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La Via del Guerriero
Marco Apolloni
(http://noiperborei.blogspot.com)
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L'essere del guerriero – potremmo dire con il filosofo tedesco Martin Heidegger
– è un essere-per-la-morte. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Vivere in
funzione della propria inevitabile quanto ineluttabile fine, non vuol
dire diventare schiavi di questo pensiero fisso – che ci assilla con il suo
truce sentore, ad ogni istante della nostra incerta esistenza. All'opposto,
vivere con la consapevolezza di dover-morire significa liberarsi da questo
pensiero intollerabile. Lo stesso Heidegger distingue due categorie di pensiero:
la paura da un lato e l'angoscia dall'altro. Se la prima è diretta
verso qualcosa di determinato, ovvero si ha paura di qualcosa di preciso
– di una malattia o di una qualsiasi altra catastrofe –, diversamente la seconda
è diretta verso qualcosa di indeterminato, ovvero si prova angoscia per
la propria condizione di finitezza umana – sapendo che, prima o poi, si dovrà
morire. Mentre l'una ha degli effetti palesi – la paura è un sentimento che si
manifesta potentemente –, l'altra s'insidia negli abissi insondabili dell'animo
umano – l'angoscia è un serpente silenzioso, che ci striscia dentro e ci inietta
il suo veleno mortifero che, a poco a poco, farà il suo lento corso fino ad
avvelenare l'intera nostra esistenza. I samurai, guerrieri del medioevo
giapponese, escogitarono un rimedio efficace per sputare fuori questo veleno
esistenziale. Essi vivevano ogni secondo immaginando di morire in mille maniere
differenti: trafitti da un colpo ferale di katana, infilzati da una freccia in
mezzo alla mischia, accoltellati durante una rissa in taverna, eccetera1.
L'essenza di questa loro etica è contenuta in nuce nell'Hagakure – Il Codice
Segreto dei Samurai. Libro misterioso del monaco buddista – ex samurai –
Yamamoto
Tsunetomo,
che lo voleva destinare alle fiamme e che è stato invece salvato dall'oblio da
un suo discepolo disubbidiente (Tashiro Tsuramoto). Ad una prima lettura, questa
pietra miliare della saggezza giapponese si presenta come un testo ricco di
aneddoti, di ricordi e di citazioni disarticolate; in un secondo momento si
rivela essere la Repubblica platonica dei samurai – per usare un degno
paragone appartenente al nostro immaginario occidentale.
Già la parola stessa “samurai” potrebbe bastarci per comprendere la semplice ma
profonda mentalità di questi romantici guerrieri giapponesi – che paiono
collocarsi fuori da ogni epoca storica e da ogni contesto specifico. Essa
designa l'atto del servire un padrone. E in questo coscienzioso servizio,
precisamente, si esauriva ogni loro compito. Chi crede che oggi in Giappone la
mentalità del samurai non esista più, si sbaglia. Il fenomeno della “samuraizzazione”
ha contagiato ogni singolo strato della società nipponica ed ora sopravvive
nell'etica lavorativa dell'impiegato giapponese, il quale lavora con grande
attaccamento e dedizione alla propria azienda. Al posto del padrone da servire,
l'impiegato medio nipponico di oggi si ritrova a servire il proprio datore di
lavoro. Questo sistema gerarchico, quanto meno eccessivo per noi osservatori
occidentali, è alla base del processo d'industrializzazione accelerato che ha
riportato la patria del Sol Levante al posto di tutto rispetto che più gli
spetta fra il lotto delle super-potenze mondiali. Lo spettacolare harakiri
– modo in cui i samurai, sventrandosi, si davano la morte – dello scrittore
nipponico Yukio Mishima2,
avvenuto in diretta televisiva il 25 novembre del 1970, riportò in auge
l'Hagakure – testo basilare della cultura giapponese posto all'indice
dagli americani, usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale e che
riconobbero proprio in esso una sorta di Bibbia nichilista, che aveva
spinto il fiore della gioventù nipponica ad arruolarsi fra le fila dei
kamikaze, i quali andavano a sfracellarsi a bordo dei loro aerei sulle navi
da guerra americane per servire la loro patria e il loro imperatore. Certo il
comandamento «la Via del Samurai è la morte» si prestò molto bene al
fraintendimento degli yankees, che da occidentali non capirono affatto
l'autentico significato di questo insegnamento – che invitava ad accettare la
morte per vivere appieno la vita e fugare così ogni paura vana.
L'unico insegnamento che in Occidente potrebbe venire – seppur lontanamente –
paragonato a quello appena citato e tratto dall'Hagakure, lo impartì
Epicuro. Costui invitò a non temere la morte, in quanto riconosceva in essa
qualcosa di totalmente assente dalla realtà stessa della vita, dato che –
estrapolando il succo del suo pensiero – quando c'è la vita non c'è la morte e
quando c'è la morte non c'è la vita! In Occidente, patria della filosofia, si
contano infatti sul palmo di una mano le rare eccezioni di autori – sia antichi
che moderni – che potrebbero venire ricondotti ad una certa saggezza tipicamente
orientale. Si tratta dei già citati Heidegger ed Epicuro, a cui si aggiungono
Nietzsche, Schopenhauer e l'illustre Socrate, il più sapiente fra gli uomini
secondo la nota profezia dell'Oracolo di Delfi. In un passo riportato da
Platone, ne L'apologia di Socrate, lo stesso cittadino esemplare
ateniese, dopo esser stato processato e condannato a morte per empietà3,
afferma: «Ma ecco che è l’ora di andare: io a morire, e voi a vivere. Chi di noi
due vada verso il meglio è oscuro a tutti, fuori che a Dio».4
Nel pensiero di Socrate, fondatore della filosofia occidentale, era già
contenuto – come traspare inequivocabilmente dalla citazione sopra riportata –
il germe del nichilismo. Difatti il suo dubitare che la morte fosse tanto
peggio della vita, cos'è se non il più antico esempio di nichilismo di cui ci è
giunta memoria? La supremazia della vita sulla morte qui viene tenacemente
rigettata da Socrate, che sembra addirittura augurarsi quest'ultima come il
minore dei mali. Certo questa sua massima potrebbe venire interpretata basandosi
sul contesto da cui è scaturita, ovvero: quale ultima volontà di un condannato a
morte, che sta per assaporare il calice amaro della cicuta. Sia quel che sia,
riflettendo attentamente, che cos'è in fondo la filosofia se non la
cristallizzazione della vita? Del resto la filosofia, direttamente o
indirettamente, ha comunque a che fare con la morte; potremmo dire che essa sia
uno strumento di consolazione alternativo alla religione. E niente lo testimonia
meglio dell'aforisma sopra riportato di Socrate. Il modo in cui lui va incontro
alla sua inesorabile sorte, ci ricorda la saggezza degli indiani d’America.
Quando si approssimava la loro ultima ora, essi erano soliti prendere congedo
dai loro cari senza tante smancerie, togliendo il disturbo da questa vita quasi
in punta di piedi – oseremmo dire. Analogo è senza dubbio il caso dei samurai, i
quali, con lo stesso senso dell'ignoto presente in Socrate, solevano andare in
battaglia, dove si dimostravano impavidi perché si erano liberati della spada di
Damocle che era calata sopra le loro teste quale: la Morte appunto. Proprio il
pensiero della morte, invece che appesantire l'esistenza dei samurai, la rendeva
più lieve e sopportabile5.
Il loro spirito alleggerito li rendeva dei guerrieri formidabili. Solo con uno
spirito del tutto rinnovato, come quello dei samurai, si possono affrontare
trionfalmente le mille e più battaglie che la vita ci pone davanti ogni giorno.
Il samurai, munito del suo inseparabile spirito guerriero, queste battaglie
sapeva affrontarle con coraggio impareggiabile e come nessun altro seppe mai
fare, consapevole che solo nell'ora più estrema si può misurare l'effettivo
valore di un uomo. In definitiva l'etica del samurai può venire così riassunta:
chi ha paura di morire, ha paura anche di vivere... Morte e Vita sono
perciò il rovescio della stessa medaglia, pertanto: non saper accettare l'una
significherebbe non saper accettare neppure l'altra! Di ciò i samurai erano
consapevoli. Questa loro semplice, ma pressoché indubitabile, consapevolezza li
fece elevare al di sopra dei loro simili. Solo sconfiggendo le proprie paure ci
si potrà liberare, infatti, dal dominio della morte e dirsi veramente degli
uomini liberi. Per far ciò occorre, però, prima capire a fondo la Via del
Guerriero che è: l'essere-per-la-morte heideggeriano. Per dirlo con il sommo
maestro Yamamoto Tsunetomo: «Io ho scoperto che la via del samurai è morire.
Davanti all'alternativa della vita e della morte è preferibile scegliere la
morte. Non c'è bisogno di pensarci; presa la decisione si va avanti. Morire
senza aver raggiunto lo scopo è una morte da cani e un Bushido6
da mercanti [...] Questa è l'essenza del Bushido: pensando alla morte, mattina e
sera, nel silenzio e stando pronti a morire ad ogni momento, si assimila il
Bushido e per tutta la vita, senza commettere errori, si adempie il dovere del
samurai»7.
Solo chi, come il samurai, sarà capace di morire infinite volte, saprà rinascere
alla vera vita del guerriero. E scopo del guerriero è appunto quello di
vivere e, soprattutto, morire con onore.
***
1
Vale la pena riportare per intero questo mirabile aforisma: «La meditazione
sulla certezza della morte deve essere praticata tutti i giorni. Ogni mattina in
profondo raccoglimento del corpo e della mente, devi immaginarti di venire fatto
a pezzi da frecce, fucilate, lance e spade, oppure di venire travolto dalle
onde, di trovarti in mezzo a un vasto incendio, di venire colpito da un fulmine,
di venire scosso da un grande terremoto, di cadere in un profondo precipizio, di
morire di malattia e infine di dover fare harakiri per la morte del tuo
signore. Ogni mattina, senza alcuna negligenza, devi considerarti come morto.».
Tsunetomo, Y., Hagakure – Il Codice Segreto dei Samurai, Einaudi, Torino,
2001, cit. p. 184.
2
L'opera di questo autore è tutta pervasa da una dura critica al processo
sfrenato di modernizzazione del suo Paese, dimentico di quei valori originari e
tradizionali che lo avevano reso grande in passato.
3
La pena prevista nell'antica Atene per questo reato era l'esilio, ma a Socrate
gli venne commutata in pena capitale, visto che si era rifiutato di abbandonare
la propria polis, per non infrangere quelle leggi in virtù delle quali
lui si era sempre battuto. Per l'incredibile dedizione dimostrata per la sua
patria, al servizio della quale lui si immolò, Socrate potrebbe dirsi il “Primo
Samurai” di cui ci è giunta l'eco. D'altronde, la filosofia stessa di Socrate
serve ad uno scopo terapeutico, ossia: preparare alla morte...
4
Platone, Apologia di Socrate – Critone, a cura di M. Valgimigli, Laterza,
Roma-Bari, 2000, cit. p. 65.
5
L'essenza della vita per un samurai si riassume in questo folgorante aforisma
del monaco Tannen: «L'insegnare soltanto il vuoto mentale non è una cosa
convincente. Il non pensare significa pensare rettamente». Tsunetomo, Y.,
Hagakure – Il Codice Segreto dei Samurai, Einaudi, Torino, 2001, cit. p. 23.
6
Il Bushido è «la Via del Samurai».
7
Tsunetomo, Y., Hagakure – Il Codice Segreto dei Samurai, Einaudi, Torino,
2001, cit. pp. 11-12.
Articolo pubblicato nella rivista
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