Julius EvolaIl Gruppo di Ur |
Tornando dunque al periodo in cui fu scritta l'edizione
italiana di Imperialismo Pagano, questo libro uscì quando si era già
costituito (al principio del 1927) il « Gruppo di Ur » (la parola « Ur » era
tratta dalla radice arcaica del termine « fuoco », ma vi era anche una sfumatura
additiva, pel senso di « primordiale », «originario », che essa ha come prefisso
in tedesco). Ciò riporta al dominio dell'esoterismo. Già il Reghini, quale
direttore della rivista Atanor e poi Ignis (due pubblicazioni
che ebbero brevissima vita), si era proposto di trattare le discipline
esoteriche e iniziatiche con serietà e rigore, con riferimenti a fonti
autentiche e con uno spirito critico. Il « Gruppo di Ur » riprese la stessa
esigenza, però accentuando maggiormente il lato pratico e sperimentale. Sotto la
mia direzione esso fece uscire dei fascicoli mensili di monografie destinate ad
essere riunite in volumi epperò coordinate in modo che si avesse, in buona
misura, uno sviluppo sistematico e progressivo della materia. Fu adottato il
principio dell'anonimìa dei collaboratori, i quali si firmarono tutti con un
pseudonimo perché - era detto nell'introduzione - « la loro persona non conta,
quel che possono dire di valido non è loro creazione o escogitazione ma riflette
un insegnamento superindividuale e oggettivo ». Nella ristampa delle monografie
in tre volumi, con titolo Introduzione alla Magia, avvenuta nel 1955 a
cura dell'editore Bocca, nemmeno il mio nome figurava. Se fra i collaboratori si
trovava qualche personalità nota, che accettò parimenti la regola dell'anonimia,
vi erano però anche persone che in precedenza non avevano mai scritto e di cui
io stesso avevo annotato alcuni insegnamenti dandovi una forma adeguata, salvo
la loro approvazione definitiva del testo. Debbo però anche dichiarare che
alcuni nomi erano puramente simbolici; incarnavano, per così dire, dati
indirizzi che, per immedesimazione, si cercò di esporre in precipue
estrinsecazioni. Inoltre per esigenze di unitarietà e di completezza, ma anche
di forma letteraria, nell’una o nell'altra monografia assai spesso vi fu un mio
apporto.
Nell'introduzione come punto di partenza veniva pasto ancor una volta il
problema esistenziale dell'Io, la crisi di chi non crede più ai valori correnti
e a tutto ciò che dà abitualmente, sul piano sia intellettuale, sia pratico, sia
umano, un senso all'esistenza. Il presupposto ulteriore era che di fronte a tale
crisi non si scartasse, non si ricorresse a dei lenitivi, ma nemmeno si
crollasse, che in base al fatto irreversibile ormai determinatosi si fosse
invece decisi assolutamente « a dissipare la nebbia, ad aprirsi una via »,
volgendo verso « la conoscenza di sé e, in sé, dell'Essere ». Questa conoscenza
veniva presentata come una conoscenza trascendente, presupponente « un
cambiamento di stato », e come una realizzazione assolutamente positiva. L'opus
transformationis, « la mutazione della propria natura più profonda è ciò
che solo conta, per la conoscenza superiore ». Ebbene, si affermava che per una
tale opera vi fu già una scienza, « una scienza precisa, rigorosa, metodica,
trasmessa in catene ininterrotte anche se raramente palesi al profano; una
scienza che, pur non avendo a che fare con cose e con fenomeni esteriori, ma
vertendo sulle forze più profonde dell'interiorità umana procede
sperimentalmente, con gli stessi criteri di obiettività e di impersonalità delle
scienze esatte». Ad essa si lega «una tradizione unica che in varie forme di
espressione si può ritrovare in tutti i popoli, ora come sapienza di antiche
élites regali e sacerdotali, ora come conoscenza adombrata da simboli sacri,
miti e riti, le cui origini si perdono in tempi primordiali, da misteri e da
iniziazioni ».
Come ho accennato, quando furono raccolte in volume e poi nella loro riedizione
dopo diciassette anni il titolo complessivo delle monografie fu Introduzione
alla Magia (si aggiungeva: « quale scienza dell'Io »). A questo proposito,
nel testo, ma già nell'introduzione, abbiamo avuto cura di avvertire che il
termine « magia » andava preso in un senso traslato, non corrispondente a quello
popolare e nemmeno a quello usato nell'antichità, perché non si trattava di
certe pratiche, reali o superstiziose, vòlte alla produzione dell'uno o
dell'altro fenomeno estranormale. Parlando di magia si voleva piuttosto
significare che l'attenzione del gruppo si portava essenzialmente su quella
speciale formulazione del sapere iniziatico che obbedisce ad un atteggiamento
attivo, sovrano e dominativo rispetto allo spirituale (sulle implicazioni
storiche di questo orientamento, dirò più oltre).
Le monografie del « Gruppo di Ur » volevano dunque dare spunti, suggestioni,
indirizzi della scienza anzidetta, anzitutto e soprattutto con « l'esposizione
di metodi, di discipline, di tecniche » unitamente ad un approfondimento della
simbologia, in secondo luogo c relazioni di esperienze effettivamente vissute »,
in terzo luogo si doveva curare « la ripubblicazione o traduzione di testi, o
parti di testi, rari o poco noti, delle tradizioni d'Oriente e d'Occidente,
opportunamente chiariti e annotati » (pubblicammo, per esempio, la prima
traduzione italiana dal greco del Rituale Mithriaco del Gran Papiro Magico di
Parigi, alcuni capitoli di un Tantra, testi ermetici come la Turba Philosophorum,
alcuni canti di Milarepa, i Versi Aurei pitagorei, passi del Milindapahña
buddhista, estratti da Meyrink, Kremmerz e Crowley, ecc.), in quarto luogo «
inquadramenti dottrinali sintetici » e messe a punto critiche. Indirizzi
molteplici di scuole varie venivano presentati, a che il lettore avesse modo di
scegliere in base alle sue particolari predisposizioni o inclinazioni.
Le monografie uscirono per tre anni, dal 1927 al 1929. Nell’accennata riedizione
per le edizioni Bocca (poi rilevate da Feltrinelli), in tre volumi di oltre 400
pagine ciascuno, la materia è stata riveduta e ampliata, con esclusione di
monografie il cui contenuto era stato successivamente sviluppato in libri a sé.
Però ne sono state aggiunte varie altre, per un opportuno completamento. Nel
complesso, Introduzione alla Magia si può ben chiamare un'opera unica
nel suo genere, non per ultimo per un modo di trattare gli argomenti diverso da
quello divagante e incolto prevalente in conventicole e sette. Ritengo che
continuerà a rappresentare un documento e una fonte importante per tutti coloro
che si interessano a tali discipline.
Purtroppo verso la fine del secondo anno avvenne, nel gruppo, una scissione, per
cause oscure, ma soprattutto in seguito ad un tentativo subdolo di togliermi di
mano la pubblicazione per farla controllare da elementi che, come in seguito,
quando ciò non fu più politicamente rischioso, venne dichiarato apertamente,
mantenevano in vita la massoneria malgrado la sua soppressione nel periodo
fascista. Il tentativo essendo fallito, si tentò di impedire che continuassi a
pubblicare i fascicoli. Ma anche ciò non riuscì. L'unico effetto deplorevole fu
la defezione di uno dei più validi, anche se non dei più assidui, collaboratori,
per sue suscettibilità personali e per oscuri vincoli che lo legavano con un
individuo sospetto.
È naturalmente impossibile riferire il vasto e variopinto contenuto di quei tre
volumi; del resto, qui non ne sarebbe nemmeno il caso, perché non si tratta
della sola mia attività. Segnalerò un'ampia analisi demolitrice, dal punto di
vista iniziatico, delle vedute psicanalitiche con cui lo Jung ha preteso di «
valorizzare scientificamente » le dottrine di antiche tradizioni sapienziali e
di interpretarne i simboli, con relativo confusionismo circa il famoso «
inconscio collettivo », gli archetipi » e il « processo d'individuazione »;
l'esposizione della teoria della conoscenza come puro sperimentalismo propria al
sapere iniziatico; la prima parte di una indagine ben documentata sul contenuto
iniziatico dell'antica tradizione romana; una presa di posizione di fronte alle
vedute del Guénon circa la « regolarità iniziatica » e circa i rapporti fra
contemplazione e azione; una precisazione dei limiti del misticismo cristiano;
un'altra precisazione circa l'etnologia, e via dicendo. Ciò, per la parte
propriamente dottrinale. Ma il maggior numero degli scritti riguarda le
tecniche, gli indirizzi pratici, con corrispondente chiarimento della
simbologia, soprattutto di quella ermetica.
Un particolare risalto veniva dato alla dottrina iniziatica della « immortalità
condizionata », già da me trattata in uno dei Saggi sull'idealismo magico.
La teoria dell'esistenza in ognuno di un'anima naturaliter e per diritto «
immortale » veniva accusata come una illusione propria al solo exoterismo (al «
sapere esterno »), ignota ad una superiore sapienza. Questa è invece
caratterizzata dalla distinzione, anzitutto, fra semplice sopravvivenza e vera
immortalità, poi dal respingere l'alternativa dei castighi o delle ricompense
nell'aldilà, secondo criteri moralizzanti, per l'« anima immortale », il porre,
invece, l'alternativa fra un sopravvivere in forma divina o il non sopravvivere
affatto ovvero solo in forme larvali e temporanee, la prima possibilità essendo
condizionata dalla iniziazione o da altro procedimento egualmente volto a
rescindere, nell'uno o nell'altro modo o grado, la condizione che il corpo e
l'esperienza sensibile rappresentano per il senso dell’unità dell'Io, unità in
via normale relativa e caduca. A tale riguardo l'antitesi esistente, in
generale, fra exoterismo e dottrine interne tradizionali (esoterismo) acquistava
un particolare rilievo di fronte alla concezione « spiritualistica » venuta a
predominare, nei termini di un irrealismo fideistico, ottimistico e democratico,
col cristianesimo, mentre l'opposta veduta (l'immortalità condizionata)
rimandava alla concezione pagana dell'immortalità olimpica eccezionale e
privilegiata. Questo accenno mi dispenserà dal tornare sulla trattazione dello
stesso argomento che si trova in miei successivi libri, per es. in La
tradizione ermetica e nella mia nuova presentazione del Tao-té-ching di
Lao-tze (nel taoismo esoterico la dottrina dell'immortalità condizionata,
in un certo modo da « costruire », ebbe una classica espressione).
Ci si potrebbe chiedere dove andasse a finire l'« Individuo Assoluto », dato che
ora si parlava di un Io mortale condizionato dal corpo. La contradizione è solo
apparente. Evidentemente il regalare ad ognuno l'Io dell'« Individuo Assoluto »
era ancor più assurdo del regalargli l'anima naturaliter immortale degli «
spiritualisti ». Invece la veduta iniziatica si accordava benissimo con la
teoria delle due opposte vie, indicate e dedotte nella mia Teoria: la condizione
da « anima mortale » era quella propria alla « via dell'altro » o dell'« oggetto
». Il progresso rispetto alla esposizione astratta filosofica riguardava il
riferimento a tradizioni concrete e a compiti operativi: il mondo dell'« anima
non immortale » era quello stesso che in India veniva chiamato del samsara, in
Estremo Oriente della corrente delle trasformazioni, nella quale vi è solo il
passare da uno stato condizionato e contingente ad un altro, senza una vera
continuità. Era anche la cosidetta « via dei padri » opposta alla « via degli
dei ». Quanto all'altra via, l'elemento nuovo, di là dalla panoramica
speculativa della Fenomenologia, era l'assoluto realismo facente da premessa.
Bisogna riconoscere non meno crudamente del materialismo e del positivismo che
cosa è l'« Io » che ognuno si attribuisce, prima di poter andar oltre, verso il
«Sé » (da qui, fra l'altro, il vero senso della dottrina buddhista che nega
l'esistenza di un « Io »). Come punto fissato una volta per tutte veniva
pertanto dichiarato che pel suo carattere esclusivamente ontologico il problema
iniziatico (l'opus transformationis) prescinde da ogni moralismo, da ogni
esigenza del sentimento e da ogni « valore della cultura » nella stessa misura
della scienza positiva e della tecnica. Questo orientamento faceva naturalmente
inorridire i teosofisti e i neospiritualisti, che non tardarono ad accusarci di
immoralismo e di « magia nera ».
A partire dal secondo volume, in Introduzione vennero anche affrontati i
problemi della « Tradizione » e delle sue forme. Su ciò, dirò più sotto, in
relazione al mio contributo personale e al mio ridimensionamento delle vedute di
Bachofen, di Wirth e di Guénon. Circa il « Gruppo di Ur », accennerò infine che
venne altresì intrapreso il tentativo di creare una « catena » mediante pratiche
collettive. I criteri seguiti e le corrispondenti istruzioni sono stati esposti
in due monografie di Introduzione. Fra gli appartenenti a questo gruppo
operativo due elementi almeno erano dotati di reali poteri. Quanto alle
finalità, quella più immediata era il destare una forza superiore da servire
d'ausilio al lavoro individuale di ciascuno, forza di cui eventualmente ciascuno
potesse far uso. Vi era però anche un fine più ambizioso, cioè l'idea che su
quella specie di corpo psichico che si voleva creare potesse innestarsi,
evocazione, una vera influenza dall'alto. In tal caso non sarebbe stata esclusa
la possibilità di esercitare, da dietro le quinte. un'azione perfino sulle forze
predominanti nell'ambiente generale di allora. Quanto alla direzione di tale
azione, i punti principali di riferimento sarebbero stati più o meno quelli di
Imperialismo Pagano e degli ideali « romani » di Arturo Reghini.
Non si giunse a nulla di simile (per debito di onestà, debbo dire che vanno
messi sotto beneficio d'inventario alcuni dei fenomeni riferiti in Introduzione,
in relazione al gruppo). Il gruppo operativo si sciolse già il secondo anno,
anche in relazione allo scisma sopravvenuto. Non realizzatesi le premesse, a
quell'influenza insensibile da esercitare sull'esterno non si pensò più, mentre
vi erano, soprattutto da parte mia, riserve nei riguardi di ogni specie di
operazioni collettive. Può tuttavia essere forse interessante accennare che, in
un altro contesto, Mussolini per un momento credette che si volesse agire
magicamente su di lui.
Ciò avvenne un po' più tardi, se ben ricordo verso il 30 0 il 31. Ad un tratto
ad alcuni giornali dove scrivevo venne dall’alto l'ordine di revocare la mia
collaborazione. Mi fu possibile rintracciare l'origine del provvedimento. In una
delle nostre polemiche di Introduzione si era preso posizione contro coloro che
per ammettere la realtà di poteri sovrannaturali ci chiedevano non di gettare,
per esempio, l'Himalaya nel Pacifico ma solo un fenomeno « irrilevante » come il
far alzare di qualche centimetro un tagliacarte da uno scrittoio. Ri-battevamo
dicendo che dal punto puramente fisico un tale potere era certamente superiore a
quello occorrente per spostare alcune molecole o fibre di un cervello, tanto da
provocare una emorragia cerebrale, epperò la morte della persona; che se tale
potere era « oggettivo », a tale riguardo un particolare cervello si sarebbe
ovviamente trovato nelle stesse condizioni di inermità di qualsiasi altro -
avrebbe dunque, potuto essere anche quello di un « capo di governo ». Così,
concludevamo, si vedeva quali conseguenze per una intera nazione e per la sua
storia poteva avere quell'« irrilevante » potere richiesto come prova, qualora
esso fosse veramente libero e assoluto, non sul genere di quelli inconsci,
sub-personali, inintenzionali e sporadici dei medium e simili.
Ebbene, a Mussolini qualcuno riferì tendenziosamente questa argomentazione,
accennando che con « un capo di governo » intendevamo proprio lui; ed essendo
forse stata aggiunta qualche diceria sulla nostra ormai inesistente catena di
Ur, il Duce pensò ad una intenzione di agire magicamente su di lui. Giunto a
sapere come le cose effettivamente stavano, Mussolini cessò di interferire. in
realtà, Mussolini, oltre che suggestionabile, era abbastanza superstizioso (come
controparte di una mentalità, in fondo, chiusa alla vera spiritualità). Per
esempio, aveva una autentica paura per gli « iettatori », di cui vietava si
pronunciasse perfino il nome in suo cospetto.