IL SEME DELL'ODIO

razzismo e anisemitismo <spirituale in Julius Evola>

Piero Mancuso

E se l’Italia fascista, fra le varie nazioni occidentali,

è quella che per prima, sembra aver saputo superare il punto morto,

 che ha lanciato l’appello per la reazione contro la degenerazione

 della civiltà materialistica e capitalistica, contro l’egoismo

del più privo di luce fra i mali imperialismo occidentali e,

 infine contro l’ideologia societaria, vi è il diritto di supporre,

 senza nemmeno un’ombra di infatuazione sciovinistica,

 che l’Italia si troverà anche in prima linea fra le forze che guideranno

 il mondo futuro e ristabiliranno la supremazia della razza bianca.

 

Julius Evola

(Il problema della supremazia della razza bianca, Lo stato, luglio 1936)

 

 

Premessa

 

Queste note non sono il frutto di un semplice interesse intellettuale verso la figura di un pensatore che ha tenuto un piede nell’estrema destra e un altro nel mondo dell’esoterismo, causando una indigesta e venefica commistione fra le due sfere, ma rappresenta la sintesi del punto di vista che ho espresso in una serie di «tentativi» di discussione  fatti nel forum di Fuoco Sacro. L’origine di questo scritto spiega dunque la sua struttura ripetitiva ed arruffata. Ho detto tentativi di discussione perché quanto scritto e riassunto in questa sede ha avuto come controparte alcuni estimatori del pensiero di Evola che quasi mai sono andati oltre la reazione isterica e scomposta di chi, a gran voce, ha denunciato il reato di «lesa maestà» e al tacciarmi di comunista, di persecuzione, a fini politici, di un illustre Maestro, reputando ciò bastevole, per loro, ad esorcizzare e disattivare la valenza distruttiva di quel che dicevo. Quello che segue è quindi uno scritto scomodo, fastidioso per chi fa riferimento ad Evola, ma nel contempo non gradisce il suo essere razzista ed antisemita. Esiste comunque chi è estimatore di Evola e aderisce coerentemente a questo aspetto, essenziale, del suo pensiero.

 

Proprio per questo la critica severa e la bocciatura del pensiero evoliano nate nella mia anima non hanno potuto essere mitigate dal confronto con chi, facendo riferimento ad Evola, poteva avere la capacità di indicare un alcunché di questo sistema che fosse meritevole di attenzione, di essere coltivato. Qualcuno che poteva vantare un conseguimento spirituale che potesse essere riconosciuto indipendentemente da una prospettiva razzista ed antisemita e che avesse le sue radici nel pensiero di Evola.

 

Resta quindi ancora inesplorata la possibilità che il pensiero di un Evola edulcorato e «rettificato» da qualche suo epigone dia un frutto sano.  Ma ciò, se mai fosse possibile, non può essere realizzato calando un velo di silenzio su un aspetto del pensiero evoliano che a me pare, lo devo dire con franchezza, malvagio. La ricerca spirituale per molti si coniuga con una visione non violenta, con una visione integrazionista, con una visione non totalitarista della vita, con il rispetto e la tutela delle biodiversità, con la riscoperta dei ritmi dei tempi e della natura nell’intimità del corpo femminile, con la visione di una pari dignità spirituale fra la donna e l’uomo, con il rispetto e la riscoperta di modi di vita e di religiosità di tipo anche tribale. C’è un modo di vivere la ricerca interiore che vede la vita come una chance, una opportunità di perfettibilità dell’ente uomo. Su tutto ciò Evola ha calato con violenza il manganello del suo pensiero.

 

In base alla mia esperienza, l’unica «sostanza» che può conoscere è lo Spirito, l’Atman volendo usare la terminologia dello yoga-vedanta. Noi percepiamo il mondo dei nomi e delle forme perché la radice dell’uomo è lo Spirito, il quale è pura coscienza, pura consapevolezza. Le altre sostanze che compongono l’ente, secondo il punto di vista che sto indossando, non sono coscienti. Secondo la Tradizione l’uomo è un ente tripartito, si possono distinguere in esso tre livelli vibratori: Spirito, anima, corpo-grossolano.  Anima e corpo sono semplici veicoli espressivi del divino che noi, qui e adesso, siamo: lo Spirito, ovvero la consapevolezza.

 

La radice di ogni essere senziente, compresi gli animali, è dunque lo Spirito, ossia coscienza pura.  Per la verità i Tantra vanno oltre e dicono che la manifestazione, nella sua totalità, è saccidanandamaya e chidrupini. Cioè, secondo i Tantra, tutto è essenzialmente coscienza. L’Isha Upanishad canta: «Quello è pieno, questo è pieno, da pienezza pienezza procede, rimuovendo pienezza da pienezza solo pienezza rimane». 

 

Ciò premesso, a me la coscienza pare Luce radiosa e consapevole di se stessa. A me pare che sostenga ogni cosa e se non ci fosse lei a sostenere, con il suo «sguardo», le cose e gli esseri, essi non potrebbero «essere».

 

Dice un testo di scuola vedantica, l’Hastamalaka:

  

1. «Chi sei tu, figlio mio, e con chi sei? Qual è il tuo nome e da dove vieni? Dimmi ogni cosa distintamente per rendermi felice – tu che hai riempito il mio cuore di gioia.»

 
2. «Non sono un uomo, né un dio, né un semidio, non sono Brahmana, Kshatriya, Vaisya, né Sûdra; non sono studente, non sono capofamiglia, né anacoreta o rinunciante; io sono l’innata Consapevolezza.»

 

L’interrogante ha posto domande a cui si possono dare risposte da diversi punti di vista a seconda dell’anzianità dell’anima e del conseguimento di chi ha bussato alla porta. L’anziano che interroga si apre all’ente che accoglie, vuole ascoltare la nota che risuona nel vaso che, spinto dal vento del karma, è giunto alla porta del suo cenobio. Chi è accolto potrebbe dire: sono il figlio del tal dei tali, di stirpe brahmana, e indicare il nome del maestro. L’ente che lo accoglie, nel rispetto della diversità delle posizioni coscienziali, gli ha concesso di rispondere in modo più consono al suo stato esistenziale. L’ospite, riconoscendo la levatura di chi lo accoglie senza arroganza e falsa modestia, dapprima si definisce in modo negativo discriminando le qualità che si stagliano sulla sua Reale natura. Benché dotato di corpo, di anima e di storia personale, in realtà dice: Io non sono questo insieme di cose transitorie. Poi annuncia in modo positivo il suo reale stato di coscienza: «Sono pura consapevolezza», e questa consapevolezza si esprime nella dimensione umana. Questo status coscienziale ha toccato il cuore di colui che l’accoglie ancor prima che egli svelasse, secondo il codice linguistico, il suo conseguimento.

 

Coloro che coltivano la c.d. mens informalis e percorrono un sentiero che in un modo o nell’altro può essere definito ADVAITA, cioè il sentiero della non dualità, «reputano» che la Verità sia trascendente e nel contempo immanente i cuori degli esseri senzienti. Esiste quindi in noi la Plenitudine. Tale Plenitudine è la radice del nostro effimero essere e in verità  la nostra vera Reale natura.  Il punto è che crediamo di essere l’effimero e il transitorio, l’opera quindi è un rimuovere questa falsa identificazione con ciò che non si è e il conseguente svelarsi di Quello che in realtà si è. Lo svelarsi della nostra reale natura è dunque un maturare coscienziale indipendente da un influsso esterno. Il maestro non fa che metterti di fronte alla tua reale natura, indicarla, ma la visione è una specie di corto circuito coscienziale. Staccandosi dall’effimero e riposando in se stessa, la coscienza si autoconosce. Secondo tale visione, le differenze formali fra gli esseri non toccano il piano dello Spirito. Esiste un sostrato che accomuna tutto ciò che esiste ed è la distesa della pura coscienza.

 

Esiste però il tentativo di trasporre sul piano dello Spirito le dottrine della purezza della razza di matrice nazionalsocialista, mi riferisco a Julius Evola. Questo autore favoleggia di una razza iperborea, la cui origine si perde nell’alta preistoria, che nel SANGUE è portatrice di un lignaggio spirituale che si esprime in una specifica civiltà e ordine sociale. Questo lignaggio spirituale che si trasmette col sangue, in particolare col sangue blu – Evola si definiva un barone –, ha come nemici naturali altri sangui e se il retaggio dei popoli portatori dei valori della Tradizione, intesa nel senso di civiltà e valori  espressione di una razza, si incontra con quello dei popoli che sono portatori di altre forme di religiosità, si instaura una guerra fra la Tradizione e l’Antitradizione. Per Evola il popolo ebreo – lo scrisse chiaro e tondo negli articoli che pubblicò nella Difesa della Razza nel ventennio fascista, mentre nei forni bruciava il popolo ebreo – era il veicolo di oscure forze antitradizionali. Quindi per quello che si autodefinisce tradizionalismo di destra, le qualità spirituali che appartengono ai discendenti di questa mitica razza sono sostanzialmente diverse, SEPARATE dai valori delle altre razze. In questa ottica ha senso parlare di allevamento e selezione razziale dell’iniziato dalla massa «razziale» preesistente per avere un tipo d’uomo con tratti sempre più vicini al tipo «nordico-ario». Questa prima selezione che poggia su un dato biologico è il primo vaglio nella selezione «razziale», a cui devono far seguito due ulteriori vagli a maglie ancor più ristrette.

 

Scrive:

 

«Naturalmente per venire a tanto bisognerà cercare di limitare e di ELIMINARE alcune componenti razziali che, presenti nella “razza italiana” in senso lato, lo sono anche in quelle semitico-mediterranee: e questo lavoro di selezione sarebbe certamente disturbato ed anzi neutralizzato qualora si permettesse che nuovo sangue ebraico s’introduca nella “razza italiana”: donde l’opportunità delle misure prese dal fascismo contro le unioni miste. Ma il piano vero della incompatibilità si trova più in alto, cosa parimenti riconosciuta dalla legislazione fascista, la quale, a parte la dichiarazione generica che la razza ebraica è diversa da quella italiana, ha messo al bando l’ebraismo sulla base di considerazioni concernenti non tanto il dato puramente biologico, quanto l’aspetto politico e spirituale, l’aspetto legato alle “opere”, denunciando l’azione dissolvitrice dell’ebraismo e, infine, le precise tendenzialità antifasciste di esso. Cosa che equivale a riconoscere che l’incompatibilità è, soprattutto, di SPIRITO, di TRADIZIONE.» (Inquadramento del problema ebraico, in Bibliografia Fascista, agosto-settembre 1939.)

 

Scrive, altresì, in Rivolta contro il mondo moderno:

  

«Il rito e il sacrificio, investendo chi lo esercita di una specie di carica psichica [...] questa qualità non solo resterà per tutta la vita alla persona facendola, direttamente come tale, SUPERIORE, venerata e temuta, ma si trasmetterà alla discendenza. Passata nel sangue come una trascendente eredità, essa diverrà una PROPRIETÀ DI RAZZA che il rito di iniziazione varrà via via a rendere di nuovo attiva ed efficace nel singolo.

 

Del pari, sia in Cina che in Grecia ed a Roma il patriziato era definito essenzialmente dal possesso e dall’esercizio dei riti legati alla forza divina del capostipite, riti che la PLEBE NON POSSEDEVA [...] una espressione caratterizzava i PLEBEI: sono senza riti, non hanno avi - gentem non habent. Per questo, a Roma agli occhi dei PATRIZI il modo della loro vita e delle loro unioni non era considerato TROPPO DISSIMILE DA QUELLO DEGLI ANIMALI.»

 

Si è potuto notare come esista una sorta di rimozione, da parte di alcuni degli estimatori di Evola, rimozione che tenta di edulcorare e disattivare gli aspetti meno gradevoli e riprovevoli di quello che, almeno secondo me, è un sistema ideologico-politico che ha a che fare con la sadhana realizzativa quanto l’integralismo islamico ha a che fare con l’Islam.

 

Non è possibile immaginare un Evola non antisemita e profondamente razzista, significherebbe moncare il pensiero evoliano della sua parte più essenziale; inoltre, se l’opera è in tutto o in parte antisemita e razzista vuol dire che è opera di un antisemita e razzista.

 

Scrive:   

 

«Se l’ebreo ci indicherà dunque il pericolo che è da combattere  d’urgenza, in pari tempo ci indicherà dunque anche la direzione in cui è avvenuta una deviazione incipiente dell’anima aria, da eliminare con una azione interna, con una “rettificazione” che preverrà nuove cadute e immunizzerà dal virus.» (Gli ebrei e la matematica, in Difesa della Razza, anno III n. 8 del 20/2/1940.)

 

Il  pensiero di Evola non è distinguibile da una dottrina razzista di tipo nazionalsocialista. Quando scrive negli anni ’70, a pochi anni cioè dalla sua morte, che il suo pensiero aveva solo un valore retrospettivo perché la congiuntura storica che avrebbe potuto dargli attuazione era la Germania nazista, significa che il nucleo più vero del suo pensiero poggia sulla segregazione e selezione razziale.

 

Scrive:

 

«Le idee che qui esporremo possono solo avere un interesse soprattutto storico e retrospettivo in quanto la congiuntura che ad esse poteva dare anche un valore concreto e di attualità, nel momento in cui scriviamo non è più presente. Noi le avevamo propriamente formulate e difese nel periodo in cui in Italia e in Germania si erano affermati movimenti di rinnovamento e di ricostruzione i quali mentre si schieravano contro le forme piu spinte della sovversione politicosociale moderna, contro il comunismo e contro la democrazia, erano anche caratterizzati dall’impulso ad un ritorno alle origini e, a parte le istanze puramente politiche, ponevano il problema di una visione del mondo da servire come base ad una azione FORMATRICE e RETTIFICATRICE del TIPO UMANO delle due nazioni.» (Romanità Germanicità e la Luce del Nord, in l’Arco e la Clava, p. 146.)

 

«Per quanto riguarda l’Italia, il punto principale di partenza era l’esigenza della formazione graduale, dalla sostanza del popolo di tale nazione, di un tipo superiore che in certa misura rappresentava la riemergenza, dopo un intervallo secolare, di una sua componente fondamentale, di quella romana o, più precisamente, “ario-romana” [...] così appariva evidente che, nel presupposto di una vera aspirazione a rettificare ed elevare il tipo italiano, eventualmente ad “ortopedizzarlo”, tutti i contatti fra il popolo italiano e quello tedesco non avrebbero portato a snaturamenti o a deformazioni del primo...» (Ibid.)

 

Julius Evola, quindi, come emerge non solo dagli scritti risalenti al ventennio fascista ma anche dagli ultimi suoi scritti pubblicati pochi anni prima della sua morte, ha considerato fascismo e nazismo un «brodo colturale» che poteva dare al suo pensiero quel nutrimento necessario affinché il seme che aveva tentato di piantare si schiudesse e la mala pianta dell’odio razziale crescesse e fruttificasse e, a mio avviso, ha colto l’essenza del nazismo e l’ha trasfusa nella sua opera.  Nel suo modo di vedere, fascismo e nazismo combattevano una battaglia in cui loro erano i figli della luce e le forze alleate erano invece le armate delle tenebre.

 

Evola è estremamente brutale quando parla di predominio della razza bianca e di inferiorità della razza negra. Verso la razza negra, poi, nutriva un odio viscerale, odio che arriva fino a mostrare un singolare disgusto verso il successo di Ella Fitzgerald nella sua tournée italiana.

 

Scrive in l’Arco e la clava nell’articolo America negrizzata, p. 32:

 

«Il mettersi al passo riguarda anche l’“integrazionismo” sociale e culturale negro che si sta diffondendo nella stessa Europa e che perfino in Italia viene propiziato con una azione subdola specie mediante film importati (dove negri e bianchi appaiono frammischiati nelle funzioni sociali in figura di giudici, poliziotti, avvocati, ecc.) e la televisione, in spettacoli con ballerine e cantanti negre messe insieme alle bianche, a che il gran pubblico si assuefaccia a poco a poco alla promiscuità e perda ogni resto di naturale sensibilità di razza e ogni senso di distanza. Il fanatismo che ha suscitato quella massa informe ed urlante di carne che è la negra Ella Fitzgerald in sue esibizioni in Italia è un fenomeno tanto triste quanto indicativo.»

 

 Scrive sempre in questo articolo:

 

«Or non è molto si è appreso dai giornali che, secondo alcuni calcoli fatti, entro il 1970 la metà della popolazione nuovayorkese di Manhattan sarà di razza negra [...] Si assiste ad una negrizzazione, ad un meticciamento e ad un regresso della razza bianca di fronte a razze inferiori più prolifiche.» (L’Arco e la Clava, ed. Vanni Sheiwiller, p. 26.)

 

E continua criticando i democratici integrazionisti:

 

«... costoro non si rendono conto dell’estensione del fenomeno, nel senso che essi di tale fenomeno scorgono solamente gli aspetti più materiali e tangibili; essi non vedono in che misura l’America è “negrizzata” in termini non pure demografico-razziali ma soprattutto di civiltà, di comportamento, di gusti, quindi anche quando non esistono vere e proprie commistioni di sangue negro.» (Ibid.)

 

Scrive invece su Filosofia, Etica e Mistica del Razzismo:

 

 «Come spesso abbiamo notato, gli Ebrei sono caratterizzati dalla loro prontezza ad innestarsi in correnti procedenti su direzioni dubbie o già degenerescenti, per far sì che, per opera dei loro contributi, il tutto conduca ad un esito senz’altro distruttivo e contaminatore...» (p. 17.)

 

Scrive su un altro articolo:

 

«Se l’ebreo ci indicherà dunque il pericolo che è da combattere  d’urgenza, in pari tempo ci indicherà dunque anche la direzione in cui è avvenuta una deviazione incipiente dell’anima aria, da eliminare con una azione interna, con una “rettificazione” che preverrà nuove cadute e immunizzerà dal virus.» (Gli ebrei e la matematica in Difesa della Razza, anno III n. 8 del 20/2/1940.)

 

Le parole di Evola, credo, sono sufficientemente chiare in sé. Eppure c’è chi nega con veemenza che Evola sia un razzista e un antisemita, e si indigna quando lo si ricorda.

 

Scriveva nel 1938:

 

«Vogliamo ora trattare in egual modo un altro argomento, che per parecchi, svegliatisi antisemiti dall’oggi al domani, può ben dirsi “di moda”, ma che non è precisamente tale per noi, avendolo già da anni fatto oggetto dei nostri studi – intendiamo dire il problema ebraico.» (Inquadramento del problema ebraico, in Bibliografia Fascista, agosto-settembre 1939, p. 717.)

 

 La cosa più grave nell’opera antisemita di Evola è, a mio avviso, comunque, il suo prestarsi a dare una giustificazione sostanziale ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, di cui ci si occuperà nel prosieguo.

 

Può non aver ucciso materialmente o può non aver materialmente deportato un ebreo ma ha, con zelo ed entusiasmo, fatto la sua parte nel dare una cornice dottrinale e fomentare il clima di odio che ha avuto l’esito drammatico che tutti conosciamo. Vorrei a questo proposito sottolineare un punto della citazione precedente:

 

«… deviazione incipiente dell’anima aria, da eliminare con una azione interna, con una “rettificazione” che preverrà nuove cadute e immunizzerà dal virus.»  

 

Non si può separare Evola dal feroce, aspro e spietato razzista, l’esoterista dall’ammiratore di Hitler, che reputava un canale attraverso cui si esprimeva una energia trascendente, tradizionale, e dall’estimatore delle SS e del Nazismo.

 

Benché si tenti di sdoganare un Evola, edulcorato ed annacquato, in contrasto con il regime, i suoi scritti dimostrano un grande entusiasmo verso fascismo e nazismo. Egli non è affatto, come si tenta di accreditarlo, un loro avversario, ma un sostenitore militante che vuole che questi estremismi politici siano ancora più radicali. 

 

Scrive Evola nel 1941 in Difesa della Razza:

«Bisogna oggi rendersi di un punto. Italia e Germania si trovano ormai congiunte in uno stesso destino. Unite nel combattimento contro i comuni avversari, domani, dopo la vittoria, lo saranno nell’opera di ricostruzione di un nuovo ordine europeo e di una nuova civiltà, ma una delle premesse più importanti per quest’azione ricostruttiva sarà costituita dalla dottrina della razza. [...] che cosa ha fatto finora il razzismo italiano? [...] Non vogliamo svalutare quanto è stato tentato e anche raggiunto in ordine ai problemi più urgenti, soprattutto nel campo pratico. Ma se oggi si avverte già una differenza di fronte allo stato di beata innocenza che, nel riguardo, era generale in Italia, in modo altrettanto distintivo si avvertono i problemi, che ancora non sono stati nemmeno sfiorati.» (Filosofia, etica e mistica del razzismo.)

 Tenendo conto che l’Introduzione ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion di Evola risale al 1926 e che gli articoli in l’Arco e la Clava sono degli anni ’70, si può concludere che Evola ha fatto professione di razzismo per oltre 44 anni e, negli anni del fascismo, ha fatto propaganda non con mezzi di nicchia, ma su strumenti di regime la cui diffusione era obbligatoria, per quanto riguarda Difesa della Razza addirittura nelle scuole primarie...

Chi afferma che Evola era in dissenso sul fascismo proprio riguardo al problema ebraico e razziale non legge con attenzione Evola; invece di rilevare la malvagità banalmente brutale di quel che dice, si lascia affascinare dalla lussureggiante rete di citazioni e in essa si smarrisce. È paralizzato nel giudizio dalle miriadi di fatterelli con cui condisce i suoi scritti e si lascia sfuggire le banalità che sono il succo di quel che dice: che i negri sono una razza inferiore da tenere segregata, che il bianco si è lasciato contaminare dalla cultura negroide, che gli ebrei sono un virus da cui occorre immunizzarsi, che le donne, non dimentichiamolo, sono spiritualmente inferiori e subordinate all’uomo, alla donna non è dato il conseguimento spirituale, per sua intrinseca costituzione…, che i nobili in virtù del loro sangue blu sono sapienti anche se non sanno leggere e scrivere, che la nobiltà gode di una iniziazione potenziale grazie al suo sangue blu.

 

Non si può equivocare sull’impronta profondamente razzista delle dottrine evoliane. Il negare da parte di estimatori del pensiero di Evola questo aspetto è segno di una profonda incomprensione o di superficialità nella conoscenza del pensiero evoliano. Oppure è il segno di una vergogna... Negare diviene un modo per «rimuovere» il segno di un aspetto deviante e imbarazzante del suo sistema. 

 

 

TRADIZIONE E ANTITRADIZIONE

 

 

Il modo con cui tutta l’esistenza di un popolo può reggersi su una menzogna

eterna, è posto mirabilmente in chiaro dai Protocolli dei Savi Anziani

di Sion, che gli ebrei perseguitano col loro odio più profondo. «Essi

si fondano su una falsificazione» lamenta la Gazzetta di Francoforte,

ed in ciò sta la migliore prova che son Veri. Ciò che molti ebrei saprebbero

fare inconsciamente, è qui consapevolmente dichiarato. Ed è quel

 che importa. Non importa invece sapere da quale cranio giudaico siano

 uscite tali rivelazioni; è essenziale però il fatto che essi scoprano con

 orrenda sicurezza la natura e l’attività del popolo ebraico, e li espongano nei loro

 rapporti intimi e nei loro scopi finali. La migliore critica è fatta naturalmente dalla realtà.

 Colui che esamini lo sviluppo storico degli ultimi cento anni, alla luce di questo libro, capirà

subito la ragione delle alte grida levate dalla stampa giudaica. Quando questo libro diverrà

 breviario di tutto il popolo, il pericolo ebraico potrà essere considerato scomparso.

 

Adolf Hitler, Mein Kampf

(citato nella edizione dei

Protocolli dei savi anziani  di Sion

editi nel 1938 dalla Vita Italiana)

 

 L’importanza del documento che la Vita italiana ora ristampa,

saprebbe difficilmente venire esagerata. Esso ha, come pochi altri,

 il valore di uno «stimolante» spirituale rivelando orizzonti insospettati

e attirando l’attenzione su problemi fondamentali e di conoscenza,

 che soprattutto in queste ore decisive della storia occidentale

non possono essere trascurati o rimandati senza pregiudicare gravemente

il fronte di coloro che lottano in nome dello spirito, della tradizione, della civiltà vera.

 

Julius Evola, Roma, settembre 1937

 

(Introduzione ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion,

 edito dalla Vita Italiana nel 1938, p. 10.)

 

 

Mi pare di aver dato sufficienti citazioni dagli scritti di Evola che smentiscono palesemente, come si evince dalle sue stesse parole, chi vuole accreditare Evola come un avversario del razzismo e dell’antisemitismo. Occorre dire che, addirittura, nella sua visione della razza il non essere interiormente convinti della bontà dell’ideologia razzista è sicuro indice di una inferiorità spirituale, di una devianza dalla super razza che rende inutili, pericolosi, contaminanti e quindi da scartare anche se in «regola» con l’hardware biologico dal punto di vista dell’essere ariano.

 

«Le reazioni dell’uno o dell’altra persona di fronte all’idea razzista sono una specie di barometro che ci rivela la quantità di razza presente nella persona in discorso: dir sì o no al razzismo  non è – come molti ritengono – un divario intellettuale, non è cosa soggettiva ed arbitraria. Dice di sì al razzismo colui nel quale la razza interna ancor vive; si oppone invece ad esso e cerca in ogni campo degli alibi che giustificano la sua avversione e che discreditano il razzismo, colui che è stato interiormente vinto dall’anti-razza.» (Filosofia, Etica e Mistica del Razzismo, in Difesa della Razza, pubblicato a puntate sui nn. 12, 13, 20 e 22 del 1941.)

 

A questo punto mi pare doveroso dire che  reputo il razzismo una «devianza» che possiede una forte componente criminogena. Tale ordine di idee ha una grande potenzialità criminogenetica di tipo contestuale, cioè l’acting out che si concretizza nella violazione dei diritti civili: diritto al voto, all’istruzione, alla cittadinanza, alla fruizione dei servizi statali o di concorrere a posti nell’amministrazione statale; in reati contro la persona: percosse, lesioni gravi e gravissime, violenza sessuale, omicidio, omicidio plurimo, strage; reati contro il patrimonio: incendi, saccheggi, furto, impossessamento di proprietà;  delitti contro l’umanità: apartheid, pulizia etnica, genocidio, ha bisogno di un contesto sociale per esprimersi. Un contesto sociale che disapprova e punisce il razzismo e l’antisemitismo riduce la possibilità dell’acting out razzista ed antisemita. Un razzista può anche non porre in essere violenze determinate quando è in un contesto che riprova l’esplicarsi delle manifestazioni pratiche del suo credo, ma in un contesto opportuno la carica criminogenetica del suo pensiero tende ad esplicarsi. L’antisemitismo è una specializzazione di questa devianza criminale che ha per oggetto i membri della razza ebraica. Una specializzazione che ha oltrepassato ogni limite, in quanto è arrivato a considerare ogni singolo ebreo – sia esso uomo, donna, bambino o vecchio – un attivo membro di un «complotto internazionale» e quindi ha portato a considerare il singolo un nemico per il solo fatto di essere ebreo. Su questo punto, come i due brani giustapposti all’inizio di questo paragrafo dimostrano, fra Adolf Hitler e Julius Evola c’è una sostanziale identità di vedute.

 

Per comprendere il pensiero di Evola occorre aver chiaro che egli postula una Tradizione Primordiale. In un lontanissimo passato, un passato che sconfina nella dimensione mitica, è esistita una razza portatrice di una civiltà Tradizionale, una civiltà permeata da un punto di vista superindividuale e non umano.  Da questa dimensione  mitica, attraverso una caduta progressiva, si giunge alla civiltà moderna. Esiste quindi, nel pensiero di Evola, una sorta di dualismo fra la civiltà Tradizionale e la civiltà moderna, una antitesi. 

 

 Questa civiltà Tradizionale, questa razza originaria, portatrice di una Forza, superindividuale e non umana, a un certo punto si può riscontrare nella razza ariana oppure, come si preferisce attualmente dire, indoeuropea ovvero, come in Germania tuttora si dice, indogermanica. Il sangue ariano porterebbe quindi le registrazioni degli effetti di questa antica razza ed è veicolo privilegiato attraverso cui la Tradizione si esprime. 

 

Così come esiste questa Forza superindividuale e non umana che vien chiamata Tradizione, che agisce tramite il sangue ario e che tende ad attualizzarsi secondo forme di civiltà tradizionali, esistono delle forze occulte che contrastano la Tradizione, intesa nell’accezione evoliana, e lo sfaldamento della civiltà tradizionale si accompagna a un progressivo affermarsi di civiltà antitradizionali. Segni, indici di questo sfaldamento sono l’affermarsi della democrazia, del liberismo, del comunismo,  della scienza moderna come la fisica relativistica, la fisica quantistica, la psicologia di Freud, quella  del profondo di Jung, senza dimenticare l’Umanesimo, la Riforma, il cartesianismo, il femminismo, l’ecumenismo, il pacifismo, l’integrazionismo, il riconoscimento della pari dignità di tutti gli uomini di fronte alla legge, ecc. 

 

Nello scontro di questo dualismo Tradizione-antitradizione, l’ebreo è visto come il portatore, il veicolo, ad un certo punto della storia, di queste tendenze «disgreganti e pervertitrici». 

 

Scrive nella sua Introduzione ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, p. 29:

 

«Nel riguardo del quale non vogliamo pensare ad un vero e proprio piano, anzi nemmeno a una precisa intenzione da parte dei singoli autori: è la “razza”, è un istinto che qui agisce: come è nella natura del fuoco il bruciare: ciò non impedisce, che tutta questa azione sparsa ed inconscia vada perfettamente incontro a quella occulta, oculata e unitaria delle forze oscure del sovvertimento mondiale. Già nei riguardi dell’Internazionale ebraica, per riconoscere l’esistenza, non è dunque necessario ammettere che tutti gli ebrei siano diretti da una vera organizzazione e che tutta la loro azione obbedisca consapevolmente ad un piano. Il collegamento avviene in gran parte automaticamente, in funzione di essenza. Una volta veduto chiaro in ciò, un altro aspetto della veridicità dei Protocolli resta senz’altro confermato.» Poi, a pagina 31 degli stessi: «E in nessun caso siamo disposti a pronunciare delle assoluzioni.»  I Savi Anziani di Sion, quindi, son visti come i rappresentanti di una gerarchia controiniziatica, antitradizionale, rappresentanti delle Forze del Male, che coscientemente ordiscono una congiura per soppiantare la civiltà tradizionale e tutti gli ebrei, anche quelli che non fanno parte consciamente del complotto, come pedine, strumenti, di una intellighenzia occulta tesa ad impadronirsi del mondo. Nel loro tentativo di conquistare il governo del mondo, i Saggi si servono degli ebrei che in ogni campo – politico, scientifico, letterario, artistico, religioso –  seminano disordine e caos e inquinano, con la  democrazia ebraica, il liberismo ebraico, il capitalismo ebraico, la scienza ebraica  l’anima aria, rendendo vana l’eredità  che gli ariani posseggono nel sangue.

 

Di fronte a questo nemico, di fronte all’azione disgregante e distruttrice, Evola ha visto, nell’Italia fascista e nella Germania nazista, una congiuntura storica, un’opportunità per invertire la tendenza di creare cioè un fronte Tradizionale che potesse porre in essere un’azione riformatrice. Dunque Evola vede nell’«Internazionale ebraica» un nemico a cui opporre l’Internazionale tradizionale :

 

«Questa è ormai l’ora […] per la formazione di un fronte dell’Internazionale tradizionale e procedano su questa via tanto, che nell’ora del “conflitto, di cui il mondo non ha ancora visto l’eguale” le trovi raccolte in un unico blocco ferrato, infrangibile, irresistibile.» (Protocolli, 1938, p. 32.)

 

 Insomma nel fascismo e nel nazismo Evola ha visto i campioni della Tradizione e si è posto al loro servizio, nell’ebreo invece vedeva l’antitradizione e ha fatto la sua parte, senza peli sulla lingua, per far sì che si estirpasse il giudeo che infettava l’anima ariana.

 

Quindi, il supposto contrasto fra Evola e il fascismo sussisteva perché quest’ultimo era troppo morbido, laddove Evola incitava affinché si radicasse un fascismo ancora più estremo ed aggressivo e, come dice in Sintesi della Dottrina della Razza, affinché il PNF (Partito Nazionale Fascista) si avviasse a diventare come le SS un ordine mistico-guerriero in cui formare, rectus iniziare, i membri ariani-fascisti ad essere una élite dominatrice spiritualmente e biologicamente pura.

 

Per quanto, in questa chiave allargata fra il pensiero di Evola e quello dei solerti carnefici di Hitler, alla fine, dal punto di vista pratico, come lui stesso nella sua Introduzione ai Protocolli afferma, c’è identità di vedute.

 

Ben scrive Saverio Ferrara in Un asceta assai poco spirituale”: «Il razzismo non fu in Evola una breve parentesi, chiusasi con il 1945, né i contenuti espressi meno criminali di quelli nazisti. Cassata dimostra ampiamente come il “barone nero” si fece portatore di una teoria che egli stesso definì “totalitaria”, incentrata su tre livelli (razzismo del corpo, dell’anima e dello spirito), “ben più rigorosa e discriminante” di quella in auge nel Terzo Reich, non limitando l’indagine razziale unicamente ai corpi. Ad ogni salto di grado corrispondeva infatti un ulteriore giro di vite nella selezione razziale del genere umano. “Il razzismo evoliano” – sintetizza bene l’autore – “non è affatto, come vorrebbe De Felice, un razzismo per così dire dal ‘volto umano’: esso non esclude il razzismo biologico, ma lo potenzia.».

 

A riprova della bontà dell’intuizione del Ferrara, basta leggere quello che scrive Evola nell’articolo Inquadramento del problema ebraico:

 

«Si potrà dunque mettere al bando un romanzo, un dramma, un film, un sistema ideologico e così via quando ci si accorge che l’autore è di razza ebraica – e ciò, malgrado qualche inevitabile parzialità, sarà bene. Ma che si potrà fare quando si tratta dell’ebraismo non più individuabile per mezzo della razza fisica, dell’ebraismo divenuto, per infezione e involuzione, stile mentale e modo di sentire e di procedere di uomini di “razza ariana”? Considerando questo problema, vediamo che le nostre considerazioni ci troviamo ricondotti all’idea da noi esposta a tutta prima, vale a dire la necessità di integrare le considerazioni proprie ad un razzismo di “primo grado”, cioè soltanto biologico, con considerazioni di un razzismo di secondo e terzo grado, che individua e discerne la razza dell’anima e, poi, la razza dello spirito: nel parlare, oggi, di “Ebrei onorari” e di “bolscevismo culturale”, ci si è già avviati verso quest’ordine di idee, verso questo razzismo d’ordine superiore.» (Bibliografia Fascista, agosto-settembre 1939, pp. 726-727.)

 

Il razzista non ha bisogno, nel fare le sue affermazioni, di alcun riscontro oggettivo. L’opera principale di Evola è Rivolta contro il mondo moderno, tradotta in tedesco e pubblicata in Germania nel 1935. Il libro ebbe grande successo nella Germania nazista anche se non scalfì minimamente il prestigio del Mito del XX secolo dell’ideologo dell’NSDAP Rosemberg che, come ha occasione di constatare con una certa amarezza Evola, faceva testo. Rivolta contro il mondo moderno ha un duplice impianto, la prima parte del libro è dedicata al mondo della Tradizione, nell’accezione data da Evola, cioè quella di una civiltà... e in effetti traccia il profilo ideale degli istituti della civiltà tradizionale con un processo induttivo basato sulla comparazione di una vasta messe di materiale proveniente dall’ambito della storia e dalla mitologia, che egli interpreta secondo i suoi desideri totalitari e antidemocratici; la seconda parte, Genesi del mondo moderno, mostra il declino della Civiltà Tradizionale dai suoi albori o età dell’oro fino al mondo moderno. Non si tratta di un’opera, però, che si basa su criteri di tipo scientifico e storico,  lo storicismo, il positivismo appartengono al mondo della sovversione, dell’antitradizione. Inoltre quello che interessa a Julius Evola non è il «fatto storico» ma l’intreccio delle forze che si celano dietro i fatti... Insomma non bisogna confondere le sue interpretazioni di alcuni fatti che possono essere probanti della sua visione già predeterminata, già esistente a priori, con il reale andamento del flusso degli eventi. 

 

 Se si prendono sul serio, cosa che è contrario alla mia formazione, le teorie fantapolitiche del Barone nero, occorre dire che il Nazismo non è un fatto isolato ma, come dice Evola, è l’esplicarsi nella Germania del ventesimo secolo di un modo di essere della razza ariana... Lo sterminio della popolazione ebraica non è che un piccolo episodio di una serie, sconfinata, di genocidi posti in essere dalla razza ariana. Potremmo dire che il primo genocidio perpetrato dalla razza ariana di cui abbiamo notizia è la scomparsa dell’uomo di Neanderthal. A un certo punto si nota che i siti e le zone in cui era stanziato l’uomo di Neanderthal mostrano i segni di un suo soppiantamento da parte di gente ariana. Considerazioni del genere vengono portate avanti dal Prof. Uthaya Naidu nel suo libro The Bible of Aryan Invasion ovvero Aryan Invasion & Genocide of Negroes, Semites & Mongolos in cui è detto: «Questo libro dimostra che l’invasione ariana fu la più grande catastrofe che ha afflitto il subcontinente indiano». L’autore del libro, reperibile all’indirizzo dalistan.org,  individua una serie di comportamenti tipici, razziali, degli Ariani che portano inesorabilmente alla strage, all’olocausto delle biodiversità. 

 

 Si può rilevare quindi che gli Ariani nel loro processo migratorio, da una non ben conosciuta origine, a un certo punto della storia hanno invaso il subcontinente indiano, l’Europa  e il bacino del Mediterraneo e hanno incontrato, lungo il loro cammino, civiltà stanziali di tipo mediterraneo, evolute e civili, e come questa orda di nomadi barbari abbia spazzato via le etnie che insistevano sul territorio che attraversavano. Questa tendenza si può notare anche nei tempi moderni con l’olocausto delle popolazioni indigene dell’Africa e delle Americhe a causa del processo immigratorio di popolazioni europee nel vecchio e nuovo mondo. Ovunque la razza ariana sia arrivata, ha soppiantato le preesistenti etnie massacrandole, derubandole delle loro risorse e riducendole in schiavitù instaurando forme di apartheid e regimi di tutela delle caste sociali. 

 

Il punto quindi non è tanto, come qualcuno dice, quale ideologia politica abbia provocato più  stragi, se il nazismo, il comunismo o le democrazie... Potremmo dire che lì dove l’Ario arriva lì, per il non ariano, inizia il massacro e la schiavitù. È insita nella razza ariana la tendenza al genocidio delle biodiversità umane, animali e ambientali. 

 

Fra i macellai dell’umanità quindi l’ariano ha sicuramente il primato dello sterminatore più efficiente per numero e qualità delle vittime. La civiltà ariana è la storia di un massacro sconfinato, di una continua distruzione delle biodiversità.

 

 Per Evola questo massacro di proporzioni immani diventa motivo di orgoglio e vanto, e scrive:

 

«Allo stato attuale della civiltà dell’Occidente, il problema della genesi, dei fondamenti e del futuro dell’egemonia mondiale della razza bianca è, certo, uno dei più importanti e appassionanti, oltreché tale da offrire, oggi, per l’Italia, motivi di un interesse anche speciale.» (Il Problema della Supremazia della Razza bianca.)

 

Se ciò è stato possibile è perché la razza bianca ha un quid particolare. Scrive:

 

«Noi teniamo per fermo che non si può veramente garantire il primato e il diritto di una razza al dominio assoluto, quando non si abbia per premessa una sua effettiva superiorità spirituale.» (Ibid.)

 

Superiorità spirituale che vien meno per l’affermarsi di valori quali la tolleranza e l’integrazione razziale che trovano tutela nelle moderne democrazie.

 

 

LA TRADIZIONE

 

Cosa intende, in realtà, Evola per Tradizione? Dire che la «libertà di pensiero»,  il «liberalismo», l’«egualitarismo», l’«illuminismo», la «scienza moderna» sono focolai di pervertimento della civiltà e che Tradizione, viceversa, significa casta, aristocrazia (proprio nel senso di sangue blu), gerarchia e l’Impero il simbolo terreno di essa (vedi Rivolta contro il mondo moderno, 1984, p. 22.), si può solo se per Tradizione  intendiamo una civiltà e non un Principio atemporale spirituale. E si possono fare queste affermazioni solo se, dal dominio della Tradizione, escludiamo il Cristianesimo innanzitutto, l’Ebraismo e la Qabbalah, il Vedanta Advaita, il Buddismo, il Jainismo, il Tantrismo e tutte le forme di religiosità, scuole iniziatiche e maestri dello Spirito che dicono che lo Spirito è come il Vento che soffia sui buoni, sui cattivi, sugli ebrei, sui neri e sui bianchi.

 

  Cerchiamo di capire bene questo punto... Scrive Nirgunacharia:

 

 «L’universo è la totalità dell’espressione, manifesta e non manifesta, dell’Ente; ogni essere è un momento coscienziale dell’Essere e, nell’ignoranza (avidya), nell’intuizione o nella consapevolezza (Vidya) di Quello, si esprime in modo adeguato al proprio stato di coscienza. Tale espressione, nell’infinita varietà di essa propria, è indicata dal termine vita; perciò ogni essere, al di là della grezza e superficiale suddivisione (pseudoscientifica) della natura nei tre «regni», ha il potere unico ed ineffabile della vita, è una modalità-singolarità della vita ed è sinteticamente, la vita stessa.» (Ascensione e trasfigurazione, Vidya, gennaio 1985.)

 

Quando parliamo di Tradizione dobbiamo aver ben chiaro che il senso del termine non è univoco. C’è un tradizionalismo acosmico che vede la Tradizione come la vita che permea l’albero della manifestazione e le diverse tradizioni religiose o scuole iniziatiche come i rami e le foglie che dal tronco si dipartono. Nella Vita cosmica l’albero ha un suo ciclo e i rami e le foglie hanno pure i loro cicli. La vita formale, esteriore, è mutamento inarrestabile, divenire, samsara, ma la linfa che scorre nell’albero, la vita, è la medesima per tutti. «Il Padre è in me, io sono nel Padre, io sono in voi e voi in me» dice Cristo, «occorre vedere ogni essere in se stesso e se stesso in tutti gli esseri» dice la Ghita.

 

Vi è un tradizionalismo, invece, di destra, di destra perché è propugnato da gente che nel fascismo e nel nazismo vede, quanto meno, un veicolo della tradizione, e tale comunque è stato definito da Evola, che per tradizione intende non la vita che permea l’Albero cosmico, l’Ashvatta, quell’albero cosmico che ha le sue radici non sulla terra ma nel cielo, ma proprio una particolare morfologia di civiltà, che fra le altre cose, non è mai esistita, che è un pio desiderio dei suoi propugnatori.

  

Occorre dire che benché si fantastichi di principi superiori che informano la civiltà tradizionale, poi le cose che si dicono vertono sempre su concetti esteriori, concreti, quali la razza, le forme di governo, la gerarchia, la casta. Occorre dire che il tradizionalismo di destra vuole imporre all’albero della vita un battuta d’arresto, vorrebbe cristallizzare la sua esuberante vitalità, che si esprime in un sempre incessante cangiamento nella forma esteriore pervasa da una medesima essenza spirituale, di un medesimo sostrato, in una specifica morfologia esteriore.

 

 Il punto di vista del tradizionalismo di destra è, tutto sommato, quello profano basato sull’esteriorità delle cose. Questa è la chiave di lettura di Evola, del dualismo che propugna, di questa opposizione fra «civiltà tradizionale», cioè un Impero in cui il monarca è tale per diritto divino, un Impero organizzato secondo un sistema gerarchico di caste che consente ai patrizi di restare attaccati, in via ereditaria e razziale, ai propri privilegi in virtù di un cieco obbedire del magma amorfo e privo di direzione della ignorante massa, massa che il patrizio, l’aristocratico, vuole possedere nel corpo e nell’anima,  e il «mondo moderno» che ne è la sua contraddizione e della rivolta contro il «mondo moderno» e le sue perversioni. Il tradizionalismo di destra rifiuta cioè di accettare l’esuberante vitalità del cosmo che sempre lascia intravedere la medesima vita in nuove forme. Si tratta del punto di vista di chi vorrebbe arrestare, cristallizzare il fluire del divenire e non accetta che la medesima vita scorra anche nell’altro e che le differenze appartengano al mondo del divenire. Il Tradizionalista acosmico riconosce la propria reale natura come la vita  che scorre nell’Albero cosmico, respira al ritmo della vita universa, per lui la Tradizione è viva e vivente, è presente in ogni singolo istante della sua vita, la Tradizione per lui è sempre attuale perché la Tradizione non è una civiltà ma la Vita stessa quale momento coscienzale di Quello del Brahman, per dirla nei termini dell’Advaita Vedanta. 

 

 Comunque, anche se tutto il sistema evoliano è degno di una critica e bocciatura severa dal parte del ricercatore spirituale, a questo punto, mi pare di aver evidenziato sufficientemente che il pensiero di Evola ha pochi tratti in comune con la ricerca del Sé ed è piuttosto il desiderio dell’attualizzazione di un Regnum, di un imperialismo pagano di diritto divino che dal punto di vista morfologico, così come è stato scritto anche da Evola, non è mai esistito. In fondo, la morfologia della civiltà tradizionale descritta nella prima parte di Rivolta contro il mondo moderno rappresenta un modello sincretico di aspetti di diverse civiltà assai lontane nello spazio-tempo che erano graditi a Evola. Ciò che non rientrava nei desideri di Evola è stato detto essere frutto di decadimento e pervertimento dell’ordine tradizionale. 

 

 Il rifarsi al piano dei principi e il considerare la «libertà di pensiero», ricordiamoci che non essere razzisti per Evola è il segno di una «caduta» dell’anima,  una forza di pervertimento della vera civiltà tradizionale e ariana, pone la «politica» evoliana su un piano di non contraddizione. A differenza del mondo Tradizionale di tipo acosmico, come quello espresso dal Vedanta Advaita,  in cui ogni punto di vista, nell’ignoranza o nella conoscenza di Quello, che è il sostrato del reale relativo, è visto come un possibile punto di vista e perciò valido da quella specifica angolazione visuale e comunque ogni punto di vista, alla fine, poi deve cedere di fronte all’indescrivibile, adimensionale Acosmico, il tradizionalismo di destra assolutizza il proprio punto di vista, assolutizza un punto di vista  relativo, un punto di vista dualistico. Assolutizza il suo punto di vista al punto che vuole dare una battuta d’arresto al fluire della vita cosmica, cristallizzando il divenire in una specifica morfologia di civiltà che soddisfa la sua sete di dominio sull’altro. 

 

 

LA RESTAURAZIONE DELLA TRADIZIONE

   

Come Evola vuole restaurare la Tradizione? Scrive in Sintesi della Dottrina della Razza:

 

«Se un destino di millenni ha condotto l’Occidente a situazioni nelle quali sarebbe difficile trovare ancora qualcosa di veramente puro, intatto, differenziato e tradizionale, determinare di nuovo fermi limiti, con ogni mezzo, anche con i più aspri, è un’opera, i cui effetti benefici forse a tutta prima potranno non essere sensibili, ma che tuttavia non potranno mancare nelle generazioni seguenti, per effetto delle vie segrete congiungenti il visibile con l’invisibile e il mondo col supermondo.»  

 

Cosa deve intendersi con «con ogni mezzo, anche con i più aspri»? La segregazione razziale, innanzitutto, non solo nei confronti della razza nera che rispetto alla razza bianca è razza inferiore e contaminante non solo dal punto di vista biologico ma anche psichico... Secondo Evola si può quindi «essere in ordine» dal punto di vista biologico ma essere lo stesso negrizzati, quindi inferiori e traditori della razza bianca, nell’animo, essere infetti dall’influsso ebraico che per lui è un «virus» da sterilizzare. Poi l’indottrinamento razziale fin dalla più tenera età... Le leggi razziali del ’38 con cui si è decretata la morte civile di tutti gli ebrei del regno italiano sono per lui «provvedimenti contingenti ed urgenti necessari per dare un segno di inizio, ma molto lontani da ciò che dovrebbe essere fatto se si vuole affrontare la questione razziale con rigore e serietà»... Secondo il mio modesto avviso l’Olocausto rientra in quel «con ogni mezzo, anche i più aspri». Per disattivare l’epidemia di un «virus» infettivo occorre non solo una «medicina» atta a debellarlo, ma anche una seria profilassi e la sterilizzazione dei focolai di infezione.

 

Il razzismo evoliano ha la pretesa di essere fondato sullo «Spirito»... La vera differenza fra una razza dominatrice, uranica e guerriera e una razza tellurica e digregatrice di tutto ciò che è Tradizione, come gli ebrei, poggia dunque su una differenza Spirituale che si riflette sulla sfera della psiche e quella della materia... Gli uomini non hanno una medesima essenza spirituale. Ci sono diverse essenze spirituali.  Queste diverse essenze spirituali - qualsiasi cosa intenda Evola con tale termine, a mio avviso si tratta di un complesso psichico autonomo che appartiene alla sfera del prepersonale, un modo elegante per dire che è una devianza, una patologia dell’anima - danno luogo a diverse umanità. Una di queste umanità, lo si ripete, è la fonte della Tradizione intesa come élite spirituale guerriera e antidemocratica, élite che dominava per sua superiorità spirituale il magma della società ariana gerarchicamente ordinato e suddiviso in caste strettamente chiuse in cui l’endogamia era severamente prescritta e in cui la «seconda nascita», l’iniziazione, era propria della nobiltà guerriera e il conferirla a chi, per nascita, non apparteneva a tale élite era considerato da Evola un delitto. 

 

Si tratta, a mio avviso, di una armonica ancor più radicale del Nazismo. Non per nulla ha scritto che la sua visione della Tradizione aveva perso la sua opportunità di pratica attuazione quando le forze del caos, le armate delle tenebre, gli alleati, avevano sconfitto le gloriose armate del terzo Reich e del Duce, le forze della luce, i paladini della Tradizione, di cui le SS erano, tendenzialmente, l’élite costituitasi in ordine ascetico-guerriero che combatteva per la restaurazione del fronte ario-occidentale, il fronte della Tradizione.

 

Si tratta quindi di un pensiero politico che vorrebbe operare una frattura nell’unità inscindibile dello spirito. Evola ammette che le tesi del razzismo e dell’antisemitismo non hanno in sé sufficiente forza e ragioni per reggere la critica avversa. Per sottrarre tali devianze umane alle critiche le assolutizza, non riuscendo a trovare una base salda nel mondo della materia per dargli una giustificazione totalitaria, è costretto a rinunciare all’Uno, al Brahman, alla distesa infinita della pura coscienza, all’Infinito e postula una pluralità di sostanze spirituali, irrimediabilmente separate, isolate l’una dall’altra. Il pensiero di Evola è quindi avverso alla Non-dualità. Questo tentativo di dare al razzismo e all’antisemitismo una solida base è però destinato al fallimento perché dalla pluralità degli spiriti che informano i diversi tipi umani conferendo loro ben specifiche caratteristiche psicosomatiche non consegue direttamente la supremazia dell’Ario. È sempre l’Ariano che si ritiene superiore, che crede superiore il suo modello di civiltà.

 

L’Ario comunque, secondo Evola, stava riemergendo, il tentativo di selezionare la Razza superiore dalle  componenti ad essa avverse presenti nel popolo italico stava avendo successo, e infatti scrive:

 

  «Sta prendendo forma un nuovo tipo umano, riconoscibile non solo in sede di carattere e di attitudine interna, ma, negli elementi più giovani, già anche nel corpo. E questo tipo manifesta tratti estremamente affini all’antico tipo ario-romano, non di rado presso ad un netto distacco dal tipo dei loro genitori. È una razza – nuova ed antica ad un tempo – che ben si potrebbe chiamare razza dell’uomo fascista o razza dell’uomo di Mussolini.» (Sintesi della Dottrina della Razza, p. 170.)

 

Io aggiungerei, per dovere di logica, stava riemergendo anche nella «razza dell’uomo nazista o di Hitler»...

 

 

CONCLUSIONI

  

  Parlare di «destra tradizionale» è un conto, parlare di Tradizione è un altro. Le due cose non sono identificabili. La Tradizione è la radice da cui si spiega l’Ashvatta, ossia l’albero cosmico della manifestazione. Essa è la Vita che permea ogni aspetto della manifestazione polare e che, nel contempo, trascende il manifesto. In questa visione nessuna nota manifesta della sinfonia cosmica è orba della sua presenza, in quanto Essa è la Radice immanifesta del manifesto, la Vita della vita. Un angelo, un demone, un uomo di qualsiasi colore della pelle, di qualsiasi razza possa essere ha in comune questa indifferenziata, unica, radice esistenziale… Radice che possiamo chiamare Tradizione o Brahman nella scuola del Vedanta Advaita, Padre nel Cristianesimo oppure ancora Uno come fa Plotino... I nomi non hanno importanza, in quanto cambiano a seconda dei luoghi e delle epoche.

 

 Ogni religione ha un Cuore che è identico alla Tradizione, da quelle più «primitive» a quelle più evolute. Questo cuore è la radice pulsante e vibrante di una forma storicamente condizionata di religione e tendenzialmente essa dovrebbe tracciare una via che conduce a Quel cuore ascoso e misterioso.  Ma una religione si cala in un contesto storico, in una data società e si trova ad amministrare anche alcuni aspetti del sociale, alcuni aspetti del costume. Da qui le differenze fra le religioni. Una religione che dimentica Quel cuore si stacca dal Principio e può arrivare all’aberrazione di considerarsi l’Unica depositaria della Verità, l’Unica via.

 

 L’errore del «tradizionalismo di destra», l’errore che Evola  ha portato avanti, lasciandosi sedurre dal razzismo, dall’antisemitismo, dal nazismo e tentando di sedurre il  fascismo, va ben oltre una funesta assimilazione fra la Tradizione e la sua personale  inadeguatezza a comprendere il mondo moderno, ad accettare il mondo moderno, essendo rimasto attaccato a forme politico-sociali decrepite e in via di estinzione che voleva a tutti i costi preservare, e diviene un tradire questa universalità della Tradizione, il suo essere RADICE DEL MANIFESTO, il suo essere VITA DELLA VITA, per frantumarla in una pluralità di valori, in una pluralità di sostanze spirituali, e dare la supremazia a un insieme di valori spirituali che a un certo punto della storia si sono incarnati nella razza ariana.  

 

In tal modo, inoltre, questo valore-influsso che vien detto «spirituale», in concorrenza e guerra con gli altri valori che si esprimono tramite altre razze, diventa un qualcosa di vago e indeterminato che viene fatto coincidere con una data dottrina politica, una data modalità comportamentale, un dato insieme di norme giuridiche e di costume... Viene insomma degradato e posto al servizio di una data visione della società.

 

Si innesca in questo modo un meccanismo perverso... Il radicarsi della democrazia, della libertà di pensiero, del femminismo, del libero mercato, del liberismo vengono visti da questi paladini di una società aristocratica e autoritaria, che teneva in mano le redini del potere politico sociale, come una forza pervertritrice del loro modello ideale di vita che reputano di diritto divino.

 

C’è una incapacità di comprendere il fluire della vita, l’avvicendarsi delle stagioni, c’è il voler dare una battuta d’arresto al mutare della forma dell’ashvatta. C’è un rifiuto della natura essenziale dell’ashvatta perché si è attaccati morbosamente a un aspetto esteriore di un semplice ramo dell’ashvatta che si vorrebbe rimanesse immutabile. La vita è cangiamento di forma... Solo la Vita della vita è immutabile nei mutamenti.

 

L’insorgenza del comunismo, poi, fu vista come una ulteriore forza pervertitrice di questi valori sociali e forme di governo che si stavano sgretolando sotto i colpi delle nuove istanze sociali.

 

Esisteva già un certo antisemitismo cattolico che vedeva nell’ebraismo un pericoloso concorrente. Iniziò ben presto da parte della Chiesa cattolica una sorta di demonizzazione dell’ebreo, non in quanto ebreo, ma in quanto di religione ebraica, di mancato cristiano... Una presunzione tutta cattolica che si espresse anche nell’Ottocento nelle pagine della Civiltà Cattolica, organo di stampa dei Gesuiti, attraverso le farneticazioni del cardinale Oreglia, in cui si aveva la presunzione di affermare che, dopo Cristo, Israele avesse cessato la sua funzione e che la sua eredità spirituale fosse passata alla Chiesa. Gli ebrei venivano considerati insomma ostinatamente attaccati a una religione che aveva avuto il solo scopo di preparare l’avvento del Cristianesimo. L’ostilità verso gli ebrei cessava al loro convertirsi. 

A seguito degli eventi della Rivoluzione francese e alle vicende dell’unità d’Italia che portarono a un drastico ridursi del suo potere temporale e sociale, la Chiesa divenne ben presto antimassonica. Su tali basi più tardi si innestò anche l’anticomunismo.

 

Questi ingredienti vennero infine ereditati dai movimenti nazionalisti e conservatori che vedevano minacciato il loro modello di vita dall’insorgenza del comunismo, del liberismo e della democrazia.  Essendo gli ebrei privati dei diritti civili, che pure esistevano anche in quelle forme di società autoritarie, venne loro spontaneo appoggiare i movimenti democratici o socialisti che promettevano eguale dignità ai membri della società. In effetti, là dove la democrazia, anche nelle forme di monarchia costituzionale, arrivava, le limitazioni dei diritti civili degli ebrei venivano rimosse. Questa presenza trasversale del popolo ebraico nei movimenti democratici, nei movimenti socialisti e l’attitudine che gli ebrei avevano sviluppato, perché era loro vietato l’esercizio dei mestieri tradizionali, di percorrere nuove forme di lavoro e investimento portandoli ad essere in ogni campo degli innovatori,  condusse all’identificazione del popolo ebraico con chi reggeva le fila di queste forze antagoniste a tale modello di vita. Ma ciò fu possibile perché i componenti dell’intruglio pestifero e mortale - antisemitismo, anticomunismo, antidemocratismo - erano già stati preparati dalla Chiesa.

 

Questi ingredienti, poi, a seconda degli epigoni sono variamente miscelati... Le formulette del veleno son diverse, ma nel tradizionalismo di destra tutti questi aspetti si trovano sintetizzati nell’ebreo, l’intelligenza segreta, l’ideatore di un complotto, il ragno che tesse le fila della trappola. Evola non ha fatto che trasporre questo minestrone in una sfera di non contraddittorietà, ha vieppiù radicalizzato questa inadeguatezza ad accettare il mondo moderno. 

 

Di fronte al disagio sociale crescente e all’incapacità del vecchio modello sociale di far fronte al mutare delle esigenze sociali, invece di guardare alle proprie incapacità di governare una società in evoluzione, convinti che la bontà del proprio modello sociale fosse sancita da Dio stesso, si pensò che tutte queste istanze di rinnovamento fossero tentacoli diversi di un medesimo cervello organizzatore e sovvertitore: l’Ebreo. 

 

C’è una incapacità di ascoltare l’altro per quello che è. Si può non amare e combattere la democrazia, ma si può comprendere che chi la propugna risponde a un sentimento di giustizia ed egualitarismo sociale autentico. Si può non amare la massoneria e combatterla e non dire che essa è manovrata da ebrei. La pluralità delle concause che hanno portato allo sgretolamento di un certo assetto sociale, a cui si tentò di dare argine lasciando che l’autoritarismo si trasformasse in totalitarismo, venne ridotta ad un’unica causa. 

 

 Il punto è che di fronte alle molteplici istanze che son sorte nella società e che stanno sgretolando i nostri privilegi, il nostro modello di vita, è più facile attribuire la colpa a un nemico invisibile e occulto che vuole soppiantarci e che  è così potente da manovrare le istanze più diverse come il liberismo, il libero mercato, il Marxismo, la Massoneria, la Plutocrazia internazionale, la stampa internazionale, piuttosto che guardare al proprio corpo morente e vederlo in putrefazione, marcio e verminoso. Anche perché così è possibile combattere qualcosa, prendersela con qualcuno.

 

Quindi cose diversissime quali la Massoneria, la Democrazia, il Comunismo, il Socialismo, il femminismo, la scienza moderna, la psicoanalisi, il Capitalismo, la stampa internazionale  furono considerate invenzioni dell’Ebreo proteso alla conquista del mondo. Evola non ha fatto che dire che l’ebreo era solo la causa ultima, apparente, del disfacimento e proiettare il tutto in un supposto dualismo di civiltà, quella Tradizionale e quella antitradizionale.

 

Il tradizionalismo di destra è solo un movimento di conservatorismo politico sociale o rivoluzionario, nel senso di restaurazione di forme politico sociali che sono state incapaci di far fronte alle emergenti istanze sociali, e  l’antisemitismo, per le ragioni che ho sintetizzato, è sua parte strutturale.

 

Appare palese che di veramente iniziatico non c’è nulla nel tradizionalismo di destra, c’è piuttosto il tentativo di dare una giustificazione sub specie aeternitatis di una visione politico sociale.

 

La Tradizione può esprimersi nei più diversi contesti storico-sociali... Parlare di un tradizionalismo di destra è una contraddizione in termini. La Tradizione non è di destra né di sinistra, che sono i rami orizzontali della croce, il piano del divenire, ma insegna quel movimento verticale, il movimento di ritorno al centro di se stessi, che trascende le opposte polarità, i diversi schieramenti politici, le diverse religioni. Un amante della democrazia, un monarchico, un comunista, un fascista possono differire nelle loro risposte ai problemi della società, ma se in loro alberga l’anelito alla realizzazione spirituale e lo perseguono con autenticità, troveranno un fondo comune, una Radice di se stessi identica e su quella radice potranno comprendersi. Potranno anche trovarsi su opposte barricate a difendere una bandiera politica scambiandosi reciprocamente colpi di mitraglia e baionettate, ma non per questo cesseranno di riconoscere che ciò che stanno facendo riguarda l’aspetto esteriore dell’Ashvatta e non intacca l’unità essenziale della vita che li rende aspetti spaziali e determinati nella storia, semplici foglie dell’Ashvatta.

 


 

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