Lo Specchio e le Simmetrie dell'Anima
di Barbara Spadini
Così penso abbia fatto anche il primo uomo che si sia imbattuto nell’acqua e vi
abbia guardato sopra, scorgendo il proprio volto: paura della visione, con
conseguente ritiro del sé; comprensione della visione; seconda occhiata alla
visione e superamento della paura iniziale.
C’è chi si riconosce , accettandosi anche nello specchio, pur nei limiti
esteriori e interiori del proprio io; c’è chi, invece, sa anche piacere a se
stesso ed indulgerà – in qualche volteggio vezzoso- nel rimirare la
propria “imago”riflessa; c’è poi chi non si vuol bene, purtroppo, e non
avrà troppi specchi per casa; poi, come sempre, c’è chi di fronte allo specchio…
riflette: uno specchio – infatti- si può attraversare, entrando così in
un mondo differente, che spazia dalle simmetrie alle favole, dai miti alle
metafore.
C’è uno spazio diverso, sul fondo dello specchio: una superficie che tanto
assomiglia all’acqua ed all’anima umana e si risolve in un gioco di
riflessi , le cui regole sono quelle del doppio. Così lo specchio diviene
strumento di conoscenza o di punizione, oggetto- ponte fra realtà e
fantasia, mezzo magico d’indagine nell’oltre e metafora della nostra vita, se è
vero che uno specchio in frantumi riflette tra le proprie schegge un’immagine
simile a quel che siamo diventati oggi, piccole luci di un insieme
perduto, lievi bagliori di arcobaleni immaginati, irrisolti residui di tempi non
spesi.
Un colpo di scopa e lo specchio rotto si elimina: restano…sette anni di
guai e, tra i suoi taglienti pezzetti, microscopiche particelle di noi.
Specchiarsi comunque mette paura, rivelarsi a se stessi anche: sono in
gioco, di fronte allo specchio, tutti i timori umani e gli umani difetti,
difetti che lo specchio svela indifferente,oggettivamente ed
imparzialmente…direi con crudele efferatezza.
Ordinando dunque le riflessioni ( e mi piace usare la parola “riflessione”
in tema di specchi), partirei proprio dall’etimologia della parola specchio ,
precisando che nel mondo speculare si può anche giocare con le immagini e
rovesciarle.
Qual è la verità?Siamo noi, nello specchio, ove quel che è destra diviene
sinistra?O siamo altro da noi, in una simmetria rovesciata?
Per specchio intendiamo la superficie levigata che riflette i raggi luminosi che
la colpiscono e dunque riflette anche l’immagine che essi formano.
Speculum,
dal latino specere (= guardare , osservare) – a sua volta derivato da una
radice indoeuropea, spek con il senso specifico di
“guardare”, comune anche al sanscrito pacyami (io vedo), nel greco
spektomai , nel gotico speha e nel tedesco arcaico spehon,
da cui si pensa derivi l’italiano spia- è un termine in stretto rapporto con
specie che in latino significa: “ aspetto esterno” e con spettro: “
ciò che appare”.
Il “come” si realizzino le immagini sullo specchio , quale sia il rapporto fra
immagini reali ed immagini riflesse, fra raggi incidenti e raggi riflessi, è
stato in tempi antichi oggetto di stupore e di meditazione: da qui le leggende
intorno alla sua capacità magica di attrazione .
La parola speculum ha poi un rapporto con il termine speculare(=esaminare
con attenzione,indagare dall’alto) e con speculazione(=indagine
filosofica, teoretica ed, in senso negativo, approfittare di ).
Ma allora lo specchio riflette solo ciò che appare o permette invece di
andare oltre, alla ricerca di senso?L’etimologia consentirebbe l’una e
l’altra ipotesi…
E la tradizione?E la letteratura?E l’esoterismo, le religioni, i miti, le
civiltà come hanno interpretato la funzione dello specchio?
Gli specchi, secondo varie tradizioni,sarebbero in grado di imprigionare
l’interiorità umana,l’anima.
Anticamente era infatti in uso, nella stanza in cui veniva composto un
defunto,coprire gli specchi, per permettere un trapasso sereno nell’aldilà.
Da questo deriva certamente anche il tradizionale riconoscimento di “colui che
vaga senz’anima”, il vampiro,il non-riflesso per eccellenza ed anche il modo più
sicuro per uccidere un basilisco, istantaneamente folgorato dalla propria
immagine allo specchio o comunque riflessa.
I nativi americani avevano un timore riverente per gli specchi, scoperti con
l’avvento dell’uomo bianco, un timore esteso anche verso le macchine
fotografiche, poiché oggetti in grado di “rubare” la parte sacra dell’uomo, la
propria immagine: la saggezza tramandata di padre in padre, riconduceva
l’immagine all’intimo ed al profondo dell’essere umano, ritenuto emanazione
dello Spirito e quindi da rispettare quale segno divino.
La specchio è anche legato al senso della vista,strumento umano di indagine del
sensibile,ma adatto anche a scrutare l’oltre.
Ecco che lo sguardo ha una duplice funzione: vedere con gli occhi non è tutto.
Gli occhi sono infatti anche “specchio dell’anima” e quindi tramite fra
esteriorità ed interiorità.
La sguardo diviene veritas quando riflette il dentro e vanitas
quando diviene contemplazione di sé (Narciso)
Il caduco (la bellezza) e l’eterno (l’essere ed il vero) rendono quindi duplice
la valenza dello specchio,in un riconoscersi e perdersi continuo e, a
volte, ambiguo.
Questa duplicità veniva utilizzata dai Sassoni in modo analogico: lo Specchio
Sassone- raccolta normativa di fondamentale importanza per il Medioevo tedesco –
si fondava sul principio secondo cui ,così come un essere umano poteva osservare
se stesso in uno specchio, allo stesso modo tutta la società potesse nello
Specchio rilevare ciò che era lecito e giusto.
La tematica della specularità è tema ricorrente nelle letterature, legando
romanzi come:” Cuore di tenebra” di Conrad oppure:” Uno, nessuno e centomila” di
Pirandello al concetto della conoscenza di sé e del doppio, caro alla
psicologia ed alla psicanalisi ed anche ad autori quali Borges: “lo specchio è,
come noto, una delle più ossessive costanti tematiche del grande scrittore
argentino, sempre attratto dal fantastico (ossia da quelle «ombre» che si
rendono disponibili alla vista «oltre» o «attraverso» lo specchio) e sostenitore
di un’idea di letteratura intesa come menzogna.
Lo specchio è deformante per definizione: restituisce un’immagine inversa a
quella del reale.
Ma anche per questo è un mefistofelico tentatore: seduce perché soddisfa il
nostro faustiano bisogno di conoscere. Ci consente di gettare lo sguardo sul
nostro volto (almeno per analogia), quel volto che altrimenti ci sarebbe il più
straniero di tutti, e soprattutto ci consente di affacciarci su un mondo
diverso: il mondo capovolto, il mondo degli opposti.
Per la cultura popolare, il mondo capovolto coincide sempre con il grottesco,
con la carnevalizzazione. Ma per uno scrittore sapienziale come Borges il mondo
capovolto apre anche alle possibilità non realizzate, agli universi paralleli
della moderna cosmologia, alla verità della filosofia, alla realtà della
semantica (o almeno dei segni).
Anche i segni e le parole difatti sono specchi, riflessi di qualcosa d’altro con
il quale pure non coincidono(…) Anche le parole, come le immagini allo specchio,
ingannano e seducono. Se per Pasolini la critica era «descrizione di
descrizioni», per Borges la letteratura è «falsificazione di falsificazioni».
Come Narciso, siamo condannati a pensarci attraverso strumenti
deformanti, che ci restituiscono un’immagine di noi stessi nella quale non
possiamo mai riconoscerci appieno.
Ma in questo comune destino Borges non avverte nessun senso di tragedia o di
perdita irrimediabile. Nella sua opera, anzi, la condanna diventa motivo
di gioia. Perché le parole, come le immagini dello specchio, non esistono solo
in quanto riflesso, non sono un nulla, sono a loro volta realtà: un
acquisto di realtà, una moltiplicazione inesauribile della realtà.
Nell’opera di Borges la realtà non è mai qualcosa di dato: una cristallizzazione
di eventi che si possono cogliere una volta per tutte in una funeraria e
ideologica identità.
L’identità uccide. Non ha a che fare con la vita, ha a che fare con l’ideologia
della morte. Nemmeno con la morte nella sua risolutezza, bensì con la sua
ideologia, la sua falsa coscienza: cioè con quello che crediamo che la
morte sia, non con ciò che essa è. Nell’opera di Borges, la realtà (la
vita) si fa, si moltiplica attraverso le parole e gli specchi.
Si apre all’infinito, come aprono all’infinito due specchi collocati l’uno di
fronte all’altro.
Non so se qualcuno abbia studiato le strutture temporali (della storia e del
racconto) di questo grande scrittore.
La mia ipotesi è che la sua concezione della letteratura e dell’esistenza lo
emancipi tanto dal tempo ciclico delle culture premoderne (riabilitato prima da
Vico e poi, alla fine della modernità, da Nietzsche) quanto dal tempo lineare
della cultura cristiana ereditato dall’illuminismo e dalle ideologie della
borghesia (socialismo compreso). Bisognerebbe verificare. Ma, forse, anche il
tempo in Borges è un prodotto delle parole e degli specchi e cioè è qualcosa che
non trascorre, qualcosa di non separabile (in contrasto con
l’etimologia) oppure di separabile solo arbitrariamente, qualcosa che è sempre
disponibile e percorribile a piacere, in avanti e indietro, in un eterno
dionisiaco modificare e modificarsi.”(G. Gallo.Lo specchio di Dioniso,
Fuorimargine: Borges, Parole allo specchio)
Anche le fiabe hanno certamente utilizzato gli specchi come varco o porta fra
mondo reale e mondo fantastico,ove non valgono le comuni leggi fisiche
,come per Alice, nell’aldilà dello specchio o dove un protagonista si misura con
il proprio antagonista, in un gioco di chiaroscuri la cui apparente idoneità
alla comprensione dei bambini cela spesso significati ben più
complessi:”Dobbiamo dire però che, il più celebre specchio magico, quello
universalmente conosciuto, non è quello di Cagliostro, ne alcuno fra tutti
quelli che abbiamo precedentemente citati in ambito religioso o misterico, ma
quello della Regina cattiva della fiaba di Biancaneve. Quello famoso che viene
interpellato con le parole: “Specchio delle mie Brame chi è la più bella del
Reame?”
Siamo già stati, in un altro articolo, su questa fiaba straordinaria. In questa
sede ci limitiamo
ad esaminare soltanto alcuni particolari dello specchio. Esso invia alla
Regina Nera la sua immagine speculare, che è ovviamente Biancaneve-bianca,
figliastra ma non figlia della donna nera.
Qui potremmo analizzare il fatto che due potenti elementi femminili si sfidano,
dal diritto e dal
rovescio di uno specchio, come Ecate e Diana e forse qualcosa di più. Solo che
la Regina Nera della fiaba, non accetta la condivisione del potere con una
Regina Bianca.
Se volessimo azzardare un’estensione ermetica potremmo dire che c’è un’
opposizione fra plenilunio e novilunio. La vera magia è nel novilunio, la vera
luce è nel novilunio. Ma chi è colui che annuncia la luce e precede la
Luna-specchio, nel cielo? E’ la stella Lucifero. E costui, che sotto la veste
serpentina, indica a Eva la mela da cogliere: il Lucifero l’annunciatore
della luce ma anche delle tenebre.
Ma in questo strano gioco si inserisce una mela stregata. L’antesignana di
tutte le mele stregate è appunto la mela di Eva che, come sappiamo dona la
conoscenza del Bene e del Male… ma anche il sonno e la separazione
dall’intelletto senza speculazione, la separazione dell’anima dall’Uno.
Ecco che, per il lettore sagace, si chiude il giro: Lucifero (portatore di luce
ma anche di
ego), lo specchio (portatore di verità) e la mela (portatrice di sonno e di
parzialità).
Specchiare se stessi, conoscersi realmente mette paura.
Per questo una immagine speculare di noi stessi… è sempre inquietante. Si
rischia di perdersi… o di trovarsi.”(C. Lanzi,la luna nel pozzo e la
magia degli specchi)
Nel cristianesimo l’intelletto di Dio si riflette come in uno specchio nella
manifestazione ,come dire che il creato è specchio del suo creatore; nelle
religioni d’oriente Amaterasu è simboleggiato da uno specchio che richiama il
sole; nel buddismo del Tibet la vacuità multiforme del mondo sensibile è tutta
riflessa in uno specchio.
Vanitas, Veritas e Prudentia sono quindi e come prima accennato i
riflessi etici che uno specchio emana in tutte le credenze religiose.
Legato a Vanitas, la figura mitologica di Narciso, una figura mitologica greca,
figlio di Cefiso, divinità fluviale, e della ninfa Liriope.
Secondo il mito narrato da Ovidio nelle Metamorfosi Narciso era un bellissimo
giovane, di cui tutti, sia donne che uomini, si innamoravano alla follia.
Tuttavia Narciso preferiva passare le sue giornate cacciando, non curandosi
delle e degli spasimanti; tra questi era la ninfa Eco. Rifiutata da
Narciso la ninfa, consumata dall’amore, si nascose nei boschi fino a scomparire
e a restare solo un’eco lontana.
Non solo Eco, ma tutte le giovani ed i giovani disprezzati da Narciso,
invocarono la vendetta degli dei. Narciso venne condannato, da Nemesi, ad
innamorarsi della sua immagine riflessa nell’acqua. Disperato perché non avrebbe
potuto soddisfare la passione che nutriva, si struggeva in inutili lamenti,
ripetuti da Eco.
Resosi conto dell’impossibilità del suo amore Narciso si lasciò morire. Quando
le Naiadi e le Driadi cercarono il suo corpo per poterlo collocare sul rogo
funebre, trovarono vicino allo specchio d’acqua il fiore omonimo.
Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per
entrare nell’Oltretomba, si affacciò sulle acque del fiume, sempre sperando di
vedersi riflesso. Ma non riuscì a scorgere nulla a causa della natura torbida,
limacciosa di quelle acque. In fin dei conti però, Narciso fu contento di non
vedere la sua immagine riflessa perché questo veniva a significare che il
fanciullo-se stesso che amava, non era morto ancora.
Questo mito ci riporta al proporsi continuo della figura dell’uomo che
guarda se stesso cioè :”all’inclusione nel mondo dell’uomo che guarda se
stesso(…)A partire dai territori del mito greco,l’enigma dello specchio sarà
infatti l’enigma dell’altro e dello stesso, l’enigma dell’identità e della
differenza, della verità e dell’illusione(…)”.
Lo specchio diviene dunque instrumentum philosophiae dove:” l’oggetto
riflettente,dagli inizi greci della riflessione scientifica fino all’ultima
stagione del pensiero contemporaneo,diviene la metafora stessa della filosofia
.Infatti la figura dell’uomo che si guarda,con la vertiginosa fuga
dall’autoreferenza, riassume ,con la potenza che è propria dell’immagine, la
ricorrente ambizione della filosofia per un sapere assoluto e senza
resti,totalizzante ed autofondato. Ma di fronte a questo sapere l’avventura
figurale dello specchio racconta anche la storia simmetrica e speculare di quel
soggetto che, alla scuola del riflesso, diviene conoscitore di se stesso e
insieme, come suggeriva l’ultima saggezza di Nietzsche,carnefice di se stesso”
(presentazione del libro di A.Tagliapietra “la metafora dello specchio”, Bollati
Boringhieri, 2008, di Giuseppe Girgenti)
Esiste poi un significato esoterico che lo specchio assume per l’iniziato , ma
che ritengo profondamente valido per ogni persona che intenda ricercare se
stessa: mettersi di fronte ad uno specchio è prendere coscienza del sé
esteriore ed interiore, così come esso è , nella cruda verità…il che significa
accettazione prima e superamento poi della propria povera nudità, fatta di
difetti, caducità, debolezze e imperfezioni. Ogni conoscenza , che è un cammino
verso e oltre se stessi , reca un dolore insopportabile, per l’essere umano,
quello della verità, a cui non è possibile mai sottrarsi , men che meno di
fronte alla propria immagine, deformata o rovesciata che sia.
Lo specchio dunque : piccolo dolore quotidiano del “quae fuerint- quae sint-
quae mox ventura trahantur ”
Nota: ringrazio l’Associazione Culturale La Simmetria di Roma dal cui sito ho
tratto stimoli, spunti , riflessioni ed articoli
Articolo pubblicato nella rivista
LexAurea43,
si prega di contattare la
redazione
per ogni utilizzo.
www.fuocosacro.com