L’Iniziazione del Re Vikramaditya

Massimo Taddei

 (racconto popolare tratto e riadattato da  Il re  e  il  cadavere di Henrich Zimmer )

 

 

Il modo in cui il re  Vikramaditya venne coinvolto nell'avventura fu davvero straordinario.

Erano dieci anni che nella sala delle udienze, dove lui sedeva in gran pompa ad ascoltare petizioni e ad amministrare la giustizia, compariva tutti i giorni un sant'uomo che indossava le vesti dell'asceta mendicante, e, senza dire una parola, gli offriva un frutto. E il regale personaggio accettava il dono da nulla e lo porgeva dimentico al tesoriere che si trovava in piedi dietro al trono. Senza fare alcuna richiesta, il mendicante allora si ritirava e svaniva nella folla dei postulanti, non tradendo alcun segno di disappunto ne d'impazienza. Un giorno, circa dieci anni dopo la prima comparsa del sant'uomo, accadde che una scimmia ammaestrata, fuggita dagli appartamenti delle donne, che si trovavano nella parte più interna del palazzo, arrivasse balzelloni nella sala delle udienze e saltasse sul bracciolo del trono. Il mendicante aveva appena offerto il suo dono, e il re per gioco lo tese alla scimmia. Quando l'animale lo morse, una gemma preziosa ne cadde e rotolò sul pavimento.

 

Il re sgranò gli occhi. Si volse con dignità al tesoriere che gli stava alle spalle. « Che ne è stato delle

altre? » chiese. Ma il tesoriere non lo sapeva. Aveva gettato gli umili doni nella sala del tesoro attraverso , una grata che si apriva in cima alla parete, senza prendersi neppure la briga di aprire la porta. E così si scusò e corse nella sala. Dopo averla aperta, si diresse verso l'angolo sottostante la grata. Là, per terra, c'era un ammasso di frutti marci in vari stadi di decomposizione e, tra i rifiuti di molti anni, un mucchio di gemme inestimabili. Il re era compiaciuto, e donò l'intero mucchio al tesoriere. Di spirito generoso, non era avido di ricchezze, ma la sua curiosità era solleticata. Perciò, quando il mattino dopo si presentò l'asceta, tendendo in silenzio la sua offerta apparentemente modesta, il re rifiutò di accettarla a meno che egli non si fermasse un po' a parlare.

Il sant'uomo disse che voleva un'udienza particolare. Il re gli accordò quel che desiderava, e il mendicante infine presentò la sua richiesta. Ciò di cui aveva bisogno, disse al re, era l'aiuto di un eroe, di un uomo veramente coraggioso, che lo assistesse in un'impresa magica. Il re volle udirne di più. Le armi dei veri eroi, spiegò il mago, sono famose nei libri di magia per i loro particolari poteri esorcizzanti. Il re permise al postulante di proseguire. Lo sconosciuto allora lo invitò a recarsi con lui, la notte della prima luna nuova, al grande cimitero dove si cremavano i morti della città e si impiccavano i malviventi. Il re diede intrepido il suo consenso; e l'asceta -che portava l'appropriato nome di « Ricco di Pazienza » prese congedo. Giunse la notte stabilita: la notte della prima luna nuova. Il re, da solo, cinse la spada, si avvolse in un mantello scuro e cosi camuffato usci per l'enigmatica avventura.  Mentre si avvicinava allo spaventevole cimitero, divenne sempre più consapevole del tumulto degli spettri e dei demoni che si aggiravano in quel luogo soprannaturale, pascendosi dei morti nel corso delle loro orribili baldorie. Prosegui senza timore. Quando giunse nella zona in cui si cremavano i morti, alla luce delle pire funebri che finivano di bruciare i suoi occhi vigili scorsero, o meglio indovinarono, gli scheletri e i teschi carbonizzati e anneriti, disseminati qua e là. Le orecchie gli pulsavano per l'orrendo clamore dei demoni che divoravano i cadaveri. Si diresse al luogo dell'appuntamento, dove lo stregone, tutto intento, tracciava un cerchio magico sul terreno.

« Eccomi » disse il re. «Cosa posso fare per te? ». L'altro levò a malapena gli occhi. « Va' all'altra

estremità del crematorio, » disse « e troverai, appeso a un albero, il cadavere di un impiccato. Recidi la corda e portalo qui ». Il re tornò sui suoi passi, e dopo aver attraversato di nuovo l' ampio terreno, giunse a un albero gigantesco. La notte senza luna era illuminata solo dai deboli guizzi delle pire ormai estinte; gli spiriti facevano un frastuono indemoniato. Tuttavia egli non aveva paura, e quando vide l'impiccato penzolante sali sull'albero e recise la corda con la spada. Quando il cadavere cadde mandò un gemito, come se si fosse fatto male. Il re, pensando che nel corpo vi fosse ancora un po' di vita, prese a toccare alla cieca la forma irrigidita. Una stridula risata usci dalla gola del cadavere, e il re comprese che il corpo era abitato da uno spirito. « Di che cosa stai ridendo? » chiese. Nell'istante stesso in cui parlò, il cadavere tornò di  volata al ramo dell'albero. Il re s'arrampicò e, recisa la corda, lo fece cadere di nuovo. Questa volta lo sollevò senza una parola, se lo caricò sulle spalle e cominciò a camminare. Ma non aveva fatto molti passi quando la voce del cadavere cominciò a parlare. « O re, lascia che ti abbrevi il cammino con una storia » disse. Il re non rispose, e così lo spirito si mise a raccontare. .

C'era una volta un principe, che era andato a una partita di caccia con un giovane amico; l'amico era

figlio del cancelliere di suo padre. I due persero di vista i loro compagni e passeggiarono senza meta nella foresta, finche giunsero a un bel lago dove si fermarono a riposare. Il principe vide una bellissima fanciulla che si bagnava sull'altra sponda e che, non vista dalle sue compagne, gli faceva già dei cenni. Egli non riusciva a capire i segnali, ma il figlio del cancelliere intendeva molto chiaramente il loro significato. Essa aveva comunicato il suo nome, quello della sua famiglia e quello del reame dove abitava, e dichiarava il suo amore. Quando si volse e scomparve nel fogliame. i due giovani finalmente si alzarono e passo passo diressero i cavalli verso casa. Un altro giorno, col pretesto di un'altra partita di caccia, i due amici si inoltrarono nuovamente nella giungla, si staccarono dagli altri e si recarono nella città dove viveva la fanciulla. Presero alloggio nella casa di una vecchia, che corruppero perché facesse da messaggera. La fanciulla era cosi abile che riuscì a formulare una risposta nella quale la vecchia non riconobbe i preparativi di un appuntamento. I simboli furono decifrati dall'ingegnoso figlio del cancelliere. Poi, per motivi di periodo lunare, l’appuntamento dovette essere rimandato, e la fanciulla spiegò, di nuovo per mezzo di simboli, in che modo il principe sarebbe potuto penetrare nel giardino di suo padre e arrampicarsi fino alla sua alta stanza. Egli entrò, com'era stabilito, dalla finestra, e i due giovani amanti si dilettarono l'una nelle braccia dell'altro. La fanciulla era a un tempo appassionata e astuta.

Quando seppe che i suoi simboli erano stati decifrati non dal principe, ma dall'amico, temette subito che questi potesse tradirla, e decise di avvelenare I'interprete. Ma il giovane non le era da meno, tanto che aveva previsto che questo sarebbe successo. Aveva architettato un piano che le avrebbe insegnato, una volta per tutte, ch'egli sapeva badare a se stesso e al suo principe.

Il giovane si travesti da asceta mendicante, persuase il principe a sostenere la parte del suo allievo e poi, con un ingegnoso stratagemma, fece si che la fanciulla fosse sospettata di stregoneria. Convinse il re di quel paese ch'essa era stata la causa della recente, improvvisa morte del principino appena nato, e forni prove tali che la fanciulla fu condannata a una morte infamante. Esposta nuda fuori dalla città, fu lasciata in preda alle belve della giungla circostante. Ma non appena essa fu abbandonata al suo destino, i due giovani, che si erano procurati dei veloci cavalli, la rapirono e fuggirono con lei nel reame del principe, dove essa divenne sua sposa e futura regina. Il dispiacere per l'infamia e per la perdita della figlia stroncò i vecchi genitori della fanciulla, che morirono di crepacuore.

« Bene, di chi fu la colpa della loro morte? » chiese d'un tratto lo spettro che abitava il cadavere. « Se sai la risposta e non parli, la testa ti scoppierà in mille pezzi » .

Il re pensava di sapere la risposta, ma sospettava che se avesse parlato il cadavere sarebbe volato di nuovo sull'albero. Però non voleva che la testa gli scoppiasse.

« Ne la fanciulla ne il principe avevano colpa, perche erano infiammati dai dardi d'amore » rispose. « E non aveva colpa neppure il figlio del cancelliere, poiche non agiva per suo interesse, ma al servizio del padrone. L'unico colpevole fu il re di quella regione, perche permetteva che accadessero cose simili nel suo reame. Non era stato capace di vedere al di là del subdolo tranello che gli era stato teso giocando sul suo naturale dolore per la morte del suo bambino. Non si era accorto che l'abito dell'asceta mendicante era solo.

un travestimento. Non era mai stato al corrente delle attività dei due stranieri nella sua capitale; non si era neppure accorto che c'erano. Perciò egli dev'essere ritenuto colpevole di aver mancato al suo dovere di re, che era quello di essere l'occhio che tutto vede nel suo reame, il protettore e la guida onnisciente del suo popolo » .

Quando l'ultima parola di questo giudizio ebbe lasciato la bocca di colui che l'aveva pronunciato, il suo carico, gemendo nella sua finta agonia, svanì dalle sue spalle, e il re seppe che era di nuovo appeso al ramo dell'albero. Tornò indietro, recise la corda, si caricò il fardello sulle spalle e tentò di nuovo. ; « Mio caro signore, » disse la voce, rivolgendoglisi nuovamente « vi siete addossato un compito ben difficile e curioso. Permettetemi di ingannare il tempo con una piacevole storia.

« Orbene, c'erano una volta tre giovani brahmani che erano vissuti per alcuni anni nella casa del loro maestro spirituale. Tutti e tre si erano innamorati della figlia del maestro, ed egli non osava darla in moglie ad alcuno di loro, temendo di spezzare il cuore degli altri. Ma poi la fanciulla fu colta da una grave malattia e morì, e i tre giovani, con eguale disperazione, affidarono il suo corpo a una pira funebre. Quando esso fu cremato, il primo decise di sfogare il suo dolore errando per il mondo come asceta mendicante; il secondo raccolse dalle ceneri le amate ossa e le portò a un celebre santuario presso le acque dispensatrici di vita del sacro Gange; il terzo rimase sul posto, si costruì una capanna da eremita sul luogo della cremazione e dormì sulle ceneri del corpo del suo amore. « Ebbene, un giorno colui che aveva deciso di va- gare per il mondo fu testimone di un fatto straordinario. Vide un uomo leggere su un libro una formula magica che restituì alla vita un bambino il cui corpo era stato già ridotto in cenere. Dopo aver rubato il libro, il giovane innamorato tornò di corsa sul luogo della cremazione, e giunse proprio nel momento in cui tornava anche colui che era andato sul Gange e aveva immerso le ossa nel fiume dispensatore di vita. Lo scheletro fu ricomposto sulle ceneri, la formula fu letta nel libro, e si produsse il miracolo. La tre volte amata risorse, più bella che mai. E cosi ricominciò subito la rivalità, ma questa volta più accesa; poiche ognuno pretendeva di essersi guadagnato il diritto al possesso della fanciulla: l'uno perche aveva custodito le sue ceneri, l'altro perche aveva immerso le sue ossa nel Gange, e il terzo perche aveva pronunciato l'incantesimo. « E allora, a chi appartiene la ragazza? » disse la voce nel cadavere. « Se sai la risposta e non parli ti scoppierà la testa » . Il re credeva di saperla, e cosi fu obbligato a rispondere. « Colui che la richiamò in vita con la formula magica, e non durò molta fatica a farlo, è suo padre » disse « e colui che rese il pio servigio alle sue ossa assolse la funzione di un figlio. Ma colui che dormi sulle sue ceneri, senza separarsi da lei, e le dedicò la sua vita, può essere chiamato il suo sposo ». Un giudizio piuttosto saggio -eppure, appena esso fu pronunciato, il cadavere spari. Il re ostinato, tornò indietro, recise la corda e riprese l'infruttuoso tragitto. La voce riattaccò. Al re fu dato un altro enigma da risolvere, e di nuovo egli fu costretto a ritornare sui suoi passi, e cosi via, una volta dopo l'altra, con lo spettro instancabile che intesseva una storia dopo l'altra di destini distorti e di vite ingarbugliate, e il re costretto al suo andirivieni. Tutta la vita fu narrata, con le sue gioie e i suoi orrori, e i fili della fantasia si attorcigliavano sempre nei grovigli di ciò che è giusto e ingiusto, in nodi di pretese in reciproco conflitto. C'era la storia, per esempio, del figlio postumo di un ladro, che quando si recò a fare un' offerta a un pozzo sacro in favore del padre defunto si trovò di fronte un problema delicato. Sua nonna era rimasta vedova molto giovane; e poiche i parenti l'avevano defraudata della sua eredità, ella era stata costretta ad andarsene nel mondo accompagnata solo dalla sua bambina. La notte della sua partenza dal villaggio, giunse presso un ladro che era stato impalato ed era in punto di morte. N ella sua terribile agonia, pur respirando a stento, egli espresse il desiderio di sposare senza indugio la bambina -pensando che il matrimonio

gli avrebbe dato dei diritti spirituali sul futuro figlio della piccola, anche qualora egli fosse stato concepito da un altro; e questo figlio avrebbe quindi potuto fare le debite offerte all'anima del padre morto. In cambio, il ladro avrebbe rivelato dove aveva nascosto un certo tesoro rubato.

Il matrimonio fu concluso in modo informale ma vincolante, il ladro morì, e madre e figlia ebbero un considerevole patrimonio. La fanciulla, a tempo debito, si innamorò di un attraente giovane brahmano, che acconsentì a diventare il suo amante, ma insistette per essere pagato, poiche c'era una certa cortigiana di cui voleva pagare la tariffa. La giovane concepì un figlio, e seguendo le istruzioni di un sogno lasciò il bambino, insieme a mille piastre d'oro, sulla soglia del palazzo di un determinato re. Orbene, questo re, che non aveva figli e desiderava un erede al trono,

aveva sognato proprio quella notte che un bambino  stava per essere lasciato alla sua porta. Accettò Il segno del cielo, e allevò il trovatello come suo figlio ed erede.

Molti anni dopo, quando il benevolo re morì, il giovane principe, che stava per succedergli al trono,

si recò a fare un'offerta al padre morto. Si diresse a un pozzo sacro, dove i morti erano soliti tendere la mano per ricevere i doni loro offerti. Ma invece di una sola mano, tre mani si presentarono a ricevere la sua oblazione: quella del ladro impalato, quella del brahmano, e quella del re. Il principe non sapeva che fare. Anche i preti che assistevano all'offerta erano in difficoltà. « Ebbene, » lo sfidò lo spettro nel cadavere « in quale mano il principe doveva consegnare l'oblazione?

E minacciato con l'esplosione del suo cranio, il re espresse il suo giudizio: « L'oblazione dovrebbe essere posta nella mano del ladro, poiche ne il brahmano che generò il bambino ne il re che lo allevò hanno alcun vero diritto su di lui. Il brahmano si vendette. Il re ricevette il compenso di mille piastre d'oro. L'uomo che fece sì che il principe potesse nascere fu il ladro; il suo tesoro pagò sia il suo concepimento, sia le spese della sua educazione. Per di più, il ladro aveva diritto al bambino per matrimonio .Immediatamente il cadavere scomparve, e un'altra camminata riportò nuovamente il re all'albero. C'era poi la strana storia delle teste scambiate, la storia di due amici per la pelle e di una fanciulla. La fanciulla sposò uno dei due, ma il matrimonio non fu particolarmente felice. Poco dopo le nozze la coppia, insieme all'amico celibe, partì per una visita ai genitori della sposa. Lungo il cammino giunsero a un santuario di Kali, la dea assetata di sangue, e il marito pregò che lo scusassero perche voleva entrare un attimo nel tempio da solo. Là, in un improvviso accesso di emozione, decise di offrirsi in sacrificio all'immagine e, con un'affilata spada sacrificale che si trovava lì, si mozzò la testa e crollò in una pozza di sangue.

L'amico, dopo aver atteso con la moglie, entrò nel tempio per vedere cos'era accaduto, e ciò che vide lo ispirò a imitarlo. Infine vi entrò la moglie, per uscirne di corsa, decisa a impiccarsi al ramo di un albero. Ma la voce della dea le comandò di fermarsi, e le ordinò di tornare indietro per ridare la vita ai due giovani, rimettendo loro le teste. Ma a causa del suo turbamento la giovane commise l'interessante errore di mettere la testa dell'amico sul corpo del marito, e viceversa. « A quale dei due appartiene ora la donna? » chiese lo spettro nel cadavere. « A quello che ha il corpo del marito, o a quello che ne ha la testa? » Il re pensa di saperlo, e perche la testa non gli scoppi, risponde: « A quello che ne ha la testa; poi che la testa è reputata suprema tra le membra, proprio come la donna è suprema fra le delizie della vita ».

Di nuovo il cadavere è svanito e di nuovo il re arranca verso l'albero fatale. Quando avrà termine questo cimento? È una prova seria o uno scherzo? In tutto, vengono proposti ventiquattro enigmi; e il re trova una soluzione a tutti, tranne che all'ultimo.  Questo tratta del caso di un padre e di un figlio. Erano membri di una tribù di cacciatori delle colline, e il padre era un capo. E i due erano usciti per una partita di caccia, quando capitarono sulle orme di due donne. Ora, il padre era vedovo e il figlio non si era ancora sposato, ma il padre nel suo dolore per la morte della moglie aveva respinto ogni proposta di nuove nozze. E tuttavia le impronte erano particolarmente allettanti: gli occhi esperti dei cacciatori giudicarono che esse erano state lasciate da una madre e una figlia nobili, che fuggivano da qualche casa aristocratica -forse erano addirittura una regina e una principessa. Le impronte più grandi evocavano la bellezza della regina, e le più piccole il fascino della principessa. Il figlio era molto eccitato, bisognava con- vincere il padre. Il figlio propose che il padre sposasse la donna che aveva lasciato le orme più grandi, e lui quella che aveva lasciato le più piccole, come si conveniva alloro rango e alla loro età. Dovette sostenere le sue ragioni per un po', ma infine il capo acconsenti, e i due fecero solenne giuramento che si sarebbe fatto a quel modo. E allora si affrettarono a seguire le tracce. E finalmente raggiunsero le due infelici creature, che erano davvero una regina e una principessa -come i due membri della tribù avevano sospettato -, che fuggivano

precipitosamente dalla situazione che si era prodotta a casa loro dopo l'improvvisa morte del re. Ma c'era questa deludente complicazione: era la figlia ad avere i piedi più grandi. Secondo il loro giuramento, perciò, il figlio sarebbe stato costretto a sposare la regina. Padre e figlio condussero le loro prede nel villaggio montano, e ne fecero le loro mogli; la figlia divenne la moglie del capo, e la madre quella del figlio.

Poi le due donne concepirono. « Che rapporto di parentela c'è fra i due figli maschi che nacquero loro? » chiese la voce dello spettro che era nel cadavere. « Che cos'erano precisamentel'uno per l'altro, e che cosa precisamente non erano? ». Il re, col suo carico sulle spalle, non riuscì a trovare un termine univoco per designare la complicata parentela. Finalmente si era trovato l'enigma che poteva farlo ammutolire. E così continuò a camminare con passo estremamente vivace, riflettendo in silenzio sul problema. I bambini sarebbero stati paradossi viventi di relazioni reciproche, allo stesso tempo questo e quello: zio e nipote, nipote e zio, sia da parte di madre sia da parte di padre.

Ricondotto al problema del suo proprio carattere e della difficile circostanza in cui si trovava, egli camminava in silenzio, ma con passo mirabilmente spedito, come incurante della lunga prova di quella notte. Ed evidentemente lo spettro ne fu colpito, perchè quando la voce parlò di nuovo, si era mutata in un tono di rispetto- « Signore, » disse « sembrate di buon umore, nonostante tutto questo strano andirivieni per il cimitero; siete davvero intrepido. Sono compiaciuto dallo spettacolo della vostra determinazione. Perciò potete avere questo cadavere. Portatevelo via, poichè io sto per lasciarlo ». Ma prima di andarsene volle omaggiarlo di un  regalo  come si omaggiano  con  piacere le persone corrette, umili e perdonative . La voce lo avverti che i progetti dell'asceta stregone costituivano un terribile pericolo per entrambi; sotto la sacra veste della rinuncia pulsava un'incontenibile sete di potere e di sangue. Il negromante stava per approfittare del re per una grande impresa di magia nera, usandolo prima come complice e poi come vivente sacrificio umano.

« Ascoltate, o Re, » lo avvertì lo spettro « ascoltate ciò che ho da dirvi e, se tenete al Vostro bene, seguite esattamente il mio consiglio. Quel monaco mendicante è un impostore molto pericoloso. Coi suoi potenti incantesimi mi costringerà a rientrare in questo cadavere, che poi gli servirà da idolo. Ciò che intende fare è porre il cadavere al centro del suo cerchio magico, adorarmi là come una divinità e, nel corso del rito, offrire voi come vittima sacrificale. Vi ordinerà di gettarvi a terra e riverirmi, prima sulle ginocchia, poi prostrato, nel più servile atteggiamento di devozione, con la testa, le mani e le spalle a contatto del suolo. Poi tenterà di decapitarvi con un solo colpo della vostra stessa spada. « C' è un solo modo di sfuggirgli. Quando vi ordinerà di gettarvi a terra, dovete dire: "Vi prego, mostratemi questa servile forma di prostrazione, così che io, un re non uso a simili atteggiamenti, possa vedere come si assume questa posizione di adorazione". E quando è prostrato al suolo, tagliategli la testa con un rapido fendente della spada. In quell'istante tutta la potenza soprannaturale che lo stregone sta cercando di evocare dalla sfera dei celesti si riverserà su di voi.

E sarete davvero un re potente ». Con queste parole lo spettro si dileguò, e il re continuò liberamente per la sua strada. Il mago non mostrò alcuna impazienza per aver dovuto aspettare, anzi, il solo fatto che l'impresa fosse stàta compiuta sembrò riempirlo d'ammirazione. Aveva impiegato il tempo al completamento dei preparativi rituali del suo cerchio magico. Esso era tracciato con una sostanza ripugnante raccolta li intorno: una specie di pasta fatta di polvere biancastra d'ossa macinate mescolata al sangue dei cadaveri. E il luogo era sinistramente illuminato dai guizzi degli stoppini che bruciavano nel grasso dei cadaveri. Il mago tolse il carico dalle spalle del re, lo lavò, lo decorò con ghirlande come fosse un'immagine sacra e poi lo depose al centro del cerchio magico. Evocò lo spettro con una serie di potenti incantesimi e lo costrinse a entrare nel corpo cosi preparato. Poi cominciò ad adorarlo proprio nel modo in cui un brahmana

adora una divinità che è stata invitata a entrare quale augusto ospite in una immagine sacra.

Ben presto giunse il momento di far chinare il re, prima sulle ginocchia, poi sulla faccia; ma quando il mago pronunciò l'ordine, il suo nobile accolito gli chiese di mostrargli la posizione. Cosi il terribile monaco si inginocchiò. Il re lo osservò e attese.

Il monaco si prostrò in avanti, premendo a terra le mani, le spalle e il viso, e con un rapido fendente il re gli mozzò il capo. Il sangue sgorgò a fiotti. Il re fece rotolare il corpo sulla schiena e con un altro abile fendente gli spaccò il petto. Ne estrasse il cuore e lo offerse, insieme alla testa, come oblazione allo spettro che abitava il cadavere. Allora un potente canto di giubilo si levò da ogni parte nella notte, e la schiera circostante di spettri,

anime e demoni levò un tumulto di ovazioni per il vincitore. Col suo gesto egli aveva liberato i poteri soprannaturali dalla minaccia del negromante, che era stato a un passo dal ridurli tutti in schiavitù, prede del suo incantesimo.

Lo spettro nel cadavere levò la sua voce arcana, ma ora in segno di gioia e di lode: « Ciò che il negromante cercava di ottenere era il potere assoluto sulle anime e sui divoratori di cadaveri, » disse « e su tutte le presenze spirituali del regno soprannaturale. Questo potere ora sarà tuo, o Re, quando la tua vita sulla terra sarà terminata. Nel frattempo ti sarà dato il dominio su tutta la terra. Io ti ho tormentato; perciò ora devo fare penitenza. Che cosa desideri? Esprimi il tuo desiderio e sarai esaudito » . Il re chiese, come ricompensa per le fatiche che aveva sostenuto nella notte più strana che avesse mai conosciuto, che i ventiquattro enigmi dello spettro, insieme alla storia di quella notte, diventassero noti in tutta la terra e rimanessero eternamente famosi tra gli uomini.

Lo spettro promise. « E inoltre » affermò la voce « non solo i ventiquattro racconti saranno celebrati ovunque, ma lo stesso Siva, il Gran Dio, Signore Supremo di tutti gli Spettri e di tutti i Demoni, il Maestro Asceta degli Dei, renderà loro onore. In qualsiasi luogo e in qualsiasi momento questi racconti saranno narrati, là nessuno spirito e nessun demone potranno avere alcun potere. E chiunque reciti in vera devozione anche uno solo di essi, sarà libero dal peccato » .

D'un tratto, con questa solenne promessa, lo spettro si dileguò; e immediatamente Siva, Signore dell'Universo, apparve in tutta la sua gloria, circondato da una moltitudine di dèi. Porse il suo saluto al re e serenamente lo ringraziò, con alte lodi, per aver liberato le potenze del mondo spirituale dalle mani impure dell'ambizioso asceta. La divinità dichiarò che  ora le potenze cosmiche erano al servizio del re, come ricompensa per aver impedito che il negromante, che aveva tramato per avere il dominio universale, ne facesse un cattivo uso; che il re sarebbe entrato in pieno possesso di questi poteri alla fine della sua vita terrena, e che nel corso di questa avrebbe governato la terra. Siva gli conferì, con le sue stesse mani, la spada divina chiamata « Invincibile », che gli avrebbe dato la sovranità del mondo; e poi sollevò il velo dell'ignoranza che aveva sempre celato alla sua coscienza l' essenza immortale della sua vita di uomo.

Benedetto con questa illuminazione, il re fu libero di congedarsi dal luogo raccapricciante dov'era stato messo alla prova. L'aurora spuntava quando tornò nelle sale spaziose del suo magnifico palazzo, come chi si svegli dopo una notte di sonno agitato. I racconti dello spettro  celato nel cadavere erano stati come una catena  di sogni tormentosi, che sembrava senza fine tuttavia era compresa in un periodo di tempo relativamente breve. E mentre camminava avanti e  indietro per il crematorio lungo lo scenario della vita trascorsa, la vittima, impigliata nella sequenza era stata come un dormiente che si rivoltasse senza  posa nel letto. E proprio come uno possa scoprire, svegliandosi, che ciò che era stato oscuro il  giorno prima ora è comprensibile, e che nella sua oscurità esso era molto più intricato e profondo di quanto  si  potesse supporre -oscuro quanto l'enigma della vita  stessa -, cosi questo re usci dalla sua notte di esperienza  trasformato e pieno di saggezza. Durante gli  anni  che  seguirono, il miracoloso compimento dello splendore e promesso si avverò, e la sua vita terrena si ampliò  in gran virtù e gloria.

 

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