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Tom Bombadil: la chiave per un’interpretazione gnostica de il Signore degli Anelli? di Alessandro Nardin |
Una delle figure più misteriose ed enigmatiche della saga creata dal genio ermetico di John Ronald Reuel Tolkien. Appare all’improvviso nel cuore di una foresta a quattro Hobbit in difficoltà nelle fattezze di un vecchio squinternato, «tanto rumoroso e goffo con i suoi stivaloni infilati alle grosse gambe. […] Aveva una lunga barba castana, e gli occhi azzurri e luminosi brillavano in un viso rosso come un pomodoro maturo, ma increspato da centinaia di rughe ridenti.» (Tolkien, LOTR, trad. it., p. 166). Entra in scena cantando, proponendo ritornelli senza senso («Hey Dol, Merry Dol, Ring a Dong Dillo…») ed attraverso il canto trova più conveniente esprimersi per tutto il tempo che lo vuole presente nella vicenda.
Eppure sotto queste spoglie bizzarre si cela il personaggio più potente del romanzo, l’unico apparentemente in grado di contrastare Sauron, l’Oscuro Signore del male. L’unico, e questo è certo, a non essere soggiogato dal potere dell’Anello.
Ma chi è, o cos’è in realtà Tom Bombadil?
Ammiratori, appassionati, critici di Tolkien hanno scritto e proposto un’infinità di possibili interpretazioni, spesso cercando di legare il personaggio alla mitologia interna al romanzo, ma anche cercando di conferirgli un ruolo simbolico, offrendo soluzioni che spaziano dall’incarnazione della Natura stessa a sovrapposizioni con il dio Odino del ciclo dell’Edda.
Né Tolkien ci aiuta a chiarire il caso, poiché allude e ritratta, nei suoi testi come nelle lettere: sappiamo che Tom è un personaggio preesistente alla stesura di LOTR, e che Tolkien ha avuto modo di scrivere in una lettera del 1954, «…many have found him an odd and indeed discordant ingredient. In historical fact I put him in because I had already invented him…and wanted an 'adventure' on the way. But I kept him in, and as he was, because he represents certain things otherwise left out. »(Tolkien, Letters, p. 192). In altre lettere allusive, il mistero anziché chiarirsi si infittisce, poiché lo scrittore sottolinea che “even in a mythological Age there must be some enigmas, as there always are. Tom Bombadil is one (intentionally)» (Ibid., p. 174). Ed ancora, replicando ad un critico: «Later he adds that “Tom is not an important person - to the narrative. I suppose he has some importance as a 'comment'.” He then goes on to explain that each side in the War of the Ring is struggling for power and control. Tom in contrast, though very powerful, has renounced power in a kind of “vow of poverty”, a natural pacifist view.» (Ibid., pp. 178-79).
E’ più che lecito quindi formulare ipotesi, nel momento in cui lo stesso autore gioca con i suoi esegeti come il gatto con il topo.
L’azzardo che propongo in questo breve scritto è dunque il seguente: è possibile avvicinare la figura di Tom Bombadil a quella del Cristo della tradizione gnostica? Ciò che così enunciato sembrerebbe un’eresia per qualunque chiesa, compresa quella tolkeniana, potrebbe però essere suffragato da un attento esame di ciò che il personaggio rappresenta all’interno della storia.
Ovviamente, è Frodo il primo a domandarsi chi sia in realtà Tom (Tommaso, e siamo sicuri che, nella scelta del nome, ogni riferimento al “gemello” del Signore, autore di un fondamentale Vangelo gnostico, sia del tutto casuale?).
La prima volta lo domanda alla sua dama-consorte, Baccador (Goldberry), la cui risposta aforistica si limita alla constatazione «He is.» («E’ lui.»).
Non è ben chiaro quale rapporto leghi Tom alla sua eterea consorte, a questa sorta di eterna fidanzata asessuata, che intesse con lui un legame più vicino a quello delle nozze chimiche della tradizione rosacrociana che a quello del matrimonio umano. Le di lei caratterizzazioni rimandano così da presso a quelle dell’Eterno principio femminile della tradizione alchemico-ermetica, a Sophia, donna dei filosofi, alla Maddalena gnostica. Ella è la Figlia del Fiume, ed è sempre vestita di argento, nella doppia valenza simbolica legata al principio fluido di Acqua e Mercurio, principio di decadenza ed ascesa.
La seconda richiesta di Frodo merita tuttavia una ben più particolare attenzione. Scrive infatti Tolkien.
«Finalmente riuscì a vincere il suo rapimento e parlò, come colto da un’improvvisa paura del silenzio. “Messere, chi sei?”, gli chiese.» Il tono mistico con cui Frodo si esprime è quello del discepolo a cui viene squarciato il velo del torpore intellettuale, è quello della rivelazione. E con tono adeguato alla situazione, come una nube che si addensa sul sereno, Tom Bombadil risponde.
«Non conosci ancora il mio nome? Questa è l’unica risposta. Dimmi: chi sei, solitario essere senza nome? Ma tu sei giovane, ed io molto vecchio. […] Tom era qui prima del fiume e degli alberi; Tom ricorda la prima goccia di pioggia e la prima ghianda. Egli tracciò i sentieri prima della Gente Alta, e vide arrivare la Gente Piccola. Quando gli Elfi emigrarono a ovest, Tom era già qui, prima che i mari si curvassero; conobbe l’oscurità sotto le stelle quando era innocua e senza paura: prima che da Fuori giungesse l’Oscuro Signore.»
Il nome diventa dunque un inutile attributo mondano, necessario per i mortali, pena la condanna alla solitudine, ma ininfluente a descrivere la natura delle cose oltre umane.
E’ un argomento ricorrente nella mitologia tolkeniana, di cui si trovano ulteriori conferme nello stupore di Gandalf a sentirsi chiamare per nome dopo il processo di morte e resurrezione che lo ha trasfigurato nello Stregone Bianco, ed ancora nel linguaggio ancestrale degli Ent, in cui l’autore tenta di trasferire l’eterno corso della natura, superando la contingenza del significante e creando una lingua dai tempi infiniti, in cui i nomi si sforzano di essere la somma dei significati.
Si tratta della stessa concezione legata ai nomi che ricorre nella filosofia cristiana gnostica, di cui abbiamo testimonianza nel Vangelo di Filippo. «I nomi che vengono dati alle cose terrestri racchiudono un grande inganno, perché distolgono i cuori da concetti che sono autentici verso concetti che non sono autentici. […] A meno che non si sia venuti a conoscenza di ciò che è autentico, questi nomi sono nel mondo per ingannare.» (Vang. Fil., 11). Ed ancora, a proposito del nome di Gesù. «"Gesù" è un nome segreto, "Cristo" è un nome manifesto. Infatti "Gesù" non esiste in nessuna lingua, tuttavia il suo nome è "Gesù", come lo hanno chiamato.» (Vang. Fil. 19).
Questo disprezzo per le apparenze è in grado quindi di giustificare il modo con cui Tom Bombadil si presenta: è irrilevante il suo aspetto, il suo atteggiamento, il suo continuo cantare apparentemente spensierato, il suo stesso buffo nome, ciò che conta è la sua essenza, un’essenza nascosta agli occhi degli Hobbit, ma in grado di rivelarsi in tutta la sua potenza a chi sia in grado di leggerla.
Ancora più scalpore infatti deve suscitare il ruolo che Bombadil dice di avere nel suo essere al mondo.
In un climax cronologico a ritroso, apprendiamo infatti il suo eterno esistere («Prima che Abramo fosse, Io Sono.» Gv, 8, 58), che si spinge fino a prima ancora della formazione del mondo (prima del curvarsi dei mari, quando l’oscurità era innocua e senza paura). La nascita del mondo, nel discorso di Tom, è collocata in un momento preciso: quando da Fuori è giunto l’Oscuro Signore.
Per chi conosce bene la mitologia creata da Tolkien, l’Oscuro Signore a cui Tom si riferisce probabilmente non è Sauron, ma Morgoth, l’eroe negativo della Prima Era di cui Sauron era un servitore. Possiamo benissimo evitare i nomi, poiché il concetto non cambia: il Signore del Male, ossia il principio stesso del Male, è anche colui che, con il suo impulso, ha reso il mondo tale per come lo conosciamo, ossia qualcosa di molto simile al Demiurgo della tradizione gnostica, il creatore di un mondo decaduto ed ingannevole.
Bombadil preesiste a Sauron, o Morgoth, o qualunque altra personificazione delle Tenebre venisse prima di costoro, proprio come il Principio Primo, il Divino, preesiste all’atto di ribellione del Demiurgo.
Tuttavia Tom Bombadil, pur essendo immune dal potere del male, a sua volta non può avere potere su di esso, poiché, come il Cristo giovanneo, egli non è di questo mondo (Gv, 8, 23).
La sua missione è quella di indicare una via, di insegnare la strada, essere luce per coloro che ascoltano: questo fa Tom Bombadil con gli Hobbit, nella Vecchia Foresta, quando li libera dalla morsa del Vecchio Uomo Salice (un Albero che riassume in sé i principi del Bene e del Male), ma soprattutto intervenendo nei Tumulilande, in una scena ricca di suggestioni simboliche.
I quattro Hobbit, dispersi in mezzo alla nebbia, sono stati imprigionati da uno Spettro dei Tumuli nel profondo di una tomba, buia e gelida; il solo Frodo è sicuramente vivo, gli altri tre giacciono senza sensi, con «i loro volti pallidi come la morte» (o sono morti davvero?).
Frodo invoca Tom, ed ecco come Tolkien descrive l’arrivo del Sotér:
«Ci fu un gran fragore di valanga, e parve che le pietre rotolassero e cadessero. La luce si diffuse tutto intorno, la vera luce, quella pura del giorno.»
«Ed ecco, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono, e molti corpi di santi morti resuscitarono.» Così, invece, l’evangelista Matteo (28, 51-52) ci descrive il tumulto della terra alla morte di Gesù, Colui che per primo si presentò al mondo come la vera luce, la luce del mondo (Gv, 8, 12).
Bombadil non si limita a liberare i suoi piccoli amici: egli resuscita gli Hobbit morti. Non si limita a scuotere i loro corpi e svegliarli: egli canta una canzone che ha il tono del rito e della magia, ed il lettore conosce già il potere del suo canto, che si era già manifestato nell’ordine impartito al Vecchio Uomo Salice in conclusione del capitolo La Vecchia Foresta.
L’ordine questa volta arriva direttamente alla Morte.
Svegliatevi, allegri ragazzi! Svegliatevi al mio richiamo!
Siano caldi il cuore e le membra! La gelida pietra è caduta!
L’oscura porta è spalancata; la mano morta è rotta.
La Notte è stata cacciata, ed il Cancello vi aspetta!
Gli Hobbit erano morti. Lo conferma Merry, il primo a risvegliarsi, il quale rivela come ultimo ricordo prima di aver perduto i sensi una lancia piantata nel cuore.
La pietra che cade, l’ordine perentorio: il richiamo all’episodio di Lazzaro (episodio considerato rituale e simbolico più che reale da molti commentatori gnostici per le sue implicazioni iniziatiche ed esoteriche) è fin troppo evidente.
Tom Bombadil aveva insegnato a Frodo un canto per poterlo richiamare nel momento del bisogno. Tom Bombadil sapeva che gli Hobbit avrebbero avuto bisogno di lui, poiché senza il precipitare nella morte più Nera non vi può essere la rinascita alla Luce. Gli Hobbit dovevano partecipare a questo rito iniziatico: non si spiegherebbe in altro modo l’inserimento di due capitoli altrimenti irrilevanti nell’economia della narrazione.
Esaurito il suo compito, Tom ritorna a casa.
Qui è il confine della terra di Tom: egli non passerà il confine.
Tom ha da badare alla sua casa, e Baccador è lì che lo aspetta.
Ed egli alla casa ritorna, lasciando gli Hobbit liberi di proseguire, come il Cristo scompare dopo la rivelazione ai discepoli per la strada di Emmaus, poiché La via prosegue senza fine, recita uno dei canti più famosi del romanzo.
Agli Hobbit rimane una via tracciata, una verità riconosciuta ed una vita restituita da Tom Bombadil, bizzarra figura messianica, un gemello del Signore nella Terra di Mezzo.