Julius EvolaLa Saga Imperiale, Il Signore Universale |
Secondo l' aspetto ora accennato, la saga di Arthur, appare
essere una delle molte forme del mito generale dell' imperatore o dominatore
universale invisibile e delle sue manifestazioni. E' un motivo che risale alla
più alta antichità e che ha anche una certa relazione con la dottrina delle
"manifestazioni cicliche" o avatara: la manifestazione in momenti determinati,
in varie forme, di un principio unico che nei periodi intermedi sussiste allo
stato immanifesto [1]. Così ogni qualvolta un sovrano ha presentato i tratti di
una specie di incarnazione di un tale principio, è sorta oscuramente nella
leggenda l' imagine, che egli "non è morto", che egli si è ritirato in una sede
inaccessibile donde si rimanifesterà un giorno, o che egli "dorme" e dovrà
ridestarsi. E come l' elemento superstorico va, in questi casi, a sovrapporsi a
quello storico, facenso simbolica una data figura reale, così per converso, i
nomi di quelle figure reali talvolta sopravvivono, stando però a designare
qualcosa che li trascende.
Ma l' imagine di una regalità in stato di "sonno" o di morte apparente è affine
a quella di una regalità alterata, lesa, paralizzata, non nel riguardo del suo
principio intangibile, bensì dei suoi rappresentanti esteriori e storici. Dal
che deriva il tema del re ferito, mutilato o inane che continua a vivere nel
"Centro" inaccessibile, ove non vige la legge del tempo e della morte.
Senza ripetere quel che abbiamo esposto altrove, a tal riguardo [2], per dare
un' idea complessiva e universalizzata del contesto in quistione, ricorderemo
alcune forme tipiche in cui nei tempi più antichi prese espressione tale
simbolismo. Nella tradizione indù incontriamo il tema di Mahâkâshypa che dorme
in una montagna, ma si desterà, al suono delle conche, al momento del nuovo
manifestarsi del principio, già apparso nella forma del Buddha. Un tale periodo
è anche quello della venuta di un "Signore universale" - cakravartî - portante
il nome di Shanka: ma shanka vuole appunto dire "conca", onde, attraverso questa
assimilazione verbale, si esprime l' idea di un risveglio dal sonno in funzione
della nuova manifestazione del "Re del Mondo" e della stessa tradizione
primordiale che il racconto in questione concepisce racchiusa, nei periodi
intermedi di crisi, appunto in una "conca".
Una analoga tradizione irànica si riferisce all' eroe Kereshâspa che, ferito da
una freccia mentre era immerso in uno stato di "sonno" (abbiamo di nuovo, lo
stesso simbolo), sopravvive in letargo attraverso i secoli, assistito dalle
fravashi (così come re Arthur ferito permane in vita nell' isola delle donne
esperte nell' arte esoterica): ma risorgerà nell' epoca di Shaoshyant e lotterà
al suo fianco [3]. Shaoshynat è il Signore di un futuro, trionfale regno del
"Dio di Luce" e il distruttore delle forze oscure arimaniche: e già qui sarà
bene notare che la concezione ebraica del "Messia" e quella cristiana del
"Regno", cui parecchi vorrebbero far direttamente debitore il mito imperiale
medioevale, non è che un' eco di questa antica concezione ario-irànica
precristiana.
Ma per avere la formulazione più importante del motivo in discorso dobbiamo
rifarci alla dottrina del Kalki-Avatara in connessione con la storia di
Parashu-Râma, una fra le figurazioni tipiche dell' esponente eroico della
tradizione olimpico-iperborea primordiale. Con la sua ascia, quando i
progenitori dei colonizzatori arî dell' India si trovavano ancora in una sede
settentrionale, egli avrebbe sterminato i guerrieri ribelli e altresì ucciso la
sua madre colpevole: simboli, questi, del doppio superamento che già si è detto
caratterizzare lo spirito "eroico" - superamento sia della virilità degradata
che di una spiritualità passata sotto segno femminile-materno secondo una
involuzione e una degradazione in senso opposto - tanto più che la sua azione
viene riferita ad un periodo fra l' età dell' argento, o lunare, e l' età del
bronzo, o titanica, fra il tretâ e il dvâpara-yuga.
Parashu-Râma non è mai morto, egli si è ritirato a vita d' asceta su di un'
altezza montana, sul Mahendra, ove perpetuamente vive [4]. Ciò premesso, giunti
i tempi, in conformità alle leggi cicliche si avrà una nuova manifestazione
dall' alto sotto forma di un re sacrale vittorioso sull' età oscura, come
Kalki-Avatara. Kalki nasce simbolicamente in Shambala, uno dei nomi che nelle
tradizioni indù e tibetane stanno a designare il centro sacro iperboreo [5], ha
appunto Parashu-Râma per maestro spirituale, e, dopo esser stato iniziato alla
scienza sacra, ottiene l' investitura regale. Da Shiva egli aveva intanto
ricevuto un cavallo bianco alato (cui nella storia viene data tanta importanza,
che spesso lo si trova identificato allo stesso Kalki), un pappagallo
onnisciente [6] e una spada luminosa - e qui, quanto a paralleli, si può
ricordare che egualmente su cavallo bianco è detto che si rimanifesterà re
Arthur e che lo stesso simbolo ha una nota parte nell' Apocalissi giovannea;
circa la spada, si parla egualmente della spada scomparsa che Arthur riimpugnerà
e che di tempo in tempo riemergeva dalle acque, gettando bagliori [7]. Guidato
dall' uccello, egli consegue la "donna", sposa cioè Padmâ o Padmavatî, figlia di
re che nessuno aveva mai potuto possedere perchè ogni uomo che la bramava, per
volontà divina si trasformava in donna - simbolo, questo, avente un profondo
significato. Kalki con i suoi guerrieri attraversa a piede asciutto un mare,
questo essendosi magicamente solidificato inanzi a lui, raggiunge di nuovo il
suo luogo natale, Shambala, che trova così trasformata e splendente, da
sembrargli il soggiorno di Indra, il Re degli Dei e il Dio degli Eroi. E' un
simbolo per un rimanifestarsi della dinastia solare e di quella lunare, i re
Maru e Dêvâ, che grazie alla potenza della loro ascesi erano rimasti in vita
attraverso le età del mondo e fino all' "età oscura" sull' Himâlaya, concepita
come la regione ove l' età primordiale "dura perpetuamente".
Infine si ha l' ultima battaglia, la lotta di Kalki contro l' età oscura,
personificata da Kâlî e altresì dai due capi dei demoni; Koka e Vikoka [8]:
lotta quet' ultima, particolarmente aspra, perchè tali demoni si risuscitavano a
vicenda e riosorgevano intatti non appena toccato terra - ma che alla fine ha
esito vittorioso per Kalki [9]. Quegli elementi simbolici compresi in tale
storia il cui senso non risultasse chiaro al lettore, li preciseremo in seguito.
Noi qui abbiamo voluto essenzialmente dare alcuni riferimenti atti ad inquadrare
da un punto di vista intertradizionale il mito imperiale della rimanifestazione
del Regnum; e impedire che si considerino separatamente, e soprattutto in una
unilaterale dipendenza da credenze cristiane, le espressioni che questo mito
ebbe nel Medioevo. Del resto, già la romanità, nel suo priodo imperiale pagano,
a molti parve significare un risveglio dell' età aurea, il cui re, Kronos, come
si è visto, fu concepito come sempre vivente in uno stato di sonno nella regione
iperborea. Sotto Augusto, le profezie sibilline annunciarono un sovrano "solare"
rex a coelo o ex sole missus [10], cui sembra riferirsi lo stesso Orazio [11]
quando invoca che il dio iperboreo dell' età aurea, Apollo, finalmente venga, e
così pure Virgilio [12], quando annuncia parimenti l' imminenza di una nuova età
dell' oro, di Apollo e degli eroi. E' così che Augusto concepì una sua simbolica
"filiazione" da Apollo e la fenice ricorrente nelle imagini di Adriano e di
Antonino sta in stretta relazione appunto con questa idea di una resurrezione
dell' età primordiale attraverso l' impero romano [13]. Il presentimento della
connessione di Roma col principio superstorico e metafisico dell' Imperium, ove
si tenga presente il già spiegato processo di trasposizione di ciò che è proprio
a tale principio ad una sua data imagine nella storia, può, in fondo,
considerarsi come la base della stessa teoria della perennità e della aeternitas
di Roma.
Il mito imperiale riceve nel periodo bizantino, da Metodio, una formulazione
che, con maggiore o minore relazione con la leggenda di Alessandro Magno,
riprende alcuni dei temi dinanzi considerati. Abbiamo il motivo di un re
ritenuto morto, che si desta dal suo sonno e crea una nuova Roma; ma dopo un
breve regno prorompono le genti di Gog e Magog, cui Alessandro aveva sbarrato la
via, e si scatena l' "ultima battaglia" [14]. E' la forma stessa che nel
Medioevo ghibellino verrà ripresa e ampiamente sviluppata. L' imperatore atteso,
latente, mai morto, ritiratosi in un centro invisibile o inaccessibile, qui si
trasforma nell' uno o nell' altro dei maggiori rappresentanti del Sacro Romano
Impero: Carlomagno, Federico I, Federico II. E il tema complementare, di un
regno devastato o insterilito che attende la restaurazione, trova il suo
equivalente nel tema dell' Albero Secco. L' Albero Secco, associato ad una
figurazione della sede del "Re del Mondo", della quale diremo più oltre,
rinverdirà al momento della nuova manifestazione imperiale e della vittoria
contro le le forze dell' "età oscura" presentate, conformemente alla nuova
religione, in termini biblico-cristiani: come le genti di Gog e Magog
prorompenti nell' età dell' Anticristo [15]. Ciò non impedisce che l' imagine di
Federico II o di re Arthur sul monte, nonchè quella dei cavaliei di Arthur che
prorompono in caccia dal mont, ci riportino anche ad antiche concezioni
nordico-pagane, alla Walhalla come sede montana di Odino, capo degli "eroi
divini" [16] e allo stuolo delle anime degli eroi scelti dalle "donne" - dalle
walkyrie - il quale dalla forma di stormo selvaggio cacciante passa anche a
quella di un esercito mistico che, condotto da Odino, combatterà l' ultima
battaglia contro gli "esseri elementari".
In innumerevoli varianti questa saga ricorre nel periodo d' oro della cavalleria
occidentale e del ghibellinismo, e nel fermento profetico destato dall' idea
venuta della venuta del "terzo Federico" essa trova conclusione nella formula
enigmatica dell' imperatore vivo e non vivo: Oculus eius morte claudet
abscondita supervivetque, sonabit et in populis: vivit, non vivit, uno ex pullis
pullisque pullorum superstite [17]. "Vive, non vive": la formula sibillina
racchiude il mistero della civiltò medioevale nel punto del suo tramonto. Il re
ferito, il re in letargo, il re che è morto benchè appaia vivo ed è vivo benchè
appaia morto, e così via, sono temi equivalenti o convergenti, temi che
ritroveremo esattamente nel ciclo del Graal, animatisi di particolare vita e
forza suggestiva nel punto finale del supremo sforzo dell' Occidente di
ricostituirsi secondo una grande civiltà spiritualmente virile e
tradizionalmente imperiale.
Note
1- Da Alano da Lilla (in E. Beauvois, L' Elysée transatlantique, cit., p.314) il
ritiro di Arthur fu paragonato significativamente a quello di Elia e Enoch, di
questi profeti "mai morti" che si vuole un giorno riappariranno.
2- Cfr. Rivolta contro il mondo moderno, cit., Parte Seconda, cap. 11-12 (N.d.C.).
3- Cfr. S. rzyluski, La légende de l' empereur Açoka, Paris, 1923, pp. 173-178.
4- Mahâbhârata, I, 2; III, 116-117; XII, 49; XIV, 29.
5- Il motivo della nascita simbolica del restauratore dal centro iperboreo si
trova anche nella tradizione irànica, appicandosi talvolta allo stesso
Zarathustra, che secondo alcuni sarebbe nato nella sede iperborea - nell'
airyanem vaêjô - o avrebbe ivi fondata la sua religione (cfr. Bundahesh, XXXIII;
Vendîdad, XIX; F. Spiegel, Die arische Periode und ihre Zustände, Leipzig, 1887,
pp.125-126). Circa il luogo di nascita di Parashu-Râma se Shamabala è una città
storica, presso Delhi, è anche certo che essa viene designata sempre come la
"Città del Nord", non solo in India, ma anche nel Tibet, e che d' altronde viene
detto, in tali casi, che tutte le localizzazioni sono soltanto simboliche.
6- E' interessante rilevare che nelle allegorie medievali cavalleresche appunto
il "pappagallo" è l' uccello che corrisponde alla cavalleria e che combatte per
il diritto di questa alla "donna" di contro al clero (cfr. A. Ricolfi, Studi sui
"Fedeli d' Amore", Milano, 1933, p. 28; ristampa: Bastogi, Foggia, 1983).
7- Natrovissus, Le mythe arthurien, cit., passim.
8- Koka e Vikoka sono una visibile corrispondenza di Gog e Magog. Va rilevato
che la cavalcatura di Kâlî è l' asino, animale tradizionalmente associato alle
forze "demoniache" e antisolari e ai cosidetti "figli della rivolta impotente"
(cfr. Rivolta contro il mondo moderno, cit., Parte Seconda, cap.10). Inoltre, la
città Vishasana ove Kâlî domina, in cui essa cerca rifugio contro Kalki e viene
messa a fuoco, è raffigurata come ginecocratica, retta cioè da donne, nel che si
esprime l' associazione fra il demonismo delle masse e l' usurpazione realizzata
da una forma "feminile" di spiritualità.
9- Su tutto ciò, cfr. A. Préau, Kalki, dixième avatara de Vichnou d' après le
Kalki-purâna (in Voile d' Isis, n.139, 1931, pp. 428 sgg.) Nel Vishnupurâna (IV,
3) Kalki appare propriamente nella stessa funzione di distruttore deu
"guerrieri" degradati e disgiunti dal sacro ( i mleccha), già assunta da
Parashu-Râma.
10- Cfr. F. Kampers, Das deutsche Kaiseridee in Prophetie und Sage, Munchen,
1896, p. 9.
11- Orazio, Carmina, I, ii, 30 sgg.
12- Virgilio, Eclogae, IV, 5-10, 15 sgg.
13- F. Kampers, Das dutsche Kaiseridee, cit., p. 10.
14- Cfr. F. Kampers, Das dutsche Kaiseridee, cit., p. 24-27. L' Apocalisse di
Pietro parla di un "figlio del leone" (il leone simbolizzando l' impero) che
respingerà e distruggerà tutti i re, avendo ricevuto a ciò potenza da Dio, e
manifesterandosi come "uno che si desta dal sonno". Anche in questo periodo
affiora oscuramente il ricordo iperboreo, se un Lattanzio (Inst., VI, 16, 3)
afferma che il principe possente che ristabilirà la giustizia dopo la caduta di
Roma verrà "dalle estreme regioni del Nord". Traduzioni dell' Apocalisse di
Pietro, testo etipio, sono in Apocalissi apocrife, Guanda, Parma, 1978, e Gli
apocrifi, Piemme, Casale Monferrato 1992 - N.d.C.)
15- Cfr. A. Graf, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medioevo,
Chiantore, Torino, 1883, vol. II, pp. 500-503, 556.
16- Cfr. F. Kampers, Das detusche Kaiseridee, cit., pp. 109, 155; S. Singer,
Arthursage, cit., pp. 8-9.
17- F. Kampers, Das dutsche Kaiseridee, cit., p. 84.