DIO E L'ANIMA

Giovanni Balducci 

 

Sul Principio

  

« Non c’era la morte allora, né l’immortalità. Non c’era differenza tra la notte e il giorno. Respirava, ma non c’era aria, per un suo potere, soltanto Quello, da solo. Oltre a Quello nulla esisteva »

 

(Ṛgveda, X,129,2)

 

 

 

Il fondamento di una società che voglia professare dei valori che durino nel tempo e che ordinino la comunità umana secondo un principio di bene comune è Dio, o meglio, lo è sempre stato, sino a quando qualcuno ha cominciato a dubitare della sua esistenza. Scriveva Henri Moulinié: «l’uomo è contenuto nella famiglia, la famiglia nello Stato, lo Stato nella religione, la religione nell’universo, e l’universo nell’immensità di Dio, unico centro a cui tutto si riferisce, infinita circonferenza che tutto abbraccia, principio e fine, alfa e omega degli enti». Si può dire che quella sull’esistenza o meno di Dio sia la domanda delle domande, in quanto connessa con l’origine dell’universo e la nostra. Ciò che è indubitabile è che ogni civiltà ha avuto la sua propria religione, com’ebbero a sottolineare sin dal XVIII secolo i primi studiosi di quella scienza umana che sarà poi definita col nome di antropologia.  Nelle Upanisad (testo sacro indiano), uno dei più antichi testi sacri della storia dell’umanità, si afferma che la Realtà ultima è composta da un principio Coscienza (simile alla nostra intelligenza, di cui ne sarebbe l’Origine, ma senza un corpo dalle fattezze umane), che gli indiani chiamano Brahman. Nella cultura indiana si dice che tale Principio sia in tutte le cose, e che Egli sia immortale, immutabile, senza forma, pieno di beatitudine, senza azione diretta ad uno scopo, se non quello di dar vita e reggere l’intero Universo. Attributi questi che si confanno anche al Dio cristiano. Del resto la storia di Mosè salvato dalle acque ci suggerisce un’idea in merito, le acque rappresentando qui il divenire, ovvero la corrente caotica del pensiero, e dei fenomeni fisici cui l’uomo può sfuggire, sciogliendo l’ordinaria identificazione con essa, ritrovando così il centro di ogni cosa e della sua stessa esistenza, in una parola Dio. È evidente quanto questa visione si scontri con quella della scienza occidentale che, seguendo il paradigma meccanicistico, considera reale solo l’universo materiale, e la coscienza come un prodotto del cervello. C’è da tener conto però di come la coscienza dell’uomo (e quindi anche la coscienza dello studioso del cervello) sia radicalmente diversa da quella “cosa” che studia: essendo l’orizzonte entro il quale si mostrano tutte le cose, noi stessi, non solo dei neuroni o delle sinapsi. Dunque l’essere-uomo è radicalmente diverso dall’essere-cosa. Molti ignorano Dio per effetto di una separazione netta tra il divino e il creato,  non rendendosi conto che l’esistenza, nel suo essere meravigliosamente inspiegabile razionalmente è sacra, e che la dimensione divina sia solo un’altra dimensione dell’esistenza, cui si può giungere emancipandosi dalla solita routine quotidiana, cominciando a vedere il mondo sotto l’ottica della meraviglia. Secondo Heidegger, infatti, l’uomo vivrebbe nell’oblio dell’essere, e perché l’uomo possa scoprire il senso dell’essere è necessario che sia lo stesso “essere” a svelarlo. L’uomo sarebbe infatti solo il “pastore” dell’essere, non il padrone. L’essere si svela all’uomo nel linguaggio della poesia, in quanto nel linguaggio della poesia non è l’uomo che parla, ma l’essere stesso: da qui l’atteggiamento di “abbandono” all’essere, di ascolto in silenzio dell’essere. Per Heidegger la caduta dell’uomo a livello delle cose è determinata dalla “chiacchiera”, dalla logica del “si dice” e del “si fa”: tale esistenza anodina è caratterizzata dalla “curiosità” (un interesse superficiale per qualsiasi cosa) e dall’”equivoco” (il non sapere di che cosa si parla). Mentre l’esistenza “autentica” è un “essere per la morte”. L’uomo autentico per Heidegger è infatti un “essere per la morte” nel senso che deve avere il coraggio di andare oltre la visione anonima della morte (il “si muore”) per vederla come la “propria” morte. Di fronte alla morte l’uomo scopre la sua finitezza e la precarietà di ogni suo progetto, ma proprio con la presa d’atto dei suoi limiti l’uomo diviene ciò che è. Scriverà Daisetz Teitaro Suzuki rievocando un suo incontro con Heidegger: “Il tema principale del nostro colloquio è stato il pensiero nel suo rapporto con l’essere. (…) ho detto che l’essere è là dove l’uomo, che medita l’essere, avverte se stesso, senza però separare sé dall’essere.” Allo stesso modo Søren Kierkegaard avrà a scrivere: “Dio non pensa, Egli crea; Dio non esiste, Egli è eterno. L’uomo pensa ed esiste e l’esistenza separa pensiero ed essere, li distanzia l’uno dall’altro nella successione.” (Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia). Similmente Sant’Agostino concepisce Dio come la meta naturale a cui la ragione aspira, e nel quale finalmente la discordanza dualistica tra soggetto e oggetto, pensiero ed essere, si riconcilia in unità. Dio è “intimior intimo meo”, “più intimo a me di quanto io lo sia a me stesso” (Confessioni, III, 6, 11). Parimenti nello yoga, quando i sensi e la mente si acquietano, nella coscienza irrompe la luce dell’Atman: la coscienza dell’unità dell’anima con il Divino. Secondo i savi del Vedanta tutti i fenomeni (oggetti materiali e pensieri) sono semplici oggetti illuminati o manifestati dall’Atman, la Pura Coscienza, dunque non Sé.  «Deus est sphaera intelligibilis, cuius centrum ubique circumferentia nusquam» asseriva il filosofo cristiano Alano da Lilla. Dunque Dio è l’Esistenza stessa (non bisogna fare tuttavia l’errore di cadere nel Panteismo, ossia di vedere Dio completamente in ogni singolo essere materiale, in quanto Dio ne è il Principio), il fondamento di tutto ciò che esiste, oltre ad esserne la legge che regola la manifestazione universale. Nel libro dell’Esodo, infatti, quando Mosè vuole sapere come si chiama il Dio dei suoi padri che gli si era rivelato, Dio gli “risponde”: «Io sono colui che sono» (Dio non si esprime tuttavia a parole, ma parla al nostro cuore ispirandoci sentimenti affini alla sua grandezza). Egli è infatti “Colui che esiste di per Sé stesso, l’Eterno, la Sorgente di ogni vita, l’Origine, tramite il Quale e nel Quale ogni cosa ha la sua sussistenza”. Dio è l’unico «Io sono» e «Io sarò», perché quel che Egli sarà, Egli lo è già. Nel Nuovo Testamento parimenti troviamo la esplicita dichiarazione di Gesù: «Prima che Abramo fosse, Io sono». Connessa all’esistenza di Dio è l’esistenza dell’anima umana. Tuttavia nelle formulazioni dei primi cristiani e di alcuni Padri della Chiesa, l’uomo sarebbe dotato oltre che di un corpo e di un’anima (ossia della mente e dei sentimenti), anche dello spirito (la parte più nobile dell’anima e quella più vicina a Dio). Nei testi sacri dell’india, ma anche nella Bibbia, si afferma che tra Dio  e lo spirito di ogni uomo c’è uno stretto legame. Ed è dall’ignoranza di questo stretto rapporto che deriva il dolore umano, il quale può essere superato soltanto mediante la retta conoscenza di Dio.

 
   
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