Julius EvolaLa Famiglia come Unità Eroica |
Uno dei pericoli che minacciano le correnti di reazione contro
le forze di disordine e di corruzione che stanno devastando la nostra civiltà e
la nostra vita sociale, è di andare a finire in forme poco più significanti, se
non di addomesticamento borghese. E' stato denunciato più di una volta il
carattere di decadenza che il moralismo presenta di fronte ad ogni
superiore forma di legge e di vita.
In realtà, affinché un "ordine" abbia valore, esso non deve significare né
routine né spersonalizzante meccanicizzazione. Bisogna che esistano delle
forze originariamente indomite, le quali conservino in una qualche maniera e
misura questa loro natura anche presso la più rigida aderenza ad una disciplina.
Solo allora l'ordine è fecondo. Con una immagine, potremmo dire che allora
accade come per una miscela esplosiva o espansiva, la quale appunto quando è
costretta in uno spazio limitato sviluppa la sua estrema efficacia, mentre
nell'illimitato quasi si dissipa. In tal senso Goethe ha potuto parlare di un
"limite, che crea" ed ha potuto dire che nel limite si dimostra il Maestro.
Occorre poi appena ricordare che nella visione classica della vita l'idea di
limite - pèras - si confondeva con quella stessa di perfezione e si
poneva come il più alto ideale non solo etico, ma perfino metafisico.
Queste considerazioni potrebbero essere applicate a vari domini. Veniamo qui ad
un caso particolare: quello della famiglia.
La famiglia è una istituzione che, erosa dall'individualismo dell'ultima civiltà
cosmopolita, minata alle basi dalle premesse stesse del feminismo,
dell'americanismo e del sovietismo, si vorrebbe ricostruire. Ma anche qui si
pone l'accennata alternativa. Le istituzioni sono come forme rigide nelle quali
una sostanza originariamente fluente si è cristallizzata: è questo stato
originario che si deve ridestare, quando le possibilità vitali inerenti ad un
determinato ciclo dl civiltà appaiono esaurite. Solo una forza che agisca
dall'interno, come un significato, può esser creatrice. Ora, a quale
significato si deve riferire la famiglia, in nome di che si deve volerla e
preservarla?
Il significato usuale, borghese e "perbene" di questa istituzione è noto a
tutti, e qui vale meno l'indicarlo, quanto il rilevare che assai scarso sostegno
esso potrebbe fornire ai fini di una nuova civiltà. Potrà esser bene tutelarne i
residui esistenti, ma è inutile nascondersi, che non è di questo che si tratta,
che questo è un "troppo poco". Se si vuole trovare una delle non ultime cause
della corruzione e della dissoluzione familiare sopravvenuta nei tempi ultimi,
essa può esser indicata appunto nello stato di una società, ove la famiglia si è
ridotta a non significare nulla più che questo: convenzione, borghesismo,
sentimentalismo, ipocrisia, opportunismo.
Anche qui, solo col riportarsi direttamente e risolutamente non allo ieri,
ma alle origini, noi possiamo trovare ciò che veramente ci occorre. E queste
origini, a noi dovrebbero essere accessibili. In modo particolare, se la
tradizione nostra, romana, della famiglia, è fra quelle che han portato ad
espressione il concetto più alto e originario di essa.
Secondo la concezione originaria, la famiglia non è una unità né naturalistica,
né sentimentale, ma essenzialmente eroica. E' noto che l'antica denominazione di
pater deriva da un termine, che designava il duce, il re. L'unità della
famiglia già per questo appariva dunque come quella di un gruppo di esseri
virilmente stretti intorno ad un capo, che ai loro occhi appariva rivestito non
di un bruto potere, bensì di una maestosa dignità, incutente venerazione e
fedeltà. Questo carattere resta senz'altro confermato, se si ricorda che nelle
civiltà indoeuropee il pater - oltreché il duce - è colui che in tanto
esercitava una potestà assoluta sui suoi, in quanto era in pari tempo
assolutamente responsabile per i suoi di fronte ad ogni superiore ordine
gerarchico - era anche il sacerdote della sua gens, colui che più di ogni
altro la rappresentava di fronte al divino, il custode del fuoco sacro il
quale nelle famiglie patrizie era simbolo di una influenza sovrannaturale
invisibilmente congiunta al sangue e trasmettentesi con questo stesso sangue.
Non molli sentimenti o sociali convenzionalismi, ma qualcosa fra l'eroico e il
mistico fondava dunque la solidarietà del gruppo familiare o gentilizio,
facendone una sola cosa secondo rapporti di partecipazione e di virile
dedizione, pronta ad insorgere compatta contro chi la ledesse o ne offendesse la
dignità. Con ragione il De Coulanges. come conclusione dei suoi studi in
proposito, ebbe dunque a dire che la famiglia antica era una unità religiosa,
prima di esser una unità di natura e di sangue.
Che il matrimonio fosse un sacramento già assai prima del cristianesimo
(come p. es. la rituale confarreatio romana), e cosa forse già
nota ai lettori. Meno lo è però l'idea, che questo sacramento non valeva come
cerimonia convenzionale o formula giuridico-sociale, quanto come una specie di
battesimo che trasfigurava e dignificava la donna portandola a partecipare della
stessa "anima mistica" della gente del suo sposo. Secondo un rito indoeuropeo,
assai espressivo come simbolo, prima che di esso, la donna doveva essere di Agni,
il fuoco mistico della casa. Ora, non è diverso il presupposto originario, per
cui lo sposo si confondeva col Signore della donna, e si stabiliva quel
rapporto, di cui la borghese fedeltà non e che il derivato decadente e
depotenziato. L'antica dedizione della donna che tutto dà e nulla chiede è
espressione di un eroismo essenziale, assai più mistico o "ascetico", vorremmo
dire, che non passionale e sentimentale e, in ogni caso, trasfigurante.
All'antico detto:
Non vi è rito o insegnamento speciale per la donna. Che essa veneri il suo sposo come il suo dio, ed essa otterrà la sua stessa sede celeste.fa quasi riscontro, in un'altra tradizione, la concezione secondo la quale la Casa solare dell'immortalità, oltrechè ai guerrieri caduti sul campo di battaglia e ai capi di stirpe divina, era riservata alle donne morte nel dare alla luce un figlio: in ciò essendo considerata un'offerta sacrificale cosi transumanante, quanto quella stessa degli eroi.