Luci ed Ombre fra Julius Evola e René Guénon
Fulvio Mocco
René Guénon e Julius Evola
rappresentano due scelte o vie della Tradizione, quella contemplativa e
dottrinale di fronte alla regale o dell'azione. L'opera del primo (Autorité
spirituelle et pouvoir temporel, Vrin, Paris 1929) considera vi sia stata
nel mondo ariano originario una ribellione della casta guerriera o Kshatriya nei
confronti di quella sacerdotale o Brahmana, con un tentativo di sopravanzarne il
potere spirituale.
Guénon scrive che dopo la dinastia Maurya di Chandragupta e poi di suo nipote
Ashoka
"Gli Kshatriya si trovarono privati del potere che fino ad allora era loro appartenuto legittimamente, ma di cui avevano per così dire, distrutto da se stessi la legittimità" (ibid.).
Nell' edizione originale di Le Roi du monde (Bosse, Paris 1927) c'era persino un periodo, poi eliminato nell'edizione successiva del 1950, in cui si accusava il Buddha di aver progettato la ribellione degli Kshatriya, facendo anche notare l'incompatibilità della sua funzione di illuminato con quella di monarca universale, che lo avrebbe obbligato ad una scelta; con questa curiosa frase conclusiva:
"D'altronde, è permesso pensare che questa fu tutt'altro che una scelta volontaria, perché ciò che ci mostra il buddismo in realtà non sembra altro che ciò che viene indicato sia da Saint-Yves che da M. Ossendowski: cioè che Shakya-Muni, quando ha progettato la rivolta contro il bramanesimo, avrebbe visto le porte dell'Agarttha chiudersi davanti a lui".
Evidentemente, Guénon
condivideva l'idea evangelica di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel
che è di Dio…di separare Artù da Merlino.
La risposta di Evola a queste ipotesi era stata che:
"Il conflitto fra le due caste, lungi dal ridursi sempre ad una ribellione del potere temporale all'autorità spirituale, cela il conflitto di due tradizioni spirituali: di quelle che i nostri lettori sanno già riferire al principio nordico-uranio e demetrico-meridionale" ("Autorità spirituale e potere temporale" in "Krur" 1929).
Evola va ancora più in là,
definendo le due vie come orientale e occidentale. Anche per ciò che riguarda
l'Ars Regia, ermetismo o alchimia, per Evola si tratta della scienza
tradizionale tipicamente Kshatriya, mentre per Guénon si tratta solo di una
cosmologia.
Soffermandoci sui rapporti personali fra i due, si nota che all'inizio Guénon
sembrava avere parecchia diffidenza per le idee e la persona di Evola. Nella
corrispondenza con De Giorgio, il 15 agosto 1927, il Francese scrive:
"Lo credo intelligente, ma pieno di pregiudizi di ogni genere; d'altra parte ritengo che ambisca ad una posizione universitaria e questo lo può imbarazzare da numerosi punti di vista"(cfr. Pierre Feydel, "Aperçus historiques touchant à la fonction de René Guénon, Archè, Milano 2003).
Al contrario, noi sappiamo
che Evola rifiutò all'ultimo momento la laurea, proprio per dimostrare il suo
disprezzo per i titoli, l'accademia, e gli intellettuali. Ancora su Evola è
questo giudizio scritto da Guénon sempre a De Giorgio: "Deve essere molto
vanitoso" (ibidem), criticando anche la sua competenza sul tantrismo, visto
in modo, secondo lui, deformato dalla simpatia per la filosofia tedesca. In
seguito criticherà anche i suoi commenti al Tao-tê-ching, fatti solo sulla
versione tedesca, cioè senza conoscere la lingua cinese…ma se la biblioteca
nazionale di Taiwan, a quel che mi riferiscono, negli anni 90 aveva incorporato
diverse copie del testo tedesco di Richard Wilhelm, vuol dire che la sua
traduzione non era affatto discutibile. Oltre tutto, non pare che Guénon
conoscesse il Tedesco, per valutare obiettivamente.
Con gli anni, tuttavia, i rapporti fra i due si sono riequilibrati. Guénon
rilesse le bozze di Rivolta contro il mondo moderno (Hoepli, Milano
1934), ed è probabile che certi apprezzamenti per lo jihad da parte d' Evola
siano stati stimolati proprio dal Francese. Peraltro, non sembra che Evola abbia
mai visitato un paese mussulmano moderno, dove la guerra santa del petrolio
sembra la principale preoccupazione dell'aristocrazia araba.
Sappiamo fra l'altro che per Guénon l'unica speranza per l'Occidente di restare
tradizionale, e per un individuo l'unico modo di avere una reale iniziazione (in
special modo per le donne), fosse nella conversione all'Islam, in quanto la
massoneria dava una iniziazione prevalentemente virtuale e il cattolicesimo
provvedeva solo alla "salvezza", non alla "liberazione".
Da Jean Reyor (vero nome Marcel Clavelle) sappiamo poi che Schuon, ovviamente
molto prima di urtarsi con Guénon stesso, per questioni di trasmissione o
tariqa, dichiarò:
"Sono moqaddem (procuratore o delegato). Bisogna islamizzare l'Europa"
, suscitando ampia approvazione da parte del metafisico francese, almeno a quanto riferisce Reyor. Schuon si era persino lasciato andare a questa frase:
"L'uso della forza è possibile in vista dell'affermazione e della diffusione di una verità vitale? Non vi è dubbio che si debba rispondere in modo affermativo, perché l'esperienza ci dimostra che spesso è necessario fare violenza agli irresponsabili per il loro stesso interesse" ("Comprendre l'Islam", Seuil, Paris 1976).
Lo stesso Reyor, sui rapporti fra Guénon e la massoneria, criticata in certi suoi aspetti, ma difesa in generale, si esprime pessimisticamente:
"Come si poteva sperare di condurre un lavoro serio, sia in una loggia d'obbedienza, di cui la maggior parte dei membri erano fuori da ogni esoterismo, sia in una loggia selvaggia, di cui certi membri erano mussulmani, altri cattolici incompleti o fraudolenti (intendo con ciò quelli che ricevevano i sacramenti senza avere confessato la loro qualità di massoni) e di cui uno era calvinista?" (M. Clavelle: Alcuni ricordi su R. Guénon, L'Arcano, Roma 2007).
Qui si inserisce il fatto
che Schuon considerasse il battesimo un' iniziazione, allo scopo strategico di
accogliere cristiani e mussulmani sotto lo stesso "perennialismo", tollerando
persino che certi suoi discepoli lo considerassero il nuovo Cristo. A quel
punto, per usare le parole di Reyor, "Guénon esplose". Ricordiamo che il termine
Philosophia Perennis, di cui Schuon si è poi fatto portavoce, risale ai teologi
agostiniani del Rinascimento, anche se c'era qualche vago precedente nella
scolastica medioevale, e secondo Coomaraswamy tradurrebbe il sanscrito 'Sanatana
Dharma', mentre Guénon aveva disapprovato la parola Philosophia, da sostituire
con Sophia.
Ritornando ad Evola, notiamo poi che nel 1955 il citato articolo di Evola su
Krur, che recensiva Autorità spirituale e potere temporale del Guénon, fu
riscritto con diverse varianti (ora nella edizione Melita di Ur-Krur) con le
critiche alle idee del Francese e alla Chiesa cattolica, piuttosto stemperate.
Naturalmente, c'erano stati altri punti di divergenza fra i due. L'apprezzamento
di Guénon per la massoneria e il compagnonaggio, considerate le uniche
depositarie d'influenze intatte, non era troppo condivisa dall'Italiano, che
rimproverava alla prima l'influsso negativo sull'illuminismo, l'enciclopedismo,
e la rivoluzione francese, almeno a partire dalla sua fase speculativa o
scozzese. Viceversa Guénon, che pure non ha risparmiato critiche sulla
degenerazione massonica, non riusciva a capire come Evola potesse misconoscere
l'apparato simbolico di cui la massoneria stessa era portatrice.
Inoltre, anche il buddhismo era considerato da Guénon una deviazione dalla vera
Tradizione, fin troppo sentimentale; solo l'influenza di Coomaraswamy e di
Marcos Pallis smussò le idee del Francese, che nelle successive ristampe di
certe opere depennò dal testo le sue ampie riserve sulla materia, come già
accennato.
Aveva scritto:
"Il Buddismo è meno lontano dalle concezioni occidentali perché, da un punto di vista orientale, non è che un'anomalia e una deviazione" (Introduction général à l'étude des doctrines hindoues, Rivière, Paris 1921)
e inoltre:
"tutto ciò che il Buddismo contiene d'accettabile, è stato preso dal Bramanesimo" (ibid.).
In Autorité spirituelle et pouvoir temporel (2° edizione, Vega, Paris 1947) aggiunse persino che non a caso Cristo discendeva non dalla tribù sacerdotale di Levi, ma da quella regale di Giuda, proprio come il buddha dalla casta regale; da qui la somiglianza "sentimentale" fra buddhismo e cristianesimo, arrivando a dire che la differenza fra bramhanesimo e buddhismo sarebbe la stessa esistente fra cattolicesimo e protestantesimo.
Il buddha è effettivamente
fuggito dalla sua reggia per inoltrarsi nella foresta, per cui il buddhismo è
nato in forma d'ascetismo contemplativo e non come potere regale e militante,
però il principe Siddharta aveva portato con sé in quella selva oscura il
proprio stile d'origine aristocratica e guerriera, e quello era il modo di
vivere la spiritualità a cui farà riferimento Evola. Nel Dhammapada, il buddha
riconosce come illuminato "Chi è signorilmente superiore a tutti, un eroe, un
grande veggente, un dominatore, che spegne le fiamme della passione, purificato
da ogni macchia".
Buddha aveva avuto maestri brahmani, ma non un'iniziazione burocraticamente
codificata, e qui si presentano forse altre divergenze con Evola. Per il
Francese, L'iniziazione è la trasmissione di una influenza spirituale fatta
attraverso un'organizzazione che la conservi, e questo avverrebbe in tre fasi,
una potenziale, una virtuale, ed una attuale.
Evola considera possibile che questa influenza qualcuno la possieda già per natura propria (ciò che per Guénon invece è solo la prima delle tre fasi indicate, una "qualificazione"); poi che possa raggiungerla eccezionalmente con una brusca rottura di livello ontologico, avendo in mente soprattutto il Satori del Rinzai Zen, e quindi senza poter prevedere del tutto il fenomeno stesso (la seconda fase guénoniana, che però dipenderebbe dalla trasmissione virtuale o rituale). Infine, Evola ammette anche la possibilità indicata da Guénon, ma con la riserva che oggi, secondo lui, nessuna organizzazione iniziatica sia più depositaria di vera influenza spirituale. Per Guénon, la terza fase sarebbe quasi burocratica, cioè una sorta di ascesa graduale verso la liberazione finale. Quello che non è chiaro è come possa la seconda fase indicata da Guénon costituire già una forma di illuminazione, quando si tratta solo di un rito virtuale, sia pure fatto su una natura predisposta (qualificata). Guénon scriveva che "entrare nella via è l'iniziazione virtuale; seguire la via è l'iniziazione effettiva" ("Aperçus sur l'Initiation", Chacornac, Paris 1946). Per Evola, il rito di per sé non basta, se non è accompagnato dalla giusta coscienza.
Secondo GUENON:
"L'efficacia del Rito compiuto da un individuo è indipendente dal valore stesso di questo individuo in quanto tale; se l'individuo non possiede il grado di conoscenza necessario per comprendere il senso profondo del Rito e la ragione essenziale dei diversi elementi, questo rito non per tale motivo avrà meno il suo pieno effetto se, regolarmente investito della funzione di trasmettitore, egli lo adempirà osservando tutte le regole prescritte (...), di contro, la conoscenza anche completa del Rito, se è stata ottenuta al di fuori delle condizioni regolari, è interamente sprovvista di ogni valore effettivo, (...) nella Tradizione Indù, se il Mantra non è appreso dalla bocca di un Guru autorizzato, è senza alcun effetto, poiché non è vivificato dalla presenza dell' influenza spirituale di cui è destinato unicamente ad essere veicolo" (Aperçus sur l'initiation, cit.)
Secondo EVOLA:
"Non possiamo non esprimere il nostro dissenso preciso circa due punti. L' uno è che anche attraverso organizzazioni degradate si potrebbe ottenere qualcosa di simile ad una vera iniziazione. La continuità delle influenze spirituali, secondo noi, è invece illusoria quando non esistano più rappresentanti degni e consapevoli in una data catena, e la trasmissione sia quasi divenuta meccanica. Esiste di fatto la possibilità che le influenze veramente spirituali in tali casi si ritirino, per cui ciò che resta e che si trasmette è solo qualcosa di degradato, un semplice psichismo aperto perfino a forze oscure ..." (Cavalcare la tigre, Milano 1973).
Infatti, aveva già scritto:
"L'ascesa può venire concepita come da una azione intrapresa dall'individuo coi propri mezzi, la quale può provocare la discesa e l'innesto in lui di una forza dall'alto (in questo caso un collegamento che può dirsi verticale o diretto, a differenza del collegamento orizzontale mediato da una catena iniziatica)" (L'arco e la clava, Milano 1971).
Ricordiamo come, per Evola,
l'iniziazione o seconda nascita sia diventata necessaria solo in epoca
relativamente tarda, da quando l'uomo non vive in contatto con il mondo
spirituale, o, in altre parole, da quando gli dei non si mescolano più agli
uomini, fermo restando, per evitare equivoci su ciò che è spirituale, che gli
alchimisti indicavano come anima-zolfo "la forza solare-aurea" ovvero il mondo
sovrannaturale, e chiamavano spirito-mercurio la "forza lunare-mercuriale" (su
ciò cfr. J. Evola in 'La Tradizione Ermetica' I,12, Laterza, Bari 1931).
Ancora un diverbio esiste poi fra l'idea guénoniana che l'esoterismo non possa
prescindere dalle pratiche exoteriche, in quanto il più deve necessariamente
ricapitolare o contenere il meno, o in altri termini la "liberazione" debba
comprendere già la "salvezza", e invece l'idea evoliana che questo comporti il
rischio di rifugiarsi dietro pratiche puramente formali se non ipocritamente
borghesi.
I due autori erano più
vicini nel valutare il misticismo. Per Guénon, esso era passivo e sentimentale,
vedendo nel sentimento "un calore senza luce" e negando all' "estasi" una vera
identificazione col Principio. Evola era abbastanza d'accordo, ma considerava
per il "miste" almeno la possibilità di una iniziazione ai Piccoli Misteri,
inerenti le forze dionisiache della natura. Anche la magia, per la sua
connotazione attiva, non spiaceva all'Italiano, mentre il Francese la
considerava esclusivamente un potere sulle "influenze erranti" di tipo medianico
o infero.
Guénon negava anche la possibilità di un ricollegamento iniziatico di tipo
"ideale", considerandolo pura illusione. Evola era d'accordo solo se con quel
termine si intendeva qualcosa di puramente mentale, precisando:
"Altrimenti stanno le cose nei riguardi delle possibilità di una evocazione effettiva e diretta sulla base del principio magico delle corrispondenze analogiche e sintoniche" ("Sui limiti della regolarità iniziatica", Introduzione alla Magia III, Mediterranee, Roma 1971).
Più genericamente, la definizione, non di iniziazione, ma di Tradizione ha trovato i due autori perfettamente d'accordo. Per Evola si tratta di una trasmissione da parte di una "trascendenza immanente" per cui "una forza dall'alto abbia agito nell'una o nell'altra area, o nell'uno o nell'altro ciclo storico, in modo che i valori spirituali e superindividuali costituissero l'asse e il supremo punto di riferimento per l'organizzazione generale, la formazione e la giustificazione di ogni realtà e attività subordinata e semplicemente umana" ("Che cos'è la Tradizione", Il Conciliatore 1971). Il "metodo" tradizionale consiste dunque nello scoprire:
"L'unità trascendente riposta delle varie tradizioni" (…). Si possono distinguere due aspetti della Tradizione, l'uno riferendosi ad una metafisica della storia e ad una morfologia delle civiltà, il secondo ad una interpretazione 'esoterica', ossia secondo la dimensione in profondità, del vario materiale tradizionale" (ibid.).
Guénon, pur più interessato al lato dottrinale, conferma l'unità essenziale e fondamentale di tutte le tradizioni:
"Una tradizione completa può comprendere aspetti complementari e sovrapposti, i quali, riferendosi a domini essenzialmente distinti, non possono essere in contraddizione, né entrare in conflitto l'uno con l'altro" ("Introduction général à l'étude des doctrines hindoues", Rivière, Paris 1921).
Inoltre:
"Ogni tradizione contiene, sin dall'origine, tutta intera la dottrina, comprendendo in principio la totalità degli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel corso dei tempi, così come le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i domini" ("Le Régne de la quantité et les signes des temps", Gallimard, Paris 1945).
Riguardo invece la dottrina delle razze e la Tradizione, Guénon non era particolarmente interessato all'argomento, ma sembrava pensare che dalle quattro caste originarie si fossero evolute le razze stesse:
"Come ogni razza ed ogni tribù formava una classe sociale che esercitava una categoria di funzioni determinate, allo stesso modo, in un corpo vivente, ciascun organo esercita la sua propria funzione, è naturale che gli uomini, al principio di ciascuna organizzazione, si siano raggruppati secondo le affinità delle loro nature individuali. Poco a poco, le differenze fra questi gruppi si sono accentuate e fissate, in modo da prendere il carattere di distinzioni etniche, che non avevano prima; è là un' origine molto verosimile, se non per le razze primordiali, almeno per le razze secondarie che si sono formate in seguito" ("L'archeometre", in La Gnose, 1910-12, con lo pseudonimo di Palingénius, probabilmente scritto in collaborazione con A. Thamos).
Per Evola, invece, caste e
razze primordiali coincidevano: un punto essenziale. En passant, si può notare
che lo stesso Evola ha scritto come non fosse casuale il fatto che solo a Sparta
le caste fossero tre e non quattro: quella più nobile essendo costituita da un
amalgama di guerrieri e sacerdoti…riconfermando come le due vie non siano né in
contrasto, né in competizione.
Sappiamo poi cosa Evola pensasse dell'Ebraismo internazionale, ma meno noto è il
fatto che, da giovane, anche il metafisico francese, quando ancora usava lo
pseudonimo di "Sphynx", non fosse particolarmente tenero sull'argomento (cfr. R.
Guénon, "Riflessioni a proposito del potere occulto", in "La Tradizione e le
Tradizioni", Mediterranee, Roma 2003, originariamente pubblicato nel 1914 su "La
France Antimaçonnique"), ma quelle idee sono poi misteriosamente impallidite.
Del resto, dopo la guerra, Evola ha scritto di non aver più insistito
sull'ebraismo perché quella mentalità era ormai comune anche alla cosiddetta
razza ariana, ed insistere a trovare capri espiatori parziali, sarebbe stato a
quel punto solo una scusa. Addirittura, ha persino mostrato quasi di stimare lo
spirito gregario e la fierezza per le proprie radici razziali degli Ebrei, ma,
ovviamente, lo ha segnalato ironicamente, per stimolare una reazione da parte
dei cosiddetti Ariani d'oggi !
Come nel caso della ginecocrazia, da cui lo stesso Evola ha messo in guardia, ma
in cui solo se il maschio si fa pecora, la femmina diventa lupo, così, nel
misconoscimento della propria razza e in quello delle proprie radici
tradizionali, nell'Età del Lupo la tenebra avanza quando la luce si è ridotta,
mai per il motivo opposto.
Guénon pensava che l'Occidente rappresentasse ormai una minaccia per l'Oriente,
tuttavia anche L'Oriente sembra rappresentare una minaccia altrettanto grave per
i resti dell'occidente. Evola l'aveva segnalato, trattando della civiltà
greco-romana minacciata dai culti orientali. Del resto, non bisogna dimenticare
che se l'Occidente ha sviluppato la sua civiltà tecnologica attuale, ciò dipende
soprattutto dall'influsso dei filosofi arabi nel Medio Evo. Lo stesso Guénon ha
scritto infatti che l'occidente dovrebbe essere grato agli Arabi per aver
introdotto le scienze logico-matematiche in Europa (vedi "Aperçus sur l'ésotérisme
islamique et le Taoisme, Gallimard, Paris 1969). Considerava l'opera di Dante
influenzata dal Sufismo, cosa possibilissima, visto il ruolo di quest'ultimo
nell'introdurre in Europa l'amor cortese, in concomitanza con le crociate,
tuttavia Guénon non sembra aver apprezzato quanto Evola lo spirito ghibellino
del poeta fiorentino.
E' chiaro che Guénon non condivideva nemmeno l'imperialismo pagano
dell'Italiano, malgrado abbia riconosciuto il ruolo positivo di Virgilio nella
commedia dantesca. Non stimava fra l'altro né la civiltà greco-romana, né certi
moderni epigoni italici, come Cagliostro o Kremmerz, pur restando in buoni
rapporti epistolari con gente come Reghini o Armentano. Meno ancora apprezzava
le operazioni magiche a cui si sarebbe ispirato il Gruppo Ur.
Quanto al Cristianesimo, nato dall'albero semitico, per Evola era il principale
responsabile della sconsacrazione della natura occidentale, anche per
l'inversione di atteggiamento che invece di spingere l'uomo a divinizzarsi,
preferisce accettare che sia Dio a discendere compassionevolmente, facendosi
uomo. Guénon invece non ha mai imputato questo ad influenze semitiche, anzi,
sembrava quasi considerare il Cristianesimo come una tradizione tipicamente
occidentale, e non di derivazione giudaica, come supposto da Evola, perché
secondo lui la trasformazione del cristianesimo in religione exoterica e
cattolica sarebbe stato provvidenziale, altrimenti il mondo occidentale sarebbe
rimasto senza alcuna Tradizione…del resto, su una restaurazione della religione
di Roma e del suo spirito imperiale, lo stesso Evola aveva poi perso ogni
speranza.
In una lettera a Marius Lepage del 1946, Guénon scrive, forse in modo
sorprendente:
"E' certo che solo nel Cattolicesimo si sia mantenuto ciò che ancora sopravvive, malgrado tutto, dello spirito tradizionale in Occidente. Sembra che in Occidente non ci sia più che una sola organizzazione che possieda un carattere tradizionale e che conservi una dottrina suscettibile di fornire al lavoro di cui si parla una base appropriata: è la Chiesa Cattolica" (Citato da Jean Reyor in "Sur la route des Maitres Maçons", Traditionnelles, Paris 1989).
Presumendo fosse un
riferimento a certe vestigia di un esoterismo gnostico, resta da spiegare perché
il metafisico Francese non restò allora cristiano, convertendosi all'Islam,
religione che definì intermediaria fra Oriente e Occidente. Certo, lui stesso
aveva affermato che, data l'unità primordiale sottostante le varie tradizioni,
trasferendosi in Egitto, era giusto per rispetto dell'ambiente che lo ospitava
se non al 'genius loci', assumerne le forme rituali (chissà cosa ne penserebbero
oggi gli immigrati islamici in Europa…). Noi sappiamo che questa spiegazione non
chiarisce tutto, infatti Guénon si era convertito all'Islam fin dal 1911 (Reyor),
anni prima di trasferirsi nella terra dei Faraoni, mantenendo segreta la cosa
persino alla sua prima moglie. Nel 1938, in una lettera a P. Collard, Guénon
dichiara addirittura di essere collegato ad organizzazioni iniziatiche islamiche
da trent'anni.
Il fatto che un massone sia stato accolto con disinvoltura in Egitto, in una
setta Sufica, dimostra che la massoneria, apparentemente fuori legge perché
considerata sionista, era proibita solo formalmente, e certo non per
l'aristocrazia mussulmana. Oggi poi, le logge massoniche, benché "coperte", sono
più che vitali in Egitto, nel Magreb, e altrove. La Gran Loggia d'Italia, ad
esempio, ha una sua sede a Beirut.
Evola ha comunque sempre considerato Guénon un maestro; e il metafisico
francese, nel 1928, ha definito lo stile evoliano "di fuoco gelido", in una
lettera a Pierre Pascal; ma, pur nella stima reciproca che non venne mai meno,
qualche problema di ego ogni tanto deve essere emerso nei due grandi
dell'esoterismo, e che neppure Evola ne fosse totalmente immune, lo dimostra un
altro suo controverso rapporto, quello col massone Arturo Reghini, che aveva
accusato un collaboratore della rivista Ur di plagio, costringendo Evola a
cambiare il nome della rivista in Krur, per evitare ulteriori polemiche. In
realtà, c'erano dietro anche altre divergenze. Prima di tutto una donna, Sibilla
Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio), lasciata da Evola, e prima della sua futura
relazione con Giulio Parise, aveva raccontato a Reghini per ripicca certi banali
pettegolezzi, come il fatto che Evola avesse firmato alcune poesie e lettere
giovanili come "Jules" Evola. Cosa mai ci fosse di vergognoso in questo vezzo
non si sa, ma sta di fatto che Evola negò la cosa, anche se vera, come dimostra
per esempio una lettera inviata all'editore Gobetti di Torino nel 1925.
Evidentemente, l'atteggiamento di Reghini cominciava a far perdere ad Evola la
sua proverbiale calma olimpica, spingendolo a dire che quell'uomo era stato solo
sopportato, proprio per la sua appartenenza alla massoneria, che fra l'altro, in
quel periodo storico mussoliniano, avrebbe potuto benissimo essere denunciata.
Questo se si vuole una ulteriore conferma della divergenza fra Evola e Guénon
proprio sulla massoneria, (per i particolari, si veda Renato Del Ponte, "Evola e
il magico gruppo di Ur", Sear, Borzano R. E. 1994).
Fondamentalmente, quello
che probabilmente non era piaciuto a Reghini, era stato il fatto d'aver scritto
un articolo, "Imperialismo Pagano", il cui titolo Evola aveva adottato per il
suo noto libro, libro che avrebbe voluto scrivere proprio Reghini, e questo
senza che Evola avesse chiesto il permesso all'altro, anche se lo aveva citato
nel corpo del testo. "Metterò a posto vari individui, tra gli altri Evola, il
quale col suo 'Imperialismo Pagano' fa gran rumore e fa finta che io non sia
neppure esistito", scriverà Reghini il 6 luglio 1928.
Evola rispose che nella Tradizione non c'era il brevetto o l'esclusiva delle
definizioni. Reghini tentò allora di portare Evola in tribunale per plagio, e
questo è certo più un problema di ego fra i due piuttosto che una diversa
interpretazione della Tradizione. A rendere più acido Reghini, nel 1929, ci si
mise anche Cesare Accomani, alias Zam Bothiva, con un libro, Asia Misteriosa,
relativo ad un misterioso oracolo medianico, quello dei Polari, in cui fu
coinvolto brevemente anche Guénon, che poi lo sconfessò. Nel libro si cita anche
Reghini, che non deve aver apprezzato affatto d'essere stato tirato dentro la
cosa.
Sempre a proposito di pettegolezzi, anche il Francese, che allora era vedovo,
ebbe un infortunio con Madame Dina (M. Shillito), figlia del magnate delle
ferrovie canadesi, e vedova di un ricco ingegnere egiziano, Hassan Farid Dina,
anche occultista. Sembra che la donna fosse piuttosto isterica (o medianica?)
per una meningite infantile. Inoltre, il marito era morto per cause ignote su
una nave, nel golfo di Suez, e la pagina di quel giorno preciso era stata
strappata dal diario di bordo... Un vero "noir".
Nel 1930, Guénon parte per l'Alsazia per una vacanza con la compagna, che gli
promette entusiasticamente di finanziargli una casa editrice sua. Allo scopo di
procurarsi manoscritti da tradurre dall Arabo, Guénon e la donna si recano in
Egitto, ma, dopo pochi mesi, Madame Dina ritorna in Francia, lasciando Guénon da
solo, per motivi ignoti. A questo punto succede il peggio. Presso le edizioni
Vega, la vedova incontra Ernest Britt, molto più anziano di lei, ha un colpo di
fulmine, e i due si sposano. Britt era persona vicina a Oswald Wirth e Pierre
Piobb, da sempre piuttosto ostili a Guénon, anche per certe sue recensioni a
loro lavori. Il nuovo marito convince dunque la consorte a cambiare progetti ed
investimenti, e soprattutto a negare il futuro stipendio a Guénon. A questo
punto, probabilmente amareggiato, già reduce dalla delusione legata alla propria
nipote quattordicenne, futura suora, il cui affidamento gli era stato tolto
bruscamente per mancanza di una figura materna in famiglia, il Francese decide
di restare definitivamente in Egitto, dove, dopo un periodo in cui sarà ridotto
quasi alla fame, chiederà in sposa la figlia più giovane dello Sheikh Mohammed
Ibrahim, un commerciante, che gli concederà però di sposare solo la più anziana,
Fatma. I coniugi continueranno a pagare l'affitto di "Villa Fatma" finché un
ricco Ebreo-Inglese, fervente discepolo di Guénon, John Levy, non la comprerà
per regalarla al "maestro". Poco dopo, però, Levy incontrerà in India un guru
più utile, ostile a Guénon, abbandonando definitivamente quest'ultimo. Fra
l'altro, dopo la morte del Francese, il 7 gennaio 1951, i preziosi 3000 volumi
della sua biblioteca, valore un milione di franchi francesi d'allora, sarà
venduta dalla vedova, dovendo mantenere due figlie più un terzo in arrivo, e che
nascerà in maggio.
Per tornare ancora ad Evola, sappiamo che un altro affair femminile gli è stato
attribuito, quello di una relazione tantrica con Maria De Naglowska, la quale
restò a Roma per cinque anni, dal 1921 al 1926, lavorando al quotidiano
"L'Italia" (secondo alcuni, come Pluquet, la De Naglowska conosceva ben dieci
lingue). Dato che essa fece una revisione del "Poema a quattro voci" firmato
come Jules Evola, e che una propria poesia del 1927, "Le message de l'Etoile
Polaire", fu inserita da Evola su Ur, se ne può dedurre che la relazione fra i
due fosse basata sull'allora comune interesse per la poesia. Massimo Introvigne
si sofferma per undici pagine sull'argomento ne "Indagine sul Satanismo",
Mondadori, Milano 1994, con qualche maligna insinuazione.
Si è anche immaginato che Evola abbia avuto rapporti con Aleister Crowley o
addirittura abbia fatto parte dell'OTO, nella sua sezione tedesca facente capo a
T. Reuss, ma non ci sono prove al riguardo. In realtà, in Italia Evola fu
criticato soprattutto nell'ambiente massonico-pitagorico legato alla rivista
"Politica Romana" proprio per aver definito Crowley un adepto.
Su certi retroscena non è possibile andare oltre, se lo stesso Guénon ha
dichiarato che persino nell'affaire Taxil-Diana Vaughan, e poi in quello dell' "Elue
du Dragon", Clotilde Bersone, non tutto fosse semplice e burlesco come poteva
sembrare in apparenza. Paradossalmente, se Evola ammetteva una terza dimensione
della storia e la realtà di Protocolli e guerre occulte, era però scettico su
molti argomenti à la Pauwel et Bergier, come Hitler e le società segrete, Hitler
e il Drago Verde, Hitler come Golem manovrato dagli Ebrei, e così via…
Viceversa, Guénon sembrava ben più convinto che qualcosa di satanico tramasse
nell'ombra, la cosiddetta contro-iniziazione.
Com'è noto, anche in morte questi due uomini si sono distinti. Guénon sepolto
nella tomba di famiglia del suocero al Cairo; le ceneri di Evola, cremato dopo
alcune spiacevoli peripezie, inserite in un crepaccio del ghiacciaio del Lyskamm,
Monte Rosa, nella Valle Perduta delle leggende "walser".
Ciò che si può desumere da certe ombre, è che anche i grandi uomini non sempre
possono controllare il proprio ego, ed è forse per questo che Evola si è
schierato contro il culto dell'individuo, soprattutto quello nell'umanesimo
rinascimentale, che col focalizzare l'interesse per il genio personale, ha
distolto dal rapporto spirituale con ciò che sta più in alto, nonché dal vero
spirito classico, che appunto Evola ci ricorda, citando Virgilio:
"Reggere con l'imperio i popoli, questo, o romano, ricordati, sia il tuo ideale, non le arti, non le lettere, tale è l'idea complessiva del testo virgiliano, perfettamente aderente all'idea spartana, antiumanistica, eroica e rigidamente etica del periodo catoniano" ("Stile classico e classicismo", "I Testi de La Stampa", Ar, Padova 2004).
Lo stesso Evola aveva già chiarito, quasi a se stesso, i limiti dell'individualità, scrivendo:
"Come punto di partenza, va di nuovo fatto presente che l'individualità della gran parte degli uomini è una finzione, la loro stessa unità essendo quella fittizia e precaria di un semplice aggregato di forze e di influenze che in nessun modo essi possono considerare come loro proprie..." (J. Evola, con pesudonimo Ea, "Sulla Dottrina del corpo Immortale", Ur 1927).
Per Evola, non l'uomo
comune ama, odia, ha paura o sente pietà, ma l'amore ama in lui, l'odio odia in
lui, la paura teme in lui, la pietà nasce in lui, e tali entità o daimones
esistono anche in una nazione, una religione, un'istituzione. In verità, Guénon
non aveva idee molto diverse, avendo dichiarato che se l'etichetta o entità
chiamata René Guénon era di troppo, prima o poi avrebbe provveduto a
sopprimerla.
Per sintetizzare divergenze e convergenze fra le due vie, vorrei citare la
lettera di uno studioso del buddhismo che mi pare adeguatamente equilibrata:
Quando Evola parla di ascesi guerriera intende lo stile con cui il guerriero affronta la spiritualità, anche se va ad isolarsi in una caverna innevata come Milarepa. Guénon ha invece in vista solo la funzione, dando preminenza alla funzione spirituale su quella di governo. La prima la attribuisce alla casta sacerdotale, la seconda a quella guerriera.
Se la funzione spirituale viene svolta da un guerriero (ad esempio il Tenno in Giappone) questa funzione non cessa, per lui, di avere la preminenza. Il caso del Re-Sacerdote, secondo Guénon, non inficia la preminenza della funzione spirituale su quella dell'azione, anche se sono riunite in un'unica persona. Quando parla di "rivolta degli Kshatriya" ha in vista probabilmente un tipo di guerriero non più spirituale, bensì semplicemente rivolto all'azione e che pretenderebbe di esautorare la spiritualità in nome dell'agire nel mondo. Evola ha in vista l'uomo, Guénon la funzione (A.M.).
Concludendo sulle due vie, è chiaro che le strade che conducono al Risveglio o a quella Patria Celeste a cui fa riferimento Evola, sono apparentemente diverse in lunghezza e difficoltà, ma solo perché passano attraverso la nostra individualità fisica.
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