L’importanza Della Meditazione Nella Sadhana E Nello Yoga Integrale

Pino Landi

 

La meditazione è uno tra i più importanti strumenti della sadhana.

La meditazione è strumento per ottenere momenti di quiete, in cui i sentimenti, le preferenze e le sensazioni passano senza caricarsi di energia, vengono osservate e non producono effetti; analogamente per momenti di silenzio mentale, in cui passano senza effetti le connessioni logiche, i pensieri

Realizzare momenti di quiete e di silenzio, che pure producono benefici effetti, psichici e fisici e che è auspicabile possano essere ampliati e divenire stato “normale” durante la vita quotidiana, non è comunque che un primo effetto della meditazione. La quiete ed il silenzio sono propedeutici alla disidentificazione. Con la meditazione è possibile imparare a disidentificarsi: disidentificarsi dal pensiero e dalla mente, disidentificarsi anche dal corpo, acquisendo contestualmente una diversa percezione del corpo e delle funzioni fisiologiche, oltre alla percezione della non ineluttabilità degli strumenti mentali, lo spazio, il tempo e la causalità.

Occorre disidentificarsi anche dalla meditazione, che mai deve trasformarsi nel fine, ma che sempre è mezzo  e strumento.

Nel silenzio mentale si può acquisire la coscienza del Testimone che silente osserva senza giudicare. Nel silenzio mentale può risuonare ed essere ascoltata la voce del Maestro interiore.

Per le condizioni che induce, la meditazione è propedeutica e necessaria a qualunque altra pratica: preghiera, visualizzazione, concentrazione, cerimonia magica.

Occorre lavorare perché la meditazione non diventi un momento di separatezza: un’oasi nel deserto della quotidianità, in cui prendere rifugio. Sbagliato e pericoloso utilizzare la meditazione come strumento consolatorio o come analgesico per star bene. La meditazione è invece potente strumento per la crescita spirituale, occorre non scordarlo mai, proprio per non togliere tutte le potenzialità di cui è portatrice. Scopo della sadhana è quello di riunificare l’ uomo separato e scisso: le condizioni a cui si può giungere durante la meditazione dovranno, per l’uomo integrale, essere le normali condizioni in cui si trova ad operare durante tutta la sua giornata. Operare nella quiete e nel silenzio mentale, accettare qualsiasi situazione senza giudicare e con equanimità stabile nel Testimone, operare come strumento del Divino, non consentire ai movimenti egoici.

 

Nella tradizione orientale esistono innumerevoli modalità ed insegnamenti relativi alla meditazione. Ma anche in occidente sono state praticate delle tecniche che pur con diversi nomi avevano le medesime finalità della meditazione. Anzi è mia convinzione che pratiche simili siano antiche come l’uomo e siano sempre state presenti in ogni luogo ed in ogni epoca.

Il minimo comun denominatore, lo scopo reale, dichiarato o non palesato, è quello di baypassare la mente logico-razionale per accedere al mondo dell’inconscio e delle energie sottili.

La vera e propria meditazione è quella pratica che ha per fine la realizzazione del silenzio mentale, quindi la cessazione dei pensieri, di modo che resti padrone del campo il “testimone”. A questo fine le tecniche sono le più disparate, da quella di raffigurarsi i pensieri come nuvole che attraversano un terso cielo azzurro, quindi l’indicazione è di lasciarli andare, senza trattenerli, né osteggiarli, al fine di privarli di ogni energia; a quella di ripetere un koan, cioè una frase che non abbia apparente senso logico, in modo da superare ed escludere il pensiero logico mentale; alla concentrazione sul respiro, al fine di identificarsi col proprio corpo e con le sue funzioni fisiologiche per trascenderle nella loro equivalente dinamica sottile ( prana)…

C’è poi la concentrazione, che da un certo punto di vista è l’esatto contrario ( se così si può dire) della meditazione. Tutta l’energia del pensiero deve essere focalizzata su una figura, una immagine, solitamente un simbolo, oppure su una sequenza immaginativa. Alla fine comunque il risultato è quello di superare la logica razionale per prendere contatto con il sovraconscio, il subconscio o l’infraconscio.

C’è poi la autoanalisi, che consiste nell’attivare meccanismi di produzione di immagini e sensazioni provenienti dal mondo inconscio per poterne ricavare indicazioni e segni.

Cosa più semplice della meditazione? Ci si siede in un posto tranquillo e si abbandonano i pensieri. Ma semplice non significa facile.

Occorre l’intenzione, la volontà, ma una volontà che è l’esatto contrario di quella dell’Alfieri, il  “volli sempre volli…fortissimamente volli”: non è “forza di volontà” ma aspirazione…

La meditazione è stata paragonata ad un uccellino che stringiamo tra le mani: se non si stringe abbastanza l’uccellino vola via, ma se si stringe troppo forte, l’uccellino muore. ,.

Occorre non avere obiettivi, non vederla come un fare qualcosa. Meglio considerarla un processo, pian piano ciò che ci viene consentito durante la meditazione si estende a gran parte della giornata…

Però il tempo è irrilevante, non c’è un accumulo di meditazione: dopo anni ci si siede con le medesime possibilità di chi si siede per la prima volta. Ogni volta è “quella” specifica meditazione, ogni volta è un atto creativo, ogni volta è il presente che si svolge.

Una volta seduti, rilassamento dei muscoli: se facciamo attenzione ai muscoli, ci accorgiamo che sono sempre eccezionalmente ed incomprensibilmente tesi. Per prima cosa rilassiamo i muscoli. Come la tensione dei muscoli deriva da nodi psicologici irrisolti, così rilassando i muscoli cominciamo a prendere coscienza degli irrigidimenti della psiche e ad attenuarli.

C’è un esercizio, alla portata di tutti, molto più esplicativo delle parole. Se si è di cattivo umore, ci si ponga davanti allo specchio e si faccia attenzione alla piega della bocca e all’espressione amara del viso. Si inizi a modificare l’aspetto fisico del viso: si distendano i muscoli, si allentino le pieghe, si cominci a sorridere. Non sarà semplice, ma non impossibile riuscire a sorridersi allo specchio. Dopo un po’ ci si accorgerà che il cattivo umore si sarà dileguato, in fuga davanti al sorriso che sarà entrato in noi...

Regola per la meditazione: nessun sforzo, nessun giudizio. Tutto ciò che accade, qualsiasi cosa, accade. Sospendiamo i nostri sentimenti in merito a ciò che accade, non diamo forza ed energia alle preferenze, ai pensieri: equanimità per qualunque cosa accada.

 

Vorrei ora riportare alcune frasi di Aurobindo e Mère sulla meditazione, tratte da diverse opere dei Maestri e raccolte su uno specifico libretto allegato alla rivista “Domani”, il trimestrale in italiano edito dall’asrham di Pondicherry.

 

SRI AUROBINDO.

Scende il silenzio e si accende la fiamma dell’aspirazione; un calore soffuso pervade il corpo e porta con sé un impulso di gioia verso la trasformazione; si ode il canto dell’armonia divina, calmo e sorridente; è una dolce sinfonia, appena udibile eppure colma di potere. Ritorna allora il silenzio, più profondo, più vasto, sì, vasto fino all’infinito, e l’essere esiste oltre i confini del tempo e dello spazio.

 

Sri Aurobindo dalle “Lettere sullo yoga”:

Ci sono due parole per esprimere il concetto indiano di dhyana: “meditazione” e “contemplazione”. Meditazione, a rigor di termini, vuol dire concentrazione della mente in un’unica sequenza di idee che elabora un soggetto unico. Contemplazione vuol dire considerare mentalmente un solo oggetto, immagine o idea in modo che la conoscenza dell’oggetto, immagine o idea possa sorgere naturalmente nella mente in virtù della concentrazione.

Entrambe sono forme di dhyana, perché il principio di dhyana è concentrazione mentale, nel pensiero, nella visione o nella conoscenza.

Vi sono altre forme di dhyana. C’è un passaggio nel quale Vivekananda consiglia di ritirarsi dai propri pensieri e di lasciarli scorrere nella mente a loro piacimento, semplicemente osservandoli e vedendoli per quello che sono. Questa può chiamarsi concentrazione nell’osservazione di sé.

Questa forma conduce ad un’altra: la mente è liberata da tutti i pensieri e lasciata in una specie di vuoto attento e puro dove la conoscenza divina può venire a fissarsi, imperturbata dai pensieri inferiori della mente umana comune e con la stessa chiarezza di una scritta in gesso bianco sulla lavagna. Nella Bhagavad Gita troverete come questo rifiuto di tutti i pensieri della mente sia uno dei metodi dello yoga, anzi adirittura il metodo che essa sembra prediligere. Può essere denominato dhyana della liberazione, pochè libera la mente dalla schiavitù del processo meccanico del pensiero, permettendole di pensare o di  non pensare, come vuole e quando vuole, di scegliere i propri pensieri o di andare oltre il pensiero verso la percezione pura della Verità, chiamata nella nostra filosofia vijnana.

La meditazione è il procedimento più facile per la mente umana, ma il più limitato nei risultati; la contemplazione è più difficile, ma migliore; l’osservazione di sé e la liberazione dalla catena del pensiero è il più difficile di tutti, ma il più ampio nei risultati. Si può sceglierne uno seguendo la propria inclinazione e capacità. Il metodo perfetto sarebbe di impiegarli tutti, ognuno al momento opportuno e per il suo scopo specifico; ma questo comporterebbe una fede consolidata, una pazienza tenace e una grande forza di volontà nell’applicarsi allo yoga.

 

Non ci sono condizioni esterne essenziali, ma la solitudine e l’isolamento al momento della meditazione, come anche l’immobilità del corpo, sono utili al principiante, a volte quasi necessarie. Ma le condizioni esterne non dovrebbero essere vincolanti. Una volta che la consuetudine di meditare abbia preso forma, dovrebbe essere possibile praticarla in ogni condizione, supini o camminando, nella solitudine o in compagnia, nel silenzio o in mezzo ai rumori e così via.

La prima condizione interiore necessaria è la concentrazione della volontà contro gli ostacoli che si frappongono alla meditazione, come il vagare della mente, l’oblio, il sonno, l’irrequietezza fisica e nervosa, l’agitazione ecc…

La seconda è una purezza calma e crescente della coscienza interiore (citta), dalla quale sorgono pensiero ed emozione; cioè libertà da ogni reazione di disturbo, come rabbia, dolore, depressione, ansia per gli avvenimenti della vita ecc…

 

 

Mère dalle “Conversazioni del 1930”

Alcuni immaginano che il segno della vita spirituale sia la capacità di sedersi in un angolo a meditare! Questa è un’idea molto, molto diffusa. Non voglio essere severa, ma la maggior parte delle persone che attribuiscono molto importanza alla loro capacità meditativa, non credo che meditino nemmeno un minuto in un’ora. Quelli che meditano davvero non ne parlano mai; per loro è un fatto del tutto naturale…

E’ molto difficile meditare. Di meditazioni ce ne sono di tutti i tipi…Potete scegliervi un piano e seguirlo per arrivare ad un dato risultato; questa è una meditazione attiva…Altri si siedono e cercano di concentrarsi su qualcosa senza seguire un piano; di concentrarsi semplicemente in un punto per intensificare il proprio potere di concentrazione…se riuscite a raccogliere abbastanza le vostre capacità di concentrazione in un punto mentale, vitale o fisico, a un certo momento lo attraversate ed entrate in un’altra coscienza…Altri ancora cercano di scacciare dalla testa tutti i movimenti, le idee, i riflessi, le reazioni, per arrivare a una quiete veramente silenziosa. Questo è estremamente difficile …perché è come prendere il toro per le corna.

C’è un altro tipo di meditazione…raccogliete totalmente la coscienza e rimanete il più possibile calmi e tranquilli, distaccati dagli oggetti esterni, come se non vi interessassero affatto, e all’improvviso rianimate la fiamma dell’aspirazione gettandovi dentro tutto quello che capita, così che la fiamma possa levarsi sempre più in alto; identificatevi con essa e avvicinatevi al punto estremo della coscienza ed aspirazione, non pensando a niente altro; semplicemente un’aspirazione che cresce, cresce smpre di più, senza mai pensare al risultato, a cosa potrà e specialmente a cosa non potrà accadere, soprattutto senza desiderare che qualcosa avvenga.; semplicemente la gioia di un’aspirazione che cresce….

 

Mère dalle “Conversazioni del 1956”

[la meditazione dinamica] ha il potere di trasformare la vostra natura. E’ una meditazione che vi fa progredire…una meditazione dinamica è una meditazione di trasformazione…

Penso che la cosa più importante sia sapere perché uno medita; è questo che conferisce qualità alla meditazione e a renderla di un genere o di un altro.

Potete meditare per aprirvi alla Forza divina, potete meditare per eliminare la coscienza comune, potete meditare per entrare nella profondità del vostro essere, potete meditare per imparare a offrirvi integralmente, potete meditare per ogni sorta di ragioni. Potete meditare per entrare nella pace, nella quiete e nel silenzio; questo è quanto la gente generalmente fa, ma senza troppo successo. Ma potete meditare anche per ricevere la Forza della trasformazione, per scoprire gli aspetti che vanno trasformati; per tracciare una linea di sviluppo. E ancora potete meditare per ragioni molto pratiche: quando avete una difficoltà da risolvere, una soluzione da trovare, quando avete bisogno d’aiuto per una azione o per qualunque ragione; potete meditare anche per questo.

Penso che ognuno abbia un suo modo di meditare.Ma se si vuole che la meditazione sia dinamica, si deve avere un’aspirazione al progresso e la meditazione deve essere praticata per servire a realizzare questa aspirazione al progresso.

 

 

 

 

Mère dalle  “Conversazioni del 1957”  Sulla meditazione collettiva

 

Prima della meditazione, questa sera, voglio dirvi poche parole poiché molte persone mi hanno chiesto la differenza tra una meditazione collettiva e una meditazione individuale. A proposito della meditazione individuale, vi ho già spiegato altre volte i diversi tipi di meditazione che si possono fare, e non vorrei ricominciare a parlarvene di nuovo. Le meditazioni collettive sono state praticate in tutti i tempi per diverse ragioni, in modi differenti e con motivazioni diverse. Si può definire una meditazione collettiva un gruppo di persone che si raccoglie insieme per un preciso intento; per esempio, in ogni epoca c'è stata l'abitudine di riunirsi a pregare. Naturalmente, nelle chiese si ha una specie di meditazione collettiva, ma anche al di fuori delle chiese vi sono state delle persone che hanno organizzato meditazioni in gruppo per la preghiera comune. Queste preghiere sono di due tipi differenti. Dall'inizio della storia umana si sa che certi gruppi di persone si raccoglievano per esprimere insieme un certo stato d'animo: alcuni per cantare le lodi di Dio, cantici, parole di grazia, per esprimere adorazione, preghiere di ringraziamento, di gratitudine, e così lodare il Signore; altri - e vi sono esempi storici di questo - si riunivano in un certo numero per un'invocazione comune, per chiedere qualcosa al Signore, per esempio, e questo veniva fatto da tutti assieme, uniti nella speranza che questa invocazione, questa preghiera, questa richiesta, avesse maggiore importanza. Vi furono dei casi famosissimi. Uno dei più antichi si verificò nel 1000 d.C. quando alcuni profeti annunciarono che c'era la fine del mondo ed ovunque gli uomini si riunirono per offrire preghiere comuni, chiedendo che il mondo non finisse (!), o comunque di essere protetti. Molto più recentemente, in tempi moderni, quando il re d'Inghilterra Giorgio stava morendo di polmonite, il popolo inglese si radunò, non solo nelle chiese, ma anche nelle strade davanti al palazzo reale, per offrire preghiere e supplicare Dio di salvarlo. Accadde che egli guarisse, ed essi credettero che fosse dipeso dalle loro preghiere... Questa è naturalmente la forma più esteriore, potrei dire la più terra terra di una meditazione comune. Presso tutti i gruppi di iniziazione, in tutte le scuole spirituali dell'antichità, la meditazione collettiva era sempre praticata, ed in quei casi il motivo era molto diverso. Essi si riunivano per un progresso collettivo, per aprirsi tutti assieme alla forza, alla luce, ad una influenza e... era più o meno quello che cerchiamo di fare anche noi adesso. Vi sono comunque due modi di farlo, ed è questo che sto per spiegarvi. In entrambi i casi si deve praticare la meditazione come viene fatto abitualmente: sedersi, cioé in una posizione che sia abbastanza comoda per poterla mantenere, ma non così tanto da addormentarvisi! E poi fate ciò che vi ho chiesto di fare quando sono solita andare a fare là la mia distribuzione (Nota: ogni sera prima della meditazione e delle conversazioni, la Madre era solita andare a distribuire noccioline ai bambini del "Gruppo verde" nell'attiguo Playground), cioè prepararvi per la meditazione, cercando di diventare calmi e silenziosi, non solo non chiacchierare esteriormente, ma cercare di fare silenzio anche nella vostra mente, e riunire la vostra coscienza che è dispersa in tutti i pensieri e le preoccupazioni che avete; riunirla e portarla all'interno nel modo più completo possibile, concentrandola qui, nella regione del cuore, nel plesso solare, in modo tale che tutte le energie attive della testa e tutto ciò che fa mettere in movimento il cervello, possa essere ricondotto e concentrato qui. Questo si può ottenere in pochi secondi o può prendere pochissimi minuti: dipende dalle persone. E veramente questo è l'atteggiamento preparatorio; poi, una volta che questo sia stato fatto (o comunque compiuto meglio che potete) potete prendere due atteggiamenti, uno attivo e uno passivo. Ciò che io chiamo un atteggiamento attivo è concentrarsi (vi espongo questo in termini generali) sulla persona che conduce la meditazione, con la volontà di aprirsi e ricevere da essa ciò che questa persona intende darvi o la forza con cui vole mettersi in contatto con voi. Questo è l'atteggiamento attivo, perché in questo caso c'é una volontà che lavora ed un'attiva concentrazione per aprirsi a qualcuno concentrandosi su qualcuno. L'altro atteggiamento, quello passivo, è semplicemente questo: essere concentrati come vi ho detto, e poi aprirvi come uno apre una porta - sapete, non è vero, che voi avete una porta qui (la madre fa un gesto all'altezza del cuore) -, e dopo che vi siete concentrati aprite questa porta e restate così... (gesto di immobilità). O anche potete usare un'altra immagine, quella di un libro: aprite il vostro libro, spalancatelo con belle pagine bianche, cioè completamente silenziosi e restate così, aspettando ciò che accade. Questi sono i due possibili atteggiamenti: potete assumere l'uno o l'altro secondo i giorni, le occasioni, o adottarne uno di preferenza se questo vi aiuta di più. Entrambi sono efficaci e danno ugualmente buoni risultati. Così adesso, per il nostro particolare caso, vi dirò ciò che sto cercando di fare... E' quasi passato un anno da quando avemmo, un giovedì, la manifestazione della forza supermentale. Da allora sta lavorando molto attivamente anche quando sono pochissime le persone che ne sono coscienti (!), ma ancora è dovuto passare del tempo credo, perché, come dire, noi possiamo aiutarla in questo lavoro, facendo uno sforzo di ricettività. Naturalmente questa forza non agisce solo sull'Ashram, sta operando in tutto il mondo, ovunque vi sia una ricettività è al lavoro, e devo dire che l'Ashram non rappresenta la sola ricettività nel mondo, il monopolio della ricettività. Tuttavia da quando questo è accaduto, noi tutti qui, più o meno ne siamo a conoscenza, allora spero che individualmente ognuno faccia del suo meglio per approfittare dell'occasione. Collettivamente, noi possiamo fare qualche cosa, cioè cercare di creare una base, di produrre un terreno particolarmente fertile per ottenere insieme la massima ricettività ed avere il minor spreco possibile di tempo e di forza. Ecco, vi ho detto ora in generale ciò che vogliamo cercare di fare e voi dovete soltanto... farlo.

 

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