La legione degli Io.

Rilettura in chiave di Marco 5:9

Filippo Goti

 

Uno dei molti assunti, non dimostrati da esperienza diretta, professati dall'uomo moderno è l'unicità del proprio essere, la monoliticità del proprio centro volitivo. Attraverso una semplice pratica di rilassamento, propedeutico all'arte meditativa, possiamo comprendere come nel momento del segreto distacco da ogni sollecitazione sensoriale, siamo aggrediti da una tormenta di pensieri, che come uno sciame di zanzare pretende la nostra attenzione. Questi pensieri sono molteplici nelle forme, origine ed esigenze. Il credere che unica sia la loro instancabile e poliedrica fattrice, è pura assurdità: Se questuala mia volontà è meditare, come mai sorgono dal niente altre istanze e pretese ? Se l'uomo è ciò che pensa, allora dobbiamo sentenziare che in ogni momento l'uomo pensa cose diverse, e che quindi coesistono diversi uomini, spesso conflittuali rispetto all’anelito all'unità che persiste e motiva ogni uomo di conoscenza.

 

Consapevoli che gli strumenti di verità sono tramandati attraverso i simboli e l'ovvietà, diamo lettura in chiave di psicologia esoterica dell'incontro fra il Cristo e l'indemoniato. Affinché la condizione di quest’ultimo possa essere da monito, e la sua redenzione ci ispiri.

 

( Ricordando però al lettore è l'uomo che combatte in solitudine la propria battaglia contro le avversità della propria natura inferiore, che deve essere prima studiata, poi compresa, poi dominata e alla fine reintegrata, in modo tale che alla cacofonia psichica, si sostituisca un'unica voce angelica. )

 

Marco 5:2 Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo.

 

Il Cristo Intimo, manifestazione redentrice di Dio (la condizione originaria perduta o dimenticata ), unico mediatore fra la nostra natura umana in costruzione e la divinità, reale nostro essere immortale, tramite il vettore dell'anima, qui rappresentato dalla barca, affiora nella regione conscia della psiche, dove il confine fra pensiero ed azione è quasi impalpabile.

 

Marco 5:3 Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene,

Marco 5:4 perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo.

Marco 5:5 Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.

 

La volontà, la formazione del pensiero e la trasfusione in azione, non è pura, ma empia, corrotta e ottenebrata a tal punto che si ritorce con violenza, in una serie di azioni e dinamismi, lesivi della salute psichica e fisica dell'insieme composito chiamato uomo. Il quale senza sosta, e senza reale discernimento si muove sospinto dalla disperazione e dall'inerzia in ogni accadimento che la vita ci propone, senza trovare soluzione complessiva alcuna, ne prospettiva di liberazione da tale condizione. Il crollo psicologico, si è trasformato in una profondo odio verso se stesso, e il proprio ruolo nella comunità, arrivando ad infrangere gli imperativi assoluti, i freni inibitori, rappresentati dai ceppi e dalle catene, atti a garantire un costrutto sociale. Non solo perdita della prospettiva spirituale, ma di rimando, ed inevitabilmente, scomparsa di quella sociale, che dalla prima deve trovare ispirazione e motivazione.

 

Marco 5:6 Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi,

Marco 5:7 e urlando a gran voce disse: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!».

 

Il comportamento contraddittorio dell'insieme uomo innanzi alla conoscenza redentrice, che implica sofferenza in quanto la verità è anche dolore, viene tratteggiato dai due versi sopra riportati. Pur temendo la Verità portata dal Cristo Intimo, in quanto modificherà in modo radicale la propria dimensione umana, vince questa paura, questo istinto di conservazione psicologica, comprendendo la propria misera condizione di ignoranza e frattura psicotica.

 

Marco 5:8 Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest'uomo!».

Marco 5:9 E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti»

 

L'accettazione del Cristo Intimo, della sua parola di redenzione pone innanzi le frattura psicotiche alla loro limitatezza, legate come sono al semplice relazionarsi con la manifestazione. Il loro punto di confronto non è più con altre transitorie manifestazioni psicologiche, ma bensì con l'immutabile costanza del divino, con la fine di ogni  oscillazione fra essere e non essere, fra avere e non avere. La perpetua pienezza dell'essere dissolve ogni falsità e parzialità, infatti quale la risposta alla domanda del Cristo ? Non può affermare di essere l'uomo, lo spirito immondo così definito in apertura, o di avere un nome, un singolo nome, ma bensì risponde Legione. Non era più logico in apertura del passo evangelico sostenere quindi che diversi spiriti immondi ed empi possedevano quel corpo, invece di usare la forma al singolare ? La risposta in chiave di psicologia esoterica è assolutamente no. Ognuno di noi crede di essere permanentemente eguale a se stesso, in ogni momento e ogni circostanza. Questo perchè noi entità plurima e mobile, ci confrontiamo ad entità e fenomeni plurimi e mobili, incapaci quindi di determinare un valido punto di riferimento e di misura. Innanzi però all'immutabilità e pienezza dell'Essere Spirituale, che si manifesta, le altre componenti non posso che accettare la loro indeterminazione e indeterminazione, e l'assenza di potenza e potere, qui rappresentati dal nome.

 

Marco 5:10 E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione.

Marco 5:11 Ora c'era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo.

Marco 5:12 E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi».

Marco 5:13 Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare.

 

La conclusione del racconto evangelico ha come azione quella della fuga della pluralità egoica, dell'assenza di frattura psicotiche, che accentando la loro vera natura inferiore, simboleggiata dalla possessione del branco di porci, animale da sempre ritenuto impuro, si gettano nel mare ( lago nella versione del Vangelo di Luca ), a simboleggiare l'azione purificatrice delle acque.

 

 

Ognuno di noi, posto innanzi a se stesso, e al dipanarsi della vita psicologica, in sincerità non può che rispondere Legione se si impone di darsi un nome univoco e rappresentativo della volontà che lo anima. Ciò che possiamo è la  situazione di fatto, in assenza di nessun lavoro conoscitivo, che affligge l'uomo confinato nella sua dimora terreste, e in attesa della scoperta della via che lo riconduca alla pienezza dell'Essere. Un uomo che non ha un nome, posseduto da un'empia legione di entità che compongono in modo disarmonico e conflittuale la struttura decisionale, e che lo relegano alla semplice condizione di ignavo burattino, mosso da fili che neppure vede.

La nostra vita ricorda una mareggiata, un'alternanza di onde, nelle quali l'uomo pellegrina incerto come un naufrago fra i flutti. Con la sola differenza che almeno il naufrago è ben conscio della propria funesta situazione, e sicuramente si affiderà a Dio per cercare conforto e salvezza, mentre l'uomo comune neppure ha il privilegio di conoscere la sua condizione di anima perduta: senza nome.

E' infatti la consapevolezza di essere schiavi, in una prigione senza sbarre e senza mura; ma costituita dalla nostra meccaniche illusioni su ciò che siamo e ciò che non siamo, il primo passo che ci rende uomini sulla via della libertà, del ritorno a casa.

 

 

 

 pubblicato per la prima volta su Lex Aurea 20

 

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