Julius Evola

René Guénon, fra Occidente ed Oriente

 

 

René Guénon, East and West, recensione a René Guénon, La Crise du Monde Moderne
«East and West», IV, 4, (gennaio 1954) pp. 255-258.
trad. it da Oriente e Occidente. Saggi vari, a cura di Gianluca Nicoletti e Marco Pucciarini, La Queste, 1984, pp. 49-59

 

La nuova edizione del libro di René Guénon "La Crisi del Mondo Moderno" offre l'opportunità di un resoconto critico delle principali idee esposte dall'autore, che può essere di qualche interesse. Queste idee sono strettamente connesse al problema delle relazioni tra Oriente e Occidente e al destino che attende la nostra civiltà nel suo complesso. Esse sono del più grande interesse in quanto Guénon dissente da tutti coloro che qualche tempo fa hanno scritto intorno al "tramonto dell'Occidente", sulla "crisi dello spirito europeo" e così via -tutte idee che oggi, dopo il nuovo collasso causato dal secondo conflitto mondiale, sono riemerse con rinnovato vigore. Guénon non si occupa di casi individuali o di reazioni confuse, né ha a che fare con la filosofia nel senso correntemente dato a questo termine; le sue idee traggono la loro origine dalla Tradizione, ampiamente ed impersonalmente intesa.
A differenza degli scrittori a cui ci siamo riferiti sopra -Spengler, Ortega y Gasset, Huizinga, Massis, Keyserling, Benda- Guénon non appartiene spiritualmente al mondo moderno; egli porta testimonianza di un mondo diverso e non fa alcun mistero del fatto che deve le sue conoscenze in gran parte ai contatti diretti che egli ha avuto con gli esponenti dell'Oriente tradizionale.

Guénon prende come punto di partenza -e crediamo sia essenziale e possa essere accettato senza discussione- che la reale antitesi non è tra Oriente e Occidente, ma tra civiltà tradizionale e civilizzazione moderna; non è pertanto né geografica né storica, ma ha un carattere morfologico e tipologico. Possiamo invero definire come "tradizionale" un tipo universale di civiltà che è stato realizzato, anche se in varie forme e più o meno completamente, tanto in Oriente quanto in Occidente.

La civiltà "tradizionale", tutte le civiltà tradizionali, hanno dei punti metafisici di riferimento. Sono caratterizzate dal riconoscimento di un ordine superiore a tutto ciò che è umano e temporale; dalla presenza e dall'autorità esercitata da élite che traggono da questo piano trascendente i principi e valori necessari per raggiungere un più alto sistema di conoscenza, come pure per far sorgere un'organizzazione sociale basata sul riconoscimento di principi gerarchici e per dare all'esistenza un significato veramente profondo. In Occidente, il Medio Evo ci offriva ancora un esempio di civiltà tradizionale così intesa.
L'esatto opposto della civiltà tradizionale è la civilizzazione moderna, sia occidentale che orientale. Questa è caratterizzata dalla negazione sistematica di tutto ciò che è superiore all'uomo -sia esso considerato come individuo sia come comunità- e dall'organizzazione di forme insoddisfacenti di conoscenza, di azione, di vita, che non vedono niente al di là delle realtà temporali e contingenti, il che porta alla legge del numero e per necessità logica esse portano in sé sin dall'inizio i germi di quelle crisi e disordini dei quali il mondo offre ora tale lampante e diffusa evidenza.

Secondo l'opinione di Guénon la situazione in Oriente è differente. L'Oriente conserva ancora aspetti viventi delle "civiltà tradizionali" che altrove sono già scomparse. Guénon ritiene che il mondo moderno possa superare la crisi di cui sta soffrendo solo con un ritorno ad una civiltà di tipo tradizionale. Ma ciò non può nascere dal nulla. Dato che l'Occidente ha da lungo tempo perso il contatto con le sue passate forme tradizionali delle quali, a parte il mondo religioso inteso in senso assai ristretto, quasi niente rimane, Guénon considera che il contatto fra le élite dell'Occidente e i rappresentanti dello spirito tradizionale dell'Oriente è un punto di essenziale importanza per assicurare una ripresa, per "galvanizzare", per così dire, le forze latenti.
Non è una quistione di essere infedeli a noi stessi cercare di orientalizzarci, ma di ricevere dall'Oriente ciò che può essere utilizzato per riscoprire la nostra propria tradizione, come andare al di là della civilizzazione puramente umana, individualistica e razionalistica dei tempi recenti, per formare a poco a poco un'atmosfera favorevole al rifiorire dell'Occidente tradizionale. A questo punto un'intesa fra Oriente e Occidente dovrebbe sorgere naturalmente e riposerebbe su fondamenta del tutto differenti da quelle concepite da tutti coloro che hanno affrontato tali problemi da un punto di vista esclusivamente politico o astrattamente culturale o economico o vagamente "spiritualista".

Queste idee di Guénon, sotto i loro aspetti generali, ci sembrano del tutto accettabili e va ascritto a suo merito di formularle su linee rigorose, con una obbedienza senza compromessi alla verità e solo alla verità. Dobbiamo tuttavia fare delle riserve quando passiamo dal generale al particolare, alla prospettiva 'mondana' e ai simboli necessari per una azione effettiva.

Se ci volgiamo all'Oriente, le sue vedute devono essere aggiornate, dato che da quando è apparsa la prima edizione del suo libro, molte cose sono cambiate, e cambiate rapidamente. Diviene ogni giorno più evidente che l'Oriente stesso, inteso come rappresentante la civiltà tradizionale, sta passando attraverso una crisi. La Cina non rientra più nel quadro. In India le correnti nazionalistiche e modernistiche stanno regolarmente guadagnando terreno. Nei paesi arabi e perfino nel Tibet regna la confusione. Così gran parte dell'Oriente di Guénon sembra divenire una cosa del passato e quei settori dell'Oriente nei quali lo spirito tradizionale ancora sopravvive grazie ad una continuità ininterrotta e che potrebbero adempiere alla funzione cui ci siamo sopra riferiti, andrebbero trovati, ammesso che ancora si trovino, in qualche piccolo e piuttosto esclusivo gruppo di nobili spiriti, destinati dal corso degli eventi a svolgere un ruolo sempre più piccolo nei destini storici dei loro popoli. È da sperare che almeno questi piccoli gruppi riescano a rimanere immuni dalle influenze modernizzanti alle quali, purtroppo, la maggior parte degli Orientali, che cercano di far conoscere in Europa o in America l'uno o l'altro degli aspetti della loro civiltà, hanno ceduto. Altrimenti i problemi, come sono posti da Guénon, saranno privati del loro termine più importante.
Stando così le cose, dobbiamo ripetere che le idee espresse da Guénon possono essere accolte con scetticismo nella misura in cui ci portassero a cercare nell'Oriente attuale, considerato come civiltà per sé, qualcosa che potesse servirci di modello. Né vi è ragione alcuna di aspettarsi che le cose possano cambiare nell'immediato futuro.

E qui conviene fare alcune considerazioni sulle leggi cicliche che hanno una parte così importante nell'insegnamento tradizionale, e alle quali Guénon stesso fa frequente riferimento. In contrasto con i miti ottimistici e progressisti dei secoli XVII e XVIII, queste leggi parlano di una graduale perdita di spiritualità e tradizione tanto maggiore quanto più ci si allontani dal punto di partenza; e tutti i caratteri negativi e critici della civiltà moderna sono giustificati dal fatto che corrispondono all'ultima fase di un ciclo, alla fase conosciuta in India come l'"età oscura", Kali-Yuga, descritta molti secoli fa in termini che riflettono in una maniera sorprendente la fisionomia dell'Occidente attuale.

Si può dire che l'Occidente è ora l'epicentro dell'"età oscura". Siccome però queste leggi hanno una portata generale non possiamo escludere che un domani possa essere trovata una soluzione del tutto particolare per le relazioni fra Oriente e Occidente. Dato che noi Occidentali siamo avanzati molto rapidamente nel cammino verso il basso, siamo anche più vicini al punto terminale del ciclo presente e questo significa che siamo anche più vicini al punto di partenza di altre civiltà in cui le forme tradizionali ancora sopravvivono. Siamo d'altronde legittimati a pensare che, in obbedienza a tali leggi, l'Oriente dovrà percorrere la nostra stessa Via Crucis, e con un passo ancora più veloce - si pensi solo alla Cina! L'intero problema consisterà così nel vedere se le forze occidentali riusciranno a condurci al di là della crisi; al di là del punto zero del ciclo. Se così sarà, potrebbe ben succedere che l'Oriente si troverà al punto in cui sta oggi l'Occidente quando quest'ultimo sarà già passato oltre l'"età oscura"; i rapporti fra i due sarebbero così invertiti.
Secondo tale veduta, tutto ciò che l'Oriente rappresenta, - non le sue élite, ma la sua civiltà attuale nel complesso - sarà giustificato, in un certo senso, dal fatto che esso (l'Oriente) non ha raggiunto nei processo ciclico il punto raggiunto dall'Occidente. Pertanto, parlando in generale, i punti di riferimento che l'Oriente può fornirci sono di un ordine ideale piuttosto che reale, e non bisogna vedere troppo ottimisticamente le prospettive di ottenere un aiuto realmente valido per resistere a forze che ora sono al lavoro nel mondo intero e che sarebbero difficili da padroneggiare altrimenti che "cavalcando la tigre".

Nel considerare la possibilità di ricostruire l'Occidente su direttive che potrebbero non solo salvarlo dalla catastrofe, ma perfino porlo a capo del movimento storico quando le forze di un nuovo periodo ciclico saranno messe in movimento, una quistione di principio deve essere affrontata quando si esamina lo specifico punto di vista assunto da Guénon. Egli reputa che una delle cause della crisi del mondo moderno sia da trovarsi nella negazione teorica e pratica della priorità che deve essere data alla conoscenza, alla contemplazione e alla pura intellettualità sull'azione.

Guénon dà in realtà a questi termini un significato che differisce ampiamente da quello usuale. Egli li usa per esprimere attività spirituali correlate all'ordine trascendente di quei puri principi metafisici, che hanno da sempre costituito il fondamento permanente per ogni tradizione sana. È pure ovvio che non si può sollevare alcuna obiezione alla priorità asserita, qualora per azione, si intenda attività disordinata, non illuminata e senza fini determinati, dominata esclusivamente da considerazioni contingenti e materiali, miranti solo a conseguimenti mondani, che ora è l'unica forma di azione che la civiltà moderna riconosce ed ammira. Ma se è considerata la pura dottrina, allora il caso è ben diverso. Bisogna ricordare che contemplazione -o pura conoscenza- e azione sono sempre state messe in relazione, la prima alla casta sacerdotale, la seconda a quella guerriera o regale (brâhman e kshâtram, per usare i termini indù). La contemplazione è un simbolo specificamente religioso-sacerdotaIe, mentre l'azione e il simbolo del guerriero e del re.

Detto questo, dobbiamo rifarci ad un insegnamento che Guénon stesso riferisce in più di una occasione, cioè che questa dualità di dignità non esisteva all'inizio: i due poteri erano assorbiti in un vertice che era ad un tempo regale e sacerdotale. L'antica Cina, il primo periodo ariano indù, l'Iran, la Grecia arcaica, l'Egitto, la Roma delle origini e poi la Roma imperiale, il Califfato, e così via, tutte civiltà che parlano di ciò. È come risultato di regressione e degenerazione che le due dignità si separarono e furono spesso perfino in lotta, come effetto di un reciproco disconoscimento. Ma stando così le cose, nessuna delle due direzioni può reclamare l'assoluta priorità sull'altra. Tutte e due sono sorte nella stessa maniera e tutte e due si sono allontanate molto dall'ideale originale e dallo stato tradizionale: e se noi avessimo come proposito la restaurazione, sotto qualche forma di questo vertice, ognuno dei due elementi, quello sacerdotale-contemplativo, o quello guerriero-attivo, potrebbe essere preso come pietra di fondamento e punto di partenza. In tal caso l'azione non dovrebbe essere certo interpretata in senso moderno, ma in senso tradizionale, quello della Bhagavad-Gita, o nello Jihad islamico, o negli ordini ascetici di cavalleria del Medio Evo occidentale.
L'"equazione personale" di Guénon gli ha impedito di dare un adeguato riconoscimento di tutto ciò, e lo ha condotto ad attribuire un'importanza esclusiva al punto di vista dell'azione subordinata alla contemplazione. E questa visione unilaterale non è senza conseguenze per il problema della possibile ricostruzione dell'Occidente.

Non può esserci alcun dubbio che il mondo occidentale e l'uomo occidentale siano caratterizzati dalla priorità data all'azione; Guénon stesso lo ammette. Ora, se la tradizione nel suo senso universale è una nella sua essenza metafisica non umana, questa ammette nondimeno varie forme corrispondenti alle diverse attitudini e alle qualificazioni prevalenti dei popoli e delle società. Ora, in primo luogo Guénon non riesce a spiegare la sua asserzione che l'unica forma di tradizione che fosse accettabile per l'Occidente avesse un carattere religioso, vale a dire, nel caso migliore diretto verso la contemplazione come suo ideale. Su questo punto i fatti possono essere accertati, ma non si può parlare della forma tradizionale più adatta allo specifico carattere degli Occidentali che sono maggiormente inclini all'azione e che in assenza di una tradizione che trasfigurasse e integrasse gli ideali dell'azione, hanno degradato quest'ultima alle espressioni materialistiche e selvagge che tutti conosciamo.
Per di più, prima del Cristianesimo, l'Occidente ebbe tradizioni di un tipo differente, e la civiltà del Medio Evo non era dominata solo da ideali di conoscenza e contemplazione. Ci basta solo ricordare le importanti espressioni ghibelline di questa civiltà, anche ora così poco capite nella loro autentica grandezza e nel loro significato più profondo.

Ma anche se consideriamo il futuro, cioè la possibilità di una restaurazione dell'Occidente su linee tradizionali, sorge la stessa quistione. Se l'Occidente è incline all'azione, allora l'azione deve essere il punto di partenza e ci si deve guardare dallo stigmatizzare come eretico ed antitradizionale tutto ciò che non si basa sulla premessa della priorità sull'azione della contemplazione e della conoscenza unilateralmente interpretata. Si dovrebbero invece studiare forme di civiltà che pur essendo tradizionali, pur accordando importanza a tutto ciò che ha un carattere metafisico e non esclusivamente umano, hanno tuttavia alla loro base simboli presi dal mondo dell'azione. Solo una tradizione di questo tipo potrebbe avere una presa reale sulle nazioni dell'Occidente e fornire loro qualcosa di organico, di congeniale ed efficace.

È strano che nei numerosi riferimenti alle civiltà orientali, Guénon ignora praticamente il Giappone. Ciò è ancora il risultato della sua "equazione personale", della sua mancanza di simpatia e comprensione di civiltà in cui l'interpretazione brahmanico-sacerdotale della tradizione non predomina. Ma è il Giappone che fino a ieri ci offriva l'esempio più interessante di una civiltà che si è modernizzata all'esterno come mezzo per un fine di difesa e offesa, ma che nella sua essenza era fedele ad una tradizione millenaria che apparteneva a un tipo regale e guerriero e non a quello contemplativo. La casta dei Samurai era la sua spina dorsale, una casta in cui i simboli dell'azione non escludevano ma piuttosto postulavano degli elementi di un carattere sacro e talvolta perfino iniziatico. Con tutte le numerose differenze che li dividono, questo schema di civiltà aveva rapporti visibili con quello del Sacro Romano Impero e non può esserci alcun dubbio che se l'uomo occidentale dovesse rivivificare per sé una vocazione superiore, tradizionale, ideali di questa sorta, debitamente adattati e purificati, lo attirerebbero molto di più di quelli di tipo contemplativo e di pura conoscenza.

Guénon usa l'espressione élite intellectuelle in riferimento a coloro che nell'Occidente dovrebbero organizzare - sia indipendentemente sia in collaborazione con esponenti dell'Oriente ancora tradizionale - e gradualmente suscitare un cambiamento nella mentalità, per fermare il processo di dissoluzione prima che questo completi il suo fatale ed irrevocabile progredire attraverso l'intero mondo moderno.
Come abbiamo detto, Guénon non usa l'espressione "intellettualità" nel suo significato generalmente accettato; coloro ai quali egli si riferisce non sono "intellettuali", bensì uomini di carattere superiore che si sono formati su linee tradizionali e possiedono una conoscenza metafisica. Inoltre egli menziona una "azione indiretta", invisibile ed imponderabile che tali élite possono esercitare (qui potremmo ricordare alcune delle società segrete dei Cinesi, fors'anche l'azione della Massoneria nel XVII e XVIII secolo). Ma per tutto ciò, la nozione di élite intellectuelle dà una impressione di qualcosa di astratto.
Se consideriamo accettabili le considerazioni ora fatte intorno ad un attivo e più occidentale modo di espressione dello spirito tradizionale, emerge una nozione più adatta al proposito che non quella di élite intellectuelle, la nozione di un Ordine, come in altri tempi erano -per analogia- i Templari, gli Ismaeliti, i Cavalieri Teutonici.
Un Ordine rappresenta una forma superiore di vita nel quadro di una vita d'azione, che può avere una "dimensione" metafisica e tradizionale pur rimanendo, nel contempo, in più diretto contatto con il mondo della realtà e con i fatti storici. Ma tutto questo implica una prospettiva mentale mutata, una nuova visione del mondo che potrebbe esercitare la sua influenza in tutti i campi della moderna cultura includendo quelle che sono conosciute come scienze esatte.
Ora, nel caso di questo compito più generale, le riserve che abbiamo fatto non sono più valide; tutto ciò che Guénon asserisce è di valore indubitabile; egli indica i principi essenziali che debbono essere rispettati sia per riconoscere la reale portata della crisi del mondo moderno, sia per gettare le fondamenta per un ritorno al "tradizionalismo integrale".
I suoi suggerimenti differiscono grandemente per la loro portata dalle proposte ristrette ora avanzate da quegli Occidentali che qua e là manifestano una istintiva reazione contro il prevalente stato di cose, di cui prevedono, più o meno chiaramente, il solo possibile e disastroso sbocco. Ora, il fatto che un Occidentale come René Guénon non sia arrivato a queste conclusioni basandosi solo sulle proprie forze e possibilità, ma attraverso lo stretto contatto con gli autentici esponenti di un Oriente ancora tradizionale, ha per noi un particolare significato e merita di essere messo in evidenza in queste pagine.

 

 

   

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