|
Brevi riflessioni sulla follia di Perceval Vito Foschi |
|
Nel racconto di Chrétien de Troyes, all’inizio
dell’avventura, il giovane Perceval è all’oscuro di tutto, vive in uno
stato quasi selvaggio accudito dalla madre e dai servitori. È giovane,
sta per entrare nell’età adulta ma è come se non fosse ancora nato,
addirittura non viene chiamato con il suo nome… è il puro Folle. Puro
perché non contaminato dal mondo, è vissuto nella foresta ed è come se
avesse continuato a vivere nel grembo materno, folle perché ignorando
totalmente le regole del vivere in società il suo comportamento ai più
sembra dettato da follia. Nei primi passi del romanzo abbondano gli
appellativi folle, stolto, giovane selvatico. Ma nonostante la Follia o
proprio grazie ad essa decide di seguire la Luce, la luce portata nel
suo mondo dal bagliore delle armature dei cavalieri che egli non a caso
crede angeli. Qui mi sovviene l’Elogio della Follia di Erasmo da
Rotterdam che indica nella Follia il motore della storia, per cui
nascono e muoiono imperi, città, si formano famiglie, si intraprendono
viaggi, attività economiche, ecc. Il saggio, prudente qual è, rimane in
casa senza gettarsi in avventure e si accontenta del suo stato e non
sogna. Il Folle sogna e qui mi sovviene Lwarence D’Arabia e il suo
aforisma sugli uomini che sognano. Recito a memoria. “Esistono due tipi
di uomini quelli che sognano quando dormono e quelli che lo fanno ad
occhi aperti. Di queste specie di uomini la seconda è la più pericolosa
perché lotta per realizzare i suoi sogni”. Non sono le parole esatte, ma
il senso è quello. Perceval è della specie che sogna ad occhi aperti.
Vede i cavalieri e decide di diventarlo, si arma e parte senza indugiare
oltre abbandonando la madre che muore di crepacuore. La vede a terra, ma
non si ferma, non indugia, sferza il cavallo e corre via lontano. Un
comportamento non propriamente saggio. E quando vede le tre gocce di
sangue sulla neve fresca e rimane lì imbalsamato nel dolce ricordo di
Biancofiore, che cosa fa se non sognare ad occhi aperti? Addirittura non
si accorge dei molti cavalieri che vengono ad interrogarlo su chi era e
cosa voleva, che irritati lo caricano e vengono abbattuti puntualmente
da Perceval che combatte come in sogno. Una volta “sveglio” raggiunge la
corte di Re Artù e chiede del siniscalco Key, con cui aveva una contesa
e gli dicono che è stato proprio lui ad abbatterlo e ferirlo ad un
braccio. Non si era accorto di niente, il nostro sognatore. Nel saggio
di Erasmo esaminata la follia di tutta l’attività umana si giunge alla
conclusione che l’unica “follia giusta” è quella in Cristo, quella dei
Santi, dei Martiri, ma anche del semplice credente che in Cristo solo
può trovare risposta alla follia della vita. Questa è l’idea di Erasmo,
che riprende in maniera satirica il concetto di follia come massima
saggezza espresso da San Paolo nella lettera ai Corinzi, non a caso
citato nell’Elogio, che nonostante la sua sostanziale ortodossia, verrà
tacciato di eresia, probabilmente per il suo sarcasmo sui teologi
cervellotici, le critiche alla chiesa e al potere costituito, anche se
il suo intento era solo di ironizzare sulla società terrena per mettere
in evidenza la Verità ultraterrena. E il buon Perceval cosa fa verso la
fine del romanzo incompiuto di Chrétien? Dopo aver vissuto cinque anni
lontano dalla chiesa, e quindi lontano dallo spirito, vivendo mille
avventure senza ritrovare il Graal incoccia in una processione di
Venerdì Santo e uno dei presenti lo rimprovera del suo andare armato.
Perceval stupito chiede che giorno sia e, ottenuta la risposta sente la
necessità di fare penitenza e gli viene indicato un eremita e lui ci se
reca prontamente. Qui riceve la sua iniziazione spirituale, ma non ci
soffermeremo su questo, ma sul fatto che il Puro Folle ritorna a Dio, la
sua follia nel mondo si tramuta in follia in Cristo. Dopo cinque anni di
avventure, di follia umana, scopre ciò che è veramente importante la
Follia del Cristo che si fece uomo per riscattare i peccati degli uomini
e Perceval capito ciò è pronto a riconquistare il Graal ed essere il
Folle in Cristo capace dell’estremo sacrificio per mondare il mondo dal
peccato e risorgere alla vita eterna. Naturalmente questa è
l’interpretazione cristiana del racconto di Chrétien, ma non è la sola
possibile dato che nel cristianesimo persistono reminiscenze di antichi
culti e l’evidente presenza nel racconto di elementi celtici posta in
luce da molti studiosi.