Julius EvolaIl Principio |
Per comprendere sia lo spirito tradizionale che la civiltà
moderna quale negazione di esso bisogna partire da un punto fondamentale: dalla
dottrina delle due nature. Vi è un ordine fisico e vi è un ordine metafisico. Vi
è la natura mortale e vi è la natura degli immortali. Vi è la ragione superiore
dell' " essere " e quella infera del " divenire ". Più in generale: vi è un
visibile e un tangibile e, prima di là da esso, vi è un invisibile e un non
tangibile quale sovramondo, principio e vita vera. Dovunque nel mondo della
Tradizione, in Oriente e in Occidente, in una forma o nell'altra, è stata sempre
presente questa conoscenza come asse incrollabile intorno al quale tutto il
resto era ordinato. Si dice conoscenza e non " teoria ".
Per quanto ai moderni riesca difficile concepirla, bisogna partire dall'idea che
l'uomo tradizionale sapeva della realtà di un ordine dell'essere molto più vasto
di quello a cui oggi corrisponde di massima alla parola " reale ". Oggi, come
realtà, in fondo, non si concepisce nulla più che vada oltre il mondo dei corpi
nello spazio e nel tempo. Certo, c'è chi ammette ancora qualcosa oltre il
sensibile: ma in quanto è sempre al titolo di una ipotesi o di una legge
scientifica, di una idea speculativa o di un dogma religioso che egli va ad
ammettere questo qualcosa, in effetti non si va oltre la detta limitazione.
Praticamente, cioè come esperienza diretta, quale pur sia il divario delle sue
credenze " materialistiche " e " spiritualistiche ", l'uomo moderno normale si
forma la sua immagine della realtà solo in funzione nel mondo dei corpi. Il vero
materialismo da accusare nei moderni è questo: gli altri loro materialismi, in
senso di opinioni filosofiche o scientifiche, sono fenomeni secondari.
Per il primo materialismo, non è dunque questione di una opinione o " teoria ",
ma dallo stato di fatto proprio ad un tipo umano la cui esperienza non sa più
cogliere che cose corporee. Per cui, la gran parte delle rivolte intellettuali
contemporanee contro le vedute " materialistiche " appartengono alle vane
reazioni contro effetti ultimi e periferici di cause remote e profonde
stabilitesi in ben altra sede, che non in quella delle " teorie ". L'esperienza
dell'uomo tradizionale, come ancora oggi, a titolo di residuo, quella di alcune
popolazioni dette " primitive ", andava molto oltre un tale limite. L' "
invisibile " vi figurava come un elemento altrettanto reale, e persino più
reale, dei dati sensi fisici. Ed ogni modo nella vita, sia individuale, sia
collettiva, ne teneva conto. Se tradizionalmente ciò che oggi si chiama realtà
non era dunque se non una specie in un genere molto più vasto, tuttavia non si
identificava l'invisibile col " sovrannaturale ". Alla nozione di " natura "
tradizionalmente non corrispondeva semplicemente il mondo dei corpi e delle
forme visibili sul quale si è concentrata la scienza secolarizzata dei moderni,
ma altresì, ed essenzialmente, una parte della stessa realtà invisibile. Era
vivo il senso di un mondo " infero ", popolato da forze oscure e ambigue d'ogni
genere - anima demonica della natura, substrato essenziale di tutte le forme e
le energie di questa - cui stava opposto la chiarità sovrarazionale e siderea di
una più alta regione.
Ma, in più, nella " natura " tradizionalmente rientrava anche tutto ciò che è
soltanto umano, questo non sfuggendo allo stesso destino di nascita e di morte,
di impermanenza, di dipendenza e di alterazione, proprio alla regione inferiore.
Per definizione l'ordine di " ciò-che-è " non può avere a che fare con stati e
condizioni umane o temporali: " una è la razza degli uomini, un'altra quella
degli dèi " - per quanto si concepisse che il riferimento all'ordine superiore
oltremondano potesse orientare quella integrazione e purificazione dell'umano
nel non-umano che, come si vedrà, essa sola costituiva l'essenza ed il fine di
ogni civiltà veramente tradizionale. Mondo dell'essere e mondo del divenire -
delle cose, dei dèmoni e degli uomini. Peraltro, ogni figurazione ipostatica -
astrale, mitologica, teologica o religiosa - di queste due regioni rimandava
l'uomo tradizionale a due stati, valeva come un simbolo da risolvere in
un'esperienza interiore o nel presentimento di una esperienza interiore. Così
nella tradizione indù, e specialmente nel buddhismo, l'idea del samsara - la "
corrente " che domina e trasporta ogni forma nel mondo inferiore - è
strettamente associata ad una condizione della vita come brama cieca,
immedesimazione irrazionale. Del pari, l'ellenismo della "
natura " personificò spesso l'eterna " privazione " di ciò che avendo fuori di
sé il principio e il proprio atto, fluisce e fugge a sé indefinitamente - aèi
rèonta - e nel suo divenire accusa appunto un abbandono originario e radicale,
un difetto perenne di limite. " Materia " e divenire in tali tradizioni
esprimono quel che di un essere è indeterminazione incoercibile od oscura
necessità, impotenza a compiersi in una forma perfetta, a possedersi in una
legge : anaekàion e àpeiron dicevano i Greci; adharma dicevano gli Orientali.
E la Scolastica non ebbe idee troppo dissimili nel riconoscere come cupiditas e
appetitus innatus la radice di ogni natura non redenta. In un modo o nell'altro,
l'uomo della Tradizione scoprì dunque nell'esperienza dell'immedesimazione
bramosa, che oscura e lede l'essere, il segreto di quella situazione, di cui il
divenire incessante e la perenne instabilità e contingenza della regione
inferiore appaiono come una materializzazione cosmico-simbolica. Per contro,
nell'appartenersi e nel darsi una forma, nell'avere in sé il principio di una
vita non più dispersa, non più abbattentesi qua e là in cerca di altro o di
altri per completarsi e per giustificarsi, non più spezzata dalla necessità e
dal conato irrazionale verso l'esterno e il diverso - in una parola:
nell'esperienza dell'ascesi, si sentì la 11 via per comprendere l'altra regione,
il mondo dello stato dell' " essere ", di quel che non è più fisico ma
metafisico - " natura intellettuale priva di sonno " e di cui simboli solari,
regioni uraniche, enti di luce o di fuoco, isole o altezze montane
tradizionalmente furono le figurazioni. Tali le due " nature ".
E fu concepita la nascita secondo l'una e secondo l'altra, e passaggio
dall'una all'altra nascita perché fu detto: " Un uomo è un dio mortale, e un dio
un uomo immortale ". Il mondo tradizionale conobbe questi due grandi poli
dell'esistenza e le vie che dall'uno conducono all'altro. Oltre il mondo, nella
totalità delle sue forme sia visibili che sotterranee, sia umane che subumane,
demoniche, conobbe dunque un " sovramondo " - uperkosmìa - l'uno " caduta "
dell'altro e l'uno " liberazione " dell'altro. Conobbe la spiritualità come ciò
che sta di là sia della vita che della morte. Conobbe che l'esistenza esterna,
il " vivere ", è nulla, se non approssimazione verso il sovramondo, verso il "
più che vivere ", se il suo più alto fine non è la partecipazione ad esso e una
liberazione attiva dal vincolo umano.
Conobbe che falsa è ogni autorità, ingiusta e violenta ogni legge, vana e caduca
ogni istituzione, quando non siano autorità, leggi ed istituzioni ordinate al
superiore principio dell'Essere - dall'alto e verso l'alto. Il mondo
tradizionale conobbe la Regalità Divina. Conobbe l'atto del transito:
l'Iniziazione - le due grandi vie dell'approssimazione: l'Azione Eroica e la
Contemplazione - la mediazione: il Rito e la Fedeltà - il grande sostegno: la
Legge tradizionale, la Casta - il simbolo terreno: l'Impero.
Queste sono le basi della gerarchia e della civiltà tradizionale, in tutto e per
tutto distrutte dalla trionfante civiltà " umana " dei moderni".