Gnosi Di Princeton
Una Sintesi Personale
D.P.E
(seconda parte)
Quelle che seguono sono solo alcune affrettate osservazioni-riflessione personali su questo particolare tipo di Gnosi; osservazioni che non impegnano nessuno al di fuori di me.
1
Moltissimi anni fa c’era un modo di dire, alquanto elementare e quindi eccessivamente semplificativo: “se i protoni avessero gli occhi non potrebbero distinguere i colori perché sono più piccoli delle onde luminose”.
Se dal punto di vista epistemologico la frase ora non ha più molto senso né empirico né teorico, da quello gnoseologico possiede un significato teoretico ben preciso, che si perpetua nel tempo, a designazione di un conoscere e quindi di un sapere per comprensione, cioè per aver “preso con (sé)”, avere inglobato.
Un po’ come quando in greco il profe ci insegnava che Oida, si traduce con “so”, a designazione di sapere per aver visto o, in traslazione, udito, quindi di un sapere per cognizione mediata.
Solitamente ciò che ingloba è formalmente più capiente di ciò che viene inglobato, cioè dal punto di vista fisico e sensoriale possiede una dimensione maggiore.
Essere consapevoli di un pensiero, costituisce un pensiero più vasto.
E lo stesso discorso vale per la consapevolezza della consapevolezza.
E’ come se attorno al nostro “fisico” si articolassero almeno tre involucri di pensiero: il pensiero in sé appena nato, il pensiero consapevole di aver quel pensiero, ed il pensiero che ci consente di poter esternare (o vivere) questa consapevolezza.
L’interessante è che sono simultanei e che se il primo lo possiamo definire squisitamente interno, gli altri due da dove derivano?
Credo che l’errore insito in questa mia domanda derivi dalle usuali categorie spazio-temporali che ci inducono a ricercare la distinzione tra esterno e interno, tra causa ed effetto e tra prima e poi.
Non siamo ancora abituati a considerare la nostra corporeità come una globalità che se dal punto di vista soggettvo-sensoriale ci presenta delle oggettive articolazioni che la differenziano in strutture e funzioni, dal punto di vista dell’essenza non ammette in lei distinzioni tra materia e spirito.
Probabilmente la domanda “chi trasmette?” si potrebbe tramutare dal punto di vista gnoseologico in “perché trasmette?” e dal punto di vista strutturale e funzionale “come fa?”.
2
Pare che se su uno schermo colorato, dall'interno avviene una proiezione dello stesso colore dello schermo e dall'esterno la stessa cosa, allora non distinguiamo più il trasmettitore dal ricevitore.
Allego una figura a mo' di modello nè matematico nè fisico, ma solo pittorico.
Proviamo a risponderti con le conoscenze scientifiche e filosofiche che possiamo avere a disposizione.
Interno.
Una visione di un “quid”, ovunque dall’interno sia partito, non ha senso se non viene appreso e poi compreso.
Ma questi due sono atti coscienziali.
La visione non coscienziale non è un atto partecipativo, è solo un fatto estemporaneo.
Qui, per visione intendiamo sia un’immagine figurativa, sia un ricordo ambientale o comportamentale suscitato ad esempio da una musica, da un profumo, da un film (da notare che è difficile esulare dall’esterno, infatti i nostri sensi sono in continuo movimento).
E’ il campo delle sensazioni, delle emozioni, dell’istintualità, della gioia di vivere o del dramma di sopravvivere, della volontà di potenza o di onnipotenza.
La coscientizzazione è un fare adattivo e logico; ma non per questo razionale, però certamente di ordinamento.
Esterno.
Il recepimento dall’esterno di noi, se coscientizzato, è sempre e comunque mediato da nostri filtri mentali (oserei dire ideologici) che regolano la trasmissione ai centri di conoscenza di ciò che è pervenuto ai nostri sensi (da notare che è difficile esulare dall’interno, infatti la nostra biochimica è in continuo movimento).
In altre parole la comprensione, di ciò che si origina al nostro interno ovvero di ciò che ci perviene dall’esterno, è continuamente mediata dalla nostra interfaccia mente-corpo, e vediamo o capiamo solo ciò che reputiamo (per nostra natura di singolarità, struttura di socialità e cultura) adatto al nostro equilibrio dinamico ed alla nostra cenestesi.
Credo che la volontà si adatti al ciò che reputiamo positivo e che tenda a relegare nel nostro profondo ciò che viene ritenuto inadatto, accrescendo in continuo la memoria cosciente o meno.
3
Sto ancora rileggendo e riflettendo su quanto si scopre in Agenda di Mère - libro terzo - 6 FEBBRAIO 1962 - (silenzio).
In ultima analisi solo una riflessione profonda, una meditazione autentica può mettere in grado l’individuo di intervenire consapevolmente sui piani di conoscenza e di atto volontario.
E probabilmente questo sembra rispondere, seppur parzialmente, ad una parte della domanda che mi ero posto nella mia precedente mail, il “come”.
La meditazione, che pur deriva da un atto volontario, funge da spazzaneve consentendo al nostro interno di interfacciarsi, non solo formalmente, con l’esterno.
E su questa interfaccia, su cui preme l’esterno, avviene lo scambio.
E’ il momento della “comprensione” della globalità.
Forse è proprio questo a spiegare il “perché”.
Noi dobbiamo raggiungere la fusione del sè e dell’altro da sé, perché è la nostra natura: non solo nostra ma di tutto l’universo.
Perchè una singola vita è unicamente una specificità di una generalità inglobante.
In ogni caso rimangono ancora vuote le risposte alle domande sull’essenzialità.
4
Ritengo non si sia ancora risolta la domanda Kantiana di cosa penso e come, come deriva da quanto scritto da ….
Soprattutto la seconda che sta alla base di ogni nostro discorso, esoterico compreso.
Beh sì, c'aveva provato Heidegger con il suo Was heisst Denken? (cosa significa pensare?), ma era riferito soprattutto all'analisi di e su Nietzsche; insomma era un corso monografico universitario che dal punto di vista squisitamente pragmatico lasciava il tempo che trovava.
Come molte volte accade ora.
Ma se vogliamo veramente parlare di esoterismo o sull'esoterismo, dobbiamo capirci sulle basi naturali che coinvolgono il nostro pensiero ed anche il nostro credo.
In tanti anni di studio e di ricerca mi sono convinto che, se ci si rivolge al libero pensiero, non esistono risposte univoche.
Come peraltro ritengo che chiunque al mondo, anche il più derelitto sociale fino al peggior consumatore schiavizzato sociale, almeno una volta nella sua vita abbia avuto un momento di riflessione, seppur misero.
Quando parlavo di meditazione come spazzaneve, non intendevo certo che solo chi medita può.
Chiunque può, basta che indugi sulla propria riflessività, più o meno a lui concessa purtroppo dall'esterno.
Il perchè sta proprio nella nostra natura.
Non credo che abbiamo archetipi nascosti che si sviluppano autonomamente in noi, credo che abbiamo strutture mentali che naturalmente si accrescono e che sono in grado di sintetizzare ciò che ci perviene dai sensi.
Il nostro elaboratore è silenzioso ed i suoi tempi non sono i nostri coscienziali.
Le nostre reazioni all'appreso (e a volte compreso) dipendono da quale parte del nostro sistema nervoso o metabolico o immunitario utilizziamo per la risposta.
Come anche l'atteggiamento che poniamo in essere nell'inizio del nostro ricercare.
5
Al di fuori del tempo e dello spazio, tutto e parte non hanno significato.
Come del resto, punto ed infinito, particolare e universale, causa ed effetto, prima e poi.
Anzi queste quattro ultime dimostrano proprio l'antropomorfizzazione dei concetti.
Unità, dualità, trinità sono solo concetti allegorici se spostati in questo scenario.
Ma non sono reificanti.
Come non lo sono quaternario quinario etc.
Oppure Dio-Padre e Dea-Madre.
Un certo tipo di esoterismo ha avuto vita facile approfittando di una ricerca scientifica che nel suo procedere, produceva concetti assoluti e teorie assolute.
Vedi infatti l'irruzione dell'energia in alcuni scritti esoterici, che man mano che procedevano gli studi, assumeva varie forme, la termica, la meccanica, l'elettrica, la magnetica, l'elettromagnetica.
Ma quando la scienza si è messa totalmente in crisi mettendo al bando qualsiasi forma di assolutismo definitorio o esistenziale e ha posto le basi del cambiamento (teoria degli universi, meccanica quantistica, teorema di Gödel, per citarne solo alcuni) anche quel tipo di esoterismo ed anche qualche ricerca estetica non ha più trovato possibilità di pernottamento e finalmente è ritornato nell'alveo che gli è proprio: quello di indagare in se stesso perchè lì dentro di noi abbiamo la spiegazione del mondo, sovrannaturale compreso.
6
Ritengo superfluo l’imporre una visione religiosa derivante da un proprio sentiero di ricerca e di discoprimento.
Proprio perché il “tendere” è soggettivo e singolare.
Non so se esiste un Dio “creatore”, credo in un’intelligenza ordinatrice parallela al libero arbitrio.
E che questa intelligenza armoniosa costituisca quel Tutto cui ognuno ed ogni cosa appartiene.
Questa è la complessità del pluriverso in cui ogni equilibrio dinamico (caos) induce (e deriva da) percorsi esistenziali.
Questa intelligenza dotata di memoria accrescitiva è in ognuno di noi e come tale si diluisce in tutto il nostro essere, in tutte le nostre cellule
La nostra conformazione cerebrale ricorda matematicamente il “fibrato” con cui si può ricomporre lo spazio-tempo, ogni spazio tempo.
Noi siamo l’insieme di tutti gli universi possibili, noi costituiamo l’intelligenza universale e siamo noi che diamo significato a Dio, che tra parentesi, posto reale, con la sua definizione che noi gli attribuiamo, in teoria non avrebbe bisogno di noi.
Ma il postularlo ci accresce.
7
Vi è un libro corposo di Penrose sulle leggi fondamentali dell’universo.
E’ un libro divulgativo ma rigoroso di matematica (oltre mille pagine).
Ma quello che è più interessante, a parte il contenuto, è l’idea-forza l’idea-guida dell’Autore che pare sottesa e cioè che la matematica non è solo uno strumento, ma una realtà che, che pur nella sua incompletezza formale umana, assume fisicità diverse in funzione di come la costruiamo, la osserviamo e la utilizziamo.
Non è un discorso nuovo: Leonardo, Galileo, Newton ed Einstein, che la sapevano lunga, hanno enunciato in sostanza la stessa idea, adattandola al loro tempo.
Se questo concetto assume cittadinanza tra gli addetti ai lavori, si può ben comprendere come quello che oggi si sta rivelando come confusione gnoseologica, anche per i non addetti, in realtà deriva da una non ben definita essenzialità oggettiva di ciò che si vuol ricercare.
Come per ogni indagine è necessario un modello che riassuma ipotesi e tesi per il suo esistere.
Qui è necessario un nuovo modello che sia anche un metamodello, e cioè -in soldoni- un modello che parlando di altro da sè parli anche di sé.
Insomma un modello che esotericamente e filosoficamente contenga queste quattro frasi che ho estrapolato dalla Rivista “Domani”:
“Una Coscienza non più basata sulla mente e sui suoi obsoleti strumenti di percezione, ma sulla Supermente e la sua Forza di Verità. Ma quale sia la natura di questo Campo di Energia di dimensioni intergalattiche i fisici non possono dircelo, perché non lo sanno. Siccome tutto è uno nel suo essere, e molti nel suo divenire, segue che tutto deve essere uno nella sua essenza. C'è una Parola, una Ragione in tutte le cose, un Logos, e quella Ragione è una”.
Questo è anche uno dei motivi che mi fanno apprezzare la Gnosi di Princeton.
8
Io ritengo che la metafisica non sia né psicologica né sociologica, né altro.
E che la sua differenziazione rispetto alle altre posizioni (gnoseologiche, epistemologiche, etc) consista nel fatto che essa è puramente un parto della mente umana alla ricerca di una struttura generale in cui inserire elementi (posizioni, teorie, concetti, definizioni, altro) conoscitivi o metaconoscitivi oltre che essenziali o esistenziali.
In ciò si differenzia dall’esoterismo tout court e dalla teologia giacché non ammette posizioni preconcette, ma sviluppa solo metodi induttivi o deduttivi.
Come tale non insiste nelle definizioni hegeliane fondate sul ripartitismo del sapere (filosofie di questo o di quello, come della politica, della morale, della scienza etc) ma ricerca un ruolo unitario del sapere (non del potere o del volere) e della sua ricerca partendo proprio dall’unità dell’essere.
Il procedimento metafisico è di tipo logico-matematico: non consente voli pindarici ed usa il linguaggio (scritto o parlato) come strumento specifico, anche se parla di sè.
Il suo linguaggio è univoco e scevro da simbolismi se non precedentemente definiti.
Proprio all’opposto dell’esoterismo che ammette interpretazioni letterarie, allegoriche, analogiche, anagogiche.
Quasi come alcune leggi del nostro Stato…..
Da un punto di vista squisitamente sistematico (e quindi settoriale ed inoffensivo) la metafisica è frutto dell’emisfero sinistro cerebrale, mentre l’esoterismo lo è di quello destro.
Non so se questo possa essere autentico anche perché il leggerlo da qualche parte non conferisce veridicità, però sembra essere in simmetria con una visione neoscientista (corrispondente ad un neoanalfabetismo di ritorno) che ha bisogno di classificare compulsivamente per poter gestire.
In ogni caso, se fosse autentica non terrebbe conto del nostro solco cerebrale mediano (chiamiamolo profanamente) che oltre a delimitare superiormente in realtà connette.
Le distinzioni e le cesure distinguono, ma uniscono nella suddivisione.
Solo in una visione globale si può scoprire che esiste una valenza unica fra i due modi di tendere verso la conoscenza e che in realtà il cervello è uno inserito in un Uno.
Qualsiasi metodologia di approccio non è altro che un modo di ”fare” e di tendere.
Settoriale sì ma volontariamente ritenuto efficace.
Non fosse altro che per giustificare se stessi.
Noi sappiamo che il nostro corpo produce lavoro, metafisica, esoterismo, delitti ed amore.
Perché non lo studiamo un po’ di più?
9
Credo che dal punto di vista teorico sia incontrovertibile che “la nostra vita, e anche la morte, sono il risultato di una interpretazione delle nostre proprie memorie, dei ricordi che ricaviamo da certe esperienze. Siamo schiavi di strutture concettuali, siamo imprigionati nei limiti concettuali della nostra propria interpretazione e questo imprigionamento nella tradizione vedica viene chiamata Schiavitù o Ignoranza”.
Però penso che dal punto di vista teoretico e scientifico la faccenda non possa essere così semplice come appare.
Nel nostro interno abbiamo strutture memoriali codificate che reagiscono “a nostra insaputa” a sollecitazioni biochimiche.
La coscientizzazione degli elementi di queste strutture può benissimo appartenere al campo della nostra non coscienza, cioè del nostro essere non presenti.
La terra gira si se stessa ed attorno al sole anche se noi non lo vogliamo, ed il fatto di non percepirlo nei singoli attimi del suo movimento, ci consente tuttavia di notare la differenza tra la notte il giorno ed il variare delle stagioni.
La nostra coscienza a livello conoscitivo non ci permette di rilevare fenomeni microscopici ma la loro“sommatoria”.
Per questo motivo non siamo in grado di concepire se effettivamente la vita e la morte sono frutto di una interpretazione.
Siamo in grado di verificarlo nel momento macroscopico, ma non possiamo sapere se ciò che concettualmente definiamo preconcetto sia anche una costituzione strutturale biofisica o biochimica.
Lo possiamo supporre vista la corrispondenza tra neuropeptidi e pensieri “improvvisi”.
Ma non siamo in grado di dare una classificazione temporale.
Sappiamo solo che il nostro spazio-tempo è inserito in uno più vasto, forse non possiamo provare del tutto che contenga quello più vasto.
Non credo che si tratti solo di interpretazioni, man solo di una limitatezza di un pensiero settoriale non intercomunicante.
10
Ho già fornito un esempio della nostra incapacità di conoscere gli istanti del movimento della Terra su se stessa e attorno al Sole, evidenziando come invece siamo in grado di percepire la variazione di luce e di temperatura associate a quei movimenti (cioè giorno, notte, stagioni).
Per quanto riguarda il nostro interno avviene la stessa cosa che per l’esterno.
Non siamo in grado di riconoscere tutte le molecole che entrano quando inspiriamo.
Possiamo fare solo dei calcoli sulla disponibilità capacitiva dei nostri polmoni e poi sapendo quanto volume occupa una mole di aria a temperatura e pressione ordinaria siamo in grado di determinare un numero approssimativo molto vicino al reale.
Non abbiamo coscientemente un contatto diretto con le molecole singolarmente, ma i ricettori predisposti sì.
Anche quando mangiamo, non siamo in grado di sentire la rottura delle singole catene macromolecolari ed il quantitativo energetico messo in gioco.
Ma i ricettori dello stomaco sì.
Nel primo caso siamo in grado di provare un senso di benessere o di soffocamento che deriva dal collettivo agente, nel secondo caso un senso di pesantezza o di bruciore di stomaco o di benessere diffuso.
Si passa così dalla coscienza micro dei nostri ricettori (per noi conoscenza inconscia) a quella nostra macro degli effetti.
Insomma la nostra mente non è in grado di coscientizzare le cause prime avvertite invece dai nostri ricettori primordiali.
Ma si può andare ancora più in là.
Tempo fa, durante un seminario di Filosofia della Tecnica, dopo circa una mezzora di discorsi logici e pacati ho inframmezzato questa frase: “ieri è stata una giornata metereologicamente strana, figuratevi che dalle mie parti la minima era andata talmente su e la massima talmente giù che ad un certo punto la minima era diventata maggiore della massima”.
La frasetta, empiricamente falsa aveva effettuato da subito un sollevare di sopraciglia, ma c’è voluta un’altra buona mezzora per stabilire quale fosse il nocciolo dell’incongruità scientifica e cioè che la vera variabile era la temperatura e non la massima e la minima che erano solo delle etichettature.
L’esperimento mi aveva fornito due convinzioni, la prima che i ricettori istintuali avevano da subito avvertito l’errore, la seconda che la mente aveva bisogno di tempo per elaborare quanto il corpo aveva già recepito come abbaglio.
In effetti, passare dal fenomeno in sé alla misura del fenomeno stesso e alla sua concettualizzazione, comporta una specifica attività cerebrale non indifferente, anche se non avvertita coscienzialmente.
Insomma il nostro emisfero sinistro è meno elastico nell’elaborazione dei dati istintuali di quello destro.
Ma di là della loro collaborazione è proprio su questo punto che si innesta il discorso dell’ esoterismo.
La metafisica e la scienza in sé hanno bisogno di nascere e di accrescersi mediante tesi, antitesi, sintesi, logicità, coerenza.
L’esoterismo invece è come un’opera d’arte, e la riflessione sull’esoterismo è come una teoria estetica.
Per l’esoterismo non serve la ricerca della verità perché la postula; ma non come atto di fede al pari della Teologia, la postula come credenza.
Ma sia la metafisica, sia la fisica, sia l’esoterismo, sia la teologia, ancora subiscono la suddivisione tomistico-cartesiana ovvero il duopolio Platone-Aristotele.
A mio avviso solo la Gnosi di Princeton ha superato il problema interconnettendole ed adoperando un percorso comune di ricerca.
11
In una mail ricevuta ho letto questa piacevole frase di commiato: “questa coincidenza come un segno del movimento di quell'unica Volontà intelligenza "la cui singolarità è di esprimere se stessa interagendo con se stessa simultaneamente e in ogni punto del Campo di tutte le probabilità" e che quindi agisce anche attraverso quegli imperfetti strumenti che noi tutti siamo>>, perché l’Alchimia ribadisce la stessa cosa.
Passando dalla “terra di terra” al “fuoco di fuoco” pensiamo di calpestare sedici gradini diretti verso l’alto mediante quindici steps.
Quello che si intuisce solo sull’ultimo è che si è in presenza di un altro step da superare che riporta la coscienza alla “terra di terra”.
Cioè si completa (perché si DEVE completare) un ciclo, per iniziarne un altro.
L’unica differenza tra le due “terra di terra” è il grado di coscientizzazione del singolo.
Con l’accumularsi delle ciclizzazioni si ripresenta puntuale il problema costante del “separando lunare”, che però deriva da terre diverse.
Per un’attività osiridea, la “cosa” può essere vista in trasparenza e ciò consente la contemporaneità per ogni punto del Campo delle probabilità.
Insomma nasce la coscienza della simultaneità dei cammini possibili, in altre parole dell’alta probabilità della coesistenza di universi paralleli per ogni singolarità.
A quel punto non si pone più il problema dell’imperfezione come strumento perché si scopre l’appartenenza al Tutto in cui ogni singola parte come tale, è imperfetta ma non lo è più essendo consapevolmente elemento di totalità.
12
Dopo le mie riflessioni scientifiche filosofiche e alchemiche, non potevo per mia natura, escludere quelle musicali.
Desidero porre in contrappunto all’ultima frase di una mail ricevuta e che ho usato come inizio del paragrafo precedente, questo brano tratto dal Timeo di Platone: “..originandosi da questi legami nei precedenti intervalli nuovi intervalli di uno e mezzo, di uno e un terzo, e di uno e un ottavo, riempì tutti gli intervalli di uno e un terzo con l'intervallo di uno e un ottavo, lasciando una piccola parte di ciascuno di essi, in modo che l'intervallo lasciato di questa piccola parte fosse definito dai valori di un rapporto numerico, come duecentocinquantasei sta a duecentoquarantatre”.
Ovviamente questo non è tutto il discorso messo in bocca a Timeo, ma in esteso gli fa parlare della generazione del mondo per opera di Dio, e con ciò cerca di dimostrare che l’anima ed il corpo dell’Universo costituiscono un’unica entità ripartita in intervalli geometricamente simili e simili alla generata armonia musicale cui, peraltro, fa riferimento anche Dante nel Paradiso, a proposito dell’armonia delle sfere.
E sempre a proposito dell’armonia notiamo che vi sono degli accordi definiti completi (come quelli di settima per esempio), definiti così perchè possiedono le principali note che individuano l'armonia di un accordo anche se, a detta di qualcuno, forniscono un suono complesso e non del tutto dissonante.
A questo proposito vorrei ricordare la diade di cui ho parlato molte mail fa. Ma tutto il problema non consiste nel rilevare la linearità delle combinazioni armoniche ma la possibilità della loro circolarità a mo’ di permutazioni, di disposizioni e di sostituzioni che coinvolgono anche le partiture musicali.
Come se fossero implicitamente riferite ad un discorso più ampio che coinvolge da una parte l’oggettivo svolgimento universale e dall’altra il soggettivo evolversi biologico.
Proprio come se l’evoluzione spazio-temporale fosse un tuttuno riferita ad una trasformazione (un sempre nuovo equilibrio dinamico) connessa al Tutto.
13
L’equilibrio dinamico in tensione è l’unico che c’è.
Anche quello che noi definiamo statico in realtà è un particolare equilibrio dinamico.
E come definizioni sono reversibili. Per esempio se noi prendiamo la classica formula (in forma semplificata) della dinamica f = ma, questa ci racconta che se applichiamo una forza ad una massa, la massa subirà una certa accelerazione.
Ma se leggiamo la stessa formula scritta in altro modo, cioè f – ma = 0, abbiamo una definizione di equilibrio: quasi come se fossimo in presenza di una staticità conferita da un equilibrio dinamico tra una forza su di un’inerzia massiva con propria accelerazione.
In questo caso, sebbene la forza e l’accelerazione abbiamo la stessa direzione e lo stesso verso, nel modello matematico più generale, il segno meno mi fa intendere che siamo in presenza di un equilibrio.
Un po’ quello che succede nel principio di Le Chatelier, in chimica, in cui si dice che per qualsiasi azione energetica l’oggetto cambierà nella sua configurazione (sempre energetica) per assumerne un’altra di equilibrio confacente (ed equilibrante) alla sollecitazione ricevuta.
In ultima analisi un dinamismo in tensione, proprio per sua definizione è e rimane tale da una parte e dall’altra da un punto di vista generale, ma nello specifico occorre anche verificare l’assorbimento energetico e la possibilità delle deformazioni ingenerate tali da portare il tutto ad una configurazione di staticità in senso lato.
I casi della vita!
Pensando a questo mi si sono riesumati i prodromi del mio primo studio ufficiale (del lontano giugno 1962, il mese antecedente al mio esame di terza liceo) sul rilassamento delle onde elastiche nei solidi.
14
Mi vedo costretto a tornare un po’ indietro rispolverando più o meno (soprattutto meno) scientificamente un senso esoterico che potrebbe svanire nei nostri dialoghi.
Se si invia una comunicazione ad un amico, del tipo x + 5, essa non ha alcuna validità informativa, perché è solo una proposizione come “W me” che oltre ad illustrare il massimo del narcisismo del soggetto non fornisce alcunché a nessun altro (a parte un implicito “guardati da quello lì”).
Ma se gli si invia x + 5 = 0, allora la proposizione diventa informativa per il motivo che si dà un senso a ciò che gli si invia.
L’ultima proposizione ammette una soluzione nel senso che solve scioglie, un dubbio, un enigma, un coagulo: cos’è che unito a 5 dà zero?
L’equazione che tu invii è una domanda e la soluzione è una risposta.
Qualsiasi polinomio in sé non ha significato informativo, lo diventa se trasformato in equazione.
Un polinomio (o una funzione implicita) se uguagliato a zero, fornisce le soluzioni della variabile indipendente per le quali quella dipendente assume valori specifici.
Al limite, se tutto diventa zero la funzione si annulla, insomma collassa.
Specificatamente e solo per esempio, in quello che viene chiamato il “collasso variazionale”, il teorema variazionale vale solo per gli stati più bassi di ciascuna simmetria permettendo che uno stato eccitato approssimato abbia un'energia più bassa di quella esatta.
Solitamente gli elementi di una sovrapposizione quantistica di stati, sono corrispondenti all'elemento di una sovrapposizione quantistica.
E ciò in base al più criticabile postulato della meccanica quantistica che parla della misura dell’osservabile e della sua conseguente proiezione sull’autostato specifico.
Proprio in base alle conseguenze di questo postulato, se vogliamo ottenere un risultato specifico tutte le diversità devono confluire su un unico risultato, ottenendo quello che, sempre in meccanica quantistica, si chiama “collasso della funzione d'onda”.
Pare però che ultimamente si sia dimostrato che il "collasso della funzione d'onda" sia reversibile: speriamo bene.
A questo punto abbiamo dedotto che ci sono almeno quattro modi per approcciarsi al concetto di “collasso”.
Dal punto di vista matematico (funzionale, tensoriale, topologico), dal punto di vista fisico teorico (funzione d’onda ed anche gravitazionale), dal punto di vista tecnico (ingegneristico, biologico), e poi dal punto di vista sensoriale.
E questi concetti non sono emigrabili da una parte all’altra perché i linguaggi specifici, specializzati non sono interscambiabili.
Questa, per esempio, è una difficoltà della divulgazione scientifica.
Allora, in presenza di ciò che definiamo ad esempio stallo, oltre a chiederci di cosa si tratta, la domanda sulla causa non consente una risposta semplice, perchè vi possono essere cause che in realtà sono degli effetti di cause precedenti o vi possono essere delle concause che non conosciamo e che magari sono essenziali per il discoprimento della verità.
Lo stesso vale per gli effetti, su un elemento dell’insieme o sull’insieme stesso, considerando le relazioni che possono intercorrere tra un singolo e tutto il resto.
Dal punto di vista umano il cosa potrebbe produrre può essere visto in senso benevolo o malevolo, o in senso morale, o in senso escatologico, o in senso “politico”, o in senso legalmente permesso o in senso vietato dall’ispettorato della motorizzazione.
E potrebbe anche non succedere nulla dato che un’analisi matematica ad esempio produce l’arco delle probabilità e non le certezze.
Da un qualcosa deriva sempre un qualcos’altro anche perché per noi umani non esiste l’immobilità parmenidea.
L’importante è definire “stallo” ovvero il suo opposto.
Se lo definisci come “impossibilità di…” devi analizzare se l’impossibilità è reale interna ovvero esterna, oppure se non è reale ma ritenuta tale, oppure ancora una reazione.
In ognuno dei casi l’averla definita è già un primo contrattacco.
15
Quello che importa è il mettersi in discussione sempre, allora probabilmente scopriamo che la parola “stallo” diventa una parolona utilizzata a sproposito.
Molte volte può capitare che indagando in noi stessi scopriamo che, per esempio, esiste una sottesa domanda specifica che probabilmente vorremmo rivolgerci e che invece preferiamo ripartire in modo caleidoscopico al nostro esterno, forse per evitare una nostra risposta a noi stessi.
Quello è uno “stallo” interiore che si cerca di sbloccare con l’esterno.
Insomma il nostro comportamento eracliteo fa sì che le nostre attività (mentali, spirituali, comportamentali) siano costituite costantemente da azioni e reazioni in un continuo mutare e ciclizzare.
A questo proposito, la legge delle ottave di Gurdjieff, relativamente ad un moto tra due punti a vibrazione diversa, asserisce che “…in tutte le forme vibrazionali (e quindi in tutto l'universo) vi sono fasi in cui la vibrazione ha bisogno di una spinta maggiore per mantenersi lineare. Quando una vibrazione inizia il suo percorso ha, a causa della decelerazione momentanea e del semitono mancante, una impercettibile deviazione. Per questo, tutto muta in natura ed è anche ciclico”.
Ciò significa che se volessimo rappresentare gli spostamenti reali, con il proseguire nel tempo otterremmo una figura chiusa.
Non è tanto corretto confondere la descrizione di una traiettoria fisica con i grafici cinematici del modello connesso.
Infatti se quello che dice Gurgjieff fosse autenticamente vero dovremmo postulare una quarta legge della dinamica in base alla quale deve esistere un angolo di fase fra la forza agente e lo spostamento.
E qualcuno l’ha anche scritto: si tratta di Davis che nei lontanissimi anni ’50 aveva posto un ulteriore legge della dinamica che parlava proprio di questa sfasatura.
Sempre in quel lontano giugno del ’62 ho provato ad applicare questa legge alla struttura elettronica di un atomo generico.
Ne scaturivano risultati interessanti a tal punto che mi hanno permesso, nei tre anni successivi, di formulare la teoria dei superspazi bosonico-fermionici, spazi in cui le ciclizzazioni sono ammesse.
Ma quello che più importa è che ho potuto verificare che simili spazi possono essere ritenuti come un modello dello spazio intersinaptico in cui avvengono tutti i trasferimenti dei neurotrasmettitori, che in ultima analisi sono i responsabili delle nostre azioni (e reazioni) di cui sopra.
Probabilmente Gurdjieff voleva dirci molto di più. Nell’ultima mail ti avevo scritto: “se tu invii una comunicazione ad un tuo amico, del tipo x + 5, essa non ha alcuna validità informativa, perché è solo una proposizione…..(a parte un “implicito”… etc)”.
Ecco, quell’”implicito” è importante: come si può facilmente vedere dall’ analisi dei segnali neurali (segnali squisitamente analogici) esiste tutta una gamma di frequenze connesse che oltre al segnale (più o meno) informativo danno segnali certamente informativi secondari sia al neurone specifico sia a quelli a lui finitimi.
La nostra vita è tutta cosparsa di informazioni continue che stimolano azioni e reazioni
Nel nostro interno solo la mente può pensare ad uno “strallo” come ad un’immobilità, come ad un’impossibilità definitiva.
16
Ultimamente mi hanno molto colpito alcune frasi di Goswami non tanto perché non sia d’accordo, anzi; ma quanto perché ancora una volta dimostrano come non ci sia bisogno di spostarci di molti fusi orari per leggere le stesse cose.
Oltre tre secoli fa Berkeley affermava che tutto il mondo fisico non esiste se non nella nostra percezione.
Quindi solamente ciò che viene percepito (o che percepisce) esiste.
Anzi era convinto che l'affermazione di una sostanza del materiale come esistente “extra mente” deriva da un falso processo di astrazione.
Insomma per lui il mondo della materia non esisteva, mentre era lo spirito umano che lo costruisce mediante la percezione e lo rende reale.
A parte il fatto che era certo non c'è differenza tra materia e spirito visto che come entità coincidono.
Però ci sono ancora delle affermazioni non suffragate.
La scienza non è ancora progredita a tal punto da essere in grado di confermare il misticismo se non come tensione animico-spirituale.
La scienza per essere tale, deve lavorare entro determinati paletti qualunque essi siano.
Il susseguirsi delle teorie, sposta o varia i paletti, ma sempre al loro interno si opera.
Non posso, fin che raccolgo pomodori, spogliare un albero di mele e gridare al miracolo.
Lo posso fare solo se quei pomodori erano cresciuti su e da quell’albero di mele.
Solitamente così nasce una nuova teoria; anche lo stesso Einstein si è comportato così: ha rielaborato i dati esistenti e li ha ordinati con una logicità strabiliante e così la neonata teoria ha potuto prevedere ciò che con i modelli precedenti non era prevedibile.
Anche se lui stesso non poteva prevedere, con gli esperimenti che poteva avere a disposizione, le connessioni fra “oggetti” al di fuori dello spazio-tempo (vedi Aspect e altri).
E non solo, ma anche le interdipendenze tra l’interno e l’esterno dello spazio-tempo (vedi Stapp e altri).
Certo che per lo scienziato credere in un Dio aiuta: c’è una battuta messa in bocca a Walpers (lo scienziato di Dr. Ceator) che suona circa così, “quando la scienza supererà il crinale, vi troverà la religione già seduta ad aspettarla”.
Ma aiuta non tanto per cercare in Lui le soluzioni, ma quanto per conferire allo scienziato anche un piano spirituale su cui tentare di indagare, distogliendolo almeno in parte dal materialismo che pare sia l’unico patrimonio valido di ricerca derivante da un retaggio dualistico cartesiano duro a morire.
Nella Gnosi di Princeton esiste solo il paradigma olistico che è per definizione unificato.
Nelle teorie del micro già da tempo si dialoga in base a concetti fluidi su materialità ed energetica.
La stessa mia teoria sugli scambi informativi interneuronici si basa proprio su questo.
E tanto per dare un po’ di eresia, anche le mie ricerche effettuate sull’ operatività del Rey-Ki e del Pranic Healing hanno confermato le mie ipotesi.
E’ indubbio (per chi è convinto della valenza dell’esoterismo) che spirituale e fisico si interscambino sull’interfaccia dell’eterico.
E che tutto si basa sulla consapevolezza di qualsiasi senziente (animale, vegetale, minerale).
Solo che è ancora molto complicato a dimostrare.
Articolo pubblicato nella rivista LexAurea28, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.
www.fuocosacro.com