Butoh, La Danza delle Tenebre
Kybernetes
Il butoh è un movimento contemporaneo che nasce insieme agli anni '60 grazie a Tatsumi Hijikata, artista "maledetto" del Giappone post-atomico, e Kazuo Ohno, imprescindibile personalità-guida di questa disciplina. Alle origini, è caratterizzato dall'aggressività verso il pubblico, l'uso abituale della provocazione, soprattutto relativamente ai tabù sessuali, il richiamarsi a miti arcaici, il kitsch, il grottesco, il nichilismo, ecc. esponendo senza pudore la decadenza, l'oscenità e l'umorismo.
II butoh è un intimo dialogo tra l'apollineo ed il dionisiaco e rappresenta un'avanguardia, una delle esperienze più significative nella storia dello spettacolo del ventesimo secolo, poichè ha ampliato il concetto di danza, capovolgendone la concezione estetica, ed ha offerto al teatro un mirabile esempio di attore organico, capace di modulare la sua presenza in una completa fusione di arte e vita. Non è una tecnica ma il grido primordiale che annienta e vanifica ogni norma, la trasformazione e la metamorfosi della ribellione del corpo naturale contro la violenza della cultura, che porta alla luce pure visioni dal subconscio sostenute unicamente dall'urgenza del desiderio e dell'istinto primitivo. É la lotta delle cose invisibili all'interno del corpo che, una volta portata all'esterno, acquisisce una valenza sacrale. L'universo diventa il vestito del corpo
ed
il corpo diventa il contenitore dell'anima.
Il butoh
esalta la visceralità ed il legame con la terra, evoca ombre, liberando le insondate profondità dell'inconscio collettivo. É una forza
misteriosa e pericolosa, l'antitesi del miracolo economico che, sconvolgendo le normali abitudini percettive ed aprendo nuovi orizzonti alla
sensibilità, sfida criticamente il materialismo della società attuale e rievoca un'antica radice panteista che riconcilia la persona con la
natura, partendo dai principi della danza espressionista tedesca ed adottando maestri eretici come Antonin Artaud, il Marchese De Sade,
Friedrich Nietzsche, Yukio Mishima ed il Conte di Lautréamont: autori che hanno fatto vacillare il mondo ordinato della ragione per
sostituirlo con il caos primordiale, l'erotismo, la solitudine e gli impulsi distruttivi.
I
danzatori che praticano il butoh possiedono un eversivo anticonformismo. È l'underground
del Giappone, espressione di dissenso politico che ha anticipato la fusione di precedenti distinzioni razziali, culturali ed estetiche. Esso
esorta l'individuo comune a migliorare la qualità della sua esistenza, rifiutando modelli di vita preconfenzionati, negando l'ego,
attraverso un radicale meccanismo di decostruzione, e sviluppando una consapevolezza del proprio corpo tale da esser pienamente vivo in ogni
attimo del presente.
Purtroppo oggi il butoh è molto diverso da ciò che era alle origini e si parla più
propriamente di new butoh.
Le caratteristiche soggettive del butoh ed il suo
training (che ricorda il teatro di Jerzy Grotowsky ed ha molto a che fare con la meditazione e l'allenamento delle arti marziali
estremo-orientali) vengono indicati come strumenti d'esplorazione ed integrazione psicosomatica.
Con la sua introversione, il butoh risulta un mezzo terapeutico catartico e potente.
Utilizzando le vibrazioni del proprio magnetismo nervoso, il danzatore, attraverso la performance,
crea partiture strazianti ed oniriche irripetibili d'un corpo geroglifico al limite della dissoluzione.
Il butoh coltiva la capacità di sperimentare differenti tipi d'esistenza e, nonostante ha
sempre rifiutato qualunque tentazione a costruire un sistema e non ha mai assunto una forma definita, alcuni elementi ricorrenti negli
spettacoli possono essere l'utilizzo dinamico del vuoto (punto di contatto con il buddhismo zen),
l'improvvisazione, le atmosfere surreali e la nudità dei corpi, spesso dipinti (body painting).
(Fonti: Maria Pia D'Orazi, "Kazuo Ohno" - L'Epos; Giorgio Salerno, "Butoh, danza della vita"; Giorgio Salerno, "In ricordo di Tatsumi Hijikata e della sua danza nel 12° anniversario della sua morte"; Virginia Salles, "Buto, la danza delle tenebre"; Pier Paolo Koss, "Perdersi nel nulla")