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I Cavalieri Templari Guglielmo Bottai |
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Poi vidi un
angelo che scendeva dal cielo, tenendo in mano la chiave dell’abisso e
una grande cate-na. Egli afferrò il dragone, l’antico serpente, che è
il diavolo, Satana, e lo incatenò per mille anni [Š]. E quando saranno
finiti i mille anni, Satana verrà sciolto; e uscirà dalla sua prigione
a sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra” Queste
parole dell’apocalisse non poco hanno terro-rizzato i popoli che hanno
vissuto gli anni precedenti al mille, e non a torto! I tempi erano
maturi, fame e distruzione regnavano sovrani, lo splendore e la civiltà
romana era soltanto un pallido ricor-do, tutto ciò che i romani in 1200
anni erano riusciti a costruire era stato saccheggiato, quello che non
poteva essere saccheggiato era stato distrutto e abbandonato, le ville
romane erano ridotte a stalle per le giumenta, la popolazione di Roma
caput mundi era passata da quattro milioni a trenta-mila anime in poche
centinaia di anni. Per oltre trecento anni le orde barbariche si
susseguirono con tragica ricorrenza, i popoli della Germania,
dell’Ungheria, delle brughiere russe si riversavano in Gallia e in
Italia sotto la continua spinta delle popolazioni asiatiche portando
con loro continue stra-gi, epidemie saccheggi e carestie. L’Occidente
del mille si può dire che sia uscito dalla storia, certa-mente ha
lasciato meno tracce del suo passaggio dell’Africa del XIX secolo. È un
mondo spopolato, scosso da carestie, fame, malattie e miseria; un mondo
dove le stregonerie, le credenze e le leggende imperversano; un mondo
fatto di stregoni, contadini, guerrieri barbari e incolti. I letterati
tendono a scomparire perché considerati inutili in quanto non producono
nulla, non sono di alcuna utilità prati-ca, e contemporaneamente sono
troppo deboli per potersi difendere dalle prepotenze dei guerrieri; il
saper leggere e scrivere, anche fra i nobili, viene considerato un
inutile lusso a tal punto che l’uso della scrittura rischia di
scomparire. E proprio sul tema della fame insiste nelle sue “Cronache
dell’anno mille” Rodolfo il Glabro forse calcando un po’ troppo la
mano: “La furia della fame costrinse gli uomini a divorare carne umana,
come solo di rado si era sentito dire in passato. I viandanti venivano
ghermiti da uomini più forti di loro, squartati, cotti sul fuoco e
divorati. Molti tra coloro che migravano da un luogo all’altro per
sfuggire all’inedia, furono sgozzati di notte nelle case dove venivano
accolti e diedero nutrimento ai loro ospiti. Moltissimi adescavano i
bambini con un frutto o un uovo, li inducevano a seguirli in po-sti
appartati, li trucidavano e li divoravano. Perfino i cadaveri furono
dissepolti e usati per calmare la fame. Tanto dilagò quell’insano
furore, da lasciare più al sicuro dal rischio di sequestri il bestiame
abban-donato che l’uomo. Come se ormai stesse divenendo un fatto
abituale il mangiare carni umane, un tale ne portò di cotte per
metterle in vendita sul mercato di Tourmus, quasi si trattasse di
comune carne animale. Arrestato, l’uomo non negò quella colpa; fu
allora immobilizzato e bruciato sul rogo. La carne ven-ne seppellita;
ma un altro la dissotterrò di notte e la mangiò, finendo egli pure
bruciato”. Intorno all’anno mille le orde barbariche si fermano
grazie anche all’attenuarsi della continua pres-sione dei popoli
asiatici, i vincitori tentano di amministrare le terre conquistate, ma
la classe diri-gente è formata solo da guerrieri abilissimi nella
pugna, ma privi di una qualsiasi
abilità amministra-tiva, economica e politica, capaci solo di combattere, di saccheggiare le messi altrui, incapaci di co-struire una benché minima organizzazione politica ed economica, i pochi spunti di governo non buono, ma decente si hanno quando al potere vengono posti amministratori romani, gli unici ad aver mantenuto un minimo di conoscenze tecniche in materie economiche ed amministrative. L’incapacità di costruire una civiltà economica, la scomparsa della moneta a favore del baratto, le continue razzie e oppressioni, l’impossibilità di trasportare le merci comportano una scarsità di rac-colti a cui seguono necessariamente carestie; i contadini disperati senza avvenire costituiscono bande di predatori che aggravano ulteriormente la miseria. L’artigianato, la qualità dell’agricoltura, le co-noscenze tecniche scendono a zero. I popoli, le comparse della storia, si muovono in un grigiore o-mogeneo di fame, selvatichezza, barbarie, e dolore. Il vizio che più caratterizza questo particolare momento storico è l’accidia, che gli antichi definivano come misantropia o odium humani generis, taedium vitae, e i moderni definiscono angoscia o noia; l’accidia è una sonnolenza dello spirito che non ha la forza di iniziare il bene. L’accidia che colpisce tutti, il contadino che per sfamare se stesso e la famiglia non alza un attimo il capo dal duro lavoro; l’asceta che in nome della fede rinuncia agli onori, ai piaceri, ai dolori della vita, senza peraltro co-struire nulla di utile nella sua vita; il signorotto che pago delle sue ricchezze non ritiene importante tentare di migliorare le condizioni di vita dei suoi amministrati mosso non solo da altruismo, ma an-che da una minima lungimiranza. Quasi per assurdo questa era della fame, della lebbra, dell’orrore, della barbarie, dell’apocalisse, questo periodo storico tanto buio e tenebroso può quasi essere considerato anche se non un pro-gresso, un periodo di maturazione dell’uomo le cui risorse umane e spirituali risorgeranno lumino-sissime dal medio evo nello splendore dell’Umanesimo, come un fiore che nasce dal letame, come la Fenice che risorge dalle sue stesse ceneri.
Anche l'architettura del tempo dimostra le principali
occupazioni degli amministratori politici: la guerra e il saccheggio. Si
ritrovano esclusivamente costruzioni di carattere militare, esistono
solo fortezze e castelli per difendere i tesori razziati. Ma
improvvisamente dal 1100 al 1300 la situazione muta radicalmente,
sorgono nuove e bellissime chiese, costruzioni prima impensabili vista
la povertà di mezzi e di volontà, frutto di un arte e di una capacità
che sembrano sorgere dal nulla. È in questo periodo che nasce lo stile
Gotico che sostituisce il Romanico; fra questi due stili non vi è una
transizione, bensì un brusco passaggio, come se il gotico nascesse dal
nulla. La differenza fondamentale tra i due stili consiste nel fatto che
nel Romanico la volta rappresenta solo una copertura della struttura,
che grava sulle pareti, le quali, a loro volta, devono essere spesse per
sopportare il loro peso e il peso della volta; la volta Gotica, invece,
è strutturata in modo tale che il peso non gravi più sulle pareti che
diventano quindi più sottili e ricche di vetrate, bensì sia proiettato
verso l'alto; la volta, sostenuta da due archi rampanti, si fenderebbe
sotto la loro spinta se non fosse stabilizzata dalla chiave di volta. Il
peso stesso degli archi rampanti crea la spinta laterale. Il peso stesso
delle pietre della volta crea la spinta verticale, dal basso in alto,
dalla chiave di volta. E quindi il peso stesso delle pietre a lanciare
verso l'alto, la volta. Il peso ha la propria negazione di se stesso. Si
tratta quasi di un fenomeno di lievitazione. La crociera delle ogive che
è l'elemento tipico dl Gotico, costituisce un insieme di nodi di
tensione, che sono puntellati dagli archi rampanti, appoggiati ai loro
contrafforti e bloccati dal peso dei loro pinnacoli.
Il Gotico rappresenta una evoluzione improvvisa ed inaspettata
nell'architettura, nasce quasi all'improvviso come se le conoscenze
necessarie per realizzarlo fossero state insegnate ai maestri muratori e
agli architetti da una mente superiore; l'arco acuto e la volta a
costoni sono già note, ma per la prima volta vengono usate nella stessa
struttura. Charpentier testimonia questa rinascita culturale-artistica
degli anni seguenti il mille in Francia riportando che nell'XI secolo
sono state costruite 326 chiese e 702 nel XII secolo. Tutte le chiese
importanti della Francia sono state costruite in questi 300 anni; quanti
architetti, quanti maestri muratori, quanti scalpellini furono necessari
perché ciò si realizzasse? Ma da dove è sorta una manovalanza
specializzata così rapidamente? Forse dal contadino incolto che oramai
ha perso addirittura le conoscenze che erano dei romani nell'arte
dell'agricoltura, incapace di costruirsi una casa in muratura e
costretto a vivere in capanne fatte di fango, o dal guerriero capace
solo di combattere saccheggiare, distruggere e stuprare? E soprattutto
chi li pagava? Forse fra di loro vi erano anche frati, ma la maggior
parte erano laici, e quindi necessitavano di uno stipendio, anche
minimo, per mantenere la famiglia e loro stessi.
Per comprendere perfettamente l'improvviso sviluppo di queste doti
nascoste dell'uomo del mille dobbiamo parlare delle abbazie che sono
sorte dal 600 dopo Cristo in tutta la cristianità. Durante la invasioni
barbariche tutta la civiltà era relegata in abbazie situate lontano
dalle principali vie di comunicazione, difese da alte mura e profondi
fossati, dove monaci solerti tentavano di salvare il salvabile della
cultura e della civiltà classica del sicuro naufragio nel mare
dell'oblio, trascrivendo le opere che oggi noi possiamo tranquillamente
leggere. Fra questi si erge un uomo straordinario Benedetto da Norcia;
il suo Ordine il giorno lavorava nei campi per procacciarsi il
necessario per vivere, mentre la notte studiava, copiava antichi
manoscritti, traduceva dal greco al latino tutti i testi dell'antichità
proteggendoli e salvaguardandoli da una sicura distruzione. Questi
monaci rinchiusi nel loro monastero erano gli unici depositari della
cultura, l'anello di congiunzione fra il passato radioso e un futuro
esaltante.
La civiltà passa da Montecassino a Cluny, le due principali abbazie
benedettine dove tutto il sapere greco e romano viene gelosamente
custodito, copiato, studiato, e i cui insegnamenti vengono appresi,
assimilati, elaborati. Ed è proprio da questi studi che deve nascere il
sospetto che la vera fonte del sapere non sia in Occidente, non sia a
Roma centro dell'impero e del mondo, ma in Medio Oriente, culla della
civiltà più importante e più fulgida mai esistita, vera perla nel
deserto, da cui è sorta anche la cultura e il sapere giudaico: la
civiltà egiziana. E questo può spiegare anche come mai un popolo di
nomadi del deserto si sia ivi insediato e sia stato capace di costruire
un impero millenario che comprendeva tutto il nord-Africa e buona parte
della Spagna. La scintilla della verità, il Verbo nascosto nel deserto
egiziano e palestinese. Ma quelle lontane terre erano in mano agli
arabi, e solo una coalizione di tutto l'Occidente sarebbe stata in grado
di strappare quella terra all'invasore, ma come creare una simile
coalizione in un mondo di signorotti capaci solo di farsi guerra fra di
loro e privi di una qualsiasi lungimiranza e ai quali non si poteva
certo svelare un simile segreto?
La soluzione è una sola, una guerra Santa in grado di liberare il Santo
Sepolcro e con esso le terre che gelosamente custodivano l'agognato
segreto. Infatti per primo l'idea della Crociata è venuta a papa
Silvestro II che, guarda caso, è un benedettino. Questo papa da novizio
era dotato di eccezionali capacità matematiche e fisiche a tal punto da
essere inviato a studiare a Toledo e Cordova università arabe. A lui si
deve l'introduzione dei numeri arabi in Occidente. Poco probabile appare
quindi l'ipotesi che un uomo cresciuto alla luce della civiltà araba
abbia ordito una guerra contro la culla della sua cultura, solo per
liberare un pezzo di deserto, sicuramente sacro alla religione, ma privo
di interesse strategico e sicuramente mal difendibile, completamente
isolato dal resto della cristianità; la vera spinta alla organizzazione
della Guerra Santa appare la ricerca di qualche segreto celato in terra
araba. Sono necessari più di cento anni di preparativi, di studi, di
mosse politiche per realizzare l'ardita idea, e sarà un altro papa
benedettino a lanciare la prima Crociata: Urbano II. Da tutte le abbazie
benedettine della cristianità parte all'unisono il perentorio grido "Liberate
i Luoghi Santi, Dio lo vuole". Finalmente il 15 luglio 1099 dopo un
sanguinoso assalto Gerusalemme cade. Il Tempio di Salomone è in mano ai
cristiani.
Nove cavalieri compiono il loro pellegrinaggio in Terra Santa per espiare le loro colpe, ponendosi come compito principale quello di difendere i pellegrini nel loro difficile cammino dal porto di Giaf-fa alla città di Gerusalemme. Questa è la storia, ma la storia non ci dice cosa ha spinto un apparte-nente all'aristocrazia medio alta quale era Ugo de Payns ad abbandonare tutti i suoi averi e a recarsi in Terra Santa per vivere di elemosine; sarebbe stato molto più logico che avesse venduto tutto, co-me ha fatto Aicardo di Montmerle, per procacciarsi i denari necessari per ben equipaggiarsi, oppure avrebbe potuto più efficacemente organizzare un piccolo esercito con il quale avrebbe certamente meglio svolto il compito da lui scelto nel difendere i pellegrini. Altrettanto inspiegabile, per gli stessi motivi è l'adesione ad un Ordine non ancora completamente riconosciuto di Ugo conte di Champa-gne; tale passo viene addirittura duramente criticato da San Bernardo da Chiaravalle che, in seguito a misteriosi motivi, da fiero oppositore all'Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, altrimenti detti Tem-plari, ne diventerà l'ideologo e il principale artefice del loro successo. Per ben nove anni i cavalieri restano in nove, non accettano nessuno nel loro Ordine, e francamente mi sembra un numero esiguo di persone per espletare un compito tanto arduo quale quello cui si e-rano prefissi, ovvero rendere sicura una via infestata da predoni e banditi; inoltre risulta che in que-sto periodo i cavalieri non partecipano ad alcun combattimento nonostante le numerose campagne intraprese da Baldovino II per mantenere sicuro il regno. Solamente dopo il 1128, anno in cui Ugo de Payns, accompagnato da altri cinque cavalieri torna in Francia e l'Ordine viene ufficialmente ri-conosciuto al concilio di Troyes, l'Ordine si trasforma in un vero e proprio esercito. Il Pontefice Onorio II, dopo aver ricevuto i cavalieri inviatigli dall'allora patriarca di Gerusalemme Stefano, concede loro speciali guarentigie e la veste bianca di lana in forma di manto che ricopre l'armatura, li invia quindi a Troyes ed incarica San Bernardo di stilare la Regola dell'Ordine. Sarà invece Stefano, patriarca di Gerusalemme a concedere al novello Ordine la croce doppia alla patriar-cale color vermiglio poi cambiata nel 1163 in croce rossa, che i cavalieri portano ricamata sul manto all'altezza della spalla destra. Tutti onori abbastanza strani per dei cavalieri che ancora non si sono resi particolarmente indispensabili o degni di simili trattamenti. È probabile che il principale compito dei cavalieri non sia stato la difesa dei pellegrini, bensì la ricer-ca di un qualcosa celato, perché no, proprio nel Tempio di Salomone. Non dimentichiamoci che il luogo più accanitamente difeso di Gerusalemme dai mori è stato proprio il Tempio, e forse non solo per motivi strategici. Tali privilegi possono essere spiegati se ammettiamo che dopo nove anni dediti alle ricerche e non alla difesa della Palestina, Ugo de Payns torni in Francia dopo aver ritrovato il tesoro tanto agognato dai cistercensi; che tipo di tesoro fosse non è dato sapere, Charpentier afferma che il tesoro è costituito dall'Arca dell'Alleanza e dalle Tavole della Legge, altri autori dal Sacro Graal che secondo alcuni sarebbe rappresentato da un vassoio d'oro, secondo altri da una pietra preziosa, ed infine da una coppa dove Giuseppe d'Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Gesù. So-no ipotesi difficilmente valutabili, certo qualcosa devono aver trovato, qualcosa che racchiuda il sa-pere Egiziano ed ebraico; non bisogna comunque perdere di vista il significato simbolico, infatti il Graal rappresenta un importante simbolo mistico nella tradizione iniziatica cristiana e a sua volta sembra derivare dal Toson d'oro, altrimenti noto come Vello d'oro degli argonauti, dall'Arca del-l'Alleanza e da altri oggetti mitici che hanno come comune denominatore l'oro, il metallo rilucente da sempre ricercato dagli alchimisti; questo simbolo, che nelle diverse culture ha cambiato nome, ma non significato, potrebbe rappresentare l'illuminazione della verità, lo strumento di conoscenza, il Verbo, la Luce, tutto ciò che è in grado di illuminare l'intelligenza umana; pertanto secondo alcuni autori il Toson d'Oro, l'Arca dell'Alleanza o il Sacro Graal non sarebbero altro che il simbolo di una conoscenza iniziatica che muta nome nel corso dei secoli. Non si sa da dove derivi la civiltà egiziana, essa è comparsa improvvisamente senza genitori; Salo-mone possedeva tutta la sapienza degli Egiziani; la civiltà Islamica è comparsa improvvisamente co-me una fiammata per poi decadere lentamente, ma inesorabilmente come una pianta recisa dalle sue radici immediatamente dopo le crociate; la civiltà occidentale rinasce dalle sue ceneri improvvisa-mente negli anni seguenti il XIV secolo. Sono solamente casi, corsi e ricorsi storici, o la fonte del sapere è passata di mano in mano fra questi tre popoli illuminandoli? Di sicuro sappiamo che in quegli anni i benedettini proteggevano nei loro monasteri studiosi ebrei, esperti cabalisti, certamente non per amore del prossimo (gli ebrei nel Medio Evo erano perseguitati perché accusati della morte di Gesù Cristo), più probabilmente per permettere una pronta interpreta-zione del messaggio che Ugo de Payns avrebbe portato dalla Palestina e che con grande probabilità sarebbe stato cifrato.
Ugo di Champagne sembra essere colui che per primo
individua il luogo in cui viene custodito il se-greto; infatti al
ritorno dal suo primo viaggio nella Terra Santa subito dopo la prima
crociata, fa do-no all'abate di Citeaux Stefano Harding di un vasto
terreno dove costruire una nuova abbazia dedita allo studio della lingua
e della filosofia ebraica di cui, guarda caso San Bernardo diventa
abate; ed è proprio in questa fondazione che i sapienti ebrei vengono
accolti e protetti; è ovvio che se qualcosa deve essere portato in
Occidente dalla Palestina, questo qualcosa sarà probabilmente scritto in
chiave cabalistica, in una sorte di cifrario che può essere interpretato
solamente da esperti rabbini, e per-tanto è necessario preparare il
terreno adatto alla perfetta comprensione della sapienza degli antichi.
Ugo, conte di Champagne, dopo un altro viaggio "di controllo" in Terra
Santa non resiste più nel-l'attesa, e finalmente nel 1125 ripudia la
moglie, rinnega il figlio, e raggiunge i nove cavalieri a Ge-rusalemme;
è poco probabile che Ugo, che aveva il rango di feudatario, provasse un
irresistibile de-siderio di curare i pellegrini, se infatti per motivi
di adulterio, o di disgusto del mondo temporale, avesse cercato
l'ascetismo, più facilmente sarebbe entrato nel monastero di Citeaux il
cui abate co-nosceva bene, se invece lo attirava la gloria e il martirio
della Guerra Santa, molto più efficacemente avrebbe costituito un
piccolo esercito che, data la cronica penuria di uomini di cui soffriva
la Pale-stina Franca, sarebbe stato molto più utile di un solo cavaliere
quarantacinquenne dedito alla prote-zione della via di Giaffa.
Ma se i cavalieri hanno trovato immediatamente l'oggetto della ricerca
che senso ha istituire un ordi-ne monastico-cavalleresco come quello dei
Templari? Il messaggio riportato in Francia sicuramente è un messaggio
cifrato, che richiede anni e anni di studi per poter essere compreso,
tutta la filosofia ebraica usa infatti un codice estremamente complesso,
assolutamente incomprensibile senza una chiave di accesso; inoltre anche
una volta tradotto il messaggio, i tempi sarebbero potuti essere non
maturi per una simile rivelazione.
L'Ordine del Tempio rappresenta il risultato di un tentativo di
incivilimento dell'Occidente; la difesa della Terra Santa non è altro
che uno strumento, un mezzo per compiere il noviziato, per acquistare
potere e fama, il vero compito è quello di creare uno stato nello stato
in grado di aiutare gli artigiani, gli architetti, i muratori, i
costruttori di edifici religiosi, i contadini, in grado di migliorare le
tecniche di costruzione, con il Gotico, di coltivazione, con colture
differenziate e a rotazione, di migliorare e rendere più sicuri i
trasporti e quindi con essi il commercio; in parole povere l'arduo
compito svolto dal Tempio è quello di risvegliare l'umanità in generale
e l'Occidente in particolare, dal torpore, dal-l'accidia del Medio Evo,
da cui sembra non sapere o volere uscire. A fianco dell'Ordine vero e
pro-prio, infatti, si raccolgono tutta una serie di corporazioni di
artigiani, ma soprattutto costruttori di cattedrali che finiscono per
ottenere delle franchigie reali in loro favore, ma che lavorano per il
Tem-pio ricevendo in cambio protezione e, forse, insegnamenti
tecnico-iniziatici derivanti dagli antichi costruttori del Tempio di
Salomone, e questo può spiegare l'improvviso rifiorire dell'arte sacra
nel XII e XIII secolo in Europa in generale ed in Francia in
particolare. Queste corporazioni sopravvi-veranno alla caduta in
disgrazia dell'Ordine nel 1307 e si diffonderanno in tutta Europa
mantenendo sempre le loro franchigie, e i loro rituali iniziatici.
Un ruolo non indifferente in ogni civilizzazione è rappresentata dalla
costruzione di vie di comunica-zione. Intorno al mille le comunicazioni
fra le varie città, o fra le varie province erano presso o che
impossibili, in quanto le strade erano infestate da bande di contadini
affamati che si trasformavano in banditi e che depredavano qualsiasi
cosa ed uccidevano i malcapitati; in una situazione del genere
ovviamente i commerci erano impossibili, era pertanto sufficiente un
raccolto andato male per de-terminare una terribile carestia, in quanto
i rifornimenti non potevano raggiungere la regione colpita. I Templari
non solo costruirono una fitta rete di strade di comunicazione ma ne
garantirono anche la difesa con un continuo pattugliamento, permettendo
ai commercianti e ai pellegrini spostamenti sicu-ri da un paese ad un
altro, da una città ad un'altra; infatti grazie alla particolare
dislocazione delle commende i Cavalieri erano in grado di controllare
tutte le vie di comunicazione svolgendo un im-portante ruolo di polizia,
di vigilanza sulle strade in modo da renderle sicure ed impedire
l'aggres-sione dei pellegrini da parte di bande di briganti. Con questi
presupposti il commercio diventò non solo possibile, ma fiorente; sulle
strade Templari i commercianti potevano trasportare la loro merce
indisturbati, sicuri, inoltre potevano usufruire delle commende per
riposare la notte, il tutto, ovvia-mente, con un "modico" compenso che
incrementava i forzieri del'Ordine. Questa maggior sicurezza nel
trasferimento delle merci favorì enormemente il fiorire di mercati, di
città, nonché allontanò lo spettro di carestie, in quanto qualora in una
regione venisse a mancare una materia prima necessaria alla
sopravvivenza, dal mercato più vicino, in "breve tempo", si potevano
trasferire le merci neces-sarie. Inoltre se un commerciante o un
pellegrino aveva necessità di trasferire denari da un luogo ad un altro,
o addirittura in Terra Santa, versava la somma in una commenda in cambio
di una lettera di credito, e poi riscuoteva, in Terra Santa o dovunque
ci fosse una casa Templare, il dovuto, meno una piccola percentuale "per
il disturbo".
In brevissimo tempo i Templari si trasformarono da dieci cavalieri quasi
nullatenenti che vivevano grazie alle elemosine di Baldovino II, in una
formidabile armata organizzata in maniera stupefacente, in una
multinazionale di una potenza economica senza rivali, con una
organizzazione piramidale. A capo dell'ordine c'era un Gran Maestro che
appariva come un sovrano dagli estesi poteri, tuttavia non assoluti,
come una monarchia illuminata, sempre controllato dal Capitolo, dal
quale, tramite un rituale estremamente complesso, viene eletto. Il
secondo dignitario era il Siniscalco che deteneva il sigillo del Tempio
e portava il gonfalone, il Baussant, stendardo metà bianco e metà nero
su cui campeggia la vermiglia croce templare; segue il Maresciallo del
Tempio che era il depositario di tutte le armi e armature del convento,
a lui spettava il compito di acquistare i muli e i cavalli; il Capitano
della terra di Gerusalemme era il Tesoriere del Tempio; infine vengono
gli ufficiali di grado inferiore i Capitani delle singole case, il
Turcopoliero, che comanda i turcopoli, i cavalieri indigeni, il
Vice-maresciallo che era incaricato delle salmerie e comandava i
fratelli addetti ai servizi e il Gonfaloniere che era capo degli
scudieri, delle sentinelle e degli esploratori. I cavalieri vestivano
sopra l'armatura, un mantello bianco con la croce vermiglia all'altezza
della spalla destra, gli aiutanti avevano un mantello nero. Il loro
motto era Non Nobis Domine, sed Nomini tuo da gloriam riportato
anche sul vessillo.
Le donazioni alla causa Templare diventarono enormi; il successo fu
immediato e sembra addirittura incredibile, anche considerando l'apporto
di indiscutibile importanza di San Bernardo; certa fu la corsa quasi
frenetica alle donazioni e agli aiuti sia materiali che spirituali al
novello Ordine monasti-co. Addirittura nel 1131 Alfonso I re d'Aragona e
di Navarra lasciò i Templari come unici eredi te-stamentari del suo
regno. È vero che re Alfonso non aveva eredi, ma una simile eredità
appare addi-rittura incredibile; una spiegazione di tale arcano può
essere il tentativo del re di lasciare in buone mani il compito della
riconquista della Spagna Cristiana. Certo è che in questo caso la
lungimiranza e l'accortezza hanno preso il sopravvento sulla tristemente
nota e troppo spesso criticata avidità degli amministratori templari i
quali hanno preferito cedere il regno al fratello di Alfonso, Ramiro, in
cambio di un "misero" compenso, solamente il possesso di 1/5 delle terre
riconquistate in terra di Spagna con l'aiuto del Tempio.
Ben presto anche la Santa Sede si associa in questa
frenesia filo-templarista concedendo dei privilegi enormi; i Templari
infatti erano del tutto indipendenti dalla giurisdizione dei cardinali e
delle altre autorità ecclesiastiche, dovevano rendere conto solamente al
papa, e ciò li ha resi non poco invisi al clero; nessun re o imperatore
aveva giurisdizione sui cavalieri o sulle proprietà del Tempio; l'Ordine
era pertanto completamente svincolato da ogni potere temporale o
religioso che fosse; non doveva pagare tasse né all'autorità religiosa,
né all'autorità civile, anzi poteva riscuotere tasse e gabelle nei suoi
territori, come uno stato sovrano. Tutti questi privilegi furono
regolati il 29 marzo 1139 quan-do il papa Innocenzo II pubblicò la bolla
Omne datum optimun, un passo fondamentale che riunisce in un
unico testo tutti i privilegi, i vantaggi e le esenzioni ottenute dai
Templari fino a quel momento.
La bolla di fatto sottrae l'Ordine ad ogni autorità episcopale (ed in
modo particolare a quella del pa-triarca di Gerusalemme), ecclesiastica
e laica, per porlo sotto la protezione diretta della Santa Sede. Di
fatto con l'emissione di questa bolla l'Ordine diventa quasi uno stato
sovrano che deve rendere conto solamente al papa, ne consegue che
l'elezione del Grande Maestro avviene esclusivamente da parte dei monaci
senza alcuna influenza esterna, il rafforzamento del potere del Grande
Maestro sui monaci che gli devono obbedienza cieca ed assoluta,
l'impossibilità da parte di alcuno, salvo il Ca-pitolo generale del
Tempio, di modificare gli statuti, la possibilità di avere sacerdoti
propri, l'esen-zione dalle decime dovute al clero secolare da parte dei
coloni abitanti le terre possedute dai Templa-ri; vieta a chiunque
ecclesiastico o laico di variare gli statuti dell'Ordine, eventuali
modifiche posso-no essere apportate solo dal Grande Maestro con il
consenso del Capitolo. Questa bolla non fa altro che rendere ufficiale
una situazione di fatto che già esisteva da molto tempo grazie a
privilegi con-cessi per risolvere ora una controversia, ora un sopruso
presunto o vero nei confronti del Tempio.
Questa situazione anomala per un Ordine sorto da così poco tempo mette
in grado i Cavalieri Tem-plari di accumulare con estrema abilità e con
estrema facilità immense ricchezze che vengono ammi-nistrate con
accortezza e adeguatamente fatte fruttare; i monaci sono in grado di
concedere prestiti, di inventare l'assegno circolare, di gestire con
profitto immense fattorie, sono in grado addirittura di mantenere un
esercito in continua guerra in Palestina, con un flusso pressoché
continuo di armi, ca-valieri, cavalli, denari che partono dai porti di
Marsiglia e Genova per raggiungere Gerusalemme. Questa potenza economica
e questi privilegi ecclesiastici rendono i Templari estremamente invisi
ai potenti e ai re che vedono sminuito il loro potere politico ed
economico sui loro stati. Infatti grazie alle loro capacità, alla loro
intraprendenza e fiuto negli affari nonché ai privilegi accumulati nel
corso degli anni, nelle retrovie, ovvero in Occidente, in generale, ed
in Francia, in particolare, l'Ordine riesce addirittura a creare uno
stato nello stato molto più organizzato, efficiente e potente dello
stesso stato ufficiale, dimostrando capacità notevolissime di gestione
della res publica, delle ricchezze, della politica, dimostrando una
incredibile capacità manageriale e diplomatica estremamente rara al-l'epoca.
La loro potenza raggiunge vertici impensabili in meno di cento anni,
nella seconda parte del XII secolo diventano l'unico vero baluardo al
completo disfacimento del regno di Gerusalemme.
Nel giudicare l'eccessiva avidità troppo spesso contestata degli
amministratori templari non bisogna comunque mai perdere d'occhio la
principale funzione del Tempio, ovvero la difesa della Terra Santa dai
mussulmani, la difesa di una terra perennemente in guerra, dilaniata non
solo dalle scorre-rie mussulmane, ma anche dai continui dissidi interni
fra i vari baroni franchi, che, in alcune occa-sioni, sono addirittura
giunti ad allearsi con sceicchi mussulmani per poter prevaricare
sull'avversa-rio o raggiungere la corona di re di Gerusalemme. Una
guerra sanguinosa, dispendiosa, ma soprat-tutto continua in grado di
prosciugare qualsiasi tesoro reale, una guerra finanziata in gran parte
an-che dai tesori che le province d'Occidente erano in grado di
accumulare, il fronte Orientale inghiotti-va come un meldstrom uomini,
cavalli e denari. Appare pertanto ovvio l'attaccamento al denaro,
tal-volta eccessivo, dimostrato dai Templari, ma ogni loro sforzo era
incentrato alla difesa degli stati la-tini d'oltremare. Sicuramente una
organizzazione perfetta che ha fatto progredire l'agricoltura e il
commercio permettendo un più razionale e più efficace sfruttamento della
terra, un sistema di riscos-sione delle imposte capillare, una vera
"multinazionale".
Il compito assegnato al Tempio è sempre stato svolto in modo
irreprensibile, sempre i Cavalieri so-no stati sinonimo di lealtà e
coraggio, hanno sempre costituito le avanguardie degli eserciti franchi
impegnati in combattimento in Terra Santa, lo dimostra anche il fatto
che dei 21 Maestri del Tempio che si sono succeduti da Ugo di Payns a
Guglielmo di Beaujeu sette perirono in combattimento, cinque in seguito
alle ferite riportate in battaglia ed uno in cattività; non mancano
battaglie storiche, vere pietre miliari nella storia templare; la difesa
di Gaza (1171), la battaglia di Tiberiade (1187); il sacrificio di
Damietta (1219), l'epopea di Mansourah (1250), il martirio di Sephet
(1262), e l'estre-ma difesa di Acri (1291) dove il sacrificio da parte
dei Cavalieri all'interno della loro casa madre permise alla popolazione
di Acri di mettersi in salvo, fino al crollo del Tempio stesso che
seppellì per sempre attaccanti e difensori. Anche quella che molti
storici definiscono una pagina discutibile della storia delle crociate
l'assedio di Ascalona (1153), in realtà deve essere vista come un
estremo sacrificio Templare per impedire una clamorosa disfatta. La
versione di Guglielmo di Tiro viene stupendamente riportata da Umberto
Eco nel Pendolo di Foucault:
"[Š] un giorno il re di Francia, l'imperatore tedesco Baldovino III di
Gerusalemme e i due Grandi Maestri dei Templari e degli Ospitalieri
decidono di assediare Ascalona. Partono tutti per l'assedio, il re, la
corte, il patriarca, i preti con le croci e gli stendardi, gli
arcivescovi di Tiro, di Nazareth, di Cesarea, insomma, una gran festa,
con le tende rizzate davanti alla città nemica, e le orifiamme, i gran
pavesi, i tamburi [Š]. Ascalona era difesa da centocinquanta torri e gli
abitanti si erano prepa-rati da tempo all'assedio, ogni casa era
traforata di feritoie, tante fortezze nella fortezza. Dico, i Templari,
che erano così bravi, queste cose avrebbero dovuto saperle. Ma niente,
tutti si eccitano, si costruiscono testuggini e torri in legno, sapete
quelle costruzioni a ruote che si spingono sotto le mura nemiche e
lanciano fuoco, sassi, frecce, mentre da lontano le catapulte bombardano
coi maci-gni [Š]. Gli ascaloniti cercano di incendiare le torri, il
vento gli è sfavorevole, le fiamme si attacca-no alle mura, che almeno
in un punto crollano. La breccia! A questo punto tutti gli assedianti si
but-tano come un sol uomo, e accadde il fatto strano. Il Gran Maestro
dei Templari (Bernardo di Tré-melay) fa fare sbarramento, in modo che in
città entrino solo i suoi. I maligni dicono che fa così af-finché il
saccheggio arricchisca solo il Tempio i benigni suggeriscono che temendo
un agguato vo-lesse mandare in avanscoperta i suoi ardimentosi. In ogni
caso non darei a costui da dirigere un scuola di guerra, perché quaranta
Templari fanno tutta la città a centottanta all'ora, sbattono contro la
cinta dal lato opposto, frenano con un gran polverone, si guardano negli
occhi, si chiedono cosa fanno lì, invertono la marcia e sfilano a rotta
di collo tra i mori, che li tempestano di sassi e verretto-ni dalle
finestre, li massacrano tutti Gran Maestro compreso, chiudono la
breccia, appendono alle mura i cadaveri e squadrano le fiche ai
cristiani tra sghignazzamenti immondi."
La versione di Guglielmo di Tiro appare un po' troppo tendenziosa, è pur
sempre vescovo di Tiro, e già abbiamo spiegato quanto i Templari fossero
invisi al clero; più realistica mi pare invece l'ipotesi proposta da
George Bordonove secondo il quale il Maestro del Tempio, già sulla
breccia, vedendo gli ascaloniti che si preparavano a tendere un agguato
ai crociati che come un sol uomo si sarebbero catapultati
attraverso la breccia, sbarra la strada con i suoi cavalieri all'orda
insensata mentre i suoi tentano di stabilire una salda posizione.
Nessuna altra ipotesi mi pare altrettanto soddisfacente. L'e-stremo
sacrificio dei cavalieri del Tempio; d'altra parte la versione di
Guglielmo di Tiro è l'unica pervenutaci, in quanto Bernardo di Trémelay,
le cui spoglie pendevano con quelle dei suoi fratelli dalle mura di
Ascalona, non ha, ovviamente, avuto la possibilità di dire la sua; qual
cosa più facile che far ricadere la colpa di una sconfitta su coloro che
non possono più replicare?
Viene spontanea a questo punto una domanda, come
fanno dei monaci soldati impegnati, non di-mentichiamolo mai, per oltre
due secoli in una continua, dispendiosa e sanguinosa lotta contro gli
infedeli in Terra Santa o in Spagna senza mai abbandonare il loro
incrollabile tabù "non rifiutare mai il combattimento" ad
accumulare tale saggezza? Il regno di Gerusalemme non ha mai conosciuto
la pace; da quel 15 luglio 1099 fino al 17 maggio 1291, caduta di Acri,
i Templari hanno dovuto combattere in maniera continua gli infedeli ora
in battaglie ciclopiche al fianco del condottiero Franco o Sassone di
turno, ora in scaramucce per difendere una strada insidiata dai predoni
sarace-ni, ora per difendere i loro castelli dalla continua pressione
mussulmana. Monaci soldati colti si (an-che se pochissimi di loro
conoscevano il latino, lingua dei dotti di allora, lo dimostrano i
regola-menti scritti in volgare francese) ma quando trovavano il tempo
di studiare l'economia e la politica?
Inoltre il Gran Maestro del Tempio, colui che a tutti gli effetti era
l'imperatore di un tale regno, l'u-nica vera autorità dei Templari e che
per statuto doveva risiedere a Gerusalemme, era un militare, un uomo che
doveva essere in grado di condurre i suoi Cavalieri in battaglia, uno
stratega dotato di grandi capacità; un uomo costantemente impegnato in
battaglia, o in difficili trattative con il re di Ge-rusalemme, con il
Gran Maestro dell'Ospedale e con i saraceni. Era pressoché impossibile
governa-re un impero in queste condizioni, mi risulta difficile capire
come un soldato potesse governare con profitto un impero economico
mentre era impegnato in una guerra, lo dimostra il fatto che più di una
volta gli imperatori o i re impiegati in Terra Santa sono stati
costretti ad un precipitoso ritorno in pa-tria per impedire che il loro
regno venisse dilaniato da guerre interne o da signorotti intriganti.
L'arcano potrebbe essere ricercato nel famoso, sempre supposto, ma mai
dimostrato, ordine segreto, il nucleo di monaci cavalieri. Se infatti
l'Ordine ha come scopo principale la difesa del Santo Se-polcro con le
armi di cui in più di una occasione hanno dimostrato di conoscere
perfettamente l'uso, si rende necessario il reclutamento non di preti o
frati che hanno scarsa dimestichezza con le armi, ma di cavalieri
provetti, gente non solo abituata da sempre ad usare armi, ma anche in
grado di sop-portare le fatiche di una guerra nel deserto, sotto un sole
cocente, con indosso pesantissime armatu-re. Mi è difficile credere che
degli uomini di chiesa, abituati a trascrivere e a studiare gli antichi
testi, abbiano avuto la volontà e la forza di imbracciare le armi, e se
anche ciò fosse, mi risulta difficile credere che in uno o due anni di
continui esercizi fossero riusciti ad acquistare una abilità e una forza
tale da maneggiare delle spade del peso di diversi chili, da cavalcare
dentro pesantissime armature per ore ed ore sotto il pressante sole
africano, in breve di costituire la cavalleria pesante forse più
ef-ficiente, disciplinata e potente dell'intero mondo conosciuto.
Ugualmente impensabile, mi sembra, che l'eloquenza di San Bernardo abbia
convinto uomini d'arme a rinunciare a tutto soldi, donne, fama, vino,
per diventare monaci che nulla possedevano, che mangiavano in due in una
scodella, che avevano fatto voto di castità, e il cui unico privilegio
era quello di farsi impalare alla prima occa-sione dal Saladino.
Molto più probabile mi sembra l'ipotesi dell'esistenza di due ordini
all'interno dei Templari: un or-dine combattente fatto di soldatacci
duri, abili nell'uso delle armi, che bevevano, che bestemmiava-no
(bestemmiare e bere come un Templare), che non disdegnavano il
saccheggio e perché no anche lo stupro di qualche bella beduina, l'altro
fatto di monaci abili nella politica e nell'economia, studiosi
appositamente creati nelle abbazie benedettine, veri e propri saggi
forgiati a classe dirigente. Man-giavano insieme, possedevano le stesse
armi, obbedivano agli stessi ordini dormivano nelle stesse celle,
avevano gli stessi doveri civili e religiosi, erano del tutto
indistinguibili agli occhi profani, ma nel segreto della casa, gli uni
studiavanno i loro preziosi manoscritti, si occupavano di politica,
eco-nomia, architettura, gli altri si esercitavano all'uso delle armi.
Anche gli stessi regolamenti degli Or-dine i Retains sono validi
solamente per disciplinare in maniera ferrea dei soldati, ma non sono in
grado di fornire dottrine utili per l'amministrazione di un impero
economico quale quello Templare. Più probabile è l'esistenza di una
regola segreta nota solo ad alcuni iniziati.
Un segnale di riconoscimento fra i monaci cavalieri e i cavalieri laici
poteva essere la conformazione della croce, infatti, al contrario degli
Ospitalieri (divenuti poi Cavalieri di Malta), la croce Templare, che i
Cavalieri portavano sulla spalla destra, non è univoca e ne esistono
numerosissime versioni, ad ogni tipo di croce sarebbe potuto
corrispondere un determinato grado iniziatico. Quasi a confer-ma di
questo dualismo tutta l'organizzazione Templare sembra giocare sul
numero due: l'impero templare è diviso in nove province, tre semplici e
sei doppie, le province semplici sono quelle a contatto con i
mussulmani, nelle province doppie le commende sono poste a coppie. Ciò
non sem-bra un semplice caso, bensì una filosofia binaria che pervade
tutta l'organizzazione templare, la re-gola prevedeva infatti che i
cavalieri dovessero mangiare in due nello stesso piatto, che dovessero
uscire dai castelli solo a coppia, perfino il Gran Maestro non si
spostava mai senza il suo compagno d'arme, il più famoso sigillo
raffigura due cavalieri armati di scudo e di lancia sul medesimo
destrie-ro. Un sistema dualista, voluto dallo stesso San Bernardo, che
inizia nella divisione Oriente-Occidente e termina nello stemma Baussant
dell'Ordine (una bandiera mezza bianca e mezza nera che richiama il
pavimento del Tempio di Salomone). Questo dualismo può rappresentare il
simbolo di una divisione dicotomica all'interno dell'Ordine, in parole
povere due ordini ben distinti sotto lo stesso tetto.
Se i monaci erano accuratamente selezionati in quanto dovevano custodire
il Gran Segreto in pos-sesso dell'Ordine, e dovevano perseguire il vero
fine dell'Ordine, i militi non lo erano affatto; il proselitismo che
viene attuato in Occidente è estremamente sviluppato, si tende ad
arruolare qualsia-si cavaliere, anche se di non retti principi,
addirittura possono arruolarsi anche i cavalieri scomuni-cati, talvolta
è lo stesso papa che obbliga qualche signorotto particolarmente
"turbolento" ad arruo-larsi nell'Ordine, si cerca quindi di convogliare
tutte le energie negative dell'Occidente nella "giusta" causa della
guerra santa. Dobbiamo a questo punto considerare il Tempio come una
sorta di legione straniera? L'immagine è anacronistica, ma
chiarificatrice; i Templari agiscono ai margini della so-cietà
cristiana. È un atteggiamento coraggioso, ma pericoloso!
Tutto andò bene fino alla caduta di Acri e al dissolvimento del regno
franco in Palestina, fino ad al-lora ogni stranezza, ogni avidità
dimostrata dal Tempio era ben accetta, in quanto dovevano procac-ciarsi
i denari necessari a finanziare la guerra, e le ricchezze accumulate
venivano presto dilapidate per le ingenti spese militari; ma quando la
guerra contro i mori era ormai definitivamente persa, e l'idea di una
nuova crociata era a dir poco anacronistica, i privilegi e le ricchezze
di un Ordine i cui componenti avevano fatto voto di povertà appaiono
iniqui, insensati, ingiusti. Se a questo si ag-giunge l'astio provato
delle autorità civili e religiose nei confronti di un Ordine troppo
potente, con troppi privilegi, ritenuto il principale responsabile della
disfatta in Terra Santa, facilmente si può comprendere l'aurea di
diffidenza e di astio che si è creata nei primi anni del XIV secolo
intorno al Tempio.
A questo punto sorgono due domande: come mai i Templari non hanno
reagito all'attacco di Filippo il Bello? Quali sono i veri motivi
dell'apocalisse templare?
Moltissimi autori hanno tentato negli anni di spiegare perché un Ordine
tanto potente militarmente si sia arreso senza colpo ferire quel
fatidico venerdì 13 ottobre 1307, quando, per ordine di Filippo il Bello
re di Francia, i soldati increduli arrestano i Cavalieri Templari
contemporaneamente in tutto il regno. Altrettanto incomprensibile è come
mai l'informazione di un arresto incipiente non sia trape-lata e giunta
all'orecchio del Gran Maestro dell'Ordine. Sono domande che purtroppo
non hanno ancora una risposta, e che pertanto hanno generato una ridda
di ipotesi alcune delle quali addirittura ridicole. C'è chi afferma che
l'Ordine dei Templari si sia fatto massacrare al fine di nascondersi
nel-l'ombra e di poter continuare la sua opera di conquista del mondo
indisturbato.
Alla seconda domanda è invece possibile proporre una risposta:
ragioniamo un attimo per assurdo: se Filippo il Bello nel 1307 non
avesse decretato con mezzi leciti o meno la fine dell'Ordine cosa
sa-rebbe successo? Nei duecento anni di splendore templare i monaci
erano riusciti a possedere nella sola Francia circa due milioni di
ettari che sfuggivano ad ogni tassa e decima, senza contare le im-mense
ricchezze gelosamente custodite nei loro castelli che nessuno è mai
riuscito a calcolare con precisione e gli ingenti debiti che lo stesso
re di Francia aveva contratto con loro; ma durante questi duecento anni
il fronte Orientale era una vero pozzo senza fondo che ingoiava gran
parte dei guada-gni dell'Ordine. Ora che il fronte era "chiuso", che le
spese di guerra non gravavano più sull'eco-nomia Templare, in brevissimo
tempo i possedimenti dell'Ordine sarebbero raddoppiati, triplicati,
centuplicati.
Un potere temporale si conserva solo grazie al potere
politico ed economico, ma come è possibile creare un potere centrale
forte, come quello che Filippo il Bello si era prefissato di creare in
Francia, se nel cuore dello stato è presente una potenza
economico-militare forse più potente dello stesso stato e che gode di
ogni immunità e facilitazione? Un esercito come quello Templare forgiato
da duecento anni di guerre continue rappresentava un pericolo troppo
grande, non solo per la Francia, ma anche per tutto l'Occidente; e dato
che non era possibile attaccarlo frontalmente l'unico sistema che
rimaneva al re per disfarsi dell'Ordine era la calunnia e quella
terribile arma rappresentata dal-l'inquisizione contro cui non esiste
alcuna possibilità di difesa.
Senza entrare nel merito del processo ai Templari così intriso di
argomentazioni teologiche create in modo tale da far cadere qualsiasi
persona non esperta di tale argomento, nell'eresia, cerchiamo di
analizzare le principali accuse rivolte al Tempio.
L'accusa più assurda è senza dubbio quella di connivenza con il nemico,
di essersi fatti spesso alle-ati dell'infedele. Fra tutte questa è senza
dubbio l'accusa più facilmente confutabile, lo dimostra il fatto che dei
22 Maestri del Tempio che si sono succeduti da Ugo di Payns a Giacomo de
Molay sette perirono in combattimento, cinque in seguito alle ferite
riportate in battaglia, uno in cattività, ed infine l'ultimo Maestro è
stato bruciato sul rogo come relapso; lo dimostra anche il fatto che i
mori hanno sempre trucidato i cavalieri catturati in quanto sapevano
benissimo di non poter richiedere un riscatto per la loro vita, e che,
una volta liberati, avrebbero ripreso a combattere per la loro fede. Di
estremo interesse a tale proposito mi appare l'atteggiamento del
Saladino nei confronti dei Templari: "Voglio purgare la terra da
questo Ordine immondo le cui pratiche sono prive di utilità, e che non
rinunceranno mai alla loro ostilità e non saranno mai utili come schiavi".
Lo stesso Vecchio della Montagna, il capo degli assassini giudicava
inutile perdere il proprio tempo a far sparire i Maestri dell'Ordine,
poiché ne venivano subito eletti altri senza che ciò scalfisse la
coesione dell'Ordine stesso. Solamente un atteggiamento poteva essere
confuso con il tradimento, ovvero la diplomazia. Il regno di Gerusalemme
si reggeva non solo sulla forza militare, ma anche sulle alleanze che
riusci-va a stipulate con i vari sultani dei regni mussulmani
circostanti, se infatti si fosse realizzata, come infatti si realizzò
nella seconda metà del XIII secolo, l'unificazione di tutto il mondo
mussulmano, i possedimenti franchi in Terra Santa sarebbero stati
spazzati via in breve tempo. Quindi la diplomazia era fondamentale per
la sopravvivenza dello stato. Questo atteggiamento lungimirante, spesso
pru-dente e leale nei confronti degli alleati mussulmani, definita più
volte Cavalleria Spirituale, è stato confuso dai barbari crociati
assetati di gloria e di ricchezze che venivano dall'Occidente senza
ren-dersi assolutamente conto della politica e della realtà locale, come
codardia o, peggio, tradimento. Durante tutta la durata della
dominazione franca in Terra Santa infatti è sempre esistito un continuo
conflitto fra i crociati che provenivano dall'Occidente e che
desideravano solamente combattere sempre e dovunque, salvo poi, vista la
mala parata, ritornarsene in salvo in Occidente, e i poulains, ovvero i
latini che abitavano in Terra Santa che ben comprendevano come un
sottile gioco politico di alleanze con i signorotti circostanti fosse di
gran lunga più efficace e importante di una fugace e spe-so incerta
vittoria sul campo. I Templari si sono sempre fatti garanti di una tale
politica cercando continue alleanze, stipulando tregue non sempre
rispettate dal principe occidentale di turno. Certa-mente dopo duecento
anni di permanenza in Palestina le influenze arabe ci sono state, i
Templari si-curamente sono venuti a contatto con sette iniziatiche
mussulmane, i sufi, gli ismaeliti, i motocalle-min, gli haschischin
guidati dal Vecchio della Montagna, dai quali, forse, hanno imparato il
signifi-cato esoterico del Graal, il segreto del Tempio di Salomone, o
altri insegnamenti iniziatici o comun-que dei quali hanno subito una
profonda influenza che ha poi portato all'accusa di connivenza.
L'accusa principale, ma anche l'accusa più difficilmente interpretabile
e più difficilmente analizzabile è quella di eresia. La difficoltà
dell'analisi di tale accusa è insita sia nell'argomentazione teologica
che è di una complessità straordinaria, ma anche dal fatto che,
nonostante la tortura, dagli atti del processo non è mai scaturito nulla
di univoco; molti fratelli hanno confessato di aver rinnegato Cri-sto
sputando sulla Croce durante la cerimonia di iniziazione, di aver
sentito parlare di sodomia, ma di non esserne mai stati testimoni, di
aver dato e ricevuto baci in posti poco consoni del loro corpo, ma
nessun dato sicuro è mai trapelato, sempre per sentito dire, sempre
tutto nel vago. Le domande che gli inquisitori ponevano ai cavalieri la
cui lucidità mentale era ormai completamente annebbiata sotto la
tortura, erano di tale complessità, presupponevano una cultura teologica
tale da far cadere nell'eresia anche un Santo, e i cavalieri, molti dei
quali neppure conoscevano il latino, non erano certo in grado di
riconoscere tali tranelli filosofici. Dei semplici scherzi, dei semplici
atti di "nonni-smo" fra commilitoni, degli "errori" dei singoli sono
stati strumentalizzati al fine di far cadere la col-pa e l'ignominia
sull'intero Ordine: "E ricordati che qui siamo tutti pederasti, ed
ora fammi prendere la chiave del campo di tiro e vieni a dimostrare il
tuo coraggio".
Lo stesso Ugo de Molay dichiara di aver detto durante una cerimonia di
investitura "E se vai in calore rinfrescati con i tuoi fratelli",
ma ha anche aggiunto "Lo dicevano con le labbra, non con il cuore,
era solo la pratica dei nostri statuti".
Anche le confessioni sono spesso contraddittorie, chi dice una cosa, chi
ne dice un'altra, ma quello che veramente accadeva nel segreto del
Capitolo non è trapelato; nulla di veramente iniziatico ed e-soterico è
mai stato confessato. Stoicamente i cavalieri hanno resistito alle
torture senza rivelare il loro segreto, hanno preferito la morte fisica
e la completa distruzione dell'Ordine piuttosto che la morte spirituale.
Certo non tutti i Templari erano a conoscenza del segreto, ma i veri
iniziati del nu-cleo dei monaci-cavalieri, coloro che erano addentro
alle segrete cose, hanno saputo celarsi, mime-tizzarsi con gli altri, e
sotto tortura hanno confessato solamente verità marginali, spesso
contraddit-torie, al fine di rendere ingarbugliata ancor di più la
scena. Sono stati in grado di riferire quello che gli accusatori
volevano sentirsi dire, ovvero la presenza dell'eresia catara
all'interno dell'Ordine. In questo sono stati aiutati dal fatto che
l'intero processo ai Templari è stata esclusivamente una mossa politica,
con esso, infatti, si voleva colpire la potenza economico-militare
dell'Ordine, e non strap-pare ai Cavalieri il loro segreto. L'intero
gioco di potere fra Filippo il Bello e Clemente V può essere visto come
l'inizio della secolare battaglia contro l'autonomia dei corpi intermedi
di ogni tipo fra stato e suddito indispensabile per l'affermazione degli
stati nazionali e dell'assolutismo che trionferà poi nel XVII e XVIII
secolo.
L'accusa di eresia è un'arma estremamente efficace in mano
all'inquisizione, in quanto non permette repliche, è infatti
estremamente facile cadere in eresia di fronte ad un tribunale
dell'inquisizione gra-zie anche alla tortura, ed una volta condannati,
la pena va dal carcere a vita (e che carcere!!), al rogo; se poi qualche
disgraziato tenta di ritrattare la confessione viene definito relapso, e
come tale bru-ciato sul rogo. Sempre gli inquisitori hanno condotto la
loro inchiesta al fine di far ricadere l'accusa di eresia non sui
singoli fratelli, ma sull'intero Ordine, infatti non si voleva solamente
colpire dei fratelli, dei monaci, ma l'intera istituzione, ed
esclusivamente un'accusa che coinvolgeva il Tempio nella sua interezza
avrebbe permesso lo scioglimento dell'Ordine e quindi l'eliminazione del
pericolo che esso rappresentava.
Certamente il venir a contato con popolazioni la cui filosofia deriva
dal manicheismo, dalla dottrina gnostica, il contatto continuo con i
costruttori di cattedrali e le corporazioni dei tessitori che
apparte-nevano all'eresia catara, ha profondamente impregnato l'Ordine
di un sottile substrato eretico. Inol-tre nelle fila dei Templari
potevano entrare anche gli scomunicati e molti cavalieri e signorotti
appar-tenenti agli Albigesi, dopo la crociata contro tale setta, sono
sicuramente penetrati nell'Ordine por-tando con loro la filosofia
catara.
Indicativa dell'eresia catara che era penetrata nel Tempio, era la
venerazione dei Templari per la Pentecoste e per la festa dello Spirito
Santo e la loro quasi totale indifferenza per il Natale, la Pasqua e l'Eucarestia,
che addirittura veniva "dimenticata", durante l'officiazione della Santa
Messa, in quanto per i catari, la cui filosofia deriva sempre dallo
gnosticismo, il Regno dello Spirito Santo do-veva succedere a quello del
Padre e a quello del Figlio. Anche lo stesso atto di rinnegare il Cristo
sputando sulla Croce durante l'iniziazione è da ricondursi all'eresia
catara, in quanto questa setta non riconosceva la divinità di Gesù
Cristo. O meglio si ritiene che credessero nella presenza di due entità
distinte nella figura di Gesù, una che può essere ricondotta alla Parola
Divina incarnata e poi assunta al cielo, l'altra costituita da un essere
umano morto crocifisso.
Ma tutti i cerimoniali Templari sembrano richiamarsi a movimenti
iniziatici orientali, ad esempio il bacio sulla regione perianale che
veniva dato al neofita durante il cerimoniale di iniziazione, non era
altro che un atto simbolico che rappresenta il tentativo di risvegliare
il Serpente Kundalini assopito sul fondo della colonna vertebrale; la
forza rappresentata dal serpente, una volta ridestata doveva es-sere
convogliata senza sprechi e deviazioni verso l'esterno, ecco il perché
della castità, verso il cer-vello, e precisamente alla ghiandola
pineale, la quale a sua volta rappresenta il terzo occhio dell'uo-mo,
che permette la visione diretta attraverso il tempo e lo spazio.
Ancora più misteriosa è la storia del Bafometto, di cui poco o nulla
sappiamo, dalle sconnesse con-fessioni dei Templari il Bafometto sarebbe
una testa barbuta orribile a vedersi che i Cavalieri avreb-bero adorato;
su questo misterioso idolo sono state fatte numerosissime ipotesi, la
testa di Satana, la testa di Maometto, un reliquiario in forma di testa;
certamente non è mai stato ritrovato in nessuna casa templare, e questo
fa dubitare della sua esistenza reale, più facilmente potrebbe essere
solo un simbolo, e precisamente un simbolo alchemico ("Bapheus meté"
ovvero tintori della luna, che indica alchemisticamente coloro che
possono trasformare l'argento in oro, vale a dire gli adepti pervenuti a
realizzare la grande opera), e pertanto potrebbe essere un'ulteriore
prova dell'esistenza di un nucleo iniziatico-alchemico nel cuore
dell'Ordine Templare. Ma nessuna prova della loro esistenza è mai stata
dimostrata, tantomeno al processo.
A questo punto le ipotesi sono due, o i veri iniziati sono riusciti a
confondersi con gli altri fratelli e hanno resistito alla tortura, o
alcuni fratelli iniziati sono riusciti a sfuggire prima della
persecuzione portando con loro tutti i documenti compromettenti. Questa
seconda ipotesi appare forse più proba-bile anche perché non sono stati
ritrovati mai documenti sicuri riguardanti l'Ordine, come se qualcu-no
si fosse preso la briga di distruggere le prove, anche le immense
ricchezze dei forzieri delle commende templari sono spariti per sempre.
Una leggenda cara ai Massoni afferma che due giorni prima del fatidico
13 ottobre una carretta di fieno tirata da buoi e guidata dai Cavalieri
più fidati ab-bia abbandonato il Tempio di Parigi per destinazione
ignota; sicuramente molti Templari si unirono ad una loggia massonica
appena creata a Kilwinning in Scozia, e che cosa vieta che i documenti
ini-ziatici siano stati trasferiti da Parigi in Scozia? Forse la
carretta di fieno è una metafora, un simbolo, ma certamente è
impensabile che gli alti ufficiali Templari non sapessero della spada di
Damocle che pendeva sulla loro testa e che non abbiano preso i loro
provvedimenti per la salvezza dell'insegna-mento iniziatico che
custodivano.
La storia dei Templari si conclude il 3 aprile 1312 quando con la bolla
Vos Clamantis il papa Cle-mente V sopprime, l'Ordine; molti
Cavalieri in Francia avevano trovato la morte tra atroci torture o in
numerosi roghi; fuori dalla Francia i Cavalieri Templari o erano entrati
a far parte degli Ospitalie-ri, o dei benedettini dei cistercensi, o
infine avevano fondato nuovi ordini di tipo cavalleresco-monastico come
i Cavalieri di Montesa in Spagna, e i Cavalieri di Cristo in Portogallo.
Giacomo di Molay morendo sul rogo il 18 marzo 1314 lancia la sua
maledizione sul re e sul papa; il papa Cle-mente V muore in circostanze
misteriose il 20 aprile e il re Filippo il 29 novembre durante un
inci-dente di caccia, così come, nello stesso anno muore il principale
artefice dell'olocausto templare Guglielmo di Nogaret, ed infine quando
Luigi XVI viene ghigliottinato c'è chi urla "Giacomo di Molay, sei
vendicato!!!".
Bibliografia
GEORGE BORDONOVE: "I Templari"; ed. SugarCo Milano 1989.
LOUIS CHARPENTIER: "I Misteri dei Templari"; ed Atanòr Roma 1985.
ALAIN DEMURGER: "Vita e Morte dell'Ordine dei Templari"; ed.
Garzanti Milano 1988.
RODOLFO IL GLABRO: "Cronache dell'anno mille"; ed.
UMBERTO ECO: "Il pendolo di Focault"; ed. Bompiani Milano 1988.
GABRIELE PEPE: "Il medio evo barbarico d'Italia"; ed. Einaudi
Torino 1963.
G. VENTURA: "Templari e Templarismo"; ed. Atanòr Roma 1984.
ROSARIO VILLARI: "Storia Medioevale"; ed. Laterza Roma
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