L’Opera al Nero

Cosimo Salvatorelli

              Il primo gradino dell’opera è la purificazione, detta anche Opera al nero. Tale procedimento consiste nel “purificare la Luna”. Il simbolismo lunare ha come concetto fondamentale la Psiche. Ma cos’è la Psiche? Essa è l’autocoscienza dell’individuo e non la coscienza, come molti erroneamente pensano. Per gli antichi greci, essa era l’anima, in quanto identificata con il respiro. Oggi la Psiche indica l’insieme delle funzioni che danno all’individuo autocoscienza, determinandone l’agire. Sin dalla nascita, ogni individuo è situato in una condizione di vita che non ha scelto (apparentemente, e i rosicruciani possono intendermi). Egli però non rimane prigioniero in essa, è capace di comprenderla e attraverso la riflessione di separarsene, quindi di prenderne le distanze. È il “principio della distanza” che ci permette di conoscere una cosa, solo prendendo una certa distanza da essa. Questa capacità si può chiamare “autocoscienza”. Essa è, dunque, la capacità di comprendere sé stessi e di trasformare qualitativamente la vita, la memoria e la socialità. L’autocoscienza permette all’uomo di conoscere sé stesso come colui che sceglie e si possiede, colui che va avanti non come viene, ma si rende conto di ciò che fa, è responsabile delle sue scelte e della sua storia. Inoltre, possiamo dire che l’autocoscienza è la capacità di provare sentimenti di amore-odio, di produrre un pensiero intellettivo per indagare gli elementi della realtà. Quindi, la purificazione della Psiche consiste proprio nel rendere l’uomo consapevole dei meccanismi interiori e usare questi ultimi per la costruzione dell’aura umana (lavoro preliminare per le operazioni di trasmutazione), costituita da una sostanza radiante magnetica, impercettibile all’occhio fisico.  Quindi, la purificazione della luna, della Psiche o della Mater consiste nel porre in essere il meccanismo di autocoscienza e non di rettificazione della coscienza. Torniamo a dire, dunque, che l’autocoscienza è l’attenzione non critica e non reattiva agli stati interiori. Quando parliamo di attenzione, intendiamo la capacità di cogliere con chiarezza ed esattezza i pensieri, sentimenti e motivazioni. “Non critica” perché il giudizio distorcerebbe i pensieri e le motivazioni per conformarli ai canoni morali rispetto ai quali spesso collidono. Possiamo notare, quindi, che il primo gradino dell’opera, ossia l’Opera al nero, consiste nel permettere all’uomo di essere consapevole dei propri stati interiori e nel non costringerlo a conformare la sua coscienza rispetto a qualsiasi ideologia occulta o ascetica, poiché questo potrebbe essere causa di nevrosi. L’iniziato non ha bisogno di cambiare ma di rendersi consapevole, poiché tutto è in lui. “Non vi è Dio dove Io Sono”. La teoria dell’autocoscienza umana come “reditio completa”, cioè come riflessione del soggetto su di sé, è stata approfondita anche dal filosofo Tommaso d’Aquino. Questa teoria possiede un significato ed una portata di ampiezza e profondità tali da richiedere uno studio articolato su differenti livelli di indagine filosofica. L’autocoscienza riflessiva, infatti, costituisce il vertice dell’antropologia, poiché, per suo tramite, il problema critico trova soluzione in quanto viene ricondotto ai fondamenti ontologici e metafisici nei quali si radica la stessa antropologia. La ricerca è incentrata sulle Quaestiones Disputatae de Veritate e sulla Summa Theologiae. Dall’indagine emerge che l’autocoscienza riflessiva, fondata sulla presenza dell’anima a sé, rende ragione sia della conoscenza attuale di sé che di quella abituale ed essa è anche all’origine di ogni affermazione speculativa sulla natura dell’anima. Questa indagine la si può confrontare con l’ideologia di Alberto Magno e si può notare che l’originalità della concezione tomista permette di accomunare l’autocoscienza ad un atteggiamento di autotrascendimento ed apertura all’Essere già implicitamente conosciuto nella presenza del sé. Viene così colta la rilevanza del pensiero di Tommaso per l’odierna fondazione filosofica di una teoria del soggetto umano personale e della sua capacità di conoscere riflessivamente se stesso e l’Essere. Abbiamo già accennato al fatto che il lavoro lunare è propedeutico a quello dello sviluppo dell’aura umana e successivamente alla costruzione del corpo di gloria o corpo mercuriale eterno e imperituro nel quale imprimere la nostra essenza e memoria (Grande Arcano Sacerdotale o Trasmutazione del piombo in oro). In sostanza l’aura è un fluido irraggiato dalla Psiche, con qualità radianti e magnetiche. Essa è composta da forza nervosa e da radiazioni sanguigne. L’iniziato, quindi, deve permettere all’aura di esteriorizzare i picchi energetici o vibrazioni energetiche provenienti dai meccanismi interiori. Per fare ciò è necessario, quindi, essere consapevoli di qualsiasi stato interiore. Possiamo affermare che l’autocoscienza permette all’aura di esteriorizzare l’energia di cui si nutre, permettendo all’uomo di portarsi in contatto con gli spiriti elementali e, successivamente, attraverso una pratica trasmutatoria, di farlo entrare nel mondo mentale. Questo conferma il fatto che la rettificazione della coscienza a livello etico-spirituale, è inutile ai fini del Piccolo Arcano Cabalistico e del Grande Arcano Sacerdotale e che bisogna osservare sia le virtù che i vizi per poter sfruttare i picchi energetici che essi ci donano. A questo punto bisogna chiarire un altro concetto: il lavoro lunare non consiste nella purificazione dell’individualità, ma in quello della personalità. La personalità è l’insieme delle caratteristiche dell’individuo, quelle caratteristiche che ci distinguono uno dall’altro. L’individualità invece è ogni singola caratteristica che forma la personalità. Nella personalità ogni singola caratteristica è irriconoscibile dato che si confonde con le altre, ed è proprio questo che l’iniziato deve evitare di fare: non conoscere ogni singola caratteristica che forma la personalità. Quindi, nel cammino iniziatico, ogni probazionista deve purificare la personalità attraverso l’analisi dell’individualità, e ciò non vuol dire arrivare ad uno stato ascetico impersonale, ma conoscersi in profondità per permettere all’energia di ogni stato di esprimersi mediante l’aura. Un altro elemento da prendere in considerazione è il fatidico equilibrio. Molti “maestri” associano al cammino iniziatico il raggiungimento dell’equilibrio interiore: niente mi appartiene e niente mi coinvolge. L’equilibrio è sinonimo di unione degli opposti che sfocia in: nulla è, nulla diviene, tutto non è. Questo lavoro, nonostante tutto, è degno di essere preso in considerazione, ma non certo dagli aspiranti alla Magia eonica e alla costruzione del corpo di gloria. Per essi la stasi è dannosa e alquanto inutile, poiché abbiamo detto che tutto comincia con l’aura formata da forza nervosa e radiazioni del sangue. La forza nervosa nasce proprio dai sentimenti e dalle emozioni. Ogni tipo di conflitto emozionale,  (tra cui anche quello erotico) crea energia nervosa utile alla costituzione dell’aura. Questo ci fa capire che la forza nervosa correttamente indirizzata (e non le emozioni in se) ci fa sviluppare la Volontà e dato che Volere è Potere…lasciamo ai più questa riflessione. A questo punto ci possiamo chiedere: “a cosa serve l’equilibrio, se è proprio dalle emozioni, dai conflitti, dalle ansie e gioie che noi traiamo forza nervosa?”. Sicuramente questo cammino servirà a chi, nel suo intimo, aspira a diventare un santo (anche se bisogna riflettere sul significato di Santità) e questo non è il caso dell’aspirante al cammino iniziatico. Dobbiamo precisare, però, che qualora volessimo percorrere il sentiero dell’abbattimento dei vizi e lo sviluppo delle virtù, ciò deve avvenire sempre in maniera iniziatica, ad esempio con il metodo della devozione. Tutti gli individui possono sviluppare le virtù e trasmutare i vizi (vedi Robert Ambelain in Alchimia Spirituale) non tramite il raziocino. Come si può far capire ad un soggetto che deve essere misericordioso con tutti se in lui questo archetipo è poco sviluppato? Quindi, prima l’iniziato, tramite l’amore e la devozione deve acquisire i caratteri del dio che rappresenta la misericordia e poi deve cercare di applicare tutto questo nel suo quotidiano. Tale procedimento è pressoché psicologico. Con il metodo devozionale non si fa altro che lanciare un pensiero-seme nel subconscio del soggetto. Questo pensiero-seme, se annaffiato, si farà strada nell’inconscio, influenzando il comportamento conscio del soggetto.

 

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