Appunti sulla

Via del Sacro Amore”

di Michele Addante

- Premessa -

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Il compito che si propone di adempiere questo breve scritto è tutt’altro che agevole.

E’ un compito che per ambire alla riuscita, deve necessariamente fare appello alla collaborazione dei pochi di buona volontà che vorranno dedicarvi la loro benevola attenzione. Una collaborazione attiva, solerte, sincera e che faccia affidamento, più che alle facoltà raziocinanti, all’intuito, alla sottile, sagace e penetrante “intelligenza del cuore”.

Perché ciò che ci accingiamo ad esporre con animo libero e confidente, si inquadra in uno dei misteri più profondi ed insondabili: qualcosa che oltrepassa la sfera dei concetti razionali, quelli con i quali abitualmente si ha dimestichezza nell’ordinario fluire del vivere quotidiano.

Allo scopo è, dunque, richiesta la riattivazione di due facoltà ormai atrofizzatesi da tempo in noi uomini dell’era moderna:

a) la facoltà di penetrare nella memoria profonda del nostro essere, quella speciale memoria ancestrale che affonda le sue radici in eventi vissuti in un passato molto, molto remoto;

b) la facoltà di distaccarci dalla nostra mentalità ordinaria di esseri umani immersi nell’attuale ciclo di civiltà, confinata in una visione materializzata e grossolana della realtà. La facoltà di penetrare coscientemente nella dimensione sottile e sovrasensibile, là dove entità invisibili operano ed agiscono nelle forze della natura, nei pensieri e negli istinti.

Si è ben consapevoli della portata dello sforzo che si pretende.

Sforzo sicuramente non comune, ma, altrettanto sicuramente, foriero di risorse interiori utili a “capire” fino in fondo, non solo con la testa, bensì con tutto l’essere, quello che seguirà; poiché quello che seguirà non è un insieme stravagante di fumose astrazioni e di teorie più o meno fantasiose, ma è nostro patrimonio genetico, è sangue del nostro sangue, è la radice della nostra esistenza e la forza vitale che ci sostiene. Ed è, soprattutto, la traduzione, in parole umane intelligibili, di un mistero indicibile, senza spazio e senza tempo.

Da quando l’uomo ha smarrito la conoscenza della Parola Sacra delle Origini, l’unica Parola che gli permetteva di afferrare l’essenza profonda di questo mistero, forse la stessa favella che parlò agli Apostoli nelle lingue di fuoco della Pentecoste e che permise loro di comprendere fino in fondo il grande evento della Resurrezione, non è stato ancora concepito un nuovo linguaggio adatto a renderne la piena e totale cognizione.

Oltre a ciò, un’altra avvertenza è indispensabile tenere costantemente presente nel seguito: ciò che ci accingiamo ad esporre non è produzione di intima e soggettiva creatività poetica, né sogno di sbrigliata e divagante fantasia, ma il risultato di precise indagini sovrasensibili condotte, con metodo rigoroso e scientifico da persone capaci (alcune tuttora incarnate in corpi fisici sulla Terra) di accedere in regioni dell’essere precluse ai sensi fisici. E’ la sfera nella quale entriamo incoscienti quando ogni notte ci addormentiamo.

Si sappia che è data la possibilità, a queste personalità eccezionali, di penetrarvi in uno stato di coscienza lucido e sveglio, laddove, di norma, l’uomo comune cade preda dell’incoscienza del sonno.

Non è demandato al presente documento l’intento di approfondire i dettagli relativi a questo particolare tipo di ricerca. Gli sviluppi a cui tale trattazione darebbe adito, per ampiezza e complessità, esorbiterebbero troppo oltre la misura fissata dai limiti assegnati a questo scritto. Altra sede e circostanza più idonea vi deve essere, all’uopo, eletta.

Ciò che interessa nella presente contingenza è il frutto di siffatta ricerca, donatoci gratuitamente da coloro che alla Conoscenza hanno sacrificato, senza riserve, l’intera esistenza terrena. Assaporare con dedizione la fragranza del nettare di verità da essi stillato ed apprezzarne la virtù conoscitiva, è il tributo che queste anime eccelse si attendono da tutti i Ricercatori dello Spirito che vi si accosteranno con umiltà, animo libero e sete di sapere.



 

- Appunti sulla “Via del Sacro Amore” –



A Coloro che cercano

L’Altra Metà

Della Spada Spezzata.


1. Le Origini

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In un passato molto, molto remoto, anteriore alla gloriosa Civiltà di Atlantide, all’epoca della Lemùria e dell’Iperborea, in un tempo che non potrà mai appartenere alla storia umana e che nessun documento storico tangibile potrà mai testimoniare, il pianeta in cui attualmente viviamo aveva una conformazione completamente diversa da quella che i nostri sensi corporei ci mostrano.

Non esistevano né il regno minerale, né quello vegetale, né quello animale e la sostanza che lo costituiva era un etere sottile e spirituale. Il pianeta Terra non era separato dalla Luna e dal Sole, ma costituiva, congiuntamente ad essi, un “unico corpo cosmico”.

Nell’approccio a questa prima enunciazione, così come per le altre che seguiranno, è necessario lo sforzo di superamento della percezione della realtà materiale, alluso nella “premessa”, a cui siamo quotidianamente abituati nella condizione di veglia diurna, sorretta esclusivamente dai sensi fisici e dall’intelletto ad essi collegato: qui è indispensabile assumere esclusivamente in termini immateriali, quello che si intende dire. L’impiego dell’espressione “corpo cosmico” o “pianeta” non deve evocare nella mente l’immagine della massa materiale gassosa o densa e compatta che si osserva ad occhio nudo o con l’ausilio dei telescopi astronomici, ma realtà spirituali a cui i corpi celesti fisici visibili, forniscono il supporto solido per la loro manifestazione sul piano dell’universo fisico. Questo “corpo cosmico” era immagine astrale intessuta nella trama di un sogno vero, si badi bene, un sogno reale e non illusorio.

Questo “corpo celeste”, che fu l’antenato della nostra Terra attuale, non era deserto. Entità di natura divina Vi operavano attivamente e costituivano i suoi grandi regni, così come allo stato attuale dell’evoluzione, gli elementi costitutivi dell’esistenza terrena sono ordinati secondo quanto le scienze naturali catalogano come regni minerale, vegetale, animale ed umano. Non rocce, non piante ed alberi, non animali, non esseri umani, ma entità spirituali elevatissime che la teologia cristiana designa come Angeli ed Arcangeli, ne animavano la vita e ne tessevano l’immensa trama.

Impresa praticamente impossibile si rivela il tentativo di descrivere fedelmente ciò che in questa realtà si animava e neanche l’immaginazione più prodigiosa e dotata del più sublime senso poetico, sarebbe capace di riprodurre fedelmente gli scenari di splendore e di gloria di cui questo “mondo” era pervaso.

Si può solo tentare di abbozzare un paragone adatto a fornire la pallida e sbiadita idea di questa “sacra realtà” , sebbene, ed è giusto sottolinearlo, tradurla e codificarla in concetti “umani troppo umani”, equivale a degradarla e profanarla. Tuttavia, codesto tentativo vale la pena d’intraprendere cum grano salis.

Si immagini un oceano di oro fuso e cosparso di innumerevoli smeraldi, rubini, diamanti e di tutte le pietre più preziose; si immagini l’incombere su di esso migliaia di arcobaleni dotati di una luminosità mille volte superiore a quella dell’arcobaleno che di rado ammiriamo nel cielo; si immagini riflesso in questo incanto, la luce centuplicata del sole estivo a mezzogiorno; si immagini l’aria tersa e limpida di primavera percorsa dal volo di tutti gli Angeli del Paradiso; si immagini il riverbero possente, solenne e glorioso del coro di questi Angeli vibrato nell’aere ed in sintonia con l’altisonante sinfonia tutti gli strumenti celesti possibili; si immagini la soave carezza della tiepida brezza estiva ed il profumo intenso ed inebriante dei fiori d’oleandro nelle calde serate d’estate, moltiplicato in una miriade di gamme di fragranze effuse in ogni direzione; si immagini il magico e delicato ricamo disegnato da eteree mani sullo sfondo maestoso di orizzonti senza confini, nel cangiante bagliore della luce adamantina; si immagini l’esistente svilupparsi, mutarsi ed evolversi in incessanti, armoniose, ordinate trasformazioni, sintesi di equilibri che s’infrangono e che, tosto, si ripristinano, nelle quali si avverte l’operare, il tessere, l’ordire di una sovrumana saggezza, amorosa e, nel contempo altissima, intangibile, magnificente; si immagini il tutto racchiuso nel grembo dell’eternità, ove il fluire del tempo segue ritmi di vertiginosa lentezza ed ove l’incedere successivo degli eventi si rapprende nella simultaneità di un perenne presente. Si immagini tutto questo e si avrà solo la pallida e sbiadita idea della realtà di ciò che fu il nostro pianeta in un tempo senza tempo.

Altro che vulcani in eruzione, dinosauri e bestioni su cui la tronfia saccenteria di tanti onorati ed incensati cattedratici, seguaci del darwinismo, discetta nei santuari del moderno scientismo!

Il soffio di Dio alitava su Tutto e ciò è descritto in immagini semplici, elementari ed accessibili all’intendimento delle moltitudini, nei testi delle più disparate tradizioni sacre della Terra. Si realizzi che ci troviamo in uno stadio evolutivo dell’umanità di molto anteriore a quello del Paradiso Terrestre ed alla creazione di Adamo ed Eva, descritto nel testo della tradizione sacra e noi più familiare: il libro della Genesi. Ripeto, quando Terra, Sole e Luna costituivano un unico “corpo cosmico”.

In queste Origini, era presente anche l’uomo. Esso era un essere spirituale e “coesisteva”, se così si può dire, con le divinità che vivevano ed operavano intorno a lui e con esse collaborava all’evoluzione cosmica in uno scambio vicendevole e continuo di esperienze.

Il termine “uomo”, per il contesto al quale ci stiamo riferendo, è inappropriato, poiché si trattava di un’entità racchiudente in sé la componente “Uomo” e la componente “Donna”, indivisa ed armoniosamente fusa in essa.

Il quel passato ancestrale, l’umanità era costituita da ciò che il mito e la leggenda ha designato con il nome di “Ermafrodito” o ”Androgino”. E’ questo il nostro autentico Antenato Primordiale. Esso fu un Essere compiuto ed integro, dotato di un altissimo livello di perfezione, nel quale si rispecchiavano incessantemente energie divine e nel quale il cosmo intero rifletteva la Sua immagine, come in una sorta di replica microcosmica di sé stesso.

La Sua volontà non era autonoma e coincideva con il volere superiore del cosmo divino-spirituale. Tuttavia, la condizione esistenziale associata all’assenza del libero volere individuale ed alla totale remissione alla grazia celeste, non veniva avvertita come rinunzia, costrizione o condizionamento, poiché il senso di pienezza e di appagamento derivante dall’aderire alla perfetta armonia regnante nella Creazione ed il godimento dell’ineffabile stato di grazia da essa effuso, prevenivano l’insorgenza, nel nostro Progenitore, di ogni possibile forma di desiderio oltre a ciò di cui già gratuitamente fruiva.

L’”Androgino Primordiale” era perfettamente soddisfatto, in tutto e per tutto, della Sua paradisiaca condizione; non pativa la mancanza di niente e la privazione costituiva un’ombra inconsistente e lontana dal suo sguardo luminoso; la Sua esistenza consisteva in un costante, imperturbabile stato di beatitudine e di gratitudine inneggiante ai cieli. Il Suo nutrimento era la Luce irradiata dalla Suprema Divinità.

La sua azione si esauriva tutta nella contemplazione della realtà che lo circondava, occhio e riflesso della Grazia di Dio, nella quale fluttuava beatamente, immune da morte e da dolore, da paura e da trepidazione, da tristezza e da noia, da odio, da turbamento e da passione.

Essendo preservato da qualsiasi tentazione, viveva pago della Sua completezza e non aspirava a nulla di ciò di cui non potesse disporre.

Ma sopraggiunse il tempo in cui siffatta condizione di beata perfezione era destinata ad essere alterata ed imminente si annunziava la rottura di questo stupendo, meraviglioso equilibrio cosmico.

Accadde, infatti, che una schiera di esseri appartenenti alla gerarchia angelica, per ragioni che sfuggono alla comprensione della mente umana, decise di sottrarsi alla dipendenza dal Supremo Volere, connaturata al suo rango, e deliberò arbitrariamente di rivendicare ciò che era una facoltà di esclusivo appannaggio dell’Altissimo: la libertà di volere autonomamente, la libertà di scegliere, la libertà di disporre a proprio piacimento della propria individualità.

E’ questa la fase descritta nei testi della tradizione sacra occidentale come la grandiosa battaglia delle milizie celesti al comando di Mikael, l’Arcangelo capo supremo delle Legioni divine, contro le schiere ribelli capeggiate da Lucifero. L’Esercito di Mikael riportò vittoria e precipitò Lucifero, insieme ai suoi alleati, negli oscuri abissi dell’universo.

Una grave alterazione era intervenuta, non solo nell’universo manifestato, ma anche nella sfera spirituale.

Questo evento colossale, comportò delle conseguenze considerevoli sull’assetto complessivo della Terra e sulle creature in essa viventi. Infatti, siffatte conseguenze non interessarono solo l’Antenato Cosmico del nostro Pianeta, ma si ripercossero anche sull’Antenato Primordiale del genere umano, determinandone la prima vera e grande caduta.

A seguito di siffatto evento di immane portata cosmica, urgeva un provvedimento divino. Questo provvedimento consistette nell’operare la separazione del “corpo celeste” del Sole Spirituale dal “corpo cosmico” unitario originario.

Infatti, a seguito della ribellione delle schiere luciferiche, era indispensabile assicurare a tutte le entità spirituali rimaste fedeli a Dio, una dimora che le preservasse dall’influsso demoniaco ribelle.

Lucifero, l’Angelo sfolgorante di bellezza suprema, dopo la sconfitta, si trasformò nel principale fattore di disordine e di disgregazione del Creato. Da quel momento cosmico, avrebbe avuto come suo unico scopo quello di contrastare i decreti divini e di allontanare dalla volontà del Padre tutte le creature, di strapparle dal grembo di Dio, in cambio della promessa di un potere smisurato e di una libertà senza limiti o interdizioni.

Fu proprio per sottrarsi al luciferico influsso distruttore, che gli Esseri Superiori migrarono sul “Corpo Celeste Solare”. Da allora in poi questi Esseri Superiori, rimasti fedeli ai divisamenti divini, non avrebbero più operato direttamente dall’interno della Terra, ma avrebbero emanato i loro influssi sulla Terra dalla nuova dimora solare.

Ancora oggi, quest’azione spirituale benefica si perpetua esercitandosi dal Sole Spirituale e la sua manifestazione fisica è percepibile come luce e calore solare, senza i quali la vita sulla Terra si estinguerebbe. Una profonda verità si cela nel ravvisare la presenza vivente ed operante di quelle Antichissime Entità in ogni raggio di sole che ogni giorno c’illumina e ci riscalda. Ed alla luce di questo stato di fatto, è logico e coerente ritenere appropriata la designazione di Arcangelo Solare attribuita a Mikael, quale guida principale della Legione di Spiriti che dovevano trasmigrare nella sfera del Sole Spirituale per essere preservati dal malefico influsso di Lucifero.

Ma cosa ne fu dell’”Androgino”? Anche Lui andò incontro a radicali trasformazioni, conseguenza del sommovimento che aveva scosso le fondamenta dell’Universo. Esso fu interessato da un fenomeno, quanto meno singolare e che tenteremo di esemplificare in maniera semplice e comprensibile.

Si immagini una bussola. Fino a quando la bussola si trova in un ambiente neutro e privo di campi magnetici, il suo ago si orienta naturalmente nella direzione dei poli geografici. Si supponga di prendere la bussola e di spostarsi progressivamente verso un enorme edificio costruito non con cemento e mattoni, ma ricavato da un gigantesco blocco di magnetite, il minerale dal quale si estraggono le comuni calamite.

Man mano che ci si avvicina all’edificio di magnetite, all’attenta osservazione si evidenzieranno nell’ago della bussola i sintomi di una tensione meccanica di intensità progressivamente crescente. Entrati all’interno dell’edificio di magnetite, la suddetta tensione meccanica avrà raggiunto il suo acme e la sua forza sarà di tale intensità da provocare la rottura del potere di coesione della struttura molecolare dell’ago e si assisterà allo spezzamento delle sue due polarità magnetiche, ognuna delle quali sarà attratta nella direzione del polo opposto del gigantesco magnete.

Qualcosa di analogo avvenne nei riguardi dell’Antenato Androginico del genere umano. Quando entrò in azione, l’influsso luciferico esercitò sull’Androgino la stessa azione di separazione esercitata dal magnete sull’ago della bussola. Si divise in due metà complementari costituite rispettivamente dalla componente “Uomo” e “Donna”. L’Uno perfetto ed autosufficiente, creato “a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” si separò in due esseri distinti, ma non ancora completamente indipendenti tra di loro.

Questo momento è descritto nel Libro della Genesi nell’episodio dell’estrazione della costola dal corpo di Adamo, per creare ed infondere vita ad Eva. Questa fu la prima vera grande caduta del genere umano rispetto al suo Stato di Grazia originario e fu provocata dall’espulsione dalle sfere celesti degli Angeli artefici della ribellione, dopo la sconfitta inflitta loro dalle Legioni mikaeliche, e dopo essere state esiliate e relegate definitivamente nella sfera Terrestre-lunare.

Il loro influsso letale, oltre a produrre la scissione dell’Androgino, esercitò un’azione paralizzante su tutto ciò che di vivente ed animato esisteva, un effetto di coagulazione, di fossilizzazione, di addensamento ed indurimento della sostanza spirituale della Terra-Luna, un processo di generale solidificazione che, se si fosse spinto oltre un certo limite, avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza del pianeta.

Fu, dunque, indispensabile un altro intervento correttivo da parte delle Entità che, dalla Sfera Solare Spirituale, sorvegliavano i destini del pianeta. Le forze divine regolari agirono operando il secondo immane processo di separazione cosmica, quello della Terra dalla Luna e, diciamo impropriamente, ”obbligando” le entità luciferiche ribelli a migrare su quest’ultima recando al seguito la loro influenza distruttiva. Da allora gli spiriti alleati di lucifero hanno radicato la loro esistenza extrasensibile nell’elemento lunare. Se ne esigiamo la prova, ci basterà riflettere su tutto ciò che la tradizione popolare, il folklore, le fiabe e le leggende, che altro non sono se non il residuale e decadente vestigio di un’antichissima sapienza originaria ormai perduta, narrano in merito a tutti i fenomeni collegati all’apparizione della Luna piena: la licantropia (il disturbo psichico mitizzato nell’orrida figura del lupo mannaro), il sonnambulismo, l’incostanza e l’irritabilità dei “lunatici” che si esalta nei periodi di Luna piena ed il detto “ha la luna storta” che sta ad indicare uno stato d’animo incline alle convulsioni di un nervosismo incontrollato. E si presti attenzione anche ad altri due dettagli di non poco conto a sostegno del carattere “oscuro” e “diabolico” delle forze di matrice lunare.

Primo: un ingrediente costante, ricorrente ed immancabile in tutti i romanzi del genere gotico, è il dipanarsi dei momenti risolutivi del racconto in un’atmosfera notturna immersa nel livido pallore della Luna piena.

Secondo: nell’iconografia cattolica, l’Immacolata Concezione calca il suo piede sulla testa di un serpente che serra nelle sue spire la “falce lunare”.

Quale simbolo più eloquente per rappresentare il dominio della “Donna rivestita del Sole” sulle forze luciferiche dimoranti nella sfera spirituale della Luna?

L’espulsione delle entità luciferiche dal pianeta, con la scissione della Luna dal corpo cosmico dell’Antica Terra, permise l’ulteriore evoluzione dell’umanità, ma comportò anche l’apparizione su di essa del germe dell’elemento minerale denso. Con la comparsa della sostanza solida alla base del regno minerale, venne decretata la fine delle Ere Spirituali della Terra. A questo stadio evolutivo il corpo cosmico risultante dalla separazione della Luna, si avviò ad assumere la fisionomia del nostro attuale pianeta, provvisto dei quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco, ma ancora mescolati e non perfettamente distinti tra loro.

La momentanea alienazione dell’influsso luciferico, che continuerà ad interessare la Terra dal corpo cosmico lunare separato, così come gli Esseri Spirituali Superiori continueranno ad emanare la loro benefica influenza dalla sfera Solare, permetterà all’umanità, superata la fase critica del periodo di collasso lunare, di proseguire il suo cammino evolutivo. E’ questo lo stadio noto dalle Sacre Scritture come il ciclo di esistenza dell’Uomo e della Donna nel Paradiso Terrestre. Adamo ed Eva conservano il loro armonioso accordo originario in uno stato di infantile innocenza, eredità del sopravvivente ricordo dell’unità costituzionale dell’Androgino Primordiale da cui derivano. Non conoscono ancora l’ardore bruciante del desiderio, convivono nella purezza e nella castità del pensiero, del sentimento e del volere e serbano nella loro interiorità la vivezza del ricordo della perduta condizione di perfezione da cui sono decaduti. Questo stato di coscienza della Coppia Edenica è simboleggiato dal suo nutrirsi gratuitamente dei frutti dall’Albero della Vita di cui parla il Libro della Genesi.

Questo stato di grazia, sia pur condizionato, come ci viene descritto dal racconto biblico, sarà violato dal secondo ed ancor più iniquo intervento dell’influsso luciferico nelle forme della nota tentazione a mangiare del frutto proibito dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Come narrano le Scritture, conseguenza di tale trasgressione, fu la perdita dell’innocenza e l’insorgere del desiderio carnale reciproco, che procedette di pari passo con la definitiva assunzione della consistenza minerale del corpo fisico divenuto, in seguito a tale sostanziale modificazione, ricettacolo di corruzione, di errore, di sofferenza, di malattia e di morte.

La cacciata dal Paradiso Terrestre priverà definitivamente l’umanità del nutrimento del frutto dell’Albero della Vita, fonte di immortalità.

Contemporaneamente a tale privazione, svanirà nella coppia originaria anche il ricordo chiaro e vivido dello stato vissuto antecedentemente alla scissione dell’Androgino, quando i due erano Uno.

Al posto di questo ricordo nitido ed evidente, posseduto da Adamo ed Eva prima di bere l’acqua del fiume Lete, il fiume dell’oblio, subentrerà un vago, indistinto e flebile presentimento dello stato di compiutezza smarrito.

L’adombramento di ciò che fummo e non siamo più, si radicherà definitivamente nel patrimonio ereditario della Coppia come impulso interiore permanente. Questo impulso si perpetuerà nella coscienza alla stregua di una struggente nostalgia di ciò che fu e non è più e che si anela, con tutte le proprie forze, a riconquistare. L’irresistibile aspirazione alla reintegrazione nello stato paradisiaco perduto si trasmetterà alle generazioni umane future e si imprimerà indelebilmente nella sfera del sentimento come senso di privazione, come senso di un quid che manca talora avvertito vagamente e confusamente. Siffatto stato interiore è all’origine dell’impulso d’amore, in tutte le sue innumerevoli e variegate manifestazioni, dalle più infime, dozzinali e volgari, alle più sublimi.

Che cos’è in fondo il desiderio erotico se non l’impulso a ricongiungersi, a ricostituire l’Androgino Primordiale attraverso l’amplesso di corpi bramosi di fondersi?

Il problema è che, alimentando questo desiderio ed esigendone l’esaudimento sul piano della sensualità carnale, si perpetua all’infinito la vana illusione, sempre sistematicamente delusa, di ripristinare lo stato paradisiaco perduto, di risanare l’antica frattura, di ricolmare il senso di vuoto dell’anima, di riappropriarsi di quel “qualcosa che manca”. La coppia nell’amplesso fisico soggiace, nel presente come nel passato, al medesimo inganno patito dal genere umano a partire dall’istante successivo all’espulsione dall’Eden. E così sarà anche nel futuro fino a quando si insisterà nell’errore di voler cercare e realizzare, più o meno consapevolmente, lo stato divino originario, proprio nel dominio che ne rappresenta l’esilio e l’alienazione: la dimensione esteriore fisico-corporea.

Infatti, cos’è che Adamo ed Eva desiderarono dopo aver consumato il frutto proibito? Le loro apparenze fisiche e solo queste. A cosa invece aspiravano prima della tentazione luciferica? Alla fusione delle loro anime nel ricordo chiaro e preciso di cosa fu effettivamente l’”Androgino Primordiale”, cioè un Essere Spirituale Superiore e Compiuto, un essere puro ed esente dalle imperfezioni di un corpo soggetto a corruzione, quel corpo sede del “peccato” (usiamo convenzionalmente questo termine per spiegarci, pur non condividendone affatto l’accezione moralistico-confessionale) che abbiamo ereditato dalla Caduta.

Non potrà mai esistere rapporto di coppia che sia in grado di evitare la bruciante delusione che consegue dal ripetere il tentativo di restaurazione dell’Androgino, fino a quando si insisterà nell’operare siffatto tentativo attraverso la congiunzione carnale di corpi in balia del desiderio erotico.

La testimonianza della sensatezza di questo giudizio, la si può ricavare dalla comune esperienza vissuta presentemente dalla coppia umana. Ci si chieda: in quale stato d’animo si trovano un uomo ed una donna dopo la copula? Prima di fornire una risposta da reputarsi saggia e ponderata, occorre però osservare la duplice avvertenza di tenere presenti due soggetti che non siano completamente anestetizzati spiritualmente e scartare, quale possibile soggetto al quale la suddetta domanda viene proposta, il tipo umano inferiore, precipitato ad un livello di bestialità pressoché totale. Questo esemplare umano animalizzato (ahimè, forse la stragrande maggioranza degli individui “civilizzati”), ti risponderà, senza soverchie esitazioni, che si sente pienamente soddisfatto.

Ma quella che, di primo acchito, può sembrare una risposta ovvia e scontata per i tempi che corrono, ormai preda di una “pandemia del sesso” dal carattere patologico, alla luce di un contesto meno degradato e sciatto di quello che si genuflette alla pornodiva, come al cospetto di una divinità, tutt’altro che ovvia e scontata si rivela la suddetta dichiarazione di appagamento dei sensi.

Al contrario, ci si attenderebbe una risposta in sintonia con il significato enucleato in questa massima della saggezza degli antichi Latini:

Post coitum omne animal triste” (dopo il coito ogni animale è depresso).

In tale frangente, non riteniamo affatto di doverci preoccupare di raccogliere l’assenso del gregge brutalizzato dal consumismo sessuale, intorno alla verità sacrosanta espressa nel motto latino sopra riportato. E’ una preoccupazione destinata fatalmente a tradursi in una vana perdita di tempo. Le turbe ossessionate dal desiderio di affogare nell’orgasmo fisico, l’orrido presentimento di vagare nell’esistenza terrena come in un freddo e sterile frammento di roccia orbitante nel vuoto, non potranno mai afferrare la profonda saggezza di quel detto latino. E’ solo a quei pochi che sono ancora capaci di sottrarsi alla corrente dell’istintività grossolana e massificante, che quel messaggio può distillare saggezza e suscitare un intimo assenso.

Nell’interiorità di questi pochi, invero appartenenti ad una tipologia umana superiore e differenziata, la fine e delicata ricettività dei sensi, capterà un senso di abbattimento, di spossatezza, di prostrazione psichica, constatabile persino nell’espressione stravolta del viso, quale esito finale dell’accoppiamento carnale, lo stesso stato d’animo che si avvertirebbe al ritorno da un’impresa fallita.

Nella loro anima si fa strada il bruciante senso di sconfitta scaturente dalla consapevolezza di aver sprecato, per l’ennesima volta, energie spirituali preziose. E’ una rara e singolare consapevolezza dell’anima, dalla quale scaturisce, simultaneamente, la non comune intuizione che la morte del corpo altro non è che la conseguenza di questa lenta ma inesorabile combustione di energie vitali, di questa incessante dissipazione delle forze cosmiche generatrici di vita, le stesse forze in atto nel processo di concepimento di una nuova esistenza, che non appartiene più a noi, ma alla creatura che sta per nascere ed alla quale, passivamente, trasmettiamo i caratteri ereditari della specie animale.

E’ la stessa consapevolezza che si afferma nel ribadire alla nostra coscienza di aver imparato la lezione e nella formulazione della solenne promessa di rivolgere il tentativo in ben altra direzione. Ma ecco che, ad un dipresso, la fermezza del proposito svanisce e si persevera, mossi come automi dalla concupiscenza bramosa, nello stesso errore di fomentare ed eccitare la forza invincibile della specie animale, che reclama imperiosa ed inesausta la propria sopravvivenza, nell’atto di moltiplicarsi e di autoconservarsi.

E’ questo il retroscena, niente affatto spirituale, che si sottende al “comandamento” di crescere e di moltiplicarsi intimato al gregge dell’umanità vetero-testamentaria, dal dio della legge. Ad esso supinamente il desiderio erotico soggiace e si prostra come ad un tiranno onnipotente, prestando tutto l’essere. In verità, sia detto per inciso, non è solo “l’umano troppo umano” conato erotico del branco a sottomettervisi. Per una paradossale contraddizione, questa prescrizione biblica che si attaglia più ad una morale da bestiame, che alla dignità di uomini in via di “liberarsi dal peccato”, viene benedetta e santificata proprio dall’istituzione che promuove e predica la “mortificazione della carne” e la repressione dell’impulso erotico, vale a dire dall’apparato gerarchico e secolare della religione dominante in Occidente. In nome del medesimo “comandamento”, l’autorità che brandisce il pastorale e cinge il capo con la mitra, eleva a dignità sacramentale un’unione che dell’autentico e sacro matrimonio occulto è l’effimera parodia e che si è ridotta ad una commedia che inizia con un’iscrizione sulle pagine ingiallite di un registro, custodito nello scaffale di una sagrestia e che finisce miseramente in un’aula di tribunale. In fondo, questa è diventata la “sacra unione matrimoniale” celebrata sotto il crepuscolare barlume del “tramonto dell’Occidente”.

La verità è che, ben lungi dal rifulgere da altezze celesti, l’anzidetto tiranno onnipotente e senza connotati umani, altro non è se non l’eterno “demone della terra” che prepotentemente rinnova il vincolo che imprigiona nella tomba del corpo e che asservisce alle inflessibili leggi della natura. Quanto più il desiderio si accresce, tanto più le catene di un siffatto servaggio, accanitamente si serrano.

Ci torna alla mente il monito pregno di un’atavica saggezza, sentenziato dalla protagonista femminile de “L’Angelo della finestra d’occidente”, uno dei capolavori di Gustav Meyrink, il romanziere dell’occulto che, nei suoi racconti “magici”, fece magistralmente fluire a fiotti la linfa della sapienza esoterica: “L’attrazione che ogni uomo volgare è disposto a subire da parte del sesso opposto e che egli, con lo spregevole abbellimento di una menzogna, chiama amore, è l’esoso espediente di cui si serve il Demiurgo per tenere in vita l’eterna plebe della natura”.

Eppure esiste una “Via” per sconfiggere il Demiurgo, una “Via” che addita al Ricercatore dello Spirito la direzione da seguire per intravvedere da lontano la maestosa figura dell’Androgino in attesa, testimone e simbolo della redenzione, del superamento della ferrea ed inflessibile necessità naturale, del riscatto dall’onnipotente signoria del Principe huius mundi, della restituzione dello stato primordiale divino, della vittoria sulla morte: è la “Via del Sacro Amore”. E’ la “Via” per antonomasia. E’ la “Via” calcata dagli “Uomini di Desiderio”, per servirsi di una locuzione cara a Louis Claude de Saint Martin. E’ la “Via” della riconquista del Paradiso Terrestre sulla quale gli “Uomini di Desiderio” s’incamminarono un istante dopo averlo perduto, incalzati dall’inesausta “sete di Dio”.

Per meglio capire di quale “Via” tentiamo, con fatica, di illuminare il senso, la portata spirituale ed il significato, nel presente frangente, ci soccorre ancora il Meyrink quando, in un altro suo celebre romanzo intitolato “La faccia verde”, ne adombra il profondissimo mistero, accennando fugacemente ad un enigmatico “mezzo antichissimo per giungere allo stato del vero superuomo”, meglio definito come il “Ponte che conduce alla Vita”:

Se ad alcuno riuscisse di giungere all’altro capo del Ponte della Vita, tutto il mondo ne godrebbe. Fors’anche più di quanto potrebbe godere dell’avvento d’un nuovo redentore…Ma da solo, un uomo non potrà mai giungere a quella mèta: deve avere una compagna. Soltanto le forze congiunte dell’uomo e della donna possono rendere possibile quel passaggio. Il senso occulto dell’unione matrimoniale, smarrito da millenni, sta appunto in ciò”.

E’ proprio alla “ricerca” ed alla comprensione del senso e della natura di questo “Ponte che conduce alla Vita”, che concentreremo ora la nostra attenzione.

2. La Cerca



 

L’amore umano, quando manifesta un impulso superindividuale, è l’oscura ricerca del Graal, ovvero della restituzione di una condizione primordiale.”

* * *



 

Anonimamente mescolati alla moltitudine dei dormienti che, avidi ed ebbri di “vita”, febbrilmente inseguono gli illusori fantasmi del nostro tempo, chiamati “successo”, “efficienza”, “benessere”, “realizzazione” ignari del monito di Colui che reputo uno dei massimi maestri spirituali dell’Umanità: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”, vivono i pochi che si sono risvegliati spiritualmente e che sono capaci di afferrare il senso profondo del mistero adombrato in queste pagine: il mistero del Sacro Amore.

Costoro costituiscono una specie di Aristocrazia dello Spirito, che deve drammaticamente fare i conti con l’incomprensione, talora, con l’ostilità delle masse, che lotta per difendere ed attivare verità rimaste sepolte sotto le rovine della barbarie materialistica, che tenta di riaccendere la Luce che il “Crepuscolo degli Dei” ha oscurato. Questo manipolo di rari combattenti dello Spirito, sta cercando sulla Terra l’altra metà del loro essere, quell’essere da cui si sono separati dall’Era della frattura androginica e che non hanno più ritrovato. La loro ricerca dura da millenni.

Gli elementi di siffatta nobile schiera, che sono riusciti a rintracciare e ricongiungersi con la “Donna del Destino”, l’altra metà complementare del loro essere e che sono riusciti nell’impresa di riconquistare l’Accordo Originario perduto, si sono trasformati in Entità simili ad Angeli. Ancora prima di abbandonare il loro corpo minerale, conformemente ai normali processi naturali biologici, con la morte fisica, se ne sono distaccati anzitempo per libera decisione, quando ancora non si è esaurito il normale ciclo vitale della compagine fisico-corporea. Governano i processi vitali di tale compagine dal di fuori, con modalità paragonabili a quelle che ci permettono di imprimere gesti e movenze alla nostra ombra riflessa su di una parete.

Costoro non sono più uomini mortali e, mentre continuano a dispiegare la loro esistenza alla stregua di comuni cittadini del nostro pianeta, simultaneamente dimorano nella Terra dei Viventi, nella Patria Celeste e, come esuli rimpatriati, sono tornati a nutrirsi del frutto dell’Albero della Vita, ivi germogliante.

Prima di incontrare la loro metà complementare hanno sofferto della Sua privazione, l’hanno cercata disperatamente in migliaia di donne terrene, nella consapevolezza che Colei che cercavano è la Donna detentrice e custode delle chiavi della porta del Cielo, essa medesima riconosciuta come Janua Coeli, Colei che spezza le catene della schiavitù terrena del corpo e che apre il varco verso la liberazione.

Molte sono state le delusioni e le mortificazioni subìte, ma non hanno mai desistito dalla ricerca. Tanti tra di loro, un tempo, sono stati Cavalieri Templari, Teutonici, Gioanniti ed hanno venerato la “Dama” alla quale hanno giurato devozione e fedeltà, nelle uniche sembianze loro consentite dal culto ufficiale sancito da Santa Madre Chiesa: la Vergine Maria.

Nelle trasposizioni leggendarie delle imprese cavalleresche consacrate alla “Vergine”, la ricerca della “Via” verso il Cielo si identificava con la ricerca del Sacro Graal in Terra Santa, la Coppa che, secondo la leggenda diffusasi nel Medioevo, ha raccolto il Sangue di Gesù Cristo sulla Croce e che è custodita in un luogo segreto ed inaccessibile.

Prima di partire nella Cerca, si sono consacrati, con un solenne voto di fedeltà alla donna terrena nella quale hanno presentito l’Altra Metà del loro essere. Le hanno giurato di tornare vincitori, assumendosi l’impegno di dedicarle il frutto prezioso maturato in virtù delle loro nobili azioni. Per Lei hanno combattuto con fede ed ardore; per Lei hanno sopportato prove inaudite; per Lei hanno superato sé stessi; per Lei hanno oltrepassato la soglia dell’umanamente possibile e, nel fervore dell’impresa, non hanno mai dimenticato ciò che, nell’ora del congedo, Sir Gawan disse a Parsifal nel romanzo di Wolfram von Eschenbach: “Amico, nell’ora del combattimento, sia una donna a combattere per te – lei sia a guidare la tua mano…il suo amore ti protegga in quel punto.”

La Cerca del Graal, in talune versioni del ciclo cavalleresco assumeva la connotazione profana della ricerca della gloria, ma, al di là delle sottili distinzioni e delle tenui sfumature, la mèta da conseguire, l’oggetto da conquistare, lo stato in cui trasfigurare l’esistenza caduca è identificabile nel medesimo “eterno femminino” da cui, da ère remote ci si è separati ed a cui si anela a ricongiungersi, per “ricomporre la spada spezzata”.

Oggi come ieri, una sparuta schiera di “cercatori”, discepoli postumi di quel nobile retaggio, forse sue propaggini riemerse nella condizione di incarnati, continuano imperterriti nella Cerca.

Impegnati nel cimento, talora grave, che la vita quotidiana impone incessantemente e senza tregua e senza deflettere dal senso del dovere e di responsabilità, con cui le prove dell’esistenza devono essere affrontate, mai hanno obliato la ragione ultima del loro essere nel mondo. I flutti del mare dell’esistenza, per quanto tempestosi ed irresistibili, non hanno travolto e cancellato nella loro coscienza il fine principale a cui si sono solennemente consacrati. Essi avvertono chiaramente e distintamente nell’intimo, di appartenere allo stesso sodalizio che vide affratellati, sotto il titolo di “Fedeli d’Amore”, uomini che alcuni secoli fa perseguirono il medesimo ideale: similmente a siffatti precursori, anelano all’elezione nella “Fraternitas” per conoscervi il vero “Nome della Rosa”.

Riferimenti, questi ultimi, che meriterebbero un approfondimento ulteriore, soprattutto in connessione al significato che assunsero in seno a quella particolare corrente spirituale che, nel Medioevo, fluì nella poetica e nella letteratura provenzale e trovadorica, coltivata nelle corti europee e culminante nella “scuola siciliana” che in Federico II di Svevia, trovò il suo eccelso mèntore. Purtroppo, intraprenderne la trattazione comporterebbe l’esorbitare troppo oltre i limiti e gli scopi assegnati a questo scritto.

Ma a tutti coloro che hanno sviluppato la sottile e penetrante “intelligenza del cuore”, i sopraddetti sparuti accenni appariranno molto più eloquenti di qualsiasi dotta e pedante disquisizione sul tema. Ad essi è affidata la comprensione, nella dimensione di profondità, della materia dipanata in queste pagine, mentre in altri ancora solleciteranno il ridestarsi di un vago presentimento o l’indizio di un nebuloso ricordo, primi preannunzi di un Risveglio che non tarderà a realizzarsi se ci si incammina seriamente e risolutamente sulla “Via del Sacro Amore”.

Segnatamente per questi ultimi, al cospetto di una figura femminile dai connotati, non esclusivamente legati all’aspetto esteriore, congeniali al proprio sentire, avvertire l’affiorare nell’interiorità del presentimento di trovarsi dinanzi all’essere dotato del potere di donare l’originaria beatitudine perduta, come una promessa di liberazione, sarà stata una delle esperienze più intense. E se a questa esperienza, che sovente segna una svolta nel corso consueto e monotono dell’esistenza, consegue anche il liberarsi dalla suggestione che strega e seduce la quasi totalità degli uomini: quella che li costringe ad affidare esclusivamente all’appagamento dell’istinto sessuale la loro la speranza della reintegrazione dello stato androginico smarrito, ad illudersi di ritrovare il paradiso perduto attraverso lo sprofondamento nell’esperienza erotica, è segno che il processo di reintegrazione nello stato edenico primordiale, secondo i canoni della “Via del Sacro Amore”, è iniziato.

Ed è, altresì, sintomo evidente della trasformazione interiore volta alla conversione della nostra natura animale in quella di un’entità angelica, il concedere al desiderio carnale solo il minimo indispensabile a tenerne sotto controllo le fameliche pretese, ben sapendo a quali gravi squilibri psichici si espone colui che gli si oppone e gli resiste senza possedere una connaturata ed autentica vocazione alla santità: errore, purtroppo, foriero di disastrose conseguenze, commesso da tutte le confessioni religiose che impongono con la forza del condizionamento ed indiscriminatamente una malintesa pratica della castità, convertendo in regola e precetto generale, ciò che, invece, un’atavica saggezza ha da sempre ritenuto prerogativa riservata a pochissimi eletti.

Del resto, non si può che ascrivere ad una ristretta minoranza, l’intuizione, afferrata non certo al livello di una scialba ed esangue nozione intellettualistica, quanto assunta come folgorante e vivente evidenza, che non è nella direzione della stratificazione degli impulsi erotici corrotti che va orientata la ricerca dell’Essere complementare della correlazione androginica, ma guidati dalla sottile percezione del Mistero del Sacro Amore, vibrante come attenuata e flebile risonanza nel ridestatosi sentimento di “struggente nostalgia di ciò che fu perduto e mai più ritrovato”.

Il compito dello sperimentatore dello Spirito, del seguace dell’anzidetto ineffabile mistero, consiste nel risalire gradualmente e tenacemente dalla risonanza prodottasi nella soggettività alla stregua di un sentimento, direttamente alla fonte del mistero, alla sua sorgente di emissione. E’ in tale sfera che questo sentimento soggettivo si trasfigura in una possente, oggettiva e trascendente esperienza spirituale: l’iniziazione.

Tuttavia, prima di pervenire a tale stadio avanzato, nelle prime fasi del percorso interiore, costituisce la norma l’avere un tenue barlume di consapevolezza della metamorfosi in atto, salvo poi a constatare il successivo accrescimento del livello d’intensità di questa consapevolezza, in concomitanza con il susseguirsi di avvenimenti che conferiscono all’esperienza un decorso che può assumere carattere drammatico.

Se un fausto destino riserva allo sperimentatore dello spirito la rara e preziosa possibilità di vivere fino in fondo l’autentica esperienza dell’incontro e della condivisione con la creatura del Sacro Amore, egli si rende ben presto conto che l’esito tragico che suggella l’atto conclusivo di tante narrazioni letterarie o di poemi imperniati sul tema, non è soltanto il frutto della mera fantasia dell’autore o dell’atto di ossequio dovuto dall’artista ad un modulo narrativo che, inderogabilmente, sancisce la sorte avversa di Romeo e Giulietta, di Paolo e Francesca, di Tristano ed Isotta o di Orfeo ed Euridice, ma una ineluttabile realtà.

L’incontro si rivela fatale e destinato a volgere nella direzione diametralmente opposta a quella coronata dalla formula del “vissero felici e contenti”. Anzi, tutt’altro, e lo affermiamo senza la minima ombra di dubbio: se esiste un criterio attendibile per discriminare il grado di autenticità dell’esperienza del Sacro Amore, esso consiste nell’assumere a paradigma proprio le tragiche vicende romanzate vissute dalle coppie votate al sacrificio sopra menzionate. Nella migliore delle ipotesi la trama dell’intera vicenda converge verso una cocente separazione che dilania l’anima, presso all'angosciante sensazione che il mondo intero abbia deciso di congiurare contro il sacrosanto diritto di essere uniti, di “stare insieme”.

Se non corressimo il rischio di ostentare sacrilego compiacimento, sarebbe proprio il caso di parafrasare, nella circostanza, la nota massima evangelica nel motto: “Il mio amore non è di questo mondo”.

Tuttavia, inquadrata in una prospettiva realmente sovrumana, la prova bruciante e per nulla allettante della separazione spazio-temporale fra i due, perde la sua connotazione negativa e si traduce in uno degli alimenti più preziosi dell’esperienza del Sacro Amore, ne diviene il principale fermento.

Esaminata la questione alla luce di quest’ottica superiore, contro la quale la natura animale, insita alla componente terrestre dell’individualità umana, reagisce con un moto di rabbiosa ribellione, sovente sfociante nell’atto inconsulto, non si può non condividere, per spontaneo assenso interiore, questo giudizio espresso, nel proposito, da Massimo Scaligero nel suo superlativo saggio sul “Mistero del Sacro Amore”, magistrale testimonianza di un autentico Ricercatore dello Spirito, la cui potenza creativa di pensatore geniale e prolifico non sgorga da raffinata cerebralità, ma dall’operare vivente di un’anima, nella Luce che risplende oltre la Soglia del mondo soprasensibile:

La separazione, nella sua contingenza spazio-temporale, è la prova per un più intenso congiungimento delle anime di là dai veicoli corporei e per un affinamento degli organi interiori necessari alla comunione di profondità: comunione che deve restituire cosciente la sintesi adamantina. […] la coppia umana è una: questa unità spezzata, onde ciascun termine tende al ritrovamento dell’altro attraverso la continuazione della separazione e l’affannoso inganno di ogni nuova esperienza, esiste solo per essere ricostituita. La separazione è un mezzo.”

Dunque, “la separazione è un mezzo”, ma, in omaggio alla chiarezza, giova puntualizzare trattarsi di separazione che attiene solo alla dimensione spazio-temporale degli involucri fisici, poiché nella medesima opera, altrove viene precisato, in riferimento ai due termini complementari del binomio di coppia, che “per ciascuno dei componenti, il corrispettivo termine binomiale è disincarnato e la relazione con lui continua nel segreto della sfera soprasensibile, nella coscienza di sonno senza sogni.

Perciò, ferma restando la condizione di una persistenza costante della relazione della coppia al livello della coscienza di sonno profondo, nulla pregiudicherebbe una sua episodica trasposizione nell’altra sfera extrasensibile: quella nella quale la coscienza dell’io s’inoltra quando il sonno si popola di sogni. La comunicazione instauratasi con la creatura del Sacro Amore nella regione del sogno, in tal caso ha il senso della traccia psichicamente percepibile, del momentaneo affiorare alla luce della coscienza di uno stato di fatto vigente nelle profondità dell’inconscio, dell’indizio di un legame che non si recide mai. La natura e la valenza di tale particolare tipologia di sogno è profondamente diversa da quella del sogno ordinario: mentre i sogni ordinari, nella stragrande maggioranza, recano l’impronta dell’irrealtà, della fatuità e dell’inconsistenza, i sogni portatori dell’immagine dell’altra metà del binomio, sono veridiche esperienze di un incontro reale.

Comunque, al di là del riconoscimento e dell’accettazione di tali supremi orientamenti interiori, rimane il fatto incontrovertibile che l’esperienza del Sacro Amore non può esimersi dal misurarsi e dal consumarsi “in questo mondo”, sul terreno della realtà contingente. Su questo terreno asperrimo ed impervio, il discepolo del Sacro Amore si trova a dover fronteggiare uno dei signori incontrastati della realtà mondana, uno dei tanti despoti che tiranneggiano gli umani, forse il più acerrimo ed irriducibile, chiamato a sbarragli il passo ed ostacolarlo incessantemente: deve, inevitabilmente, venire ai ferri corti con ciò che lo stesso Scaligero ha definito con una mirabile ed acconcia espressione:

l’immane potenza del convenzionale”

ovvero lo strapotente ed invincibile cavallo di battaglia del conformismo più ottuso e gretto, il codice etico del formalismo moralista, perbenista, bigotto e benpensante, ma anche l’arma acuminata impugnata dell’oscurantismo fanatico delle inquisizioni di tutte le epoche.

Infatti, superata la prova della separazione fisica, allorché giunge a maturazione il tempo decisivo dell’incontro con la creatura impersonante, nelle sue sembianze terrene, “l’altra metà della spada spezzata”, “allorché i due componenti il binomio originario sono simultaneamente presenti sulla Terra, il loro incontro ha la forza della fatalità. E’ questo il momento culminante in cui si scatena la reazione distruttiva delle potenze avverse alla redenzione dell’umano.

Queste ultime sono le stesse potenze propiziatrici della caduta del progenitore pre-adamitico dalla sua originaria condizione di divina beatitudine, le stesse potenze oppositrici a cui è connaturata la funzione di sbarrare il passo in direzione dell’Albero della Vita e che non tollerano l’emancipazione dei discendenti dell’”Androgino Primordiale” dall’attuale condizione di bisogno, di privazione e di servaggio al loro immane potere.

Sono le entità di natura luciferica artefici delle alterazioni spirituali descritte nella prima parte di questo elaborato e responsabili della decadenza del genere umano dal rango che gli apparteneva originariamente nella gerarchia degli Esseri. Il loro intervento agisce nella trama degli umani eventi sottesi all’evento da loro maggiormente temuto, “l’incontro fra i due componenti del binomio originario”, con la stessa potenza distruttiva di un potenziale smisuratamente elevato immesso in un circuito a bassa tensione. Per esse l’accendersi nella coppia umana di un barlume della divina Luce del Sacro Amore, è evento temibile e da scongiurare con tutti i mezzi, non appena ne ravvisano il sentore in seno al contesto umano soggetto al loro ferreo controllo.

Perché le potenze ostacolatici dell’umana resurrezione temono l’apparizione sulla Terra del Sacro Amore? La migliore risposta possibile a questa domanda è rimandata ancora alle parole di Massimo Scaligero. Riferendosi all’evento fatale dell’incontro fra i due, circa le potenzialità trascendenti in esso racchiuse, si pronuncia in termini lapidari:

Esso reca in sé l’impulso trascendente di un destino che ha il compito di rinnovare la Terra. La relazione dei due, alternamente preparata nei millenni attraverso la sfera umana e intemporalmente nella sfera cosmica, si esprime come un moto di rigenerazione della Terra, riportando in essa il principio della Luce di Vita, o la virtù redentrice del Graal. E’ la corrente del sacro amore, che ha il potere di rendere vivente nell’umano il dono del Christo: cui necessariamente si opporranno le forze del passato, le entità vincolanti l’uomo all’apparire sensibile, al gioco illusorio delle convenzioni e delle brame, alla tenebra della Terra.”

Abbiamo voluto rimarcare in grassetto le parole chiave del passo sopra riportato, per porre adeguatamente in risalto la reale dimensione spirituale che la ricomposizione dell’”Androgino Primordiale”, propiziata dall’incontro con “la Sposa Originaria ritrovata”, possiede.

Non è facile apprezzare con l’ordinario intendimento intellettuale, sia esso anche il più versatile, la portata spirituale delle ripercussioni che questo incontro speciale ha il potere di provocare a livello planetario. Nè può ridursi a mera professione di fede l’affermare, senza mezzi termini, che la realizzazione del Sacro Amore veramente ha il potere di rinnovare e rigenerare la Terra. Per afferrare questa potenza spirituale trasformatrice ci si deve sforzare di accostarsi al Mistero del Sacro Amore con l’intensità di un’esperienza vivente. Non serve a nulla assimilarlo alla stregua di un’astrusa nozione intellettuale o credervi per passiva adesione fideistica.

Sarà proprio la realizzazione di siffatta esperienza vivente a permetterci di intuire pienamente il motivo per il quale gli avversari del Risorto, Egli stesso lievito e fomento sublime della suddetta rigenerazione della Terra, ne osteggiano con tutti i mezzi il compimento.

Quanto alle “forze del passato” costituenti la “tenebra della Terra”, le abbiamo già focalizzate e catalogate, radunandole sotto l’egida dell’anzidetta ”immane potenza del convenzionale”. Docili e servizievoli strumenti nelle mani del potere luciferico, esse si coalizzeranno per mobilitare tutte le forze disponibili e scagliarle contro le “due metà della spada spezzata” ricongiuntesi ed in procinto di fondersi. Abbiamo già fatto cenno al nome di queste formidabili forze, agenti principalmente come forze coercitive e di condizionamento mentale: si chiamano conformismo, pregiudizio, esecrazione morale, anatema, timor di Dio, pubblico ludibrio, offesa al comune senso del pudore e, nelle loro forme estreme, persecuzione e condanna al rogo (sia esso concreto o metaforico).

La vittoria su tali possenti nemici, implica una straordinaria vocazione alla dedizione incondizionata, all’abnegazione assoluta, allo slancio sacrificale che nulla risparmia di sé: disposizioni animiche eccezionali, facoltà interiori non comuni, insomma, in una parola, ciò che informa la qualificazione di un vero iniziato. Poiché, lo si sappia senza timori di smentita, la restaurazione dell’Androgino Primordiale ed il concepimento del Rebis, dell’Essere dalla duplice natura, è evento squisitamente iniziatico. Evento rarissimo, irripetibile ed incommensurabile. E tale è, parimenti, da definirsi la via che alla sua realizzazione conduce: la “Via del Sacro Amore”, Via Iniziatica per eccellenza.

E, come tale, una Via sicuramente non alla portata di tutti.

La Via del Sacro Amore è invero l’impresa del Graal dei nuovi tempi […] L’impresa del Graal […] va indicata come il contenuto dell’Iniziazione dei nuovi tempi”

Una “Via” indicata per pochissimi eletti Ricercatori dello Spirito.

Quei pochi ancora capaci di afferrarne il senso eccelso, profondo ed inaccessibile alle moltitudini. Quei pochi all’altezza di discernere la realtà di un’autentica esperienza trasfigurante dalla mera illusione, dall’inganno di una “storiella” banale che si spaccia per ciò che non è.

A tale proposito è bene fissare un punto fermo ed intendersi con estrema chiarezza, onde scongiurare ogni possibile fraintendimento: la “Via del Sacro Amore” è una, una è la Via Maestra. Ma è, parimenti, bene che si sappia che dalla Via Maestra si dipartono una miriade di vicoli ciechi, brulicanti di serpi velenose: la più letale di esse ha nome “illusione”. Ai margini di questi vicoli ciechi, giacciono esanimi i cuori affranti di coloro che sono stati intossicati dal subdolo morso della serpe dell’illusione. E’ impossibile contarli tutti, ma in tutti vi si riconosce immediatamente la causa che li ha estirpati dal petto della vittima, perché tutti recano impresso, come un marchio inconfondibile, il segno di una ferita inferta a tradimento. E tutti, indistintamente, hanno palpitato nel petto di colui che “…nel guardare la donna, ha avuto il presentimento di avere dinanzi l’essere che gli può restituire il mondo superiore perduto: ha sentito affiorare attraverso la figura di lei la speranza della resurrezione di un grado di beatitudine e di purità, di cui l’esistenza attuale è privazione.”

Difficile non condividere tale veduta, specie se nel contenuto di essa riconosciamo la precisa descrizione di qualcosa che prima o poi ha toccato e fatto vibrare con particolare intensità le corde del “giovenil sentire”, riesumando i nostri trascorsi adolescenziali.

Ma, al di là dei facili entusiasmi, delle estatiche effusioni dell’anima, degli aneliti alla riconquistata freschezza degli anni verdi, un’obiettiva e distaccata oggettività deve vigilare in noi affinché desiderio ed ardore d’amore non inducano ad assumere sia il presentimento, sia la speranza quali indizi dell’incontrovertibile certezza di essere sulla “Via”. Per colui che s’incammina su questa “Via”, l’ingannevole illusione di un presunto “amore vero” è veleno per l’anima, per quanto allettante e delizioso sia il nettare che esso stilla sulle labbra.

Innumerevoli sono gli incontri che il destino ci apparecchia, così come innumerevoli sono le onde che il flusso incessante dell’esistenza terrestre, della corrente inesauribile del divenire, del samsàra, fa approdare sulle sponde della nostra coscienza in attesa. Il seducente abbraccio della loro spumeggiante e cristallina trasparenza ci avvince, ci soverchia e ci incanta, poiché in ogni onda si riverbera la voce suadente di Venere, la fragranza della sua pelle, l’effluvio della sua aurea chioma ed il riflesso del suo volto d’indicibile bellezza.

Ogni onda reca con sé la vaga e delicata rimembranza della nascita della Dea dell’Amore, e tutte ci appaiono come vestigia più o meno fedeli di Colei che “par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare”.

Ma sono solo onde: mutevoli, cangianti, transitorie escrescenze del mare, destinate ad infrangersi sulla roccia in una fantasmagoria di iridescenze ed, infine, svanire nell’informe massa oceanica da cui furono generate.

Forse, un giorno, quel giorno tanto sospirato, vagheggiato ed invocato nel dolore della solitudine e della privazione, consumate al cospetto dell’azzurra distesa, immerso nel frastuono monotono della risacca, distintamente percepiremo come da lontananze sideree, flebile e delicato “oltre alte contrade di silenzio e di oscurità dell’anima, il suono di un’antica musica, in cui ritorna ciò che era stato perduto dell’originaria beatitudine: presso la visione dell’aspetto sublime dell’essere amato, è lo scioglimento dell’enigma umano, come scioglimento dai vincoli di una lunga agonia.”

Allora intuiremo non trattarsi del suono ingannevole dell’ennesima onda, quello che colpisce le orecchie del cuore, le anse dell’Athanor, ma è il canto soave annunciatore dell’incontro atteso da millenni, nella tenebra della Terra:

sono Io Colei che Tu stai cercando dalla notte dei tempi”.

SONO IO LA SPOSA ORIGINARIA RITROVATA”.

SONO IO L’ALTRA METà DEL NOSTRO ANTENATO PRIMORDIALE”.

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