L’Aurora simbolica – i primi cento versi di Savitri

 

Pino Landi

 

Come per ogni altro accadimento della vita, anche la lettura di un testo può avere diverse valenze. Tra le modalità più consuete c’è un aspetto estetico, una sorta di sincronizzazione tra le nostre preferenze e quanto espresso nella forma e  c’è un aspetto intellettuale, lo sforzo di comprensione ed il successivo considerare attraverso il lavorio della mente su quanto appreso. E’ possibile affrontare il poema Savitri con queste inflessioni e se ne può ricavare una qualche utilità o soddisfazione, ma si coglierebbe appena un lampo della gran luce racchiusa in quest’opera. I versi di Savitri comunicano con ciò che è il Tutto celato in noi, possono attivare una coscienza di reintegrazione e rendere meno torbidi il mentale ed il vitale.

Savitri è l’unica opera epica scritta da vari secoli e, come la Divina Commedia, è stata concepita per essere letta su vari livelli: il letterale, cioè il mito classico, l’allegorico e l’ anagogico. Quest’ultima modalità presuppone un atteggiamento di disponibilità ad entrare in vibrazione con il suono dei versi che vengono letti, a consentire all’energia dei simboli proposti di penetrare ed operare nel nostro mondo interiore. I versi di Savitri sono veri e propri mantra e come tali possono essere utilizzati, così da diventare uno strumento ed un’occasione di lavoro per chi è avviato lungo un sentiero di ricerca e di trasformazione di coscienza.

Non a caso Carlo Chiopris, che per anni ha utilizzato “Savitri” per procedere nello Yoga integrale, individualmente e con gruppi di lavoro, ha messo in evidenza come tra i vari significati dell’epopea di Savitri si possa certamente comprendere il procedere del “praticante” dello yoga integrale.

Tutto ciò premesso vorrei condividere il lavoro svolto sul contenuto della primissima parte del poema. Lavoro che ha coperto un arco di tempo considerevole,  dapprima svolto individualmente in varie fasi, ripetute più volte, poi in un lavoro di coppia, che è durato un’intera estate ed anche in un gruppo, in un incontro svolto con la lettura di Savitri, intramezzata dalla meditazione e dal silenzio…Mi pare utile e doveroso aver accennato all’iter del lavoro, iter non ininfluente per le risultanze finali, anche se ciò che condividerò qui è un punto di vista meramente individuale e personale.

Per quanto intendo condividere, che è soprattutto un metodo di lavoro, un approccio oltre il mentale, un abbraccio integrale, la trattazione dei primi cento versi dell’opera, che pur ne contiene più di ventimila, è certamente bastante…

 

Era l’ora che precede il risveglio degli Dei.

Attraverso il cammino del divino Evento,

l’immenso, presago spirito della Notte, solo

nel suo tempio d’eternità senza luce,

giaceva immobile sull’orlo del Silenzio.

 

Il poema inizia nell’ora che precede l’aurora. Sarà la giornata decisiva per Savitri: il giorno in cui il suo Sposo Satyavan sarà preda della Morte, evento di cui lei sola ha la prescienza. Il giorno che seguirà sarà quello in cui Savitri dovrà combattere con il Destino, in cui avrà una possibilità di poter vincere la Morte. Questa giornata è parabola della vita e della morte e della battaglia dell’uomo per superare la propria condizione apparentemente immodificabile.

In questi primi cento versi viene descritta l’aurora, in tutta la sua potenza simbolica. Questo avvenimento quotidiano viene svelato nella sua essenza di rito sacro e giunge a noi elaborato e mediato nella superiore coscienza di Sri Aurobindo.

Questo è quanto ci viene proposto, poi sta a ciascuno consacrare uno spazio nel proprio tempio interiore, in cui innalzare un altare su cui rappresentare ed adorare questo aspetto del Divino.

 

Ma nei primi versi ancora non c’è l’Aurora: è l’attimo prima, l’attimo che precede ogni risveglio; l’ora più scura di tutta la notte.

Sarà capitato a tutti qualche volta di dover o voler abbandonare il sonno proprio in quest’ora.

Il freddo è pungente, pare invadere tutto il corpo e non c’è calore interiore che possa contrastarlo. Il corpo anela al sonno abbandonato, ad un sonno profondo e senza sogni, all’immobilità: alla morte forse…Occorre una forte motivazione esistenziale per affrontare il movimento, l’agire, il cambiamento, la vita.

Quel buio profondo è il pallido riflesso dell’Abisso Insondabile in cui tutto è inespresso. L’uomo abituato alla propria individualità, circondato in ogni attimo della propria esistenza da “qualcosa”, non può concepire, se non in modo assolutamente vago, una siffatta privazione di tutto, indistinta non esistenza. Trema preda di un’angoscia inconsapevole, anche solamente intravedendo il barlume infinitesimale di una siffatta “condizione”, che neppure può venire definita a parole, in quanto neppure “condizione” è.

 

Si sentiva quasi, opaco, impenetrabile,

nel cupo simbolo del suo cieco sognare,

il baratro dell 'Infinito incorporeo;

uno zero insondabile occupava il mondo.

10      Il potere d'un illimitato sé caduto, sveglio

     tra il primo e l'ultimo Niente,

ricordando il grembo tenebroso da cui era venuto,

si distoglieva dall'insolubile mistero della nascita

e dal lento processo della mortalità,

bramando d'arrivare alla sua fine nel vacuo Nulla.

Come in un oscuro inizio di tutto,

un 'indistinta parvenza muta dell 'Ignoto,

ripetendo in eterno l'atto inconscio,

prolungando in eterno la volontà che non vede,

20      cullava l'assopimento cosmico della Forza ignorante

il cui sonno creativo, animato, accende i soli

e nel suo vortice sonnambulo porta le nostre vite.

Solcando la vana, enorme trance dello Spazio,

informe il suo stupore senza mente né vita,

ombra roteante in un Vuoto senz'anima,

rigettata una volta ancora in sogni privi di pensiero,

la terra girava abbandonata nei cavi abissi,

dimentica dello spirito suo e del suo destino.

Gli impassibili cieli erano vuoti, immobili, neutrali.

 

 

E’ una “non condizione” impensabile ed inconcepibile, una terribile “non condizione” metafisica, che trova il suo analogo, o meglio il suo identico, nell’interiorità  nell’uomo addormentato al richiamo dello spirito, in un sonno privo di sogni, di pensiero creativo, sonno di puro abbrutimento,  sonno notturno e giornaliero, immerso nel materiale e nell’isolamento del proprio corpo e di una coscienza separata.

Per quante realizzazioni si siano raggiunte nel corso della pratica, innumerevoli volte nel corso della giornata si ripiomba in questa “non condizione” di mancanza; in questo buio profondo, buco nero al cui interno viene assorbita ed accuratamente  celata ogni luce. Ma soprattutto si ripiomba perché c’è volontà precisa di ripiombare: volontà di rinunciare al progresso verso la luce, volontà di ritornare in un  nulla indistinto. La matrice della materia è questo nulla, eterno riposo inerte, e la parte materiale di cui siamo composti reagisce al divenire,  opponendo alla Forza trasformatrice le propria forza negativa che è inerzia, resistenza. Inconsapevolmente l’uomo è attirato dal rifiuto all’azione, alla vita; dal “ritorno nel grembo materno” vagheggiato in simboli e miti spesso mal compresi e mal digeriti: c’è ad un tempo, come sovente accade per l’uomo, una attrazione ed una repulsione verso questo buio, questa mancanza; la fretta  che caratterizza  quest’epoca che altro è se non un correre frenetico verso la morte, un cedere alla morte come rifiuto della vita. Il generale terrore di affrontare il tema della morte fisica individuale altro non nasconde che questa pulsione inconscia.

 

 

 30     Qualcosa allora s'agitò nell'ombra inscrutabile;

un movimento senza nome, un 'Idea impensata,

insistente, insoddisfatta, senza uno scopo,

qualcosa che voleva esistere ma non sapeva come,

tormentò l'Incosciente per risvegliare l'Ignoranza.

Uno spasimo che venne e lasciò una traccia vibrante

permise a un antico, stanco bisogno inappagato,

in pace nella sua caverna subcosciente illune,

d'alzare il capo in cerca d'una luce assente,

forzando occhi chiusi di svanita memoria,

40      come chi ricerchi un sé passato

e incontri solo il cadavere del suo desiderio.

Era come se nel profondo stesso di questo Nulla,

nel cuore stesso di quest'ultima dissoluzione,

si celasse un'entità smemorata,

superstite d'un passato ucciso e sepolto,

condannata a riprendere lo sforzo e la pena

rivivendo in un altro mondo di frustrazione.

 

Occore tuttavia guardare più profondamente, in quel totale buio; occorre lavorare su quelle sensazioni, su quello “stato d’animo”: nei brividi di freddo profondo, nel desiderio di tornare ad un sonno senza sogni, c’è qualcosa d’altro. E’ un qualcosa di appena accennato, come quei guizzi da guardare “lateralmente” perché direttamente non possono essere colti. Come quei lampi di intuizione che scompaiono se si cercano di focalizzare con la mente.

All’inizio è una semplice increspatura del buio stesso, un brivido diverso tra gli altri brividi: un ricordo ed una aspettativa. E’ sia l’uno che l’altra, perché il tempo è sospeso, anch’esso assorbito in uno stato quasi “prementale”, in cui cioè la mente ancora non opera.

Ciò che pulsa lievemente nell’intimo trova nell’alto del cielo fisico identica pulsazione lieve e quasi impercettibile.

 

Una coscienza non formata desiderò la luce

e una vuota prescienza anelò a un remoto mutamento.

50      Quasi dito di bimbo posato sulla gota

della distratta Madre dell'Universo

a ricordarle il bisogno infinito nelle cose,

una voglia infante afferrò la cupa Vastità.

Impercettibile, una breccia s'apri da qualche parte:

una lunga linea solitaria, di colore incerto,

come un vago sorriso che tenti un cuore deserto,

fece tremare l'orizzonte lontano del sonno oscuro della vita.

 

Non c’è ancora alba nel cielo, né luce, né raggi o riflessi di luce, pur tuttavia il buio non è più totale e compatto. Par quasi nel cielo che si apra qualcosa; un’analoga apertura sempre si verifica nei momenti di totale buio della nostra quotidiana giornata, apertura che è possibile percepire ogni qual volta osserviamo le cose e gli accadimenti con occhi e percezione più sottile. Qualche volta invece appare all’improvviso, come un dono: forse è una piega di quel velo che copre tutte le cose ed impedisce di vedere la luce che sta loro dietro. Non ancora una rottura, ma un  tremolio di quel velo, tremolio lieve, ma che pur tuttavia ci consente di concepire che la quotidianità non è proprio così solida e compatta come appare. Per sviluppare quanto più è possibile la potenzialità conoscitiva ed illuminante dei simboli certamente l’immaginazione svolge un importante funzione, ma questa volta per entrare in sintonia con tutto quanto questi versi possono trasmettere è indispensabile innanzitutto agire materialmente, ponendosi poco prima dell’alba a fissare il cielo verso oriente, in una posizione significativa (asana), indurre il mentale ed il vitale al silenzio, concentrandosi sulla propria aspirazione, vaso vuoto, ma pronto ad essere riempito.  Solamente l‘intenso desiderio, la più completa aspirazione possono aprire lo spiraglio sui piani superiori da cui occhieggia la promessa della Luce, Silenzio mentale e vitale, aspirazione sincera e concentrazione: energie che richiamano altre energie. Una potente invocazione a cui non può mancare risposta. Il problema è essere abbastanza ricettivi da poter cogliere quella risposta, utilizzare quelle energie che giungono.

 

Giunto dall'altra riva del senza-limite,

l'occhio d'un dio penetrò i muti abissi;

60      esploratore in ricognizione dal sole,

sembrava, in mezzo a una pesante stasi del cosmo

e al torpore d'un mondo malato e stanco,

cercare uno spirito solo e desolato,

troppo abbattuto per risovvenirsi della perduta beatitudine.

Intervenendo in un immemore universo,

il suo messaggio s'infiltrò nel riluttante silenzio

chiamando l'avventura della coscienza e della gioia,

e, conquistando il seno disilluso della Natura,

impose il rinnovato assenso a vedere e a sentire.

70      Un pensiero attecchì nell 'insondato Vuoto,

un senso nacque nel fondo della tenebra,

palpitò nel cuore del Tempo una memoria

come se un'anima, morta da tanto, fosse sospinta a vivere;

ma l'oblio che succede alla caduta

cancellato avea le fitte iscrizioni del passato,

e ogni cosa distrutta era da ricostruire

e l'antica esperienza da elaborare ancora una volta.

Tutto è possibile se c'è il tocco divino.

Una speranza che appena osava esistere s'insinuò

80      nella triste indifferenza della Notte.

Come una meraviglia errante senza un luogo per vivere,

lasciata orfana e cacciata a cercare un asilo,

che mendichi in un mondo straniero

con timida e azzardata grazia istintiva,

entrò in un angolo di cielo remoto

l'indistinto richiamo d'un gesto lento e miracoloso.

Il persistente trasalimento d'un contatto trasfigurante

persuase la nera quiete inerte

e bellezza e prodigio turbarono i campi di Dio.

90      Una mano vagante di pallida luce incantata

ch'ardeva lungo il margine d'un momento in dissolvenza,

fissò con pannello d'oro e cardine opalescente

una porta di sogni socchiusa sulla soglia del mistero.

Un solo angolo lucente ch'apriva una finestra sulle cose nascoste

costrinse la cieca immensità del mondo a vedere.

Svanì l'ombra, scivolando come una veste che cade

dal corpo reclinante d'un dio.

Allora dal fioco spiraglio che sembrava dapprima

bastare appena a distillare i soli,

100     sgorgò la rivelazione e la fiamma.

 

L’increspatura nel buio diviene vera e propria frattura là in alto nel cielo e nel paesaggio interiore la speranza, l’aspirazione, il pensiero creativo consentono la materializzazione di una rosea luminescenza. Presagio di ciò che potrà essere e ricordo di ciò che è stato, questo tocco di luce e di colore, pur lievissimo mostra l’inesistenza e la falsità del buio. Con il suo solo apparire mostra come il buio altro non sia che mancanza di luce, che sola ha legittimità di esistenza. Falso ed inesistente così come l’ignoranza, che è solo mancanza di conoscenza, dimenticanza di una condizione Divina, mai scomparsa, ma solamente non percepita. La speranza ed il ricordo, l’aspirazione e la volontà sono quella striscia rosa e gialla che lacera la nera tenebra e che già diviene “un angolo lucente”… “di pallida luce incantata”. Con la luce compaiono i colori, nel cielo, con il ricordo di una coscienza di luce compaiono le sensazioni e l’intuizione di quella grandezza Divina, veicolati dal simbolo dell’aurora. Il nascere del sole è un evento comune e fisico, ma la volontà umana può trasformarlo in un rito sacro. Il Divino, se richiamato con sincerità e forza, appare da dietro i suoi nascondigli quotidiani ed attiva sensi sottili se già l’uomo li aveva predisposti, educa la coscienza disposta ad imparare, tesa ad unirsi e fondersi in Lui, nel cuore delle Sue manifestazioni. Rendere sacra l’Aurora significa smettere di guardare l’aurora, ma comprenderla e viverla, con la consapevolezza certa che non c’è più chi guarda, l’evento guardato e l’atto del guardare: non esistono separati, ma in un’unica funzione. Questa non è metafisica, né alta irraggiungibile realizzazione: con la pratica costante e la giusta inflessione è possibile fondersi con l’Aurora, essere l’Aurora in un’unica essenza e coscienza. Poiché tutta la vita è yoga è possibile porsi nel medesimo atteggiamento nei confronti di ogni simbolo, poco importa come ci giunge, attraverso l’immagine, la descrizione ascoltata o letta, l‘immaginazione, un sogno. Ogni accadimento della giornata contiene un insegnamento celato, ha un significato preciso, ogni accadimento è un simbolo e come tale può essere vissuto ed attivato. Se l’aurora può essere un sacro rito, analogamente lo può diventare l’intera vita: un evento non materiale e profano, ma dedicato al Divino. Se il sole che si alza in cielo è quello che si eleva contestualmente ad illuminare il paesaggio interiore, allora ogni avvenimento che appare “esterno”, è solamente un movimento della Coscienza, non della nostra coscienza separata, come impropriamente percepiamo, ma della Coscienza senza aggettivi con cui legittimamente possiamo essere identificati.

 

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