, oppure menomarli e scendere a forme deprecabili e rischiose di
compromesso. Diciamo rischiose, perché col collegare come che sia le idee
tradizionali con le forme residuali della civiltà borghese le si esporrebbe
all'attacco, sotto vari riguardi inevitabile, legittimo e necessario, mosso
dall'epoca contro questa civiltà. E' verso l'opposta soluzione che è dunque
d'uopo orientarsi, anche se con ciò le cose si faranno assai più difficili e si
andrà incontro ad un'altra specie di rischio. E' bene recidere ogni legame con
tutto ciò che, a più o meno breve scadenza, è destinato a finire. Il problema
sarà, allora, di mantenere una direzione essenziale senza appoggiarsi a nessuna
forma data o tramandata, includendo in esse anche forme autenticamente
tradizionali, ma storiche, del passato. A tale riguardo la continuità non potrà
essere mantenuta che su di un piano, per così dire, essenziale, appunto come un
intimo orientamento dell'essere, presso alla massima libertà esterna. L'appoggio
che potrà continuare a dare la Tradizione non si riferisce alle strutture
positive, regolari e riconosciute di una qualche civiltà già da essa formata, ma
soprattutto a quella dottrina che, per così dire, ne conteneva i principi allo
stato preformale superiore e anteriore alle particolari formulazioni storiche e
che nel passato non era di pertinenza delle masse, ma aveva il carattere in una
"dottrina interna". Per il resto, data l'impossibilità di agire positivamente
nel senso di un ritorno reale e generale al sistema normale, tradizionale, data
l'impossibilità di formare organicamente e unitariamente tutta la propria
esistenza nel clima della società , della cultura e del costume moderni, resta
da vedere in che termini si possano accettare in pieno situazioni di
dissoluzione senza esserne toccati interiormente. In più, si potrà considerare
ciò che nell'attuale fase può venir scelto, separato dal resto e assunto come
forma libera di un comportamento che, esteriormente, non sia "anacronistico",
che sappia anzi misurarsi con quanto nel campo del pensiero e del modo di vivere
contemporaneo vi è di più spinto, ma restando all'interno, determinato e
comandato da uno spirito completamente diverso. La formula: "Portarsi non là
dove ci si difende, ma là dove si attacca", che qualcuno ha proposto, potrà
venire adottata dal gruppo degli uomini differenziati, epigoni della Tradizione,
su cui qui verte il discorso. Potrebbe , cioè, essere persino opportuno
contribuire a quel che già vacilla ed appartiene al mondo di ieri, cada, anziché
cercare di puntellarlo e di prolungarvi artificialmente l'esistenza. E' una
tattica possibile, utile ad impedire che la crisi finale sia l'opera delle forze
opposte e che di esse si abbia a subire l'iniziativa. Il rischio di un simile
comportamento è evidentissimo: non è detto chi avrà l'ultima parola. Ma non vi è
nulla, nell'epoca attuale, che non sia rischioso. Per chi si tiene in piedi,
questo è forse l'unico vantaggio che essa presenta. Le idee fondamentali da
raccogliere da quanto si è detto fin qui, si possono dunque riassumere nel modo
seguente. Il significato della crisi e delle dissoluzioni, oggi da tanti
deprecate, deve essere preciso indicando l'oggetto reale e diretto dei processi
distruttivi: la civiltà e la società borghese. Misurate con i valori
tradizionali, queste hanno però già avuto il senso di una prima negazione di un
mondo a loro anteriore e superiore. Ne segue che la crisi del mondo moderno
potrebbe eventualmente rappresentare, hegelianamente, una "negazione della
negazione", epperò significare, per un lato, un fenomeno a suo modo positivo.
L'alternativa è che questa "negazione della negazione" sbocchi nel nulla - nel
nulla che prorompe da forme molteplici del caos, della disperazione, della
ribellione e della "contestazione" caratterizzanti non poche correnti delle
ultime generazioni, o in quell'altro nulla che mal si cela dietro il sistema
organizzato della civiltà materiale - ovvero che essa, per gli uomini qui in
discorso, crei un nuovo spazio libero, il quale potrebbe eventualmente essere la
premessa per una successiva azione formatrice.