Io Cavaliere Kadosh

di Salvatore Di Guardo

Corre l’anno del Signore 1307.

Io cavaliere Kadosch merito di salire sul rogo perché sono eretico, apostata e blasfemo.

Nessuno più di noi, fratelli, ha tradito il Papa e le aspirazioni che la Chiesa riponeva sul nostro ordine.

Dopo la nostra sconfitta finale a San Giovanni d’Acri non abbiamo avuto più alcuna Terra Santa da difendere, alcun sepolcro da mantenere inviolato.

Abbiamo cercato di creare un nostro stato autonomo in Linguadoca, abbiamo accumulato ricchezze, abbiamo nascosto catari eretici, abbiamo tenuto rapporti con gl’infedeli.

E’ ormai risaputo e confessato che l’accesso al nostro Ordine prevede un’iniziazione ove si compiono oscenità, si pratica la blasfemia e si adorano idoli a dir poco strani.

Ma noi sappiamo cosa facciamo e perché lo facciamo e nulla rinneghiamo !!!

Il bacio osceno sull’ano del neofita non è forse il tentativo di risvegliare il Serpente Kundalini assopito sul fondo della colonna vertebrale; forza del serpente, forza vitale che dev’essere risvegliata e convogliata verso il cervello, verso la ghiandola pineale à il terzo occhio dell’uomo che permette la visione diretta attraverso il tempo e lo spazio ?

Il neofita deve negare la divinità del Cristo e deve calpestare e oltraggiare il Crocifisso.

Gli viene ordinato di «non credere nel Crocifisso, bensì nel Signore che è in Paradiso»; gli viene insegna­to che Gesù è stato un falso profeta, non una figura divina sacrifi­catasi per riscattare i peccati degli uomini, ma un uomo qualunque morto pei propri errori.

Ma noi sappiamo che non è una vera abiura, bensì un metterci alla prova: dimostrare la facoltà di portarci oltre una forma exoterica, semplicemente religioso-devozionale, di culto; di libertà dagli idoli e dalle forme per poter essere liberi di cercare la verità.

D’altronde non siamo noi seguaci della gnosi, non vi sono tra di noi tanti catari che siamo riusciti a strappare dalle grinfie della chiesa e dal rogo ?

Non siamo devoti, come i nostri fratelli catari, di Maria Maddalena, moglie di Cristo e depositaria d’insegnamenti segreti ?

E Maria Maddalena non è in fondo la personificazione della Sophia, la Sapienza Divina ?

La nostra festa religiosa è la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo fra di noi, non certo il Natale o la Pasqua; la confessione e la penitenza non sono certo sacramenti che si addicono a noi, monaci guerrieri, che facciamo del combattimento e soprattutto della «guerra santa» la via dell’ ascesi e della liberazione.

Per noi il centro devozionale non è Roma, ma il Tempio.

E chi è Bafometto, questo idolo con la testa di vecchio bianco-barbuto che veneriamo ?

Ma certamente Giovanni Battista, la cui testa viene portata su un piatto a Salomè; il Sole e la Luna nel continuo loro avvicendarsi.

In primavera il nuovo sole ha la meglio sulla terra e Perseo decapita la Medusa.

All’equinozio d’autunno è la dea lunare a decapitare il dio della vegetazione.

Un ripetersi dei Misteri Eleusini ove, nell’equinozio d’autunno, alla dea Terra - Demetra la sua sacerdotessa porta in sacrificio il simbolo della testa del sole: la pannocchia di mais.

D’altronde quante interpretazioni si sono date a questa Testa di Vecchio Barbuto:

-il Gran Tutto o Padre Celeste per gli gnostici ;

-il Bafometto a due teste à Giano Bifronte à i due Giovanni: Evangelista e Battista ;

-il Vecchio Barbuto che si specchia entro il sigillo di Salomone nel triangolo con la punta verso il basso, ed il tutto è attorniato dall’Uroboros, dal serpente che si morde la coda: in pratica la Gnosi à la ricerca interiore .

Sia quel che sia, è comunque certo che la parola Baffomet, con grande vero­simiglianza, riconduce al greco Baphu – methii che significa “tuffo”, immersione nel senno “battesimo della sapienza”: nome indicativo di un rito, che è stato trasferito all'idolo.

Ed è anche vero che bruciamo i nostri neonati innanzi a tale idolo !

Ma sappiamo bene che si tratta del «battesimo del fuoco» del neofita, di un’iniziazione eroica-solare ove, secondo una terminologia comune a tutte le tradizioni, i neofiti non sono altro per noi che dei neonati che aprono gli occhi alla nuova vita.

Così fa la dea Demetra, che mette il bambino nel fuoco per assicurargli l'immorta­lità.

Infine il nostro sincretismo eretico, la nostra collusione con il nemico, con l’islamico, è anch’essa accusa vera e sacrosanta.

D’altronde tutti gli iniziati sono fratelli, qualunque siano le idee, la razza, le religioni.

Non possiamo negare quel ponte supertradizionale fra Occidente e Oriente che fu creato con le crociate.

La nostra guerra santa lo era anche per l'Ordine arabo degli Ismaeliti, che si consideravano parimenti come i «guardiani della Terra Santa».

E tale Ordine, con eguale doppio carattere, guerriero e religioso, corse pericolo di fare una fine analoga a noi Templari per un analogo motivo: per un suo fondo iniziatico e per l'affermazione di un esoterismo sprezzante la lettera dei testi sacri.

Templari e Ismaeliti hanno gli stessi colori — rosso e bianco —
come croce e manto gli uni, come cintura e veste gli altri.

E non erano i colori e le vesti e la croce dei difensori del GRAAL di Wolfram Von Eschenbach il quale, nel suo “Parzival”, chiama questi guerrieri “Templisen” ?

Ed allora il cerchio si chiude !!!

Meritiamo il rogo perché siamo custodi del Graal !!!

Cos’è il graal ? Dal latino medievale gradalis che significa recipiente, vaso.

Ivi per i Celti era racchiusa l’energia divina suddivisa nella trinità Forza – Amore – Sapienza.

Per i cristiani era la coppa dell’ultima cena ove Giuseppe d’Arimatea aveva raccolto il sangue del Cristo.

E’ comunque certo che è il sinonimo della “CERCA”, dell’impegno di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda di dare una vita paradisiaca al mondo ove operavano.

E che abbiano fallito o raggiunto il loro scopo, si ritrovano tutti in Avalon – ov’e alla fine custodito il Graal –; la citta di vetro, il luogo d’incontro fra dei ed eroi, ove si arriva portati da una nave con sulle vele la croce templare.

Questo nostro “impegno spirituale” ci ha portati a sorpassare “… la doppia limitazione costituita da una parte dal semplice ideale guerresco della cavalleria laica, dall'altro, dall'ideale semplicemente ascetico del cristianesimo e dei suoi ordini monastici…” .

Noi ghibellini del nostro tempo che muore con noi !!!

Ora, ritornando ad oggi – anno 2008 – nel nostro tempo poveramente “fisico”, non si può che constatare come si sia perso il valore e senso della parola “ghibellino”.

In realtà nella sua “profondità” il ghibellinismo non è stato che il superare l'antitesi fra «guerriero» e «sacerdote», il riaffermarsi della Tradizione, ed appunto per questo Filippo il Bello e Clemente V, lo Stato e la Chiesa per una volta uniti, hanno distrutto l’Ordine.

Un sentire “ghibellino” che ormai si è perso nel nostro tempo, ove, salvo a considerare l'individuo e alcuni individui per i quali il simbolo mantiene sempre un valore intrinseco, oltre non vi è più nulla.

Oggi più che mai l’esoterismo è di moda. Lo troviamo menzionato (e quel che è più drammatico) esercitato in tutte le salse: L’entità esoterica si trova ovunque: nel passato (con le vite precedenti), nel presente (con i diversi metodi di benessere pseudo-tradizonali), nel futuro (con le sempre più nuove tecniche di divinazione), nella terra e nel cielo (cerchi nel grano, UFO), perfino sottoterra (imperi ombra, Re del mondo). Per non parlare delle persone cooptate in società iniziatiche (spesso solo di nome): tali individui, all’indomani della loro iniziazione, si atteggiano a maestri, guardando con malcelata compassione gli altri, i profani. Questi sembrano essere segni del Kali Yuga...”.

Non ci resta che cercare nella speranza di trovare !

Il Regno del Graal, nei termini di un centro a far parte del quale, come è detto in Wolfram von Eschenbach, sono chiamati gli eletti di tutte le terre, da cui partono cavalieri per lontani paesi, in missioni segrete, e che, infine, è «seminario di re», è la sede donde sono inviati in varie terre re dei quali nessuno saprà mai «donde» veramente vengano e quale ne sia la razza e il nome; il segno del Graal inaccessibile e inviolabile resta una realtà anche nella forma secondo la quale non lo si può connettere a nessun regno della storia. È una patria che mai potrà essere invasa, a cui si appartiene per una nascita diversa da quella fisica, per una dignità diversa da tutte quelle del mondo, e che unisce in una catena infrangibili uomini, i quali possono apparire dispersi nel mondo, nello spazio, e nel tempo, nelle nazioni. …In tal senso esoterico il regno del Graal, così come il regno di Arthur, il regno del prete Gianni, Thule, Avalon, e così via, esistono sempre. Il termine «non vivit» della formula sibillina «Vivit non vivit» non si riferisce, da tale punto di vista, ad esso. Nel suo carattere«polare» questo regno è immobile, non si porta ora più e ora meno vicino ai vari punti della corrente della storia, sono gli uomini e i regni degli uomini che possono portarsi ora più e ora meno vicini ad esso”.

Comunque una speranza !!!

 

Bibliografia:

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