La Tentazione EgualitariaMartino Mora |
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“Le epoche dove il primato è del denaro, sono anche quelle nella quali
imperversa la peggiore febbre egualitarista”.
Questa frase di Marcel De Corte è la migliore spiegazione del dominio
ideologico dell’egualitarismo astratto che oggi impregna l’ideologia
dominante politically correct. Oggi che il denaro e la merce regnano
sovrane, l’eguaglianza astratta tra gli uomini viene continuamente
affermata (cosmopolitismo, moltiplicazione senza fine di diritti per
tutti, immigrazionismo, femminismo, omosessualismo, teorie del gender).
Come ha scritto Chantal Del Sol, “I tre fattori dell’uguaglianza, del
materialismo e dell’individualismo formano un insieme coerente, dove
ciascun fattore viene dall’altro ed anche lo rafforza”,
La religione cristiana fu la prima ad affermare che tutti gli uomini
sono uguali, perché figli di Dio. Il giudeo e il greco, l’uomo e la
donna, lo schiavo ed il libero, nella predicazione di San Paolo
possiedono tutti un’anima immortale, e tutti sono riconosciuti da Dio in
quanto persone. L’uguaglianza spirituale degli uomini, la loro uguale
dignità davanti a Dio, non significano però l’annullamento della
comunità gerarchica nella quale si trovano. Il cristianesimo rappresenta
una straordinaria rivoluzione dello spirito, ma non mise in discussione
le strutture sociali del tempo. Il fine divenne la salvezza eterna
dell’anima. La schiavitù primaria quella dal peccato. Certo, alla lunga
il riconoscimento dell’uguale dignità degli uomini quali figli di Dio ha
portato, nel mondo europeo, all’ abolizione graduale della schiavitù,
sostituita anche per ragioni economiche dalla servitù della gleba.
L’esistenza di un’anima immortale comune a tutti gli uomini significava
pietà e considerazione per gli umili, i poveri e gli ammalati (di cui si
faceva carico direttamente la Chiesa), ma questo non metteva in
discussione la differenziazione sociale che caratterizzava la società
medioevale, tripartita nel ceto sacerdotale, in quello nobiliare e in
quello del lavoro.
L’esplosione della passione egualitaria riguarda compiutamente l’età
moderna. Fu conseguente all’emergere della classe borghese e del
pensiero economicista, che essa ha convogliato storicamente. E fu anche
conseguente all’affermazione dei grandi Regni moderni, burocratici e
centralizzati, cioè degli Stati moderni, che operarono attivamente per
corrodere tutte le comunità locali e i corpi intermedi che separavano il
suddito dal potere statuale. Il potere dei sovrani e della burocrazia
statale minarono volontariamente i pluralismi territoriali e sociali
all’interno dei Regni. Le differenze vennero prima livellate e poi
distrutte. Anche la Rivoluzione francese sotto questo punto di vista fu
in continuità, con il suo culto dello Stato e del potere accentrato, con
l’Antico regime, come sottolineò genialmente Alexis de Tocqueville. Le
due grandi forze che corrosero il legame sociale nell’età moderna, il
mercato e lo Stato, generarono l’individuo, cioè quel tipo di uomo
isolato, atomizzato, che tende a concepire le proprie appartenenze e la
propria comunità come secondarie rispetto alla libertà dell’io. Ha
scritto Gilles Lipovetsky : “E’ l’azione congiunta dello Stato moderno e
del mercato che ha permeato la grande frattura che ormai ci separa dalle
società tradizionali, l’apparizione di un tipo di società dentro la
quale l’uomo individuale si prende per fine ultimo e non esiste che per
sé medesimo”. La nazione è la società degli individui isolati.
In questo tipo di società, questi uomini atomi, questi individui, si
considerano primi, si identificano come l’origine, si distaccano dal
sacro e dall’autorità ecclesiastica, e si concepiscono anche su un piano
di uguaglianza con gli altri uomini. Siamo alla nascita delle teorie
politiche contrattualiste, alla formazione di un nuovo razionalismo
politico, nel quale il diritto naturale si trasforma mettendo al centro
la dottrina individualista dei diritti dell’uomo. Dottrina che
concepisce l’uomo come atomo (individualismo), su un piano di
uguaglianza qualitativa nei confronti di tutti gli altri
(egualitarismo), e che infine interpreta se stessa come universale
(universalismo). Naturalmente si tratta di una dottrina che pretende di
essere universale senza esserlo, per il semplice motivo che dà dell’uomo
un’idea completamente sbagliata, quella di un essere desocializzato e
destoricizzato, la cui natura sociale e politica non è affatto
costitutiva della sua umanità ( cosa che avrebbe fatto gridare d’orrore
Platone ed Aristotele, per non parlare dei Padri della Chiesa).
L’individualismo esplode già nell’epoca dell’umanesimo e del
Rinascimento italiano (XIV-XVI) secolo, come sottolineato dal grande
storico Jacob Burckhardt. E’ il prodotto dell’esplosione del capitalismo
finanziario, cioè dell’attività dei grandi mercanti fiorentini e
genovesi, e di una riabilitazione della sensualità e dell’immanenza, le
cui conseguenze sono la nascita di una civiltà raffinatissima, che
inizia però a secolarizzarsi. L’uomo diventa primo protagonista, dal
teocentrismo medioevale si scivola verso un nuovo antropocentrismo.
Questa centralità dell’uomo è, nella pratica, la centralità
dell’individuo. D’ora in poi quando la modernità dice “uomo” intende
“individuo”. L’individuo però non è l’uomo inteso nella sua accezione
classica e medioevale, ma un essere separato, resecato dalla comunità
alla quale appartiene, e che si sente svincolato dall’auctoritas e dalla
tradizione che lo precedono.
L’individualismo trova già la sua forma compiuta nella Riforma
protestante. Nel programma di Lutero individualismo ed egualitarismo, al
momento limitati alla dimensione religiosa, vanno di pari passo. Il
principio del “libero esame” è infatti individualistico, perché
presuppone che ogni cristiano possa leggere ed interpretare liberamente
ed autonomamente la Sacra Scrittura. Il principio del “sacerdozio
universale” è invece egualitario, perché rifiuta il sacerdozio
particolare del clero. Nessuno è più “sacerdote” di un altro. Se il
“libero esame” colpisce al cuore l’auctoritas spirituale della Chiesa,
il “sacerdozio universale” nega la differenza gerarchica tra fedele e
sacerdote. Il fedele è sacerdote di se stesso. Se la Chiesa luterana
però, in maniera prudente, conserva un certo ruolo alla gerarchia
(ripristinando i vescovi), Calvino porta alle estreme conseguenze il
principio del sacerdozio universale, eliminando l’episcopato e
introducendo il modello del Concistoro, più egualitario. Con gli
anabattisti, infine, il principio egualitario esce dalla dimensione
ecclesiastica per acquisire implicazioni sociali e politiche. Gli
anabattisti infatti non si limitano al rifiuto dei vescovi e del
sacerdozio particolare, ma pretendono per primi di imporre la comunanza
dei beni e la comunanza delle donne. L’egualitarismo esce dall’ambito
del sacro e diventa regola del profano. Nonostante il folle tentativo
anabattista di Giovanni da Leyda di imporre a Munster il modello della
“Gerusalemme celeste”, comunista e poligamica, sia durato meno di un
anno (1534-1535) i tempi sono maturi per il passaggio
dell’individualismo egualitario dal campo religioso al campo della
politica. Anche la personalità di Thomas Munzer e la rivolta dei
contadini tedeschi (1524-1526) rappresentano lo sconfinamento della
Riforma sul terreno sociale, nonostante la pronta condanna di Lutero.
Thomas Muntzer teorizza la ribellione dei contadini sfruttati contro i
signori in nome dell’uguaglianza, proponendo l’abolizione della
proprietà privata della terra.
Se da una parte il cammino del protestantesimo continua a lungo ad
intersecarsi con la politica (guerre di religione, puritanesimo, prima
Rivoluzione inglese), è il pensiero “laico” a dare voce ad una visione
del mondo ispirata dall’individualismo egualitario. Da Hobbes a Locke,
da Rousseau a Kant, tutti i pensatori del giusnaturalismo moderno e del
contrattualismo partono dal presupposto di uno stato di natura in cui
gli individui atomi, non legati tra loro da nulla, vivono un’esistenza
desocializzata dove le relazioni costitutive tra gli uomini non
esistono. Si tratta di una condizione originaria e naturale. Nulla
precede l’individuo, nulla lo lega e lo determina, in questo stato di
libertà assoluta e naturale. Non esistono radici, vincoli, legami,
identità collettive. E nessuna propensione naturale alla socievolezza e
alla politica. La società e la politica, infatti, in questo schema
teorico, subentrano soltanto in un secondo tempo, quando si rivelano
necessarie per motivi puramente utilitaristici. Corrispondono
all’artificio, ad un artificio necessario, non alla dimensione naturale
dell’uomo. Ovviamente questo artificio è una mera costruzione umana, del
quale l’uomo moderno (cioè l’individuo) è l’assoluto artefice. La
società e la politica non corrispondono così a nulla di naturale, sono
fuori dalla dimensione originaria alla quale l’uomo deve adeguarsi pur
scoprendone le leggi e la razionalità intrinseca (come pensavano i
classici e i medioevali), ma diventano una mera costruzione artificiale,
perlopiù edificata attraverso un contratto tra individui (non più tra
corpi sociali e comunità, come ancora in Altusio), esattamente come
avviene nelle transazioni commerciali. Naturalmente il primo dei
“diritti” che questi atomi liberi e uguali si riconoscono è il diritto
di proprietà, inteso come il diritto primario, oltre alla vita e alla
libertà, che il borghese si riconosce.
E’ questo infatti il segreto che sta dietro a questa teologia politica
rovesciata, dove tutto viene dell’individuo invece che da Dio o dalla
natura: l’individuo libero ed uguale non è altro che il borghese. Dietro
alla sua decantata universalità c’è la particolarità del ceto borghese,
del ceto degli affari e dell’economia, di cui i teorici del contratto
(con la parziale eccezione, forse, di Rousseau) sono gli esponenti
intellettuali. Non c’è bisogno infatti di scomodare la critica ai
diritti umani del giovane Marx ( i diritti dell’uomo come diritti
dell’egoismo borghese) per comprendere il sostrato economicista ed
individualista di questo pensiero. Il sostrato economicista ed
individualista che autori come Louis Dumont hanno identificato come il
fondamento della modernità.
Come Georg Simmel in “Filosofia del denaro” (1901) , che afferma essere
l’economia monetaria la vera artefice dell’individualismo moderno, anche
Dumont vede nel primato delle dimensione economica il passaggio
definitivo dall’ “uomo gerarchico” all’”uomo uguale”. In effetti davanti
al denaro siamo tutti uguali. Non esistono più gerarchie di nascita , di
sangue o gerarchie spirituali L’unica gerarchia riconosciuta è tra chi
lo possiede, il denaro, e chi non lo possiede, o ne possiede di meno. E
questa l’unica diseguaglianza ammessa, anzi lecita, l’unica riconosciuta
(e spietata) in un mondo dove tutti o quasi si concepiscono e
riconoscono su un piano di parità rispetto a tutti gli altri. Il denaro
non fa differenze tra gli uomini. Ma ne istituisce la più feroce, tra
chi ne possiede tanto e chi ne possiede poco. Ed oggi, nel XXI secolo,
siamo ancora a questo punto. All’orgoglio di credersi tutti uguali si
affianca la spersonalizzazione dei rapporti sociali, tra uomini
intercambiabili che si relazionano per fini utilitaristici.
L’egualitarismo equivale ad un’idea normativa per il presente e per il
futuro. Intende mutare il mondo. Parte dalla giusta concezione di una
pari dignità di partenza tra le persone, ma poi ne trae la conseguenza
che a questa uguaglianza di fondo non corrispondano anche delle profonde
differenze tra gli uomini. E laddove esse invece emergono, allora
vengono considerate pericolose, da negare o da cancellare. Naturalmente
l’uguaglianza è anche un fatto sociale, e l’atomizzazione della società
rende questo fatto sociale sempre più evidente, celando ed erodendo al
contempo le differenze naturali e gerarchiche. Così l’uguaglianza come
fatto si sovrappone all’uguaglianza come credenza. L’uguaglianza come
credenza, pur sottolineando la pari dignità degli uomini, può rimanere
nei limiti dell’affermazione di principio, rispettosa delle differenze
naturali, oppure può valicarle, trasformandosi in egualitarismo.
Premesso che non è sempre facile comprendere quando il limite viene
realmente superato, e cioè quando l’uguaglianza diventa egualitarismo,
si può riconoscere nella spinta individualista, antigerarchica e
anticomunitaria la premessa necessaria per il passaggio dall’uguaglianza
all’egualitarismo. Si mette così in moto un meccanismo infernale che non
si ferma e non si sazia mai definivamente: “L’egualitarismo assoluto è
il senso, la molla e il fine stesso del processo rivoluzionario
sovversivo che da secoli sta trasformando la società cristiana”, ha
scritto Massimo Viglione.
Se le due rivoluzioni inglesi e la Rivoluzione americana affermano la
dimensione individualistico-egualitaria (gli uomini sono stati creati
liberi e uguali, è il postulato jeffersoniano della Dichiarazione
d’indipendenza del 1776), la svolta decisiva è la Rivoluzione francese,
a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”
(1789), che è la prima di una serie di dichiarazioni affini, e che
impronterà successivamente lo spirito di numerosissime Costituzioni. Con
la Rivoluzione francese tutti divengono cittadini, vengono abolite le
differenze di nascita, proclamata l’uguaglianza di fronte alla legge,
persino abolita la schiavitù nelle colonie durante il periodo giacobino.
Privilegi e differenze vengono concepite come inaccettabili. Tutti i
componenti del genere umano vengono dichiarati degni di rispetto, tranne
coloro che si contrappomgono alla Rivoluzione (i “nemici dell’umanità”
non meritano, ovviamente, alcun pietà, come pensava del resto lo stesso
Voltaire). In questa società di uguali, però, non c’è più posto per il
sacro, la trascendenza e la gerarchia spirituale, ed in onore alle idee
illuministe la Chiesa subisce la prima terribile persecuzione dell’era
contemporanea. Laddove l’uguaglianza si afferma per via rivoluzionaria,
infatti, il sacro viene considerato il nemico per eccellenza. Così
avverrà anche in Russia nel 1917 o in Spagna nel 1936. L’egualitarismo è
un antropocentrismo esigente. Se l’uomo è il nuovo Dio, non c’è spazio
per la dimensione trascendente. Tutto ciò che la ricorda va prima
ridimensionato, poi cancellato.
L’affermazione dell’uguaglianza civile e politica degli uomini,
affermata da molti illuministi e dalla Rivoluzione francese, non nega la
differenza delle ricchezze, che con l’eliminazione dei privilegi
aristocratici e di ciò che resta della società feudale si è
ulteriormente accentuata. La nascente società industriale sta inoltre
creando il vero e proprio inferno della proletarizzazione e dello
sfruttamento generalizzato. Masse di uomini e donne si trasferiscono
nella città per lavorare nelle fabbriche, dove vige lo sfruttamento del
lavoro, anche infantile. Le città diventavano quindi il luogo dello
sfruttamento, dello sradicamento dalla terra, e per usare un termine
hegelo- maxiano, dell’”alienazione”. Da qui la nascita del socialismo,
che afferma essere insufficiente l’uguaglianza formale del mondo
borghese, perché mantiene la più spietata delle gerarchie, quella del
denaro, permettendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il socialismo e
il comunismo si presentano così come una tappa radicale della mentalità
egualitaria, anche se probabilmente nessun socialista e comunista,
nemmeno Marx ed Engels concepirono mai l’idea di un livellamento tanto
perfetto come quella che troviamo espressa nell’opera dell’anarchico
Michail Bakunin. E’ infatti solo l’anarchico russo a non accontentarsi
dell’abolizione dello Stato e della proprietà privata, ma a spingersi a
prefigurare la stessa distinzione tra lavoro manuale e lavoro
intellettuale. Tutti debbono svolgere sia il lavoro manuale che quello
intellettuale, perché nessuno possa essere meno uguale di un altro: “non
vi saranno più operai, né scienziati, ma solo uomini”. L’idea
dell’uniformità generalizzata e assoluta è quindi il parto, nella sua
versione più radicale, del socialismo anarchico di Bakunin, ancora più
che del comunismo di Marx ed Engels, che se non altro lascia sussistere
la differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Se il pensiero
anarchico di Max Stirner porta alle estreme conseguenze l’individualismo
liberale, quello di Bakunin fa lo stesso con l’egualitarismo socialista,
portandolo alla conseguenza più radicale: l’abolizione della distinzione
tra lavoratori manuali e lavoratori intellettuali.
Se il livellamento di Bakunin è la più spinta estremizzazione
dell’egualitarismo, per la quale le differenze degli uomini sono
assolutamente secondarie (nonostante l’anarchico russo faccia eccezione
per pochissime menti eccezionali), per il marxista Lev Trockij,
protagonista delle Rivoluzione d’ottobre (1917), il comunismo può
realizzare l’uguaglianza verso l’alto, il superomismo egualitario. Così
infatti scrive nel 1924, mentre è impegnato nella lotta con Stalin, poi
perduta, per la guida dell’Unione sovietica: “L’uomo diventerà
infinitamente più forte, più intelligente, più raffinato; il suo corpo
più armonioso, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale.
Le forme della vita quotidiana acquisteranno una teatralità dinamica. Il
tipo umano medio si eleverà al livello di Aristotele, di Goethe, di
Marx. Su questo crinale si eleveranno nuove cime.” (Letteratura e
Rivoluzione, 1924). Così il comunismo avrebbe realizzato,
paradossalmente, il superomismo di Friedrich Nietzsche, il baffuto
filosofo tedesco nemico di ogni uguaglianza, che gli stessi comunisti
considerarono, fino alla tarda riscoperta degli anni Settanta del XX
secolo, come un avversario detestabile e “reazionario”. Un secolo prima,
un socialista come Charles Fourier si era “limitato” a predirre una
società socialista che avrebbe visto fiorire al suo interno alcune
decine di migliaia di Omero.
Oggi, nell’anno del Signore 2014, possiamo asserire con certezza che la
fine del “secolo breve” (1914-1991), il tracollo comunismo storico
novecentesco, e l’esaurimento della spinta della socialdemocrazia, non
hanno significato affatto la fine della passione egualitaria.
Accantonando l’idea dell’abolizione della proprietà privata, il
progressismo internazionale, di marca socialista come di marca liberale,
ha da diversi anni messo al centro della sua azione altre tematiche,
come l’antirazzismo, il femminismo e l’omosessualismo.
“Le tendenze egualitarie – ha scritto Massimo Viglione - sono andate ben
oltre l’economicismo marxista, portando avanti la distruzione di ogni
pur lieve forma di differenziazione in ogni ambito dell’uomo e
dell’universo. Niente più Stati e patrie (la Repubblica universale, mito
fondante della massoneria illuminista), niente più differenze di razze
(il famoso “melting pot”: il termine stesso “razza” suona ormai in
maniera negativa, come se le razze non fossero, come qualsiasi altra
diversità, create da Dio). Niente più distinzione culturale, niente più
distinzione persino ontologica (l’animalismo introdotto in Spagna da
Zapatero). Per Viglione, “dai diritti dell’uomo si è passati a quelli
della donna; dai diritti della donna a quelli dell’omosessuale; dai
diritti dell’omosessuale a quelli del gender (ogni deviazione o
disfunzione sessuale hai i suoi diritti). La stessa parola
‘normalità’viene considerata esclusivista e razzista”.
Questo processo ha avuto un potentissima accelerazione già dagli anni
Sessanta del XX secolo, quando la società dei consumi non solo ha
cominciato a produrre in serie oggetti tutti nuovi e uguali per uomini
uguali perchè massificati (cioè omologati alle mode, al vestiario, alla
musica di provenienza anglosassone), ma ha contribuito alla diffusione
di quel materialismo e di quell’edonismo di massa (quasi sempre legati a
quelle stesse mode) che hanno rafforzato ed esasperato l’individualismo
(l’altra faccia della massificazione) e scristianizzato le masse ben più
a fondo di quanto contemporaneamente non riuscisse a fare il comunismo
sovietico, apertamente ostile alla religione. Le giovani generazioni
occidentali degli anni Sessanta e Settanta, cresciute col nuovo
benessere e nel suo culto, hanno quindi sposato quel
Sessantotto-pensiero che è stata la principale causa culturale della
crisi che stiamo vivendo (la causa materiale, occorre ribadirlo, è
l’onnipresenza e l’onnipotenza della merce e del denaro). I
sessantottini hanno lavorato in perfetta “falsa coscienza” per il
capitale globale, che a parole dicevano di combattere. Dicevano infatti
di voler abbattere il capitale, ma naturalmente non ci sono riusciti. In
compenso le loro idee hanno conquistato quelle stesse èlite
ultracapitaliste, quindi materialiste integrali, che erano per natura
predisposte ad abbracciare l’ideologia egualitaria, laddove essa non
mirasse più all’abolizione della proprietà privata. Tanto più laddove
essa rivendicasse,come nel caso del femminismo e dell’immigrazionismo,
dei “diritti” che permettono di calmierare stipendi e salari mantenendo
invariato il flusso delle merci e dei consumi. Come il lavoro femminile
generalizzato indebolisce famiglia e natalità, ma contribuisce alla
crescita economica (due stipendi più bassi al posto di uno più alto, a
capacità di consumo invariato o superiore), che è il primo comandamento
del monoteismo del mercato; così il numero sempre maggiore di immigrati
non sindacalizzati, presenti sul suolo europeo. disposti a lavorare per
salari bassi, consente di mantenere sotto controllo il costo del lavoro.
Non ci sono però soltanto evidenti interessi economici dietro al trionfo
del nuovo individualismo egualitario. Figlie del sostrato materialista
della società dei consumi, le nuove rivendicazioni individualiste,
cosmopolite ed egualitarie, laiciste, anti-identitarie ed anticristiane,
si concentrano intorno alla demonizzazione del passato europeo (vecchia
eredità illuminista), all’esaltazione dei diritti umani, alla mentalità
cosmopolita o mondialista, alla retorica delle vittimizzazione selettiva
delle minoranze (il ”politically correct”, oscena creazione delle
università e del circo mediatico degli Stati Uniti d’America), e
naturalmente all’imposizione terroristica dell’omofilia obbligatoria e
della società “meticcia” o “multiculturale”. E così le grandi
organizzazioni internazionali come l’ONU , contraddistinte da una
visione liberal da salotti newyorkesi, combattono la sovrappopolazione
con l’aborto, diffondono le teorie omosessualiste e del gender (secondo
le quali non esistono per natura il sesso maschile e il sesso femminile)
e naturalmente tendono a favorire, in nome della retorica dei “diritti
umani” l’immigrazione di massa verso i paesi sviluppati, teorizzando
società “multiculturali” o “meticciati di civiltà”, magari col benestare
di uomini di quella Chiesa cattolica per altri versi apertamente
avversata,
Viviamo nell’epoca della globalizzazione tecnico-economica che è
senz’altro un fatto, ma un fatto molto pericoloso. Per riprendere una
famosa immagine di Carl Schmitt, la globalizzazione rende il mondo un
immenso mare, un’immensa superficie liscia ed omogenea, sempre uguale a
se stessa, dove l’omologazione dell’umanità corrisponde a un grande
mercato composto d a consumatori integrali, cioè da uomini tutti uguali,
individui massificati all’american way of life, vestiti tutti allo
stesso modo, con gli stessi desideri, con le stesse convinzioni, con la
stessa lingua neo-imperiale, l’inglese, frequentatori del centro
commerciale, incollati alla tv o ad uno schermo del computer, dimentichi
della trascendenza religiosa, che conducono una vita sessuale libera da
ogni condizionamento (“l’imposizione del coito” di cui parlava Costanzo
Preve), che si divertono tutti allo stesso modo (discoteche, concerti
rock e pop, karaoke, ecc.). E’ questa la “civilizzazione universale”, o
globale, tanto temuta da Heidegger. Che si compirebbe definitivamente
qualora si realizzasse il grande progetto dello “Stato mondiale
omogeneo” del quale parlava con diffidenza Leo Strauss. sognato dai
marxisti come dai massoni, dai socialdemocratici come da molti liberali,
e in passato da giuristi e filosofi come Hans Kelsen e Jacques Maritain,
da scienziati come Julian Huxley, da scrittori come Herbert G. Wells.
Già Kant aveva ipotizzato un’unica autorità mondiale nel suo scritto
“Per la pace perpetua” (1795), già i mazziniani e i massoni parlarono a
lungo di una “repubblica universale”da realizzare in un futuro da
destinarsi, già la Società delle nazioni - voluta fortissimamente dal
presidente americano Thomas Woodrow Wilson alla fine delle Prima guerra
mondiale – doveva prefigurarsi come l’anticipo della superiore autorità
mondiale che in futuro avrebbe costretto l’umanità alla pace. Oggi non
solo i funzionari dell’ONU, ma anche quelli dell’Unione Europea si
prefiggono di dare vita a quel Nuovo Ordine Mondiale, sognato da Clinton
e Bush, che darebbe sostanza politica alla globalizzazione. E’
un’ideologia, quella del mondialismo, che in quanto cosmopolitismo ha
uno stretto legale con l’individualismo e l’egualitarismo, che ne sono
le logiche premesse. Solo se gli uomini sono atomi tra loro
interscambiabili, come nella stessa teoria dei diritti umani, si può
pensare a quella cosmopolis egualitaria, che è il sogno congiunto della
destra del denaro (finanzieri, banchieri, multinazionali) e della
sinistra politica, anche quella che si definisce “no-global”(ma che in
realtà è global e mondialista, prefiggendosi di regolamentare la
globalizzazione tramite lo Stato mondiale omogeneo). Anche il Nuovo
Ordine Mondiale di cui oggi si parla è il frutto della tentazione
egualitaria, di quella passione per l’uniformità e per l’identico tipica
del pensiero economico. Non a caso è proprio la banconota del dollaro a
portare iscritto il motto paramassonico “Novus ordo seclorum”, cioè
Nuovo Ordine Mondiale.
Plinio Correa de Oliveira aveva previsto che saremmo arrivati a questo
punto: “La Rivoluzione, fondamentalmente egualitaria, sogna di fondere
tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati in una sola razza, un
solo popolo, un solo Stato”. Questo è il motivo per il quale tutti i
movimenti identitari e cosiddetti “populisti”, che intendono combattere
l’immigrazione di massa e difendere le particolarità storiche dei loro
popoli, vengono demonizzati dal circo mediatico e dalla classe politica
“progressista”, di destra e di sinistra. Dovremmo quindi batterci perché
non si realizzi, attraverso la politica di Washington, della NATO,
dell’ONU, della UE e del grande capitale finanziario e delle
multinazionali, un nuovo “nomos della terra” unipolare sotto guida
statunitense, preludio di uno Stato mondiale futuro, ma bensì un mondo
multipolare, dove la stessa Europa, rispettosa dell’autonomia di Stati
nazionali al loro interno federati o confederati - e quindi rispettosi
delle identità diverse che li compongono, delle patrie carnali e
naturali che non si possono ridurre all’astrazione della nazione - venga
a costituire un polo autonomo di civiltà al fianco degli altri,
distanziandosi dalla politica atlantista e appoggiando la Russia nel suo
tentativo di costituire un “pluriverso”, un nuovo nomos della terra che,
come auspicava Schmitt, permetta a grandi spazi continentali di gestire
e controllare le potenze della tecnica e dell’economia. Perché l’uomo,
come sostiene anche Ernst Nolte, non è un essere universale, ma un
essere particolare, radicato in una terra e in una cultura, anche se
capace di aprirsi e tendere all’universalità. La sua apertura
all’universalità lo rende unico tra tutte le creature, ma questa
apertura (che per il cristiano corrisponde alla possibilità di
conversione alla Verità del Cristo) non sacrifica mai del tutto la sua
particolarità. Se la negazione dell’apertura all’universale è a volte
divenuta “disumana”, la negazione della particolarità è apertamente
“antiumana”. |
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