Julius EvolaLa Seconda Religiosità |
In un precedente capitolo abbiamo mostrato quanto siano prive
di ogni fondamento le idee di certi divulgatori della scienza fisica ultimissima
i quali pretendono che questa abbia ormai superato il precedente materialismo e
stia conducendo verso una nuova visione spiritualistica della realtà. Ebbene, un
equivoco analogo sta alla base delle pretese di quello che si può chiamare il
neo-spiritualismo. Alcuni ambienti vorrebbero venire alla stessa conclusione,
cioè che si stia ritornando alla spiritualità, pel fatto dell'attuale
moltiplicarsi di tendenze verso il sovrannaturale e il soprasensibile in
movimenti, sette, chiesuole, loggie e conventicole d'ogni genere aventi in
comune l'ambizione di fornire all'uomo occidentale qualcosa di più delle forme
della religione positiva e dogmatica, ritenute insufficienti, svuotate e
inefficienti, e di condurlo di là dal materialismo. Anche questa è una
illusione, dovuta alla mancanza di principii così caratteristica nei nostri
contemporanei. La verità è che anche a tale riguardo, nella maggior parte dei
casi ci si trova dinanzi a fenomeni che rientrano essi stessi nei processi
dissolutivi dell'epoca e che esistenzialmente, malgrado ogni apparenza, hanno un
significato negativo, rappresentando una specie di controparte solidale del
materialismo occidentale.
Per riconoscere il vero luogo e il significato di questo nuovo spiritualismo ci
si può rifare a quel che lo Spengler ha scritto circa la "seconda religiosità".
Nella sua opera principale questo autore ha esposto idee che, seppure presso a
gravi confusioni e a divagazioni personali d'ogni genere, ripetono in parte la
concezione tradizionale della storia, quando egli ha parlato di un processo che
nei vari cicli di civiltà conduce dalle forme organiche di vita delle origini,
nelle quali predominano la qualità, la spiritualità, la tradizione vivente e la
razza, alle forme tarde e disanimate cittadine ove invece predominano
l'intelletto astratto, l'economia e la finanza, il praticismo e il mondo delle
masse con lo sfondo di una grandezza puramente materiale. Con l'apparire di tali
forme una civiltà si avvia verso la sua fine. Il processo terminale è stato più
da presso caratterizzato da Guénon che, usando una immagine tratta dal decorso
della vita degli organismi, ha parlato di due fasi, della fase
dell'irrigidimento del corpo (corrispondente, in termini di civiltà, al periodo
del materialismo), a cui fa seguito la fase ultima, la disgregazione del
cadavere. Ora, secondo lo Spengler, uno dei fenomeni che accompagnano
costantemente le fasi terminali di una civiltà è la "seconda religiosità". In
margine alle strutture di una barbarica grandezza, al razionalismo, all'ateismo
pratico e al materialismo si manifestano forme sporadiche di spiritualità e di
misticismo, perfino irruzioni del soprasensibile, le quali non attestano una
riascesa, ma sono sintomi di disfacimento.
Non si tratta più della religione delle origini, delle forme severe che,
retaggio di élites dominatrici, stavano al centro di una civiltà organica
e qualitativa (è ciò che noi chiamiamo propriamente il mondo della Tradizione),
ad improntare tutte le espressioni. Nella fase di cui si tratta, le stesse
religioni positive perdono ogni dimensione superiore, si secolarizzano, si
appiattiscono, cessano di avere la loro funzione originaria. La "seconda
religiosità" si sviluppa al di fuori di esse, spesso perfino contro di esse, ma
si sviluppa anche fuori dalle correnti principali e predominanti dell'esistenza
e, in genere, col significato di un fenomeno di evasione, di alienamento, di
confusa compensazione il quale non incide in nessun modo seriamente sulla
realtà, ormai corrispondente ad una civiltà disanimata, meccanicistica e
puramente terrena.
Tale è dunque il luogo e il senso della "seconda religiosità". Il quadro può
essere completato rifacendosi al Guénon - autore di ben più profonda dottrina
dello Spengler - il quale ha constatato che dopo che il materialismo e il
"positivismo" del XIX secolo avevano provveduto a chiudere l'uomo a ciò che sta
effettivamente al disopra di lui - al vero sovrannaturale, alla trascendenza -
correnti molteplici del XX secolo aventi appunto sembianza "spiritualistica" o
di "nuova psicologia" tendono ad aprirlo a ciò che sta al disotto di lui, al
disotto del livello esistenziale corrispondente, in genere, alla persona umana
formata. Si può anche usare una espressione di A. Huxley, e parlare di un "autotrascendimento
discendente" opposto all'"autotrascendimento ascendente". Come è vero che
l'Occidente si trova attualmente proprio nella fase disanimata, collettivistica
e materialistica corrispondente al chiudersi di un ciclo di civiltà, del pari
non v'è dubbio che la grandissima parte dei fatti interpretati come preludio ad
una nuova spiritualità hanno semplicemente un carattere di "seconda
religiosità". Essi rappresentano qualcosa di promiscuo, di sfaldato e di
sub-intellettuale. Sono come le fluorescenze che si manifestano nelle
decomposizioni cadaveriche; per cui, nelle tendenze accennate è da vedersi non
l'opposto dell'attuale civiltà crepuscolare ma, come dicevamo, una sua
controparte, la quale potrebbe perfino preludiare ad una fase regressiva e
dissolutiva più spinta della medesima, nel caso che esse prendessero piede.
In particolare, là dove non si tratta di semplici stati d'animo e di teorie, là
dove l'interesse morboso per il sensazionale e l'occulto si accompagna a
pratiche evocatorie e all'apertura degli strati sotterranei della psiche umana -
come non di rado ne è il caso nello spiritismo e nella stessa psicanalisi - può
ben parlarsi, ancora col Guénon, di "fessure della grande muraglia", di
pericolosi cedimenti di quella cintura di protezione che, malgrado tutto, nella
vita ordinaria preserva ogni individuo normale e dalla mente lucida dall'azione
di forze oscure reali nascoste dietro la facciata del mondo dei sensi e sotto la
soglia dei pensieri umani formati e consapevoli. Da questo punto di vista, il
neo-spiritualismo appar essere dunque più pericoloso dello stesso materialismo o
positivismo, il quale, se non altro, con la sua primitività e la sua miopia
intellettuale rafforzava quella cinta, limitatrice sì, ma anche protettiva. Per
un altro verso, circa il livello proprio al neo-spiritualismo nulla è più
indicativo della sostanza umana presentata dalla gran parte di coloro che lo
coltivano. Mentre le antiche scienze sacre erano la prerogativa di una umanità
superiore, di caste regali e sacerdotali, oggi come maggioranza sono medium,
"maghi" da popolino, pendolasti, spiritisti, antroposofi, astrologhi e veggenti
da annunci pubblicitari, teosofisti, "guaritori", divulgatori di uno yoga
americanizzato e così via a bandire il nuovo verbo antimaterialistico,
accompagnandovisi qualche mistico esaltato e visionario e qualche profeta
estemporaneo. La mistificazione e la superstizione si mescolano quasi
costantemente, nel neo-spiritualismo, del quale un ulteriore tratto
significativo è, specie nei paesi anglosassoni, l'alta percentuale delle donne
(donne fallite, sviate o fuori uso). In effetti, come orientamento generale è di
una spiritualità "femminile" che qui a buon diritto si può parlare.
Ma questa è, di nuovo, una materia da noi già trattata e chiarita in molte altre
occasioni. Per l'ordine di idee che qui propriamente ci interessa importa solo
accusare la deprecabile confusione che può nascere dal fatto che, a partir dal
teosofismo anglo-indiano, nel neo-spiritualismo sono frequenti i riferimenti ad
alcune dottrine appartenenti a quello che noi chiamiamo il mondo della
Tradizione, specie nelle varietà orientali di esso. Ora qui, è necessario fare
una netta separazione. Bisogna tener per fermo che ciò di cui nelle correnti in
discorso a tale riguardo si tratta, si riduce quasi sempre a contraffazioni di
quelle dottrine, a residui o frammenti di esse mescolati coi peggiori pregiudizi
occidentali e con pure divagazioni personali. Del piano a cui le idee riprese
propriamente appartenevano, il neo-spiritualismo non ha in genere nessuna idea,
così come non ne ha nemmeno di ciò che, in fondo, i suoi seguaci veramente
cercano. Quelle idee infatti finiscono spesso col fungere da meri surrogati
usati per soddisfare le stesse esigenze che portano altri verso la fede e la
semplice religione: grave equivoco, perché si tratta invece di metafisica, e
spesso quegli insegnamenti nello stesso mondo tradizionale erano di pertinenza
esclusiva delle "dottrine interne", non divulgate. Inoltre non è nemmeno detto
che la ragione per cui i neo-spiritualisti s'interessano ad essi diffondendoli e
portandoli addirittura sulla piazza, sia solo da cercarsi nel decadere e
nell'inaridirsi della religione occidentale; un'altra ragione è che molti di
costoro credono che quegli insegnamenti siano più "aperti" e consolanti, che
essi esimano dagli impegni e dai vincoli propri alle confessioni positive:
mentre, nel caso, proprio l'opposto è vero, anche se si tratta di un genere
assai diverso di vincoli. Un esempio tipico è il genere della valorizzazione
moralizzante, umanitaria e pacifista fatta recentemente della dottrina buddhista
(secondo il pandit Nehru, essa sarebbe "l'altra alternativa rispetto la
bomba H").
Su di un altro piano, vediamo uno Jung "valorizzare" in termini psicanalitici
ogni specie di insegnamenti e simboli mistèrici, adattandoli al trattamento di
individui neuropatici e scissi. Per via di tutto questo, sarebbe perfino da
domandarsi fino a che punto l'effetto pratico del neo-spiritualismo sia negativo
anche da un altro punto di vista, cioè per l'inevitabile discredito che ricade
sugli insegnamenti dianzi accennati, riconducibili alle dottrine interne del
mondo della Tradizione, a causa del modo distorto e spurio con cui le correnti
in discorso oggi si sono date a farli conoscere e a propagandarli. In effetti,
occorre avere già un orientamento interno assai preciso, o un non meno preciso
istinto, per riuscire a separare il positivo dal negativo e trarre da quelle
correnti un incentivo per un vero ricollegamento con le origini e per la
riscoperta di un sapere dimenticato. E qualora ciò accada, e si prenda la giusta
via, non si tarderà a lasciare assolutamente indietro quanto è proprio a quel
casuale punto di partenza, cioè allo spiritualismo di oggi e soprattutto al
livello spirituale a cui esso corrisponde: livello dal quale esulano
completamente la grandezza, la potenza, il carattere severo e sovrano proprio a
ciò che si trova effettivamente di là dall'umano e che solo potrebbe aprire una
via oltre il mondo che sta vivendo la "morte di Dio". Ciò, per quanto riguarda
soprattutto il piano della dottrina. E l'uomo differenziato che a noi qui
interessa, se la sua attenzione si portasse su tale dominio, deve dunque vedere
chiaramente la distinzione ora indicata; qualora egli non disponga già di fonti
più dirette e autentiche di informazione fuor dai sottoprodotti e dalle ambigue
fluorescenze della "seconda religiosità", gli sarà necessario un lavoro di
discriminazione e di integrazione, lavoro del resto facilitato dal fatto che la
moderna scienza delle religioni e altre discipline affini hanno ormai fatto
conoscere testi fondamentali di diverse grandi tradizioni, in versioni che
potranno anche risentire delle limitazioni accademiche e specialistiche
(filologia, orientalismo, ecc.) ma che sono libere dalla deformazione, dalle
divagazioni e delle commistioni del neo-spiritualismo.
Esiste dunque la base, o materia prima, per andar oltre, dopo lo spunto iniziale
e occasionale (
nota 1 ).
In più, vi è però da considerare il problema pratico. Come si è accennato, il
neo-spiritualismo fa spesso cadere l'accento sulla pratica e sull'esperienza
interiore, e esso riprende da un diverso mondo, dall'antichità o dall'Oriente,
non solo delle concezioni del soprasensibile ma anche vie e discipline vòlte
alla rimozione dei limiti dell'ordinaria coscienza umana. A questo riguardo, si
ripete però l'equivoco già indicato quando parlammo di riti cattolici che hanno
finito con l'essere profanati e privati di ogni effettivo significato
"operativo" per essere stati applicati alle masse, senza considerare le
condizioni necessarie per la loro efficacia: nel presente caso l'equivoco
essendo aggravato, perché più ambiziosa è la mèta. A tal proposito, possiamo
lasciare da parte le varietà più spurie, "occultistiche", del neo-spiritualismo,
nelle quali sta in primo piano l'interesse per la "chiaroveggenza", per questo o
quel presunto "potere" e per un genere qualsiasi di contatti con l'invisibile.
Tutto ciò per l'uomo differenziato non può che essere cosa indifferente: non è
su questa via che il problema del significato dell'esistenza può essere risolto,
perché qui si resta pur sempre entro il mondo dei fenomeni, e il risultato può
perfino essere una evasione e una maggiore dispersione (simile a quella
propiziata, su di un altro piano, dal moltiplicarsi stordente delle conoscenze
scientifiche e dei mezzi tecnici) anziché un approfondimento esistenziale. Ma,
seppure confusamente, nel neo-spiritualismo viene talvolta prospettato qualcosa
di più e di diverso, quando ci si riferisce all'"iniziazione" e quando è questa
a venir posta come il fine di pratiche varie, di "esercizi", riti, tecniche
yoghiche e simili. A questo proposito se non si può procedere ad una condanna
pura e semplice, è però necessario dissipare certe illusioni. Presa nella sua
accezione rigorosa e legittima l'iniziazione corrisponderebbe, nell'uomo, ad un
reale cambiamento ontologico e esistenziale di stato, all'apertura di fatto
della dimensione della trascendenza. Sarebbe la realizzazione inequivocabile e
l'appropriazione integrale e decondizionalizzante della qualità che abbiamo
considerato come il fondo del tipo umano che a noi interessa, dell'uomo ancora
radicato spiritualmente nel mondo della Tradizione. Così si pone il problema di
ciò che si deve pensare quando, dall'una o dall'altra corrente del
neo-spiritualismo, vengono riesumati e presentati metodi e vie "iniziatici". E'
necessario circoscrivere questo problema in quanto, in conformità ai limiti
propri al presente libro, qui non ci riferiamo a chi, staccatosi dall'ambiente,
abbia concentrato tutte le energie sulla direzione della trascendenza, come nel
dominio religioso può farlo l'asceta o il santo. Si tratta invece del tipo umano
che accetta di vivere nel mondo e nell'epoca, pur avendo una forma interiore
diversa da quella dei suoi contemporanei.
Quest'uomo sa che in una civiltà come l'attuale è impossibile ripristinare le
strutture che nel mondo della Tradizione davano un senso all'insieme
dell'esistenza. Ma nello stesso mondo della Tradizione ciò che si può far
corrispondere all'ideale dell'iniziazione apparteneva alle linee di vetta, ad un
dominio differenziato con suoi limiti precisi, ad una via avente un carattere di
eccezionalità e di esclusività. Non si trattava del dominio in cui la legge
generale dall'alto della tradizione formava l'esistenza comune nel mondo di una
data civiltà, ma di un piano sovraordinato, virtualmente sciolto da quella
stessa legge per il fatto di stare alla sua origine. Qui non si può trattare
delle distinzioni da farsi nello stesso dominio delle iniziazioni. Ci si deve
limitare a tener fermo il significato più alto e essenziale che ha l'iniziazione
quando ci si pone sul piano metafisico, significato che, come si è detto, è
quello del decondizionamento spirituale dell'essere. Quelle forme più relative
che corrispondono alle iniziazioni di casta, alle iniziazioni tribali e anche
alle iniziazioni minori, legate a questo o quel potere del cosmo come in certi
antichi culti - forme diverse, dunque, dalla "grande liberazione" -, qui debbono
essere lasciare da parte, anche perché nel mondo moderno per esse manca ormai
ogni base. Ebbene, se è appunto nella sua accezione più alta, metafisica, che la
si assume, già a priori si deve pensare che l'iniziazione in una epoca
come l'attuale, in un ambiente come quello in cui viviamo e data anche la
conformazione interiore generale degli individui (che ormai risente fatalmente
di una eredità collettiva già secolare assolutamente sfavorevole), si presenta
come una eventualità più che ipotetica, e chi oggi prospetta le cose in modo
diverso, quegli o non capisce di che si tratta, oppure inganna sé stesso e gli
altri. Ciò che bisogna negare nel modo più reciso è la trasposizione in questo
campo della veduta individualistica e democratica del self-made man, cioè
l'idea che ognuno che lo voglia possa divenire un "iniziato", e possa anzi
divenirlo da sé, con le sue sole forze, ricorrendo a "esercizi" e pratiche di
vario genere.
Questa è una illusione, la verità essendo che con le sole forze dell'individuo
umano non si saprebbe andar di là dall'individuo umano, che qualsiasi risultato
positivo in tale campo è condizionato dalla presenza e dall'azione di un potere
reale d'ordine diverso, non individuabile. E noi possiamo dichiarare
categoricamente che a questo riguardo i casi possibili si riducono a tre
soltanto.
Il primo caso è che il diverso potere lo si possegga già per natura. E' il caso
eccezionale di quella che fu chiamata la "dignità naturale", non derivante dalla
semplice nascita umana; è paragonabile a ciò che nel dominio religioso è
l'elezione. Come struttura, l'uomo differenziato da noi presupposto è affine al
tipo al quale può rapportarsi questa prima possibilità. Ma oggi la convalida in
lui della "dignità naturale" in questo senso specifico, tecnico, non può non
presentare un largo margine di problematicità, superabile solo se
quell'esperimento di sé, di cui si è parlato nel primo capitolo viene
opportunamente orientato in tal senso.
Gli altri due casi riguardano una "dignità acquisita". In primo luogo si può
considerare la possibilità dell'apparire del potere in questione, con una
conseguente, brusca rottura esistenziale e ontologica di livello, in casi di
profonde crisi, di traumi spirituali, di azioni disperate. In essi è possibile
che l'individuo, se non va in rovina, sia portato a partecipare a quella forza,
anche senza che se lo sia posto consapevolmente come scopo. La situazione
effettiva deve però essere chiarita dicendo che in casi del genere era stata già
accumulata una energia che le circostanze accennate hanno fatto d'un tratto
manifestare, con l'effetto di un cambiamento di stato: per cui, quelle
circostanze appaiono come una causa occasionale ma non determinante, necessaria
ma non sufficiente. Del pari l'ultima goccia non farebbe traboccare il vaso ove
esso non fosse già colmo, e lo spaccare una diga non farebbe prorompere l'acqua
se non premesse già dietro di essa.
Il terzo e ultimo caso riguarda l'innesto del potere in parola nell'individuo in
virtù dell'azione dell'esponente di una organizzazione iniziatica preesistente,
che a tanto sia qualificato. E' l'equivalente di quel che nel campo religioso è
l'ordinazione sacerdotale, la quale in teoria imprimerebbe nell'individuo un
character indelebilis che lo qualifica per l'esecuzione efficace dei riti.
L'autore da noi già citato, René Guénon - nei tempi moderni, egli è stato quasi
l'unico a trattare con autorità e serietà simili argomenti, non mancando di
denunciare anche lui le deviazioni, gli errori e le mistificazioni del
neo-spiritualismo - considera quasi esclusivamente questo terzo caso. Per contro
nostro, riteniamo invece che ai nostri giorni esso praticamente sia pressoché da
escludere per via dell'inesistenza quasi completa delle organizzazioni
accennate. Se organizzazioni del genere in Occidente ebbero già sempre un
carattere più o meno sotterraneo a causa della natura della religione venuta a
predominarvi e delle sue iniziative repressive e persecutorie, nei tempi ultimi
esse sono quasi del tutto scomparse. Per quel che riguarda altre aree,
soprattutto l'Oriente, esse si sono rese sempre più rare e inaccessibili, quando
anche le forze di cui erano le portatrici non si siano da esse ritirate,
parallelamente al processo generale di degenerescenza e di modernizzazione che
ormai ha investito anche quelle aree.
Di massima, oggi lo stesso Oriente ai più non è in grado di fornire che dei
sottoprodotti, in un "regime di residui", cosa evidente solo che si esamini la
statura spirituale degli Asiatici che si sono messi ad esportare e a divulgare
fra noi la sapienza orientale".Il Guénon non ha visto la situazione in termini
così pessimistici a causa di due equivoci. Il primo deriva dal suo considerare
l'iniziazione nel solo senso integrale e attuale dianzi accennato, e
dall'introdurre il concetto di una "iniziazione virtuale" che può aver luogo
senza alcun effetto percepibile per la coscienza, restando concretamente così
inoperante quanto - per prendere anche qui un parallelo dal mondo della
religione cattolica - lo è nella quasi totalità dei casi la qualità
sovrannaturale di "figlio di Dio" che il rito del battesimo indurrebbe perfino
in un neonato deficiente. Il secondo equivoco del Guénon deriva dal supporre che
la trasmissione dell'anzidetta forza sia reale anche nel caso di organizzazioni
che ebbero già un autentico carattere iniziatico, ma che da tempo sono entrate
in una fase di estrema degenerescenza, tanto da esservi ragione di supporre che
da esse il potere spirituale che originariamente ne costituiva il centro si sia
ritirato, non lasciando, dietro la facciata, che una specie di cadavere
psichico. In entrambi i punti, noi non possiamo seguire il Guénon; pensiamo
dunque che oggi il terzo dei casi elencati sia perfino più improbabile degli
altri due. Riferendoci ora all'uomo che a noi interessa, se nel suo orizzonte
mentale deve anche figurare l'idea di una "iniziazione", egli, dopo aver
chiaramente riconosciuto la distanza esistente tra essa e il clima del
neo-spiritualismo, non deve crearsi nemmeno lui delle illusioni. Come
praticamente possibile, egli di massima deve concepire solo un orientamento
fondamentale nei termini di una preparazione per la quale egli troverà in sé una
predisposizione naturale. Ma la realizzazione deve essere lasciata
nell'indeterminato, e sarà bene far entrare anche in questione la visione
post-nichilistica della vita a suo tempo delineata, che fa escludere ogni punto
di riferimento tale da provocare uno scarto, uno discentramento - anche se la
flessione, come in questo caso, fosse quella che si lega all'attesa impaziente
del momento in cui finalmente avverrà l'apertura. Così può valere, a questo
riguardo, il detto già citato dello Zen: "Chi cerca la Via, si mette fuori della
Via". Una visione realistica della situazione e la misura di sé stessi fanno
dunque vedere oggi come unico compito serio ed essenziale il dare un sempre
maggior risalto alla dimensione, più o meno coperta, della trascendenza in sé.
Degli studi sul sapere tradizionale e la conoscenza delle dottrine potranno
essere dei coadiuvanti, ma l'effetto utile sarà raggiunto solo quando ne risulti
un mutamento basale della vita di sé stessi come persona: quella forza, che nei
più è legata al mondo, che è semplice volontà di vivere. Si potrebbe paragonare
questo effetto all'induzione della qualità magnetica in un pezzo di ferro,
induzione che è anche quella di una forza imprimetegli una direzione. Allora si
potrà anche spostare sempre di nuovo e quanto si vuole il pezzo di ferro,
sospeso, ma dopo oscillazioni più o meno ampie e prolungate esso tornerà a
dirigersi verso il polo.
Quando l'orientamento verso la trascendenza non ha soltanto un carattere mentale
o emozionale, ma giunge a compenetrare l'essere della persona, l'opera più
essenziale è compiuta, il seme è penetrato nel terreno e il resto, in un certo
modo, è secondario e consequenziale. Tutte le esperienze e le azioni che vivendo
nel mondo e, anzi, vivendo in un'epoca come l'attuale, possono anche avere il
carattere di una diversione e legarsi a varie contingenze, avranno allora la
stessa portata irrilevante di quegli spostamenti, dopo i quali l'ago calamitato
riprenderà la sua direzione. Ciò che in più potrà essere eventualmente
realizzato, come si è detto, va lasciato alle circostanze e ad una sapienza
invisibile. Del resto, a tale riguardo gli orizzonti non debbono esaurirsi in
quelli propri all'esistenza individuale finita che l'uomo differenziato si trova
a vivere qui e ora. Così, lasciando da parte le mète lontane e troppo
pretenziose di una iniziazione assoluta e attuale intesa in termini metafisici,
lo stesso uomo differenziato deve tenersi contento se potrà giungere realmente a
produrre questa modificazione che, peraltro, si presenta come una integrazione
naturale degli effetti parziali dei comportamenti che per lui sono stati
definiti nelle precedenti pagine, in relazione a tanti diversi domini.