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IL DESTINO DELL’ANIMA NELLE ENNEADI DI PLOTINO di Mario Zanoni |
INTRODUZIONE
Cercate di ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo
Porfirio, Vita di Plotino, 2
Sulla vita e l’opera di Plotino1 sappiamo ciò che ci perviene dal suo discepolo Porfirio che ne raccolse gli scritti e li ordinò sistematicamente pubblicando le Enneadi, opera così denominata perché formata da cinquantaquattro trattati divisi in sei gruppi di nove ciascuno, raggruppati per argomenti affini, in ordine crescente di difficoltà. Dal 232 d.C., ad Alessandria, Plotino si era formato per oltre dieci anni alla Scuola di Ammonio Sacca, del quale non sono pervenute attendibili testimonianze scritte, ma che sappiamo trasmise a Plotino un valido insegnamento riguardo non solo al metodo e ai contenuti della ricerca filosofica ma anche a quelle tesi metafisiche che sembravano essere state ispirate direttamente da Dio.
Il rilievo teoretico dei contenuti filosofici e la tensione spirituale delle Enneadi, sono più facilmente comprensibili avendo presente l’ambito della sfera culturale in cui il capolavoro si colloca. Plotino muove e porta a pieno sviluppo le istanze del medioplatonismo e del neopitagorismo, conosce Filone di Alessandria, si confronta con la Gnosi e il Cristianesimo. Tuttavia la fonte di ispirazione è il divino Platone, con la sua distinzione tra il Mondo intelligibile permanente e il mondo sensibile impermanente: la c.d. seconda navigazione.
Il pensiero plotiniano si fonda sullo schema triadico delle ipostasi2; nel nostro studio ci accingiamo ad approfondire di più il tema dell’Anima (da cui ha origine la materia sensibile) quale emanazione del Nous (l’Intelligenza), che a sua volta procede dall’Uno: per Plotino è questo il percorso di ritorno che l’uomo, nell’estasi mistica, può fare anche in vita per realizzare individualmente e senza mediazione la riunificazione piena e totale al Principio non principiato.
CAPITOLO I°
LE TRE NATURE
L’uno è tutte le cose e non è nessuna di esse: infatti il principio di tutto non è il Tutto; Egli è il tutto, in quanto il tutto ritorna a Lui; e cioè nell’Uno non si trova ancora, ma vi si ritroverà.
Egli infatti è perfetto perché nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha bisogno; e perciò, diciamo così, trabocca e la sua sovrabbondanza genera un’altra cosa. Ma l’Essere così generato si volge a Lui e tosto ne è riempito e, una volta nato, guarda a se stesso e questa è l’Intelligenza.
E così l’Essere, essendo simile a Lui, genera ciò che gli è affine, riversando fuori la sua grande potenza; ma anche questa è un’immagine di Colui che, prima di lui manifestò la sua potenza. Questa forza che procede dall’Essere è l’Anima, ma questa diviene, mentre l’Intelligenza è immobile, poiché anche l’Intelligenza nacque mentre Colui che è prima di lei persiste nella sua immortalità 3
1.1. Nel solco della Tradizione
Non è possibile delineare la dottrina dell’anima nelle Enneadi senza descrivere brevemente il sistema delle ipostasi elencate nell’introduzione, cercando di cogliere l’anelito che spinge Plotino alla riflessione filosofica, che è al tempo stesso religione nel senso più puro e filosofia come modo di essere. Il suo appare più come un atteggiamento coscienziale, non solo mentale o intellettuale: filosofia come realizzazione perché conoscere è essere.
Come accennato, Platone, a cui Plotino si riferisce dichiaratamente, considera compito della vera filosofia “il rivolgimento dell’anima da un giorno tenebroso al giorno vero, a un’ascesa, cioè, verso l’Essere”4; con la dialettica, egli aggiunge, senza il concorso dei sensi, mediante l’intelletto, si può giungere alla contemplazione dell’Intelligibile. È il principio dell’insegnamento misterico dell’orfismo: l’anima è imprigionata nell’involucro-ombra, occorre trarre in su l’Anima dal mondo del divenire a quello dell’Essere, svegliarsi al riconoscimento della propria immortalità. Sullo stesso sentiero tracciato da Parmenide5 anche Platone segue la Tradizione, che non è di ordine umano, indicando la strada per ridare all’uomo la sua dimensione universale: il mondo delle Idee, ben differente dal pensiero dell’uomo. Il termine “Idea” non ha qui il significato di contenuto mentale ma bensì di essenza, sostanza, forma o specie di ordine universale equiparabile allo spirito puro o anche all’arché, il principio da cui dipendono tutti gli enti.
Le Idee in Platone sono molteplici, espressioni dell’Unità-Essere organizzate gerarchicamente: in basso le Idee degli enti geometrico-matematici, in alto le Idee dei valori etici ed estetici, ma al di là del mondo delle Idee, cioè di là dall’Essere o dall’Essenza, egli parla di un principio incondizionato. Questo Sommo Bene è l’Uno-Uno radice del “mondo delle Idee”, e quest’ultimo a sua volta è l’Uno-molti, mentre il sensibile costituisce l’Uno e i molti.
“Platone sa dunque che dal Bene proviene l’Intelligenza e dall’Intelligenza l’Anima. Perciò le nostre teorie non sono nuove né di oggi, ma sono state pensate da molto tempo anche se non in maniera esplicita, e i nostri ragionamenti sono l’interpretazione di quegli antichi, la cui antichità ci è testimoniata dagli scritti di Platone. Prima di lui anche Parmenide accennò a una dottrina simile, quando identificò Essere e Pensiero e ripose l’Essere non nelle cose sensibili, poiché ‘Pensare e Essere sono la stessa cosa’[…] l’Essere è immobile benché gli aggiunga il Pensare, e gli nega ogni movimento affinché rimanga identico […]”6
Ma l’Uno non è “molteplice” e continua citando il suo maestro Platone:
Invece il Parmenide di Platone parla con più esattezza perché distingue fra il loro primo Uno, l’Uno in senso proprio, il secondo che egli chiama “Uno-molti” e il terzo che è “Uno e molti”. E così anch’egli è d’accordo con l’essenza delle tre nature”7
1.2. Un nuovo orizzonte della metafisica
L’impianto plotiniano delinea una nuova definizione dell’essere, che esprime il massimo livello di intuizione speculativa per il pensiero occidentale. L’innovazione concerne la distinzione fra le proprietà delle ipostasi, che sono di ordine immanente e trascendente al tempo stesso. L’Uno, Realtà Assoluta, Principio primo senza secondo, unico, supremo, perfetto, incausato, immanifesto, immortale, mai nato, potenza infinita, libertà assoluta, “al di là di tutto e al di là della santissima Intelligenza” (Platone, Repubblica), ineffabile e quindi indefinibile in quanto privo di attribuzioni, o meglio definibile solo per via apofatica – non questo…non questo… – che ha sia attività propria in sé sia un’attività che deriva dal proprio essere. Egli genera pur restando identico a sé.
Così è anche, e a maggior ragione, nel mondo superiore: mentre il Supremo persiste nella sua essenza, dalla sua perfezione e dalla forza che è in Lui un’altra forza ottiene la sua esistenza, nata com’è da una grande potenza, anzi dalla più grande di tutte, e giunge sino all’essere e all’essenza: l’Uno è infatti al di là dell’essenza. L’Uno è la potenza del Tutto; il generato, invece, è già il Tutto.8
Dall’Uno procede il Nous, quale seconda ipostasi, conseguenza della straripante potenza dell’Uno, che, una volta generato, si rivolge all’Uno e ne viene fecondato. Questa contemplazione dell’Uno è la sorgente dell’emanazione dell’Intelligenza e nello stesso momento, il Nous, contemplando se stesso, è generazione dell’Essere. L’Intelligenza è la dimora di tutti gli esseri concepiti idealmente (il platonico Mondo delle Idee) e collocati individualmente nel “luogo intelligibile”, immutabili nella loro sostanza ma molteplici nella loro forma di pensiero e di vita di cui è totalità. Il Nous è inscindibile unione di Essere, Pensiero, Intelligibile, Intelligenza9. Gli enti in senso ontologico, l’Essere e l’Intelligenza sono un’unica natura e formano la stessa realtà
Ma anche l’Essere è attività: in ambedue [Essere e Intelligenza] c’è dunque un’unica attività, o meglio, essi sono una cosa sola; un’unica natura, dunque l’Essere e l’Intelligenza; e perciò gli esseri, l’attività dell’Essere è l’Intelligenza così intesa; e i pensieri così intesi sono l’idea, la forma dell’Essere e la sua attività. Purtroppo il nostro pensiero opera questa divisione e immagina una cosa dopo l’altra, e questo perché l’intelligenza che divide è diversa da quella indivisibile che non divide e che è l’Essere e il Tutto.10
Il Nous è immateriale, infinito, eterno, identità e diversità, stabilità e movimento.
CAPITOLO II°
L’ANIMA È VITA
La prima parte dell’anima è in alto, vicina alla cima, eternamente soddisfatta e illuminata, e rimane lassù; l’altra parte, che partecipa della prima, in quanto ne partecipa procede eternamente, vita dalla vita; essa è infatti attività che si diffonde in ogni luogo ed è presente ovunque.11
2.1. Anima: il tutto e il molteplice, contemplazione e produzione
A immagine della potenza dell’Uno, che rappresenta l’unità di tutte le divine Ipostasi, dalla grande potenza dell’Essere, il Nous, che in quanto razionalità infinita rende possibile la molteplicità intelligibile del mondo, procede l’Anima. A differenza del Nous-Intelligenza, la cui identità trascende l’ordine universale, l’Anima non è immobile ma soggetta al divenire. L’Anima volge lo sguardo all’alto da cui proviene e dalla contemplazione ne riceve la fecondità e l’Intelligenza che la rende capace di generare una realtà inferiore, cioè il mondo sensibile.
Il senso dell’Anima, che è eterna, infinita, onnipresente, una e molteplice, immobile e diveniente, vita in sé che si diffonde nell’illusoria apparenza della materia e del non-essere, consiste essenzialmente nello svolgere l’attività poietica dando vita al mondo visibile sul piano dell’esistenza fenomenica, entrando intera nella molteplicità dei corpi divisi (uno-e-molti). Questa struttura a sua volta è articolata secondo una ulteriore gerarchia che vede l’Anima stratificarsi in:
Anima universale, suprema, totale, che comprende tutte le anime rimanendo immobile nel mondo intelligibile del Nous;
Anima del cosmo, che produce il mondo sensibile, fisico, empirico, grossolano, contingente, relativo, materiale;
Anima particolare, singola, nella quale sussiste il corpo già sostanziato dall’Anima dell’universo (o del multiverso come faremmo meglio a dire ai nostri giorni, per la teoria della gemmazione degli universi) che dona vita e “animazione” ai nomi-forme individuate. È questa la physis secondo il concetto plotiniano che nello stato di contemplazione riceve la materia sensibile dal logos.
La distinzione sopra menzionata tuttavia non impedisce all’Anima di permanere nella sua interezza e indivisibilità:
Dunque anche le anime? [tutt’insieme come l’Essere-Intelligenza] Sì, anche le anime, poiché ciò che fu detto “divisibile nei corpi” è tuttavia indivisibile per sua natura; i corpi invece sono estesi e l’essenza di anima è presente in essi: o meglio, sono i corpi che vengono generati in essa; e poiché quell’essenza si manifesta in ogni loro parte fino al limite della loro divisibilità, essa fu considerata “divisibile”. In realtà che essa non sia suddivisa nelle parti del corpo, ma sia intera da per tutto lo rende manifesto l’unità e l’effettiva indivisibilità della sua natura.12
2.2. La dualità della manifestazione
È da ricercarsi nell’esaurimento delle processioni ipostatiche la causa cosmologica della creazione permanente, indefinitamente oscillante tra la nascita e la morte come mero ciclo della vita nel continuum di tutte le cose dell’universo nella sua totalità (confermato dalla recente teoria quantistica di campo della fisica teorica riguardante le superstringhe); difatti il mondo non ha avuto principio né mai avrà fine. In questa privazione della potenza dell’Uno, lo stesso Bene platonico, trova senso l’idea di male quale necessità per costituire l’altro estremo rispetto al Bene. Non trattandosi di un opposto bipolare, il male non è nemmeno considerato una forza negativa, ma solo la privazione del positivo. Nell’assunto che l’universo è perfetto così com’è: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”13, trova ragione causale l’ineluttabile dualità: nel non reale - finché permane lo stato di ignoranza metafisica - in assenza del non-essere (il sensibile) non potrebbe sussistere l’essere (l’intelligibile).
Il demiurgo produttore del cosmo è dunque l’Anima, agente della ragione principiale dell’Uno, da cui procedono le tre potenze che costituiscono l’Io supremo noetico, la psiché corpo sottile e il corpo fisico grossolano, condensazione determinazione differenziata degli enti nello spazio-tempo.
CONCLUSIONE
Solo avendo un corpo, le anime avvertono i castighi corporei; ma le anime che siano pure e non portino con sé nemmeno una minima particella di corpo, non possono assolutamente appartenere a un corpo. Perciò, se esse non sono in nessun luogo nel corpo – poiché non hanno corpo – allora, là dove c’è l’essenza, l’essere, la divinità, e insieme con essi e con Dio, se ne starà l’anima diventata pura.14
È iniziato il cammino di ritorno. Dopo aver delineato la dottrina su cui regge l’ordine metafisico e l’architettura cosmologica, sappiamo dal filosofo come l’anima immortale discende nei corpi, pur mantenendo l’unità di tutte le anime come parti di quella universale onnipervadente, ma conservando una insopprimibile nostalgia dell’Uno da cui tutto procede.
In quanto intermedia tra gli estremi dell’Uno da un lato e della materia dall’altro, l’anima è ontologicamente deputata alla realizzazione dell’essente che, grazie al risveglio, la nuova nascita all’essere dello spirito, muove dalla condizione materiale alle regioni celesti. “Ma tra l’Anima e il corpo non c’è affinità, come non c’è tra la luce e le tenebre, tra l’Essere e il non-essere; l’Anima individuale, dice Plotino, è sorella dell’Anima universale […]”15
Forse mutuando dalla saggezza vedica, Plotino prega con i versetti millenari:
dal non essere conducimi all’essere
dalle tenebre conducimi alla luce
dalla morte conducimi all’immortalità16
Non è con la separazione dal fisico che si ritorna a Dio, bensì con la progressiva ricomposizione della materia con l'intelletto, in un'operazione nella quale il conoscente si rifonde con il conosciuto, l'intelligente con l'intelligito, mediante degli stadi di intuizione – veri e propri livelli coscienziale acquisiti dall’intelletto superiore – escludendo, in tal modo, il solo ricorso alla ragione o al sensoriale; ai più alti livelli, i tre gradi dell'intuizione sono: l'intuizione estetica (l'Arte), l'intuizione affettiva (l'Amore) e l'intuizione filosofica. Il filosofo è colui che in sommo grado ha la capacità di fondere intelletto e sostanza, filosofia e religione, e che ha quindi la capacità di superare quella distinzione, che ancora permane nell'artista e nell'amatore.
La via della Conoscenza iniziatica è percorribile su questo piano di esistenza dal sincero ricercatore aspirante filosofo, mediante la realizzazione, sia con la discriminazione tra la Realtà e il non reale illusorio sia con il distacco dal materiale, dal concettuale, dagli attaccamenti, dalle passioni, dalle emozioni.
Il momento estatico è il punto più alto della trascendenza al di là dei “semi” causali, ingenerati dalle tendenze o “impressioni” presenti nella sostanza mentale o subcosciente, derivanti da esperienze, azioni, pensieri prodotti nell’esistenza attuale come anche nelle indefinite esistenze anteriori.
Plotino nella mistica brama del Sacro, intravede la risposta all’istanza antropologica di sempre, tramandata anche dal delfico oracolo apollineo: “Conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio”.
È lo svelamento supremo del sapere soteriologico ed escatologico: l’identità del tutto con l’Uno, sublimazione nella verità ultima del destino dell’anima unita nella Coscienza della Realtà assoluta tramite l’Essere che è Amore.
È questo il significato della famosa prescrizione dei misteri: “non divulgare nulla ai non iniziati”: proprio perché il Divino non dev’essere divulgato, fu proibito di manifestarlo ad altri, a meno che questi non abbia già avuto per se stesso la fortuna di contemplare.
Perché, dunque, non erano due, ma il veggente era una cosa sola con l’oggetto visto (“unito”, dunque, non “visto”), chi allora divenne tale quando si unì a Lui, se riuscisse a ricordare, possederebbe in sé un’immagine di Lui; egli però, in quel momento, era uno di per sé e non aveva in sé alcuna differenziazione né rispetto a se stesso né rispetto alle altre cose; non c’era in lui alcun movimento; né collera né desiderio erano in lui, una volta salito a quell’altezza, e nemmeno c’era ragione o pensiero; non c’era nemmeno lui stesso, insomma, se proprio dobbiamo dir così. E invece, quasi rapito o ispirato, è entrato silenziosamente nella solitudine in uno stato che non conosce turbamenti, e non si allontana più dall’essere di Lui, né più si aggira intorno a se stesso, essendo ormai assolutamente fermo, identico alla stessa immobilità.17
BIBLIOGRAFIA
PLOTINO, Enneadi, Bompiani, Milano, 2004.
Studi
GIUSEPPE FAGGIN, Plotino, Edizioni Asram Vidya, Roma, 1993.
PLATONE, Politéia, Tutte le opere, Sansoni, 1974
GIOVANNI REALE, Storia della Filosofia greca e romana, Volume 8, RCS Libri, Milano, 2004.
MARCO VANNINI, La morte dell’anima, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2004.
RAPHAEL, Iniziazione alla Filosofia di Platone, Edizioni Asram Vidya, Roma, 1996.
INDICE
INTRODUZIONE 2
CAPITOLO I°
LE TRE NATURE
1.1. Nel solco della Tradizione 3
1.2. Un nuovo orizzonte della metafisica 4
CAPITOLO II°
L’ANIMA È VITA
2.1. Anima: il tutto e il molteplice, contemplazione e produzione 6
2.2. La dualità nella manifestazione 7
CONCLUSIONE 8
BIBLIOGRAFIA 10
INDICE 11
CARTOGRAFIA 12
1 Plotino nacque a Lycopolis (l’odierna Asyùt nell’alto Egitto v. rif. Cartografico pag. 11) nel 205 d.C. Ad Alessandria nel 232 si dedica alla filosofia, nel 243 segue l’imperatore Gordiano nella sua spedizione in oriente per giungere a Roma nel 244 dove fonda la sua scuola. Compone i suoi trattati fra il 253 e il 269. Lascia il corpo nel 270 in Campania nella tenuta di un amico. Insieme ad Ammonio e Porfirio, Plotino è di fatto considerato il massimo esponente del neoplatonismo.
2 Ipostasi: sostanza inserita nella dialettica della processione
3 PLOTINO, Enneadi, V 2, 1, Bompiani 2004, pag. 815
4 PLATONE, Politéia, VII, Sansoni 1974, pag. 521
5 Secondo il quale, tra l’altro, la percezione sensoriale (doxa) è l’errata visione di ciò che pare essere vero.
6 PLOTINO, Enneadi, V 1, 8, 807, op. cit.
7 ibidem
8 PLOTINO, Enneadi, V 4, 2, 861, op. cit.
9 Ivi, V 6, 6, 897.
10 Ivi, V 9, 8, 941.
11 PLOTINO, Enneadi, III 8, 5, 513, op. cit.
12 PLOTINO, Enneadi, VI 4, 4, 1123, op. cit.
13 Mt. 5, 48
14 PLOTINO, Enneadi, IV 3, 24, 599, op. cit.
15 GIUSEPPE FAGGIN, Plotino, Edizioni Asram Vidya 1993, pag. 85
16 Brhadaranyaka Upanishad, Commento di Sankara, 1, 3, 28, Edizioni Asram Vidya 2004, pag. 200 (pag. 1326 testo in sanscrito traslitterato)
17 PLOTINO, Enneadi, VI 9, 11, 1361, op. cit.